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L' ENEIDE
DI
VIRGILIO
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L'ENEIDE
DI
VIRGILIO
TRADOTTA DA
ANNIBAL CARO
CON CENNI INTORNO ALL'AUTORE ED AL TRADUTTORE
ED UN'APPENDICE
contenente i gìudi;g di P. J. PROUDHON e di E. BENOIST
sopra. L* BNEIDB5
E
PER BARTOLOMEO CARACCIOLO
antieo cromista napoUiano
ITohinie anieow
MILiANO
EDOARDO SONZOGNO, EDITORE
Cui tipi dt iilWJAHDO SONZOGNO, a Miluuu.
(3.» Kdizìone atcrcotipa.)
INTRODUZIONE
^ .< COM.
i»bpr£MB&R1923
Il Caro e Virgilio.
PuBLius ViRGn.ius, 0 piuttosto Yehgilils Maro, nnrqne il
15 ottobre dell'anno 684 dopo la fondazione di Roma (70 a. C.)
in Andes, villaggio del territorio di Mantova posto sulle rivo del
Mincio, e che oggi si chiama Pietola. — Annibal Caro nacque
nel 1507 ' a Civitanova. terra della Marca d'Ancona, e non in
San .'.I art ingallo, terra aella medesima Marca, siccome voleva il
Castclvotro.
Virgilio, secondo Topinione più probabile, fu figlio d'un lavo-
ratore clic teneva a fitto i poderi di un ricco proprietario di
, campa^iar, al quale venne tanto in grado, che n ebbe in moglie
la figlia. L'avolo si chiamava Ms^ius e la madre Maia o Ma^ia
Polla: e certo da questi nomi ebbero origine le tradizioni biz-
zarre che nel medio evo corsero in tomo alla vita di lui K Ebb-i
due fratelli. Sileno e Placco : l'uno morto in tenera età, e l'a- ; j
giovane fatto. — B Caro ebbe a madre Celanzia di Mar: tto
Centofiorini, casato di qualche nobiltà, e due fratelli, Ealio e
Giovanni.
Virgilio stette in casa fino a sette anni, poi andò a Cremona
a far\i i primi studj. A sedici anni (55 a. CI.) prese la toga viriloi
il giorno stesso, secondo Donato, in cui moriva Lucrezio. Da Cre-
mona passò a i^Iilano e dipoi a Napoli col fine di perfezionarsi
nel gTfCn e nelle» scienze, specialmente nella filosofia e nelLi fisica,
alle quali fino da giovanetto mostrò grande amore e attitudine^
1 8criv4«va il Curo al Rii«?celli il 6 gennajo 1549 a proposito dei critici
di un suo Fonetto : « Tal moìh mi dessero quel 50 anni , che mi vogliono
caricare addos^rt a mio dispetto. Qiipsto si sar(>ì)be altro che un Latin falso.
Levatemeffli d* attorno di grazia, die io non gli voglio aver per niente.
Nacqui nel 7 e .son giunto u quolPanUi che tutta notte canta ed un da van-
taggio se ne fb lor piacere.»
2 Fon tante e si «MiriojHB eh- stancarono molte penne; e il meglio fti
ticcolto nel ricco libro di Domenico Comparctti: Virgilio nel Medio Evo,
Uvono, 2 voi., 1872. — Vedi anche la nota / airarticolo Virgile in Baylb.
6 INTIt')Dl)Z10NB
Ebbe a maestro in tilosofia Sirono, sogaaco d'Epicuro. Hi <iisiiuta
£d seguisse specisluKititt) quella etitta, n raccadi'Uiioa o la Htuìca.
.N, Di tutte qneistt) filosofie vi sono vostigi ilo' suoi Kurittt, uia 6
'. probabile che , couie urazio . egli i(ceglii<s.-4; il buouo da tutti ,
' seuza legarsi al capestro di iieytiULa scuuin. Altro sao maostro
fu il grammatico greco Furtcnio, poeta nncirL^gli. u alla sua guida
couiiiiuiò ad iniziarai alla (-«nusceiiza dellu li.<g.i;<:iide oiitolui^idio,
cb'pgli mostra avere Eludiate profondali i ente in tutti ì più mi-
nuti pai'Uculari. — Do' primi studj dol Cam non si trova nulla
dì certo; si trova beuu olio egli, costretto da povertà, si dosso
ad insegnare le prime luitorn ai fanciulli, e fosi>o uiacstco a Fi-
ronzo de' figli e nipoti di Luigi Uaddi. . .
Sono continui i suoi lamenti di non polem studiare a di-
lungo un pajo d'anni a suo modo; " invidiava Paolo Manuzio,
elle sepolto nella Biblioteca di Cesena , tÌ domava i Cerberi, le
Chimere e gli altri mostri della lingua latina. Tuttavia potè in-
tendere a raccotg'liere od ilhi.itrare ineda)i;lie^ e darui altresì alla
zoologia, studiando o tradurendo la S'^iria drgli AiùhuUÌ di
Aristitilc. Scriveva al Manuzio a Venezia:
«Quulcapriccio della lira passò via, ma quello do'pesci mi dura.
£ pur vorrei mi faceste avere una nuta de' notili loro, cioè d(^U
antìclii, 0 latini o urcci che sieno, confront-uti co'nostri d'o^i,
poiché costi sono alcuni che ne hanno midta notizia. Cqìiì vorrai
che guardaste nella libreria di San Marco, d'un libro dove in-
tendo che sono dipìnti tutti gli animali di naturale e mi avvi-
saste che cosa sia; e se por vostro mezzo si potesse avere, tanto
che si copiasse O sì coiiferìsso con altre mìe fantasie. >
Virgilio fu spropriato due volte doi suoi beni nel Mantovano,
prima da un velorano de' soldati de'Triuuivìri a'qnali eran tuccatl
terreni nel Cremonese. Malcontenti di quanto avevan sortito, a
non bene frenati da' loro capi, invasero que' luoghi per sventura
Ticini. Reintegrato nel possosso^del suo , ei ne cantò nella sua
prima Egloga (41 a. C.}. Scoppiata la guerra di Perugia, e vinti
1 partigiani di Antonio, ira' quali era Pnllione, suoprotetti.>re, neftl
di nuovo turbato in una nunva divisione delle terre della Ci-
Falpina. Arrio centurione, a cui era ti>ccato il patrimonio di
Virgilio, lo volle uccidere, e lo insegni con la spada sulle rivo
del Mincio. Alla pace di Briu^lìsi nebbo il rapitogli. — Il Caro
ebbe infinito briglie e liti nei' cmito de'BenefieJ conferitigli da'
suoi padroni; e scampando ai PiaC'-iiza dopo la uccisione di Pier
Luigi Farnese, al cui servizio sì tmvava (1547), sibbeno Bernardo
Spina gli avesse ìmpo;rato il ^a^saggio scuro a Parma, ^li fn
ti-nuto dietro da alcuni cavalli leggieri, che di poco il fallirono,
perchè volendo egli ripassare il Po a Brissello del Forrureso,
riparava di fuori nel convento dì San Cìismondo , quando easi
alloggiavano nella citta di Brissello. Di là f-i ridusse finalmcota
oalvo a Panna.
Degli amori di Virgilio fa Tarìameute parlato. Noi non guardo»
» • «^ — ■ ■ —
jf Zi\ ■ ':\i lui f^^'" il priin»» o irraii pittore ilfll;i m.i •■■■mi- «l'auion», tk^l
t>i;: -r- 'li ^'V •■/ '-.'#■ s''(nr{\'i' nìtiord.^ff. — I)rL^li aijmri d<»l C-aro
e:ti >i >:i nulla dì f^Tin-». Forso quando i Fariii-"^! lo maiuluruiio
L'-ll*' F::iniìr«^: amò una Catirrina Ballotta, alla qiiaU* scrivo a Urus-
«t'ili\ raccomaìifljm'ogli il Cumm(3nd«>no y |>rcK^tn(lola di vfrsftrf^
su lui tutto l'aniuro elio gli avo va già mostra t.». so punto gliene
re?iava.
Vii gii io fu caro ad Augusto, a Polliono, a Moconato. a' grandi
chf* amavano la poi^sia. Fu jimioo a Cornelio Gallo, a Vario, a riozio
Tncca. a Orazio e Vrojiorzio. — Il Caro fu carissimo al Guidiccioni,
fa servitore di monsignor Giovanni Gaddi, dri Farnesi, od obbe
amicissimi il Molza, il Varchi '» i migliori lottcrati dol suo t»'mpo.
— Vir«rili<> ebb" avversi Bavio, Movio, Codro, Cornificio Gallo,
Cinl'r'\ — Del Caro si può dire che non avesse che un nemico,
ma vaUf per millo, Lodovico Cast'lvotro
Virgilio fu, cnmp D;inte, il gran maostro dol parlar proprio.
Nr-n v'ha auton? latino più citato dai grammatici. — il Caro
piacque per la propri f*tii del dire ai Fiorentini e por la sua di-
sinvoltura a tutti er Italiani.
Virgilio fu d'indole modesta, di carattere dolce — il Caro
dic<?va di sé « eh* era più mucia che gatta: di natura dolce,
rir.'.i d*}inimo. »
Virgilio aveva un aspetto semplice e rustico. — Il Caro non era
Wlo; egli scriveva al Varchi: « Il mio ritratto si fa, e si
manderà a M. Pietro la copia dol ceffo solamente: che questo
basta a fare il paragone di questa parto tra me e voi; chò del
resto del corpo vi c«?do , perchè mi si dico che siete il doppio
di me. Ma erodo che Tuno e l'altro faremo meglio a contontarno
d'ess'T 11 iù savi che belli. »
Virgilio por condnrre a perfeziono il suo poema deliberò di faro
un viaggio di parecchi anni in Grecia ed in Asia, ove si svolgeva
la prima parte di nuella storia. Ad Atene incontrò Augusto elio
tornava d Oriente. Si lasciò indurrò da lui a tornare insieiim in
Italia. Era pia malato, e p<^ggiorò nel viaggio. Mori sbarcando
a Brindisi il 10 delle calende d'ottobre 7:^5 (10 a. C.) in età di
cinquantun* anno. Il suo corpo fu portato a Napoli e sepolto
sulla via di Pozzuoli. — Il Cam mori di cinquantanovo anni il 21
novembre 1560 in Roma, ove fu sepolto.
Era vicino alla morto e credeva star meglio. « Leggo Qualche
poco, egli scrìvea il 1.564, e non istudio nulla. E solo mi dimeno
un pochetto a raffazzonar le mie ciarpe , dilottandomi di veder
le molte fatiche passata e certi pensieri che mi son venuti alle
rolte, i quali ora non riconosco quasi per miei. E, quel che im-
porta, mi pare d^avor trovato l'archimia di star sano. Dove oro
prima infr-ttisfiimo, mi trovo ora, a mio credere, dol tutto sano. >
K di c**rti che gli facevano stentare una pensiono, scrivea:
e E fiate loro par intenderò liberamente, che se ben della vita
ana non mi dosso promettere, se non quanto gli altri uominii
rNTaoDuzi'.)XE
cho ci vivono, non ò port> ch'io non ispori d'avor a riscnotcr qnella
pensiono doirli anni più di dicci o \m lasciarla a «juaìcun altro.»
Morì for.^A ji t,«.:;i»o. porche ora sparita la letizia dei g'iorni
del Molza, iìitcniOiìutn la luco d<.'llo arti, scemato il favore che
si fiirova prliua itprriii.i:-. uni; •• il niali|^nio deserto cho si stendeva
intonio a!la cithi «^l-riL;; cominciava a trovar riscontro nHlla
solitudine inl'll«.*ttuulo ch;^ facevano lo controversie o le i>er3Ò-
cuzioni teolo2ficIie.
Roma andava impoverendosi di lettorati. Paolo Manuzio scri-
veva al figlio Aldo il 6 novfmbro ltìi58: < Questa mattina morì il
Poggiano; e cosi Roma va perdendo i suoi ornamenti, essondo •
mancati in poco tempo Quattro rarissimi uomini: il Caro, il Padre
Ottavio' (Tantagato), Frate Onofrio (Panvinio), il Poggiano.»
V'eran tuttavia ancora narocchi famosi: il Murcto, superbo,
infingardo e furioso, secondo Tindolo della sua nazione Ono/7?^aJ-
W.'o), tantoché si vantava di gettare in pretelle un Terenzio in i
un mese, e nel mogi io frod<lava; Achille Stazio, portoghese, edi-
tore di Catullo, e nochi altri.
So la morto diradava gl'ingegni, l'inquisizione gli agghiacciava.
I rigori erano enormi ," sebbene il Manuzio gli scusasse per la
necessità di salvarsi dagli eretici. Egli non osava aprire alcune
casso di libri del figlio Aldo , per tema di trovarveue alcuno
proibito 0 farla poi malo ; né maggior coraggio aveva il suo
amico Basa ; porcile ora fresco V osemi)io di quel servitore ^
esso Manuzio che , per essere stato nominato aa uno che dicea
avergli lotto in casa alcune coso del Franco, n'avea toccato la
fune e cinque mesi di carcere, e chi v'entrava non n'usciva
pia, sebbene, soggiunge prudontomento , T innocenza finalmente
rosse conosciuta •.
Virgilio scrisse lo JìucoUr-he dal 43 al 37 a. C, nello guali
imitò principalmente Teocrito. — Il Caro tradusse o meglio imitò
il Dafni di Teocrito 3.
1 n 10 cU dicenìbrt'> 1567 scrivova: « Del DoIiìh, che fa. poco buono,
non è (Ih curarsi ; ma del dolci<tsimo padre Ottavio clie tanto ci amò, chi
ci consolorA? »
2 Vedi le Lettere Manusiane, Parigi, 1S34.
8 Neir edizione flon^ntina delle JH/tie (Le Mounier . 1864) ricopiata
dalle due Aldine del 1569 e 1572, il titolo ^ Tirsi, ma la Giuntina d(?l 1584
ha Dafne, ed è più giusto. Se l* editore ave*ise ratfronUito le aldine con
3uesta avrebbe fuj?j?ito alcune ine<tattezze. Cosi trovo s»n o sette volte sia
ove avca a porsi fìa , e lai^ciata V avvertenza ai soin'tti die si scrÌAJ*ero
Tun l'altro il Casa e il Caro ; ovp la Giuntina ha notato : viziosi in provcif
II che si accorda con quanto scrive esso Caro :
« Quanto al sonetto di Monsi^Mior della Ca*«a: Caro, s'in terren vostro
aìligna amore, avete prinu a sapere che mi fu cosi scritto da lui, e che
gli si rispose da me nel med.rsinio modo, por fare una burla a chi non
accade ora di nominare, che sia vero, avt'to potuto vedere che Tuno e
l*altro sono fatti studioRament**» di met-afore la più parte viziose e lontane
o di certi modi di diro, ch«? sono falsi e stravolti e quasi tutti contra 1
Srecettl dell'arte. E pero non vi avete a meravigliare cho vi sia di più
i discordanza o lo scambiamento, che voi dite, de* numeri, o in prova
o per negligenza che lo facesse. »
I
•^a^
INTRODUZIONE
V!r';-!ì rcrv:''« k« G^or/yW*^, o vi speso sottc. anni (dal 37 al
Z^L.i' }. — Il CV.ro fk'Ce Tairrionltore a Frascati, dovi* mviiN una
sjj vi_-Tv-tt:i. « Kirli (il s 'ii'.-ito), siTÌv«'V:! al Giiarini. r.»n rpiiiuro-
A''.r.-i?n;. l'-tt ni ciw mi scrivi t-, mi tr-v.- la- ri ili I>(»iii;i, ••.•ruj.iito
Ili: • -.r V-ù. l'-.r «L'ir i»rin«;ii»io a una mia ^ill- !ia im*1 Tu -cui ano:
:.q;::.i ".it-jih" il luug-» st^v^t m'incita v.si^ a ì'-'otarr-, i-'l «h-siilorio
• 111.'; ; ' m:i> fosS'> di farl«». invitato da v-.i. io n^n lo ho mai
ir' a ■ ra tanto potuto stuzzicare uh j)n';rarn eli»' non mi siano
=i-it.* s.-Nji'f'j ritrose, credo pi-r avermi v.Mlut'» m-dt.) alli> strette
•:oii l'aLTicoltura, con la ([xiiìU fo ora più volonti<-ri all' amoro,
cL:' C'*-!Ì lori». VA oss-'ndosi olla iusigiiurita di tutti i forri dolla
\ b:-*".-;r,i. sompre elio ho voluti) la penna e la ca'ta. mi son vo-
- Bn:« à-I': mani b^ stìsto, la bussola o la zappa jtiuttost^; e non
\ li'> r:::*i pi'iisato di far un verso che non mi sia riuscito un viale
0 ri in il co?a. »
Vir.j".ii' .'Noesc undici anni a C'»mporr(' VKivn'nc (725-7*15). Visse
in qu^-tì tt.Mjipo jiart^ in Campania e parti* in J?i<*ilia. — Il
C-r." r.'-'ii'ayril»* 15G4 srrivi-a avoriio trad tto quattni libri in versi
sei- «Ili ; il 1-4 .-•'tti.»mbr«' lo!i5 che si trovava n»'l decimo libro; o
• il V^} HK\r/ " 15»>i) chVra più la cIk» la umtà d^d dodicesimo, e che
iTT-:=ib«. '^....tuto e-por iìnit-» fra un m<»80. Ond' non v'imijioi«'ò tiopjH)
più «ii da- anni. V'entrò a caso, s'avvio por isclif»rz.), o porsuverò
L^ dUi-' più bello traduzioni faron fatto p r prova dolla po-
; teiia d'dla n«).stra liuu'ua: dal Caro piT dimo4ramo la ric-
. cheoa. hi capaciti, contro rojdnione di q.i,.lli («• non eran pochi)
I cfct ax-'-rivano non poter avere poema eri-ico, né arte né voci
I da f-iplicar concetti poetici . e dal Davanzati per rivendicarlo
il vanto dolla brevità, contesolo da Arrigo Stefani, nella mara-
fie:if?a versione di Tacito.
Vinrili'i noi suo testamento ordinò che VlCurUl' fosse arsa come
. iinp^-rf'.**ta. Augusto non volle, e il pooma fu dnto a riv<'dcre a
' T:ri'> 0 a Plozio Tucca, ^' messo in ordino nor la pubblicazione. —
fi D Caro s'era posto d'accordo con Paolo Manuzio por istamparo
^ toti'f lo suft cos^, ma non fu a tempo ; e YEmùdc fu pubblicata
?. hi &U0 nipotft Lepido presso i ({iunti nel 15H].
\ P. J. l*roudhon forse mes,'lio che il Sainte-Ronve vondic«.>
YPit^i'ff*- dijlle accuso doi critici . specialmcnto contemporanei.
T^li dim-'-strò dnvrsi distint^uere la tecnica dell' epopoa dalla
•Br; s-«vtinza. Ove si riijuardi alla tecnica, Vir^^ilio può parere
un pln.L'iario di Onif-rrt o dejrli AlossaTidrini ; ove alla sostanza,
•.■•:li «r al tutto diverso, e più ricco di cose e d'ideo come por-
Tar:i il ].r«urres o deiretà, e pieno di presentimenti del rinnova*
ment--. inorili e del mondo '.
Gl'Ita/iani cominciiuio a ribalbottarlo, diceva io ne' miei Profili «^
Itila Ir lingua,qu2isi infanti che rifanno le voci materno ; od eccoti
f
*
\
\ T-fli VAppt^MfUre in fondo ni volume.
2 Firenze. BarbèriM 1830. p. 4Q5-4&7.
10 INTRODUZIONE
rUgnrgiori, o Fra Guido da Pisa. Fatti forti da Danto non solo nella
volgarizzarlo per
addestrarsi allo stilo epico, disegnando cosi vecchio un gran
IM)ema. Ecco quelli che Io contrafanno nella sua stessa linena,
rubandogli le voci, i modi, Tandarc, i Saiinazzaro, i FracastoroL
valenti uomini; ma anche i non valenti lo lucidano e come i
discepoli di Platone che lo imitavano neiralte spalle, visti da
tergo potevano essere scambiati per lui. Ne peggiori di questi
Bono i Lalli, ^li Scarron, che volgono a beffa guelfa divìda poesia^
e al trionfo ael poeta fanno che non manchi il giullare, il quale
ricordi i contatti delle creazioni più sublimi dolP ingegno con la
buffoneria.
La vera imitazione, è, rispetto allo stile, quella degli Ala-
manni, dei Bucellai, degli Spolverini, che non traducono e pure
a quando a quando son lui. La vera imitazione . quanto allo
spirito, è quella di Dante. A primo tratto , tra il dolce aspetto
del Mantovano e il severo doirAlighieri non si riconosce la re-
lazione di padre a figlio ; ma anche nel mondo si vedano talora
andar insieme affettuosamente stretto due creature diverso non
meno d^etù, che di bellezza; le diresti alieno; ma, so i linea-
menti mentono, certi moti del labbro, certo piegature di scruardo,
certe inflessioni di voce svelano che Tuna è sangue doiraltr^
Per tutta la Commedia eì sente lo spirito di Virgilio, e pure
le più volte quando si corre ad abbracciarlo , si toma con le
mani vuote al petto. Ed egli non vive solo della vita che gli
presta Dante quasi a tutto T inferno tenendoselo accanto, ma
altresì di uno spirito tutto suo, dell' icore che la sua conver-
sazione ha trasfuso nei versi del discepolo.
Questo amore a Vii^lio s'è continuato d'etil in et;ì. La sua
dolcezza bastava a legar gli animi che volevano appropriarsela
traducendo. E ai nostri dì, nel rinascente cesarismo, abbondano
gli stanchi dalle discordie civili, e gli affezionati di libertà che
fii riposano nello sue armonie.
H Caro ha tradotto Virgilio, e forse lo ha tradotto per sem-
pre; ma i rivali non quotano, e crediamo che non si rincorino
per quelle infedeltà che non lo rendono men bello od accitto ,
ma perchè sentono che quella versione non rispondo all' intelli-
genza e all'amore del nostro secolo. Il Caro è un uomo del ri-
sorgimento, di quella rifioritura pagana, che aveva quasi a sto-
maco Danto. Artista vero e compioto, avendo gustato e amato
non solo i versi, ma tutte l'arti plastiche, in mezzo ai tesori
dell'antichità, e allo trionfali emulazioni coetanee, egli comprese
Srofondamento tutto il bello estemo di Virgilio e con la lingua
el rinnuec«»nto lo rese a meraviglia. Xt'l descrittivo è insupe-
rabile. Varia, ma Virgilio non isdegncrebbe le variazioni. Se non
«ho dove è dottrina riposta, dov'è scienza appena penetrata ai
IXTRODUZIONB 11
di nostri, dor^è adotto tenero tonasi qnafito Tamore che stm^go
U p^ne del Vangelo, poterà U Caro render Virgilio , il poeta
che Dante prese a guida per le misericordi giustizie dell' interno
cristiano ? Non pare. £ questo difetto sentito da' moderni poeti
li muova a ritentare la prova. Se fossero forniti di studi e in-
gegno pari al lavoro, non iscancellerebboro la versione del Caro,
Da ci darebbero Taltra metà di Virgilio; il Virgilio dotto come
in mistagogOi e aftettuoso come colui che posava il capo in seno
a Cristo.
Il Caro e Aristotile.
Xè «solo dal latino tradusse mirabilmente i, ma altresì dal crreco ;
U R.f-orica, gli Amori di Longo e lo due Orazioni del Niiziiin-
i.'U.' dell' amor verso i poveri e dell'officio de' Vescovi.
€ La Rfittorìca, egli scriveva al Varchi, sono molti anni ch'io
U tradussi, ma non con altro fine che d'intenderla, so potoa , e
di farmela familiare. E se ben pare a molti, che la traduzione
* mi sia riuscita assai bene, non ò però che mi arrischi a farla
stampare. Ma quando voi l'arete veduta e vogliate che '1 faccia
i& -Tnii modo, giudico che sia necessario accompagnarla con alcuno
soidro. per render qualche ragione dell'interpretazione di quei
lu>'?hi che sono oscuri o dubbi e da altri intesi altramente ; che
iai>eto bene di che importanza sia e quanto ci è da rodere. Ma
iorrffderò all'ultimo che sia molto meglio a non entrare in questo
psiagn *. >
I AT.»va tradotto la Lettera di Cicerone a Quinto fratello , lavoro smar-
rito. Avi'mmo dal Dalmifltro alcune Lettere di Seneca, trasportale nia«'-tiv-
Toiiiifute in iUiliano, ed altre se ne conservano a Vii'nnii. - Vedi anello
J'ii.f i»if al Lettore di Giuseppe Cugnoni premosso alle Prose inedite del
{ Ciro. lTn'>la. 1872.
! 1 i V .\nibro«oli aveva in animo di fare un* edizione cri fica di questa
\ì iT'r'^ìfjii-»; ed essendogliene mancato il tempo e Pagio, vi confortava, p«'r
Jj .TtP-;7 * 'I-I MIO valente amico Don Pietro Zauib»'lli, Il prof. Stefano Grosso,
,1 !*•!; di^gno di .succ»:fdi>rgli in tutto <}uanto t? scienza di greco ed clej^anza
■*; <Ji?:ile. Questi^ mio signore ed amico, ricordandojjriì io la siw Notti (tutte
f ■ !■* "^ur* Nni€ sono oltre c^nl dire erudii»"! od amono) ni boll'Elogio di esso
> imbrr.5/;Ii , intorno ai volgarizzamenti di Classici greci fatti in Italia
Ufi socj>lo IVI, mi scrlvea:
« Senza dubbio ella avrà letto ciò ohe intorno alle versioni del Caro
«cri>« il Leopardi: =r Paiono anzi scritture originali che tr.iduzioni.... —
Inqin^stiipart'* (nello stile) vincono sonza alcun dubbio i dentili primiiivi. =
feub; ma, ella ha solanionte <)ti'Mh) cli>- dava di n''c<-ssi(à il (oHipo: nel
Xr^W di greco non ^apovar^i juìi che Uiiito , e i testi dof^li antichi ii(>n si
iT'v;ir»o cf»«i ernend.iii t'oiu"? si hanno o^i. = Io per me conoulo eh»' a'
tenpl d«-l V w^ noi -i .- v<-scj*oi lesti così em^datl come s\ haiii.d ogpi;
mh. ':.i' di ^.t.vQ iioii tiì sapesse piÀ chA tanto, è fUso. Chi saprebbe • ^-
|idi scrivere una praftizione in Imgwa^Fnaa QOBki 1» vcriBrt Paolo Ma-
l
12 INTRODUZIONB
Mirabile in tatto, qnosta versione è assai dilettevole dove Ari-
stotile tratta dei costumi , togliendo la speranza di superarlo a
tutti i moralisti susseguenti.
n Castelvetro voleva dare ad intendere che il Caro poco sa-
pesse di greco; ma se questi non avrebbe potuto fare quel dot-
tissimo Comuientario alla Politica y coglieva e rendeva meglio
d'ogni altro il senso degli scrittori antichi; e basta paragonare
le suo tradu/joni a quelle del Segni, che era tuttavia dotto e
fiorentino. Leggendo n Segni s'incespica ' sempre in passi oscuri
ed equivoci; nel Caro tutto è piano e chiaro; e degli altri pregi
è assai il testimonio di un Leopardi.
Il Caro e Longo Sofista.
Il romanzo di Da fai ^ c^ne dòo lagijnrsi una volta Tanno» di-
ceva Goethe; ma questo romanzo, direm noi, si fa da ciascuno
una volta sola nella vita.
È il destarsi dei sensi, l'ingrosso all'amore. La casistica cat-
tolica vorrebbe (.>pporsi<jrli ; ma coìi le sue vive opposizioni spesso,
senza volerlo, fa quel che Liceni:i fece con Dami.
Il Yillemain, con la solita eloqu^^nza, oppone ^li amori cri-
stiani di Piloto e VhYflnia a questi pagani dei due pastori;
ma Emilio Montègut gli dimosii'a bone che gli uni son V ecce-
zione, gli altri la regola.
Piace tanto il riandare questa Uiiscita del piacere, che Leopoldo
Burthe, morente, tratteggiava con ispirito lo avventure di Dafni
e Cloe, ed Hetzol, morto il disegnatore, assai giovane, ne ornò
una splendida ristampa della ve. sione di Amyot^
Il Curo condusse la sua versione soj)ra un testo a penna, e
questa è buona ragione per perdonargli più facilmente una parte
almeno degli errori in cui possa essere incorso La cominciò,
nota il suo primo editore, l'Innominato o Francesco Danieli di
Napoli, nella sua fresca età di forse trent'anni, facendone men-
zione in una lettera a Benedetto Varchi in data del 10 gennajo
1538; et^\ confaconto alla letizia di questa storia.
Il Caro aveva una hozzaccia del suo Longo, che si serbava
a riveder'.: r a rifrontrare a suo mndn col giucco, e questa
prima copia fu pr<)babilmente il testo della (ìnscrìcione o meglio
trascrizione della favola greca stampata da Gio. Battista Manzini
nuzio aUc Orazioni di Demostene ì K chi f^a oggidì tanto di greco e di
latino, quanto niosirò di saporne r«iol<) Mmiuzio con la sua traduzione
latiua dftilc Filippiche t » — Aggiungo io che il Manuzio sp lo sapeva,
scrivendo al suo liglio Aldo, il qual** ^rli fv/'Vi stenuire anche 1 libri che gli
bisogiiavf>.no ne* suoi lavori di Bouui, ch'egli era tenuto principe degU
umanisti.
1 Vedi la mia edizione del Tnxttato dei Governi di Aristotile per Ber-
nardo Segni, nella Biblioteca raro, UUano 1864.
8 Par^l, 1863, in fo|^
ormoDuzioNB 13
in Bologna Tanno 16i3. H Napione fa il primo a subodorare
il forto nial celato dal ladro, meno fermo ai morsi della co-
fcienza che il gioyane spartano a anelli della Tolpe, ch^aveva
in s<;no ; Sebastiano Ciampi ne diede le prove , e mostrò che il
ladroneccio aveva giovato a qualcosa, conservando sincora la
lezione in alcuni laoghi guasti o travisti nel testo che servi
alla prima edizione della corretta versione del Caro , presso il
Bodoni noi 1786 in-4. U Ciampi le correzioni più ciuare, sug-
gerite involontariamente dal plagiario , inseri francamente nel
testo; le meno segnò in nota.
Pietro Giordani parlò di Longo e de^ suoi traduttori ^ « Il
ereco, egli disse, ha una eleganza artificiosa; ^raziosissimo brio
li Caro ; il nostro Gozzi ci ha messo della dignità e deirarmonia.
L' più preferisco T amabile semplicità di Amvot... cinquecen-
tista francioso della stirpe de^ nostri trecentisti. » E so^iunse
d'Amjot: « Di carissima semplicità supera il nostro marchigiano
^ supera anche il greco. »
D Giordani non lodava gli arbitrj presi dal Caro , il quale
perché non lucendo dal greco gli tornava cosa secca, C uvei- a
ingrassala con di mólUi ciarpa e rimesso e scommesso in
molti luoghi. « Io per me , diceva il piacentino retore , ì greci
e i latini li vorrei tradotti come il Seneca e il Dionigi /"colga"
rizzati da luij. Non comporto questo volerli slargare, abbellire,
commentare, traducendo.... oh, quel greco meriterebbe voramouto
ima traduzione fedelissima; e io la farei volentieri. »
Se non che temiamo che non l'avrebbe nò vinta nò impattata
er>l Caro, avendola perduta con lui Gaspare Gozzi, che fu l'erodo
proprio della festività e gentilezza dei suo stile. Noi 176G per
le nozze Barziza e Yenier, uscì in Venezia presso Modesto i^'ouzo
la versione del veneziano, che non fece come il Caro, il quale sì
compiacque negP ignudi, e rubò alcuna cosa air immaginazione
dell^retino per illustrarli, come nella lezione di Licenia, esempio
: delle moderne nobili attempate spupillatrici. H Gozzi velò Io partì
. disoneste ; il che tuttavia è segno della coscienza di poccati com-
; messi e di tempi rei, se crediamo alla Bibbia ; egli poi laodifìcò
• I il bene, dice il Ciampi, il fatto del parassito Gnatono, che può
! ucho ante^rsi all^originale. Se non che Toriginale pordo cosi
- > la sua verità greca, che era tutt'altro che gentile ; ma alla qual'),
; : chi voglia leggere i greci , dee adattarsi , accogliendo le ìnter-
' :• prelazioni platoniche, per non sentirne stomaco.
Tra gli strojdti e i fulgori napoleonici una macchia d* inchiostro
; in un codice laurenziano, già dei Monaci della Badia di Fironzo,
; nise a rumore la Francia e T Italia. Paolo Luigi Courior, elio
; come il nostro Foscolo accoppiava gli studj della greca orndi-
nnne e d«lla guerra, scoperse in quel codice il frammoiit^ì desi-
derato di Longo, evi versò poi su, diceano gli avvorsarj, un in-
I Opere, t. XIV. Milano, 6an>lto, ims.
\
14 lirntobnziom
chiostro, indelebile per eaaere il primo e l'altimo a leggerlo. Il
Del Fnria, che arerà avuto toD^amente per mano qnel libro,
ed allnciotóvi soltanto alcune favolette anuche, imprecò forse al
bancese quella morte che incontrò poi nei suoi campi , per ire
hoiboniche, clericali od niorie. Se non che il francese crivella
di faceùe il Del Fona, che gì dovè jiontentare dì alcune va-
rianti che il famoso paté d'encre, impallidendo talor di pietii
gli concesse.
Per la versione del ritrovato IVammento di Longo, 6 da pre-
scegliere quella del Ciampi, sebbene l'Arcadia di Boma, nel con-
corso tenutosi ^or opera del Courier assodasse la corona ad
Alessandro Verri, all'anfatico autore delle Notti romane, come
più vicina alili siile del Caro. L'Arcadia non aveva l' oro , ma
aveva l'orecchiB di Mida.
U Bupplimonto del Caro, dice il Oiampl , non ha né quel sen-
timento, né quella relazione col tutto, ene riscontriamo nel sno-
plimentÀ originale , il qnale in ogni sua parte veramente fe-
ttittat ad eventum, ove che quello del Caro divaga, né mira coti
dritto allo scopo, contenendo soltanto una serio d'azioni isolate,
che poco 0 niente si riferiscono all' intreccio ed allo sviluppo di
tutta la favola, che ha condotta ed unità, e non pecca tanto nel
maravigliosD. nella complicazione degl' incidenti, e nel ricercato,
come i più degli altri erotici romanzi greci.
Nol6 bene il Mont^gat che nel lihro di Longo si mescolano la
pastorale e la commedia greca mezzana; ì campi e la città, e che
1 campi vi fanno miglior flgnra. Difatti i cittadini espongono i
propri figli ; i contadini raccolgono ed allevano gli altrui ; i con-
tadini lavorano ed ammassano ; i cittadini vanno a rubare l'am-
massato; Dorcono e Lapo eccedono nell'amar la Cloe; ma l'uno
fb buona emenda , l'altro rapisce a bnon fine ; ma quel vile e
sozzo parassito di Gnatone é un prodotto della cittì , e le sua
sconco voglie fanno stupire nell'innocenza dei campi. Anche la
Licenia è una Crezia rincivilita; ha imparato la corruzione in
citti. Che è mai qael Dionisofane comparato al vecchio Fileta.
Nestore campagnuolo, e che mai quell Astilo allevato in città al
Dafni che per ventura fu esposto e tirato su tra i pastori, dalla
cui vita e costumi non ei sa dipartire fatto ricco e nohilb?
Longo ha certamente voluto mostrare ii contrasto delle due vite.
', e non ebbe bisogno di andare in Qermania come Tacito per far
arrossire i romani, perche i romani avevan corrotto anche i
' eampi.
Anche notò il Montégut che Dafni e Cloe son due esseri vi-
renti e pur tìpici ; e che i moderni ne avrebbero fbtto o dne
individui più o meno volgari o dne esseri allegorici e freddi. Il
pìt monello come il pii santo giovinetto si ravvisa in Dafni
e ogni casta giovinetta nella Cloe, che tace solo a Dafni il bacio
dì Uorcone per mostrare che ogni donna, e aia la piti ingenaa,
]ia da celare qualcosa.
iKTaODUZXOlSft 15
n Caro e Jacopo Amjrot ^ farono dello stesso ^secoloi eiSon de*
ochi che ebbero fama, anche T)ross(; gli stranieri, con le trada-
oni in propria lingua (peróne i lavori originali del Caro , sì
iomatici, sono più inaccessibili agli stranieri che la fina Eneide^.
Hontégut disse che rAmyot àveya yersato il liqaor greco non
à in un* anfora di stecchita eleganza, ma in un bel vano smal-
to del Bisorgimento. Del Caro si può dire il medesimo; senonchd
. lingua francese del secolo decimosesto essendo caduta d^uso,
myot pare più ingenuo. II Caro non ha. Tingenuità dell'arcai-
Qo; ha più nanamente d^ilucnyot, come in queir approdò in
*no alla Cloe che piaceva e spiaceva al Giordani ; ma e^ì ha
reso Toro greco h ne ha cesellato ^un va§Q da fame invidia al
io amico Benvenuto; e il Longo è di quelle sue traduzioni
»r cui egli fa' uno degli scrittori più ongiHali e più diletti
Italia K
li Caro e le Commedie.
Delle Commedie non pare ne scrivesse più di una. 6^t. Strao
ani; ma ebbe Tanimo a fame delPaltre; e i modelli abbonda-
ino. Ne adombrò una nella lettera sul capitan Coluzzo, ed altra
ò suggeriva al Diacceto, ftunigliare di monsignor dei Gaddi, di
Q tale che per avere il suo nome voleva esser lui in ogni cosa,
piuttosto ch^ei fosse lui, -e voleva moglie e la voleva per so,
l aveva persuaso ai parenti ^olla fanciulla eh* era il Caro che
k domandava, e i parenti gli avevan fatto dire che si contentavan
i dargliela.
Gii Straccioni eran finiti nel 1543 , secondo si ritrae da una
la lettera a Paolo Manuzio sotto la data del 28 giu^o di quel-
inno. Si serbava a fare il prologo, secondo T occasione che si
irebbe presentata di recitarla. Il Prologo lo abbiamo ed ò bel-
flsimo. Si scusa che il soggetto sia rinterzato^; ma egli non
remeva gran fatto nella materia. Ad un comico scriveva: < Non
i curate che la materia sia ordinaria , perchè i soggetti della
nnmedia non possono essere altrimenti, e la rarità de' casi non
i fa migliori, ma ben la rarità e la bellezza do^ concetti e de*
"atti e dello stile. Né il Varchi. ;nò lo Speroni, dice il Gamba,
KÌaron questa commedia per la condotta della favola e dei-
intreccio; ma quanto aU' elocuzione , sentenzia lo Speroni, è la
\ù bella che mai vedessi^ piena di motti, di spiriti e di prò*
*rhj comici.
Gli Straccioni sono una delle commedie vive del cinquecento,
^tore, dice il Gingpionój t^ amusa à mettre sur le thédtre les
1 Jftcopo Amyot n. 1518 m. 1593. •
S Proemio alla mia edizione degli Amori pastoraH di Dafni e Cloe, nella
mioreea rara, Milano. 1868.
I Vedi i miei Precurgort del Ooldoni, Son7x>gno, 1872.
1 ^
16 INTAODUZIONB
balourdises de deuao frères pau/cres et presgue inibéciUes, qui
9'étaiefit acquis à Rome une sorte de celébrité dans le genre
niais. Mais U joig^Ut à cette peinture grotesque plusieurs rtu-
tres ressorts comiques,,.. Cette comédie, aussi librement qnélé'
gamment écrite, est une des mietuv condiiites,.., une de cellrs
où les se7itiments d'amour sont eccprimés avec le plus de
passion et de naturél, et en méìne temps une des plus paies.
— Giudizio Torissimo. — È una fotografia, ma ben riuscita, o
non dei soliti lucidamonti dai latini, che lucidayano dai Greci,
ondo Parte couiica italiana era nipote alla greca, e non rifaceva,
ma contraffaceva Tavola. Quel marchegiano ingegnoso del Caro,
Bi abile a dipingere i caratteri, come Luigetto Castravillani , o
il baro fomoso, riuscì naturalmente a ritrarre a meraviglia quo*
due pazzi, ch^erano stati il balocco della festiva ed arguta Roma.
Voleva che l'autor della Suocera rivedesse gli StraccionL Forse
gli mandò a ripassar la Commedia, come fece di certo V Apologia;
ma la lima del Varchi non lavorò gran fatto su quella; perchè
ha molto ancora del romanesco, il che, senza che si perda fiato
d'eleganza, dà maggior picco e, come dicono, color locale ad una
storia romana. H Caro veramente convertiva in oro tutto quel
che toccava; e, come il Petrarca, seppe cojB^liero la parte im-
marcescibile della lingua; onde non invecchia mai; e quando
avea bianchi i capelli e gli era caduto Tultimo doiitL* tiailiic va
di vena VEìieide , come Koussoau scrivea la Nox^dfa Knfsa col
catarro e coi piedi nello pantofole di lana. — Lo spirito fu soiupre
vivace 0 scintillante nel Caro, e pare cosi giovano ora. come quando
scrivea il commento di sor Agresto alla Firìuifk' dol i^Iolzji '.
Per le Lettere del Caro ci rapportiamo alla memoria di tutti
coloro di cui dilettò Tadolescenza ed invaghi del bello e purgato
scrivere.
Il Caro ed II Castelvetro.
La controversia tra il Caro ed il Castelvetro fu benissimo nar-
rata dal Seghezzi *, e sarebbe vano il riandarla. Noterò solo che
il Castelvetro fu il provocatore, e che sVgli o i suoi sostengono
che il Caro lo accusasse per eretico alla Inquisizione, e fosso in
partite sono più che saldate. Aggiungerò solo che il più
vero della critica del Castelvetro alla Canzone '.Venite aW ombra
de* gran gigli d'oro si è la conclusione : E l'argomento (P'I/a
Canzone è nulla: perchè, il Caro che aveva spiriti poetici,
1 Vedi VAvvertenta degli Stampatori agli Straccioni uella Biòliotecci
rara^ Uilano, is63.
8 Vita del Caro, nel tono tomo dòlìe Famigliari (Padova Cornino, 178§).
iNi\.>i'r/ii>;-: 17
e nel freddo : ma lo appuntaturo parziali furono assai bon ri-
battale nella mirabile Apolof/in. Kecliorò tuttavia due testimo-
cianze Tana a favore del Castelvotro, l'altra del Caro. La prima
*f del principe dei critici, Riccardo lJoiitlHy,il qualo nella Profa-
zit'Tie alla dissertazione sopra lo Kpistolo di Falarido (Londra,
16&9>. ribattendo il suo avversario dio avoa dato del pedante al
Casielvetro ed aggiunto che Iklzac rav».va giustanujnte chia-
mato un pv.hbUco nemico por le suo .w/istcric contro tutti i valenti
e famosi , leva al cielo T ipercritico 0 abbassa a più potere il
Ciro, « Quel pedante , egli dico , fu uno dei più ingolfinosi e
diitiì scritt^)ri del suo secolo; e aiicho ora i suoi libri hanno si
grande rejiutazione, che nclLi più parto dei paesi d'Europa si
Ti'udono per tant'argento quanto po>ano. Enrico Stefano grin-
titolu le Epistole di Parrasio, chiamandolo critico sagacissimo e
delicatissimo ^Dice aver letto tutti i documenti della controversia,
approva la censura delle inH.9r ingnuiichr e afferma che il van-
taggio del Caro si era, ihat ha ivris Mcmber of an AcacU*yny
awi a ichole CoUrgc was (nigaged fm" ìum; ami xohenncither
Bfdjon tior TrutU xoas of their side tìiei/ confided in their
De fendei Numerus, junctceque umbone phalanges.
Qui il sommo critico prese gli Accademici di Banchi per una
T?ra Accademia difenditrice del Caro ; e biasimando il modo ingiu-
rioso in cui fu risposto al censore, malmenato si fieramente anche
neUa l'avola della Contenenza, conclude: « Questi furono gli one-
sti ed onorati metodi di trattare la loro controversia, e sebbene
il loro avversario mentre visse soffrì molto per la loro malignità,
la Posterità gli fece ragione; ed estimò stra«»rdinariarnonto tutto
le j'Ue opere; mentre le loro sopra quest'argomento (perchè nel
rimanente furono uomini di qualche valore^ non hanno nulla cho
le faccia cercare se non la grande reputazione dell'uomo cho ossi
vitnperan«\ > Anche qui il S4)mmo uomo s'ingannò ; lo stile del
Caro fa cercare V Apologia, e la d(»ttrina del Varchi VEixolano,
mentre la fama del Caste Ivotro, della qualo, come d'italiano, go-
diamo, non preserva lo suo Rnginvi e Correzioni^ so non in
quanto il nome aoi Caro le ta cercare.
L* altra testimonianza la tragiro dalla mia Rhnsifa critica^ e
non tocca il valore letterario dei duo contendenti, ma il loro
lentiie d* Italia.
1 LO sles«o Ca9telv(^tro nella Corre':ione di alcune cose nei Diàlogo
éàle Lingue del Varchi cita nuesta lori»» di *iò: « Erriro Stefano di nazione
tnac««c/>,bene intondento doila lingua Ialina, e forse \>i\\ di'lla gi'«*ca cli«
coalunque allro uomo ogfòdi viva, nf ha intitolato il Libro di Giano
nrrasio non più stampato, De rebus per cpistolam qucpsitis ^ con una pi-
»>Ia no Ha quale si manifesta il conto cho lauto uomo faccia di me. »
D€WEtUide. a
e VI Bconpiuro, per auaiito amor mi portii
di riconciliarvi con dotto M. Aiiiilcaro, e e
sua figlia, che lo ricovorò p«T altrotta
corno se lo faceste por una mia fìurliunla pn
caro d'intendere che vi siato contentato d
non restando di raccomandarmi a tutta qi
porto affeziono, con tutto l'affronto ricvui
che ne feci fa per vergogna che ne ricovin
▼ogiia; e tatto gli ho perdonato e desidoi
medeaimo. »
DI qaesta Edizione
QneAta edizione è condotta rn qno^la pu
nel 1816, intitolata a Vincenzo Monti, e
in pochi Incffhi, con buono rafrionì ed au
Gli argomenfi trassi dalle edizioni recenti
candoli qna e là. Agginnsi in App^vcHcr.
di P. J. jProndhon e E. Benoìst soir impo
donale àtW Eneide: lasciando ai libri di
bo&wio, i gindi/jj sul merito estetico di Vi
napoletano, carai Tidea delia trasformazio
ftós del 8ttvij0 gentil che tutto snppp. ìli pis
lione del 8onz<^o , poter così rannodare 1
Ouat dalla qniue T Italia riconosce la pre
Éiariet greci, e che ritiene anche al di d^
la energia e la costanza nelle utili impre
DELL'ENEIDE
LIBRO PRIMO
t
A ^
G O M B N T O
Protasi ed inTOcazione della Musa l-ll. Giunone a danno dei Trojan!
Amnanda ed ottiene da Eolo che scateni una violentinsima tempesta coi tro
fi loro, che oavigano dalla i^icilia in Italia, 12-123. Nettuno sorge a sedei re
Ubarrasca; e i Trojaiii, balestrati dai mare e dai venti verso la Libia,
vi «^rodano, 124-158. Enea, preso terra, (k preda, alla caccia, di sette
0oan cervi, che distribuisce, uno per ciascuna, alle sette navi ciimpate
■il nanfragio, quindi cerca di rianimare i suoi compagni, già stanchi del
ìugo errare, colla speranza del vicino riposo, 159-222. Frattanto Venere
I
ico«taxiu*Dte manda li«$rcu rio per disporre a mitezza verso i nuovi arrivati
l'uiimo de* Peni, 297-304. Quindi Venere si fa incontro ad Enea, che ignaro
et* luoghi andava attorno per esplorarli ; gli annunzia che le navi disperse
craao falve, e in pati tempo gli mostra Cartagine, ctie Didone stava lab-
krìcando poco lontano di là, 305-480. Enea, per favore d»^lla madre na-
KOffio con Àcate dentro una nube, entra in Cartagine ; quivi ammira le opere
a cui si dà mano, e vede i suoi compagni amorevolmente accolti da Di-
tele. 490-565. s*apre la nube: e Didone stupisce alla vista e airavvennira
f Enea, lo conduce alia re^a, manda per Ascanio con doni, ed invia
Ban crtpia di vettovaglie ai compagni cTEnea, 5dt>-656. Ha Tenere difU-
nodo di an'ospitalitÀ conci'ssa in terra devoti a Giunone, ed anco del-
rindole fiera de* Peni, n pi so Ascanio ai boschi d*Idalia, e in sembianza
A lui manda il suo Cui>ido, perchè fra gli abbracciamenti e i baci delia
r^ua, l** inspiri insensibilmente focoso amore d*Enea, 657-722. Gran con-
tilo neiraula. Didone prega Enea che le narri Teccidio di Troja, X suoi
c^ i suoi lunghi errori, 723-756.
Queir io che già tra solvo e tra pastori
Di Titiro sonai T umil sampogua ,
E che y de' boschi uscendo , a mano a mano
Fei pin^ e colti i campi e pioni i voti
D' om' incordo colono , opra che forso 5
A gii agncoli è grata ] ora di Marte
L* armi canto e '1 valor del grand* eroe
Cho pria da Troja , per destino , a i liti
D' Italia Q di Lavinio errando vonno ;
E quanto errò , quanto solTorso , in quanti
E di terra o di mar perigli incorse ,
Como il traca l' insupcraoil forza
Del ciclo , e dì Ciiunon l' ira tenace ;
E con cte dura o sanguinosa ^Tiorra
Fondò la sua ciltade, e gli suoi Dei
Riposo in Lazio: ondo cotanto crebbo
Il nome da' Latini, il regno d'Alba,
E le mura o l' imperio alto di Roma.
Musa, tu cho di ciò sai le cagioni,
Tu lo mi detta. Qual dolor, qual onta
Fece la Dea, eh' e più- donna o regina
De gli altri Dei, si nequitosa od empia
Centra un si pio? QaÀÌ suo nume l'espose
Per tanti casi a tanti all'anni i Ah ! tanto
Possono ancor lassù l' ire o gli silegni *
Grande, antica, possente e bellicosa
Colonia de' Ponici era Cartago,
Posta da hmgo incontr' Italia e 'ncontra
A la foce del Tebro: a Giunon cara
Si, cho le Tur men care ed Argo e Samo.
Qui pose l'armi sue, qui poso il carro.
Qui di porro avea già disegno e cura
(Se tale ora il suo fato) il maggior seggio,
E Io scettro anco univcrsal del Mondo.
Ma già contezza avea eh' era dì Troja
Por uscire una gente, ondo vedrebbe
Lo sue torri superbe a torra sparso,
E de la sua ruina alzarsi in tanto.
Tanto avanzar d' orgoglio e di potenza,
Cho ancor de l'Universo imperio avrebbe:
Tal de le Parche la volubil rota
Girar saldo decreto. Ella, che tema
Arca di ciò, non posto anco in obblio
Come a diresa de' snoi cari Argivi
Fosse a Troja acerbissima guerriera.
Ripetendone i semi e lo cagioni.
Se no scntia nel cor profondamente
Or di Pari il giudicio. or 1' arroganza
D'Antigono, il concubito d' Elettra,
Lo scorno d' Ebe, alfln di Ganimede
E la rapina o i non dovuti onorL
]>a Linte, oltre il timor, faville accesa
Qutii pochi aOlitti o oiùìen Troiani
7
UBRO PRIMO 23
Ch* avanraro agi* incendj, a le mine,
Al mare, ai Greci, al dispietato Achille, 55
Tenea lunge dal Lazio ; onde gran tempo
Combattuti da* venti e dal destino
Per lutti i mari andar raminghi e sparsL
Di si gravoso afliir, di si gran mole
Fu, dar principio a la romana gente. 60
Eran (li poco, e del cospetto appena 37
De la Siciha navigando usciti,
E già, preso de l'alto, a piene vele
Se ne gian baldanzosi, e con k prore
E co* remi facean 1* onde spumose ; C5
Quando punta Giunon d' amara doglia.
Dunque (disse) eh* io ceda ? e che di Troja
Venga a sijnioreggiar Italia un re,
Ch* io noi aistorni ? Oh mi son centra i Fati!
Mi sicno. Osò pur Pallade e poteo 70
Aviere e soffocar già de^li Argivi
Tanti navilj, e tanti corpi ancidere
Per lieve colpa e folle amor d' un solo
Aiace d* Oìlèo. Gontra costui
Ella stessa vibrò di Giove LI telo 75
Giù dalle nubi; ella commosse i venti 45
E turbò '1 mare , e i suoi legni disperse :
E quando ei già dal fulminato petto
Sangue e fiamme anelava, a tafe un turbo
In preda il die, che per acuti scogli 80
MLserabil ne fé rapina e scempio.
Tanto può Palla ? lEd io, io de gli Dei
Regina, io sposa del gran Giove e suora
Soii di quest' una gente omai tant' anni
Nimica m vano ? E chi più de' mortali 85
Sarà che mi sacrifichi, e m' adori ?
Ciò fra suo cor la Dea fremendo ancora,
Giunse in Eolia, di procelle e d'Austri
E de le furie lor patria feconda.
Bolo ò suo re eh' ivi in un antro immenso 90
Le sonore tempeste e i tempestosi
Venti, si com' e d* uopo, affrena e regge.
Eglino impetuosi 0 rinellanti
Tal fra lor fanno 0 per quei chiostri un fremito,
Che ne trema la terra e n* urla il monte. 95
Ed ei lor sopra, realmente adomo
Di corona e di scettro, in alto assiso
L' ira e gì' impeti lor mitiga e molce.
Se ciò non fosso , il mar, la terra e 1 ciclo
Lacerati da lor, confusi e sparsi iOQ
Con essi andrian per lo gran vano a volo.
Ma la possa maggior dolpadro etorno
Provvida a tanto mal ; serragli e tenebro
D' abissi 0 di caverne, o moli e monti
Lor sopra imposo ; ed a re tale il freno
Ne die, eh' ei ne potesse or questi, or quolU
Con certa legge o rattenero, o spingerò.
A cui davanti l'orgogliosa Giuno
Allor umile e supplichovol disse :
Eolo (poi che '1 gran Padro del cielo
A tanto ministerio ti preposo
Di correggere i venti e turbar l' ondo)
Gente immica a me, mal grado mio,
Ka^a il mar tirreno ; e giunta a vista
E già d' Italia, al cui reame aspira ;
S a' Ilio lo reliquie, anzi Ilio tutto
Beco V atiduco e i suoi vinti Penati.
Sciogli, spingi 1 tuoi venti, gonfia l'ondo,
Aggiragli, confondigli, sommergigli,
O fljsperfiigli almeno. Appo mo sono
Sette e setto leggiadre ninfe e bollo ;
E di tutte più bella o più leggiadra
È Deiopòa. Coptei vogl' io, per morto
Di ciò, che sia tua sposa; e che tu seco
Di nodo indissolubile congiunto ,
Viva lieto mai sempre, e ne divenga
Padre di bella e dì te degna prole.
Eolo a rincontro, A te, regina, disse,
Conviensi che tu sconra i tuoi desiri.
Ed a me eh' io gli adem[)ia. Io ciò che sono,
Son qui per te. Tu mi fai Giovo amico.
Tu mi dai (juesto scellro e questo regno;
Se re può du-si un clie comandi a' venti.
Io, tua merco, su co' Celesti a mensa
Nel cicl m' assido ; e co' mortali in terra
Son di nembi possente e di tempeste.
Così dicendo, al cavernoso monte
Con Io scettro <V tm urlo il Oanco aperse,
Onde repente a stuolo i venti uscirò.
Avean già co' lor turbini rinieni
Di polve e di tunnillo i colli e i campi;
Quando (piasi in un gruppo ed Euro e Noto
S'awentaron nel mare, e lin da l' imo
Lo turbAr si, che ne fèr valli e monti :
Monti, eh' al ciel quasi di neve, asiicrsi,
Sorci l'un dopo l'altro, a mille a mille
Volgendo, 80 uo glan caduchi e mobili
LIBAO PIUAIO 25
Con suono e con mina i liti a frangere.
n ^iilo, lo stridore, il cigolare
De' legni, de le sarte e de le genti, 150
I nugoli che '1 cielo e '1 di velavano,
La buja notte, ond' era il mar coverto,
I tuoni, i lampi spaventosi e spessi.
Tutto ciò che s' udia, ciò che vedeva^.
Rappresentava orror,' perigli e morte. 155
Smarrissi Enea di tanto, e tale un gelo 95
Sentissi, che tremante al ciel si volse
Con le man giunte, e sospirando disse :
O mille volte fortunati e mille
Color che sotto Troja e nel cospetto 160
De' padri e de la patria ebbero m sorte
Di morir combatt<5ndo ! O di Tidèo
Fortissimo fìgliuol ! eh' io non potessi
Cader per le tue mani, e lasciar ivi
Questa vita affannosa, ove lasciolla 165
Vinto per man del bellicoso Achille
Ettor famoso e Siìrpedonte altero ?
E se d' acqua perire era il mio fato,
Perchè non dove Xanto, o SimoCnta
Volgon tant' armi e tanti corpi nobili ? 170
Cosi dicea: quand'ecco d*Afpiilone los
Una buffa a rincontro, che stridendo
Sijuarciò la vela, e '1 mar spinse a le stelle.
Fiaccarsi i remi ; e là 've era la prua,
Girossi il fianco ; e d' acqua un monte intanto 175
Venne come dal cielo a cader giù.
Pendono or questi or quelli a 1 onde in cima:
Or a questi or a qiiei s' apre la terra
Fra due liquidi monti, ove l' arena ,
Kon men cn' a i liti, si raggira e ferve. 180
Tre ne furon dal Noto a r are spinte :
(Are chiaman gli Ausonj un sasso alpestre
Da l'altezza de 1* onde aìlor celato,
Che sorgea primo in alto mare altissimo:)
E tre ne fur dal pelago a le Sirti, 185
(Miserabile aspetto) ne le secche iiit
Tratte da l' Euro^ e ne V arene immerse.
Una, che '1 carco avea del fido Oronte
Con le genti di Licia, avanti agli occhi
Di lui peri. Venne da Borea un' onda, 190
Anzi un mar che da poppa in guisa urtoUa,
Che '1 teraon fuori e '1 temonier ne spinse ì
E lei girò si che '1 suo giro stesso
Le si Id' sotto e.Tortice.Q^vorago,
>
Da cui rapita, vacillante e china,
Quasi stanco palèo, tre volte volta
Galoeai gorgogliando, o s' alTonrtó.
Già per 1 ondoao mar disperse e rare
Le navi o naviganti si veilevano :
Già per tutto di Troja a 1' ondo in preda
Arme, tavole, arnesi a nuoto andaviino :
Già quel eh' era piii valido e più forte
Legno d Illoneo, già quel d'Acate
E quel d'Àbantu e quel del vecchio Alete,
Ed al fin tutti sconquassati, a l' ondo
Micidiali aveano i lianclii aperti ;
Quando, a tanto rumor, da l' anti-o uscito
Il gran Nettuno, e visto del suo regno
Rimescolarsi i più riposti fondi;
O, disse irato, ond' è questa importuna
Tempesta? E grazioso il capo fuori na
Trassa de 1' onde ; e rimirando intorno,
Per lo mar tutto dissipati e laceri
Ville i legni d' Enea ; vide lo strazio
Dtì'Buoi, eh' a la tunipusta, a la mina
E del mare e del cielo erano esposti. iia
E ben conobbe in ciò, conio suo frate,
Che no fora cagìon l' ira e la froda
De r empia Giuno. Euro a su chiama o Zefiro ,
E 'n tal guisa acremente li rampogna:
Tanta ancor tracotanza in voi s" alletta,
Razza perversa ? Voi, voi, senza me.
Nel regno mìo la terra o '1 elei confondere,
E far nel mare un si gran moto osale?
Io vi farò . . Ma di meslioro è prima
Abbonazzar qnest' onde. Altra fiata
lu altra guisa il Ilo mi jiaglierete
Del fallir vostro. Via tosto di (jna.
Spirti malvagi: e da mia parte dito
Al vostro re, che questo regno e questo
Tridente è mio, e die a me solo è dato.
Per lui sono i suoi sassi e le sue grotte,
Case degno di voi. Quella è sua reggia:
Quivi solo sì vanti ; e per regnare.
Do la prigion de* suoi venti non esca.
Così dicendo, in qu:nito appena il disse, m
La tempesta cessò, s' acquetò '1 mare,
Si dileguar le nulji, app^irve il sole.
Cìmòtoe e Triton, 1' una con 1" onde.
L'altro coi dorso, lo tre navi inrlìetro
Uitinìr da lo scoglio in cui percossero'
LIBRO PRIMO 27
Le tre che ne l'arena eran sepolte,
Egli stesso, le vaste sirti aprendo,
Sollevò col tridente, ed a se trassele.
Poscia sovra al suo carro d' ogn' intorno 245
Scorrendo lievemente, ovunque apparve,
Agguagliò .'1 mare, e lo ripose in calma.
Come addivien sovente m un gran popolo,
AUor che per discordia si tumultua,
E 'mperversando va là plebe ignobile; 250
Quando V aste e le faci e i sassi volano
E r impeto e *1 furor T arme ministrano :
Se grave personaggio e di gran merito
Esce lor contro, rispettosi e timidi.
Fatto silenzio, attentamente ascoltano, 255
Ed al detto di lui tutti s' acquetano : i5d
Cosi d* ogni ruina e d' o^ni strepito
Fu '1 mar disgombro, allor che umile e placido
A ciel aperto il gran rettor del pelago
Co' suoi lievi destrier volando scorselo. 260
Stanchi i Trojani ai liti eh* eran prossimi
Drizzaro il corso, e'n Libia si trovarono.
È di là lungo a la riviera un seno.
Anzi un porto ; che porto un' isoletta
Lo fti, che in su la bocca al mare opponsi. 265
Questa si sporge co' suoi fianchi in guisa
Ch'ogni vento, ogni flutto, d'ogni lato
Che vi percuota, ritrovando intoppo,
O si frange , o si sparte , o si riversa.
Quinci e quindi alti scogli e rupi altissime, 270
Sotto cui stagna spazioso un golfo
Securo e queto : e v' ha d' alberi sopra
Tale una scena, che la luce e'I sole
Vi raggia, e non penetra: un'ombra opaca.
Anzi un orror di selve annose e folte. 275
D' incontro è di gran massi e di pendenti
Scogli un antro muscoso, in cui dolci acque
Fan dolce suono : e v* ha sedili e sponde
Di vivo sasso ; albergo veramente
Di Ninfe, ove a fermar le stanche navi 280
Kè d'ancora v'è d'uopo, né di sarte. i7«
Qui sol con sette, che raccolse appena
Di tanti le^i, Enea ricoverossi.
Qui stanchi tutti e maceri, e del maro
Ancor paurosi, i liti appena attinsero, 285
Che a terra avidamente si gittarono.
Acate fece in pria selce e focile
Sciatillar focoj e diògli esca e fomento.
28 . ^' ENEIDE
Altri poscia d' intorno ad altri fochi
(Como quei che di vitto avean disagio, 290
E lo biado trovAr corrotte e molli)
Si dier con vari studj e vari ordigni
A rasciugarlo, a macinarle, a cuocerle.
Intanto Enea sovr'un de* scogli asceso,
Quanto si discopria con V occhio intorno, 295
Stava mirando s' alcun legno fosso ^ iss
Per alcun luogo apparso, o quel d'Anteo,
O quel di Capi, o pur quel di Calco
Che in poppa avea la più sublime insegna.
Niim no vide : ma ben vide errando 300
Gir per la spia^jgia tre gran cervi, e dietro
D' altri minori mnumerabil torma ,
Che in sembianza d' armenti empìan lo vallL
Formossi: e pronto a cotal uso avendo
L' arco e 1 turcasso (che quest' armi appresso 305
Gli portava mai sempre il lido Acato)
Die lor di piglio : e saettando prima
\ primi tre, che più vide altamente
Erger lo teste e inalberar le corna ,
Contra *1 volgo si volse ; e '1 lito e '1 bosco 310
Ovunque gli scor^jea, folgorò tutto.
No cacciò, ne feri, strage ne fece
A suo diletto: nò si vide prima
Sazio, che come sette eran le navi,
Sette non ne vedesse a terra stesi. 315
In questa guisa ritornando al porto, io6
Gli spartì parimente a' suoi compagni
E con essi del vin , che *1 buon Aceste
A r uscir di Sicilia in don gli diede,
Molt* urne dispensò per ricrearli. 320
Poscia a conforto lor così lor disse : 200
Compagni, rimembrando i nostri affanni,
Voi n' avete infiniti omai sofferti
Vie più gravi di qiiesti. E questi fino,
(Quando che sia) la dio mercede , avranno. 225
voi la rabbia di Scilla, voi gli scogli
Di tutti i mari omai , voi do' Ciclopi
Varcaste i sassi : ed or qui salvi siete.
Riprendete l'ardir, sgombrate i petti
Di toma e di tristizia. E' verrà tempo 330
Un di, che tante e così rie venture,
Kon ch'altro, vi saran dolce ricordo.
Per vari casi o per acerbi e duri
Perigli ò d'uopo far d'Italia acquisto.
Ivi riposo, ivi letizia piena ^ 335
LIBRO nuMo 29
Vi promettono i Fati, e nuova Troja
E nuovi regni al fine. Itene intanto:
SolTrite, mantenetevi, serbatevi
A questo, che dal ciel si serba a voi,
Si glorioso e si felice stato. 340
Cosi dicendo a' suoi, pieno in se stesso
D' alti e gravi pensier , tenea velato
Con la fronte serena il cuor doglioso.
Fecer tutti coraggio : e di cibo avidi
Già rivolti a la preda, altri le tergerà 345
Le svelgon da le coste, altri sbranandola 215
Mentre è tiepida ancor, mentre che palpita,
Lunghi schidioni e gran caldaje apprestano,
E l'acqua intorno e 1 fuoco vi ministrano.
Poscia d'un prato e seggio e mensa fattisi, 350
Taciti prima sopra l'erba agiandosi.
D'opima carne e di vin vecchio empiendosi ,
Quanto puon lietamente si ricreano.
Poiché lur sazj , a ragionar si diero ,
Con voce or di timore or di cordoglio , 355
De' perfluti compagni, in dubbio ancora
Se fosser \ivi, o se pur giunti al fine
Più de' richiami lor nulla curassero.
Enea vie più di tutti e di piotate
E di dolor compunto il caso acerbo 360
Or d'Amico, or d' Oronte, e Lieo e Cria 225
Ne' sospir richiamava e '1 buon Cloanto.
\ Erano al fine ornai; quando il gran Giove
i Da r alta spera sua mirando in giuso
■ La terra e 'l mar di questo basso globo ; 365
i Mentre di lite in lito, e d'uno in altro
[ Scerne i popoli tutti, al cielo in cima
■. Fermossi, e ne la Libia il guardo alllsse.
• Venere , allor eh' a le terrene cose
Lo vide intento, dolcemente afflitta 370
I II volto, e molle i begli occhi Jucenti
Gli si fece davanti, e così disse :
- Padre , che de' mortali e de' Celesti
Siedi etemo monarca, e folgorando
Empi di tema e di spavento il mondo , 375
i E quale ha centra te fallo sì ^avo
\ Commesso Enea mio figlio, 0 i suoi Trojan! ,
; Che dopo tanti affanni e tante stragi,
' Ch'han di lor fatto il ferro, il fuoco e'I mare.
Non trovin pace, nò pietà, nò loco 380
\ Pur che gli accetti ? In cotal guisa omai
Del mondo son , non cho d' Italia , esclusi
10 mi croiloa, Signor (quel elio promesso
N' cr.i (la to), che tornasse anco un giorno,
Quanilo cho l'osflu, il mjneroso germe !
Di Dànlaiio a proiiur »iuoi gloriosi J39
Eroi, quei Duci invitti, qiiui Hoinani
De r universo domatori 0 'ionni:
£ tu nel proni et testi. Or come. Ridrc,
11 cicl cangia rtostino, e tu consifjlio? ;
Questa sola cru-loaza ora CM^'ionu tu
Di consolarmi in parti! ilo l'ucciiiio
De ia mia TrnjM , cii' io srifflàssi In paco
Tanto ruine sue , fato con fato
Ricompensando. Or la fortuna Riessa :
E vie più fora la persegue 0 ilura.
E quanto durerà, rii.:,'noro, ancora?
Tal non fu già d'Antenore l'esilio;
eh' ei non più tosto de l'arhive schiero
Per mezzo uscio, che con felice corso
Penetrò ifAilriii i! seno; entro secnro
Nel regno do' Lilnirni ; andò lìn sopra
Al fonte di Timavo; 0 là 've il linme
Fremendo ii monte ìnluuna, e là 've aprendo
Fa nove bocche in mare, e mar già fatto
Inonda i ciimiii e rumoreggia e frange,
Patloa fonilo, pose de' Teucri il seggio,
E die lor nome, e le lor armi atll^se.
Ivi ridotto il suo regno, e cnmptisto
Quietamente, or lo si gode in iiac-e.
E noi, noi del Ino sangue, 0 che da te
Avemo anco del ciclo arra e possesso,
Ad una sola indegnamente in ira,
Perdute, olmo! lo proprie tiavi, hiori
Siamo d' Italia 0 di speranza ancora ■
Di non mai più vederla. Or questo èT pregio »5»
Che si (levo a pietade? K questo è il regno
Che da te, padre jnio, ne si promolle?
Sorrise Giove, e con quel dolce aspetto
Con che "1 elei rasserena e le tempeste, *
Rimirolta, liaciolla, 0 cosi disse :
Non temer, Citerea. che saldi e certi
Stanno i Fati de' tuoi. S" ailempieranno
Le mie promosse; sorgeran le torri
Do la novella Troja; vedrai le mura ■
Di Lavinio; porrai qui fra le Stelle
Il magnanimo Knea. Che nè'l destino
In ciò si cangerà, ne "1 mio consiglio.
Ma per trarti iL' alTanai, io to T dirò
^^'; LIBRO PRIMO
Più chiaramcoto i o Bcoprirotti intanto
De' Fati i più reconditi secreti.
Figlia, il tuo Gglio Enea tosto in Italia
Sarà, Cara gran guerra, vincerà :
Domerà fere genti : imporrà jcggi :
Darà costumi, e fnniierà città:
E di già, vinti i Rutulì, tre verni
E tre stati re.ijnar Lazio vodrallo.
Ascanio ^iovinutto, or «letto Julo,
Ed Ilo prima inQn eh' Ilio non cadde,
Succederagli ; e trenta giri interi
Del maggior lume, il sommo imperio avrà,
Trasrcrirallo in Alba: Alba la lunga
Sarà la roggia sua possente e chiara.
Qui regneranno poi sotro la gente
D' Ettorre un dopo 1' altro un corSo d' anni
Tre volto cento ; Anch' Ilia regina
Vergine e sacra, del gran Marte pregna,
D' un parto produrrà gemella prole-
Indi capo ne Ha Romolo invitto.
Questi, in vece di manto, adomo il tergo
De la sua marzia! nudrice lupa.
Di Marta fonderà la gran cittade :
E dal nome di lui Roma diralla.
A Roma non pongo io termino o fine :
Che fla del mondo imperatrice eterna.
E r aspra Giuno, eh' or la terra e '1 mare
E '1 ciel per tema intorbida e scompiglia.
Con più sano consìglio al mio conforme
Procurerà, che la romana gente
In arme e 'n toga a 1' universo imperi.
E cosi stabilisco : e cosi toinpo
Ancor sarà ch'Arjjo, Micene e Ftia
E i Greci tutti trifnitari e servi
De la casa di Assàraco saranno.
Di questa gente, o de la Julia stirpe.
Che da quel primo Julo il nome ha preso,
Cesare nascerà, di cui l' impero
È la gloria ila tal, che per confine
V uno avrà 1' Oceano, o 1' altra il Cielo.
Questi, già vinto il tutto, poi che onusto
De le spoglio sarà do 1' Oriente,
Anch' egli avrà da te qui seggio etemo,
E là giù fra' mortali incensi e voti.
L'aspro secolo allor, l'armi deposto,
Si farà mito, Allor la santa Vesta
£ la candida Fede e '\ huon Quirino
«-w A %A%^A W
Così detto, spedì tosto da Tal
Di Maja il iv^ho a far si, eh' a'
' Fosse Carta. ^0 e '1 suo paese a
Perchè del Fato la re.i^'ina iiJ^na
Non fosse lor, per ferità de' sur
O per sua tema, inospitale e ci
Vassene il mcssaggier per V ar
Velocemente, e ne la Lihia giù
Quel che imposto 5IÌ fu, ratto (
E già, la dio merce, lasciano i
La lor fierezza : e la regina in
S' imbeve d' un affetto e d' una
Verso i Trojani affabile e bcnig
La notte intanto del pietoso £
Molti furo i sospir, molti i pcns
Gonchiuse al fin eh* a V apparir
Spiar dovesse, e riportarne avvi
A^suoi compagni, m qual paese
Gli avesse spinti ; e s' uommi, 0
8-^erchò incolto il vedea) quivi i
osi tra selve ombrose e cave r
Fatti i legni appiattar, sol con A
E con due dardi in mano in via
In mezzo della solva una don:
\ Ch' era sua madre^ si com* era i
) Che madre fosse, mcontro gli si
Donzella a r armi, a V abito, al
Parea di Sparta, 0 quale in Tra
Lemiera e sciolta, il dorso affati
Di nifirace dftstriftr v fk^m* *»«««*»
LIBRO PRIMO 33
Di cervier inaculato, o che gridando
W un zannuto cij^nal sqi^xir la traccia ? 525
Go?i ^'ene^e disse. Ed a rincontro
Di Venere il fìgliuol cosi rispose :
Isiuna ho de le tue veduta, o 'ntesa,
Ycriànc, q^ual ti dico, e di che nomo
Chiamar ti deggio ? che terreno aspetto 530
Kon è già '1 tuo, nò di mortale il suono.
Dea sci tu veramente, o suora a Feho,
0 figlia a Giove, o de le Ninfe alcuna :
E chiunque ti sii, propizia e pia
Ver noi ti mostra, e i nostri alfanni ascolta. 535
Dinne sotto qual cielo, in qual contrada 83i
Siamo or del mondo. Che raminghi andiamo J
E qui dal vento e da fortuna spinti
Nulla- 0 de gli abitanti, o do' paesi
Notizia abbiamo. A te , s' a ciò m' aiti , 540
Di nostra man cadrà più d' una vittima.
Venere allor soggiunse : Io non m' arrogo
Celeste onore. In Tiro usan le verjjini
Di portar arco , e di calzar coturm^
E di Tiro e d'Agenore le genti 5-15
Traggon principio, che qui seggio han posto:
Ma 1 paese è di Libia , ed avvi in guerra
Gente feroce. Or n' ò capo e regina
Dido cho da 1* insidie del fratello
Fuggendo è qui venuta. A dirne il tutto 550
Lunga fora novella e lungo intrico. 345
Ma toccandone i capi, avea costei
Sichèo per suo consorte, uno il più ricco
Di terra e d' oro , che in P'enicia fosse ,
Da la meschina imicamente amato, 555
Anzi il suo primo amore. Il padre intatta
Nel primo lior di lei seco legoUa.
Ma nel regno di Tiro avea lo scettro
Pigmalion suo frate, un signor empio,
Un tiranno crudele e scellerato 560
Più eh' altri mai. Venne un furor fra loro
Tal, che Sichòo da questo avaro e crudp
Per sete d'oro, ove men guardia poso,
Fu tra gli altari ucciso. E non gli valSQ
Che la germana sua tanto 1' amasse, 665
Ciò fé' colatamente ; e per celarlo 854
Vie più, con iinzloni 0 con menzogne
Deluse un tempo ancor V afflitta amante.
Ma nel fin, di Sichòo la slessa ima^o,
Fuor (i'uQ sepolcro usoeuiì^, sangumosa^ 570
84 ENEIDB
Pallida, macilenta e spaveiilevolo
Le apparve in so^'no, e prcsentollc avanti
Gli empj altari ove cadde; il crndo l'erro
Che lo trafisse, e del suo Irate tutte
L'occulte scelleraj,'j3^ini le aporse. 575
Poscia: Fuggi di qua, fuggi, le disse,
Tostamente, e lontano. E per sussidio
De la sua fuga, le scoperse un loco
Sotterra, ov'era incslimabil somma
D'oro e d'argento, di molt'anni ascoso. 580
Quinci Dido commossa ordine occulto
Di fuggir tenne, e d'adunar compagni;
Che molti n' adunò ; parte per odio,
Parte per tema di sì rio tiranno.
Le navi, che trovjir nel lito presto, 585
Caricar d' oro, e fèr vela in un subito.
Così '1 vento portossene la speme
De r avaro ladrone. E fu di donna
Questo si degno e memorabil fatto.
Giunsero in questi luoghi , ov' or vedrai 500
Sorger la gran ciHade e l'alta rocca 369
De la nuova Gartago che dal fatto
Birsa nomossi, per l'astuta merco
Che , per fondarla , fer di tanto sito
Quanto cerchiar di bue potesse un tergo. 595
Ma voi chi siete ? onde venite ? e dove
Drizzato il corso vostro ? A tai richiesto
Pensando Enea, dal più profondo petto
Trasse la voce sospirosa, e disse:
O Dea, so da principio i nostri alfanni COO
Io contar ti volessi, e tu con agio ^^o
Udir una da me si lunga istoria ,
Non Unirei, che fine avrebbe il giorno.
Noi Siam Trojani (se di Troja antica
n nome ti pervenne unqua a gli orecchi) 605
E la tempesta che per tanti miiri
Già cotant' anni ne travolve e gira ,
N'ha qui, come tu vctli, al fin gittati.
Io sono Enea, quel pio che da' nemici
Scampati ho meco i miei patrii Penati, 610
Fino a lo stelle ornai noto per fama.
Italia vo cercando , che per patria
Giove m'assegna autor del sangue mio.
Con diece e dicco ben guarnite navi
Uscii di Frigia, il mio destin seguendo 615
E lo splendor do la materna stella.
Or sotto me no son restate appena •
Libro primo 85
023
Scommosse, aperte e disarmate tutte.
Ed io mendico , ii^oto e peregrino ,
De l'Asia in bando, da l'Europa escluso, 620
E 'n fin dal mar pittato or no la Libia
Vo per deserti inospiti e selvaggi.
E aual m' è più del mondo or luogo aperto ?
venere intenerissi; e nel suo figlio
Tant' amara doglienza non soffrendo ,
Cosi '1 duol con la voce gF interruppe :
Chìunrpie sei, tu non sei già, cred' io,
Al cielo in ira ; poi eh' a si grand* uopo
Ti die ricovro a si benigno ospizio.
Segui pur francamente : e quinci in corte 630
Va di questa magnanima regina ; 393
Ch'io già t'annunzio le tue navi, e i tuoi
Da miglior' venti in miglior parte addotti
Salvi e securi omai; se i miei parenti
Non m' ingannar quando gli augurj appresi. 635
Mira là sovra a quel tranquillo stagno 39g
Dodici allegri cigni, che pur dianzi
Confusi e dissipati a cielo aperto
Erano in preda al fero augel di Oiove,
Com' or sottratti dal suo crudo artiglio 640
Rimessi iji lunga ed oziosa riga
Si rivolgono a terra, e già la radono.
E si com' essi con giojose ruote
Trattando l'aria, col cantar, col plauso
Mostrato han d' allegria segno e di scampo ; 6 15
Cosi placato il mare , a piene vele ,
E le tue navi e gli tuoi naviganti
0 preso han posto, 0 tosto a prender 1' hanno:
Vaitene or lieto ove '1 sentier ti mena.
Ciò detto, nel partir la neve e 1' oro , C50
E le rose del collo e de le chiome,
Come l'aura movea, divina luce
E divino spirar d' ambrosia odore :
E la veste, che dianzi era succinta.
Con tanta maestà le si dislese 655
Inlìno a' piò , eh' a 1' andar anco e Dea
Veracemente e Venere mostrossi.
Poscia che la conobbe, e la sua fuga
0 fermare, 0 seguir più non poteo.
Con un rammarco.tal dietro le tenne: 6C0
Ahi! madre, ancora tu ver me crudele? 4io
A che tuo figlio con mentite larve
Tante volte deludi ? A che m' è tolto
Di congìunger la mia con la tua destra ?
Quando Ha mai eh* io possa a viso aperto
vederti , udirti , ragionarti , o vera
Ricoiiosiccrti madro t Ejjli in tal ^sa
Si querelava I e verso la ciltade
So no giano invisibili ambirluo :
Che 1.1 Dea , sosiiettanrto non tra via
Fossero diBtoninti, o trattenuti, <
Di folta nubbia intorno li covorse.
Ella in allo levnssi; e Cipri e l^ifo
Lieta rivide, ov' entro al suo fp-an tempio
Da cento alhirì ha cento volto il KÌoriio
D' incensai e dì ^'hirlaudc odori e fumi.
Ed essi intanto inver le mura a vista
Giunser de la città , che al colle incontro
Fé' lor superba e speciosa mostra.
Maravigiiasf Enea, che si gran macchina
Già sorjja, ove pur dianzi non vertevasi
Fors' altro che foreste, o che tuguri!.
Mira il travaglio, mira la froqueuzia
E le porte e le vie piene di strepito.
Vedo con quanto araor le turbe tirie
Altri a te mura, altri a la rocca intendono:
E i gravi legni e i gran sassi che volgono
Questi, che i siti ai propri alberghi insolcano ;
E quei, che del Senalo e de gli olllcii
Piantan lo curie e i fòri e le basiliche.
Scorgo là presso ai mar, che 'i porto cavano :
Qua sotto al colle, che un teatro fondano.
Per le cui sceno i gran marmi che tagliano,
E le colonne, che tant' alto s' ergono
Le rupi e ! monti, a cui son tigli, adegnano.
Con tal sogliono industria a primavera i
Lo sollecito pecchie al solo esposte
Per fiorite campagne esercitarsi.
Quando le nuovo lor cresciute genti
Mandano in campo a cor manna e rugiada ,
Del celeste liquor le celle empiendo:
O quando incontro a scaricare i pesi
Van do 1' altre compagne : o quando a stuolo
Scacciano i fuchi, ingonle bestie e pigre,
Che, solo inlente a logorar l'alti'ui,
De le conserve lor si fan presepi,
AUor che l'opra ferve, allor che '1 melo
Sparge di timo d' ogni intorno odore.
0 mrtnnati voi, di cui già sorgo
Il desiato sejriiio! Enea dicendo,
A pai'le a parlo Io coiilompta u loda.
LIBRO pRmo 3t
Arriva intanto a la muraglia, e cìiiuso
Ne la sua nube, maraviglia a dirlo !
Tra gente e gent« va, che non è vista.
Era nel mozzo a la citta' lo un bosco 715
Di sacro rezzo e grato, ove sospinti
Da la tempesta capitare i Peni
Primieramente : e nel fondar trovare
Quel che pria da Giunon fu lor predetto
Di barbaro destrier teschio fatale ; 720
La cui sembianza imagine e presagio
Fu poi, che quella gente e quella terra
Saria per molte età ferace e fera.
Qui fabbricava la sidonia Dido
Un gran tempio a Giunone, il cui gran Nume 725
E i doni e la materia e rartifizio
Lo facean prezioso e venerando.
Mura di marmo avea; colonne e fregi
Di mischi; e gradi e travi e soglie e porte
Di risonante e solido metallo.
Qui si ristette Enea : qui vide cosa
Che tema gli scemò, speme gli accrebbe,
E di pace affidoUo e di salute.
Che mentre, in aspettando la regina
Ch* ivi s* attende, la città vagheggia.
Mentre nel tempio l'apparato e T opre
E '1 valor de gli artefici contempla,
A gli occhi una parete gli s' offerse.
In cui tutta per ordine dipinta
Era di Troja la famosa guerra. 740
E conosciuti a le fattezze conte 46 1
Prima il trojano re, poscia Targivo,
E '1 fero d' ambidue nimico Aciiille,
Permessi : e lagrimando : Oh, disse, Acato,
Mira fin dove è la notizia aggiunta 715
De le nostre mine! Or quale ha '1 mondo
Loco che pien non sia de* nostri affanni ?
Ecco Priamo, ecco Troja ; e qui si pregia
Ancor virtù. Che ferità non re^a
Là 've umana miseria si compiagne. 750
Or ti conforta, che tal fama ancora
Di prò ti fia cagione e di salvezza.
Così dicendo, e la ^à nota istoria
liirando, or con sospiri, ed or con lutto
Va di vana pittura u cor pascendo*. 755
E come quei eh' a Troja ii tutto vide,
I siti rammentandosi e le zuffe,
, Col- aembiante ri3Coatra U vivo e 1 vero.
Quinci ve le fuggir lo greche sciiicro,
QulDili lo frigio: a quello Ettorro infesto,
A questo Achille; a cui parca d'inlornu
Che foln il suon del carro e solo il moto
Del cimiero avrenlasso orrore o morto.
Kò scujsa lacrimar Reso conobbe
A I dostrier bianchi, a i bianchi pailigliOni
Fatti di sangue in niillo parti rossi:
Chò sotto v'era Diomede, anch' egli
Insanguinato I e si Tacca d'intorno
Alta strage di gente che nel sonno.
Prima che da lui morta, era sepolta.
Vedea quindi i cavalli al campo addotti.
Che non poter, fato a' Ti-oiani avvoi-so !
Di Troja erba gustare, o ber del Xanlo,
Scorgo d' un' altra parto in fuga volto
Trollo, già senz'armi e senza vita:
(giovinetto infolice, che di tanto
Disoguale ad Achilie, ebbe ardimento
Di stargli a fronte. Egli in su'l vuto carro
Giacea rovescio, e strascinato e lacero
Da' suoi cavalli , avca la destra ancora
A le redine involta, e '1 collo e i crini
Traea per terra ; 0 1' asta, ondo trafitto
Portava il petto, con la punta in giuso
Scrivea note di sangue m su la polve.
Ecco in tanto venir di Palla al tempio
In lunga schiera ed ordinata pompa
Le donne d' Ilio a far del l'oplo olferta.
Battonsi i petti, e scapigliate e scalzo
Pajon pregar divolamenlu afllitto
Perdono e {lace: ed ella inita e fora,
Volto lo luci a terra e '1 tergo a lui-o,
Mostra fastìdio di mirarle e sdegno.
Vedo il misero Kttòr clic già tre volte
Tratto era d' Ilio a la muraglia intorno.
Vede il padre più misero, che in forza
Del dispietato e suo nimico Achille,
Oro in premio gli dà del suo cadavero :
Spettacolo cnidel che gli tralÌK^o
Profondamente e più d' ogni aliro il coro,
Ove il carro, gli arnesi o '1 corpo stesso
Vedo d' un tanto amico, cil un re tale
Che solo 0 disarmato e PU|iplichevolo
Stassi a l'ucciilitor dei tiglio avanti.
Vi riconobbe ancor se slesso, ov' era
A dura mischia Incontro a' greci croi.
MiìTio r:i!vr> So
Riconobbe lo stuol che iV OrltMite A9%
Addusse de l'Aurora il negro figlio :
E lui raffigurò, che di Vulcano
Avea r usbergo e V armatura indosso.
Scorge d' altronde di lunati scuili 8iO
Guidar Pentesilèa F armate schiere 494
De l'Amazzoni sue : guerriera ardita
Che succinta, e ristretta in fregio d' oro
L' adusta mamma, ardente e furiosa
Tra miUe e mille, ancor che donna e vergine, 815
Di qual sia cavalier non tome intoppo.
Stava da tante meraviglie ad una
Sola vista ristretto, attento e fisso
Enea pien di vaghezza e di stupore ;
Quand ecco la regina accompagnata S20
Da real corte, con rcal contegno
Entro al tempio bellissima comparvo.
Qual su le ripe de 1* Eurota suole,
O ne' gioghi di Cinto, allor Diana
Ch' a r Oreàdi sue la caccia indice, 825
A mille che le fan cerchio d' intorno.
Divisar vari officj, e faretrata
Da la faretra in su gir sovra l' altre
Neglettamente altera, onde a Latona
S' intenerisce per dolcezza il core ; 830
Tale era Dido, e tal per mezzo a' suoi
Se ne già lieta, e dava ordine e forma
Al nuovo regno, a i magisteri, a V opre.
Giunta al cospetto de la Diva, in mezzo
De la maggior tribuna, in alto assisa 835
Cinta d'armati in maestà si pose: 509
E mentre con dolcezza editti e leggi
Porge a la gente, e con cgual compenso
L' opre distribuisce e le fatiche ;
Rivolgendosi Enea, nel tempio stesso 840
Vede da gran concorso attorneggiati
Entrar Sergesto, Anteo, Gioanto e gli altri
Trojani che da se disgiunti e sparsi
Avea dianzi del mar l'aspra tempesta.
Stupor, timor, letizia, tenerezza, 845
E disio d* abbracciarli e di mostrarsi 5i8
Assalirò in un tempo Acate e lui.
Ma dùbbi del successo, entro la nube
Dissimulando se ne stero e cheti,
Per ritrar che seguisse, e che seguito 850
Fosse già do le navi e de' compagni.
Di coi quoBtt eran primi 9 li più scoiti
\'.n;n
Dì ciascun legno. E già pieno ora il tempio
Di tumulto o dì voti clm altamente
Si sentian venia risoniire o paco.
Poiché tUro ontromessi, e eh' udienza
Pu lor concessa, il sagf^io Ullnnòa
Prese umilmunto in cuUil guisa a dire :
Sacra Regina, a cui dal cielo è dato
Fondar nuova cittaile, e con giustizia
Por freno a gente iuilomita e superba ;
Noi miseri Trojani a tutti 1 venti,
A tutti i mari ornai Itulilirio e scherno,
Caduti dopo r onile in preda al foco
Che Uà' tuoi si minaccia a i nostri legni,
Proghiamti a provvodor che nel tuo regno
Non si commetta un si nefando eccesso.
Fa cosa di te degna : abbi di noi
Pietà, che pii, che giusti, che innocenti
Siamo, non prodatori, non corsjiri
Do le vostre marino, o de 1' alimi :
Tanto i vinti d' anlirc, o gì' infelici
D' orgoglio e di superbia, oimò ! non hanno.
Una parte d' Europa è, che da' Greci
Si disse Esperia, antica, bellicosa,
E fertil terra, da gli Enotrii colta.
Prima Enotria nomossi; or, come ò fama.
Preso d' Italo il nome, Italia ò detta.
Qui '1 nostro corso era diritto ; quando
Orlon tempestoso i venti e '1 maro
Sì repento commosso, e mar si fero,
Tenti ai pertinaci, e nembi e tnrbi
Cosi rabbiosi, che sommersi in parte,
E dispersi n' ha tutti : altri a lo secche.
Altri a gli scogli, ed altri altrove ha spinti ;
E noi pochi di tanti ha qui condotti.
Ma cpial si cniila gente, qual si fura
E barbara città qnest' uso approva ,
Che ne sia proibita anco 1' arena ?
Cho guerra ne si mova, o ne si vieti
Di star ne l' orlo de la terra .ippcna ?
Ah ! se de l'armi e de le genti umano
h'uUa vi cale, a Dio mira^ almeno,
Cho dal ciol vede, e riconosce i meriti
E i demeriti allrui. Capo e re nostro
Era pur dianzi Enea, ni cui più giusto.
Più pio, più prò' ne l' armi, più sairaco
Ouerrior non fu giammai. Se questi è vÌTO,
Se spira, so '1 destin noa ce l' lavidia,
LIBRO PRIMO 4i
QiuuUo no spoi'iarn noi, tnnlo potrcsli 1)00
Tu non pentirti a provocarlo in prima
A cortesia. Ne la Sicilia ancora
Avem terre, avem armi, avemo Accste
Che n' è si^ore, ed ò de' nostri anch' egli.
Quel che vi domandiamo è spiaggia ò selva 905
K vitto da munir, da risarcire 555
I voti e stanchi e sconquassati legni,
Per poter lieti (ritrovando il Duco
E gli altri nostri, 0 se pur mai n' è dato
Veder V Italia) ne V Itana addurne : 910
Ma se nostra salute in tutto è spenta,
Se te, nostro signor, nostro buon padre.
Di Libia ha 1 mare, e più speranza alcuna
Non ci riman del giovinetto Julo ;
Almen tornar ne la Sicania, ond' ora 915
Siam qui venuti, e dove il buon A cesto 66 1
K'è parato mai sempre ospite e rege.
Al dir d' Illonèo fremendo tutti
Assentirono i Teucri; e la regina
Con gli occhi bassi e con benigna voce 920
Brevemente rispose : O miei Trojani,
Toglietevi dal core ogni timore.
Ogni sospetto. Oli accidenti atroci,
La novità di questo regno a forza
Mi fan sì rigorosa, e si guardinga 925
De' miei confini. E chi di Troja il nome,
Chi de' Trojani i valorosi gesti,
E r incendio non sa di tanta ^crra ?
Non han però si rozzo cuore 1 Peni;
Non si lungo da lor si gira il sole, 930
Che nò pietà, nò fama unqua v' arrivo.
Voi di qui sempre, 0 de la grand' Esperia
E di Saturno che cerchiate 1 campi,
O che vogliate pur d'Aceste e d' Krico
Tornare a i liti; in ogni caso liberi 935
Ve 11' andrete e siculi. Ed io d' aita
Scarsa non vi sarò, nò di sussidio :
E se qui dimorar meco voleste.
Questa ò vostra città. Tirate al lito
Vostri navili : che da' Teiicri a' Tirj 940
Nulla scelta farò, nullo divario. 578
Cosi qui fosse il vostro re con voi!
Cosi ci capitasse ! Ma cercando
Io manderò di lui fino a l' estremo *>-
De' miei confini la riviera tutta, 945
Se per Borte gittato in queste spiagge
Por selve errando o per ciltaiii andasse.
Rincoro&si a tal diro il padre Enea
E '1 forte Acate ; e di squiirciaro il velo
Stavan ^ià disloai. Acale il primo
Mosse dicendo : Ornai, sifjnor, che pensi ?
Tutto è sicuro, e tutti a salvamento
I nostri legni e i nostri amici avcmo.
Sol un ne manca; e questo a noi davanti
n mar sorbissi. Ogni altra cosa al detto
Di tua madre risponde. Appena Acate
Ciò disse, che la nujjola s' aperse,
Assottigliossi e col cicl puro imissi.
Rimase in chiaro Enea, tale ancor egli
Di chiarezza e d'aspetto e di statura.
Che come un Dio mostrossi : e hen a Dea
Era flgliuol, Che di boilezza è madre.
Ei de gli occhi spirava e de le chiome
Quei chiari , lieti e giovenili onori
Ch' ella stessa di lui madre ci' infuse.
Tale aggiunge l' arteQce vaghezza
A r avorio, a l' argento , al parlo marmo.
So di fìn oro li circonda e fregia.
Cotal, comparso d'improvviso a tutti.
Si fece avanti a )a regina , e disse :
Quegli che voi cercate Enea trojano,
Son qui, dal mar ritolto. A le ricorro
Vera regina, a te sola pietosa
De le nostre ineffabili fatiche.
Tu noi rimasti al ferro , al fuoco , a T onda
D' ogni strazio bersaglio , A' ogni cosa
Bisognosi e mondici , nel tuo regno
E nel tuo albergo umanamente accogli.
A renderti di ciò merito eguale
Bastante non son io , nò foran quanti
De la gente di Dardano discesi
Vanno per l'imiverso oggi disporsi.
Ma gli Dei (s'alcun Dio de'ìmoni ha cura,
So nel mondo ò giustizia , se sì trova
Chi d'altamento adoperar s'ainiagUo)
Te ne dian guùlenlone. Età l'elice!
Avventurosi genitori e grumi i
Che ti diedero al mondo ! inlln che i fiumi
Si rivolgono al maro, inlin eh" ai monti
Si giran l' ombre , inlin eh' ha stello il cielo ,
I tuoi pregi , il tuo nomo e Je lue lodi
Mi saran sempre , ovunque io sia , davanti.
Ciò detto, lietamente a' suoi rivolto,
LIBRO PRTSfO 43
Al caro lUonèo la destra porso ,
La sinistra a Scrgcsto ; e poscia al forte 995
Cloanto , al forte Già : V un dopo V altro
Tutti gli salutò. Stupì Didono
Nel primo aspetto d un sì nuovo caso ,
E d' un uora tale ; indi ripreso a dire :
Qual forza, o qual destino a tanti rischi 1000
T' hanno in si strani , in sì feri paesi
Esposto , o de la Dea famoso figlio ?
E sei tu queir Enea che in su la riva
Di Simoénta il gran Dardanio Anchise
Di Venere produsse ? lo mi ricordo 1005
Quel che n intesi già da Teucro , quando
Fuor di sua patria, il suo padre fuggendo, {
Nuovi regni cercava. Egli a Sidone %
Venne in quel tempo a dar sussidio a Belo.
Belo mio padre allor facca T impresa 1010
E T conquisto di Cipro. Infìn d' allora
Io del caso di Troja e del tuo nome
E de r oste de' Greci ehbi notizia.
Ed ei ch'era sì rio nimico vostro,
Celebrava il valor di voi Trojani , 1015
E trar volea da Troja il suo legnag^o. 629
Voi da me dunque amico e fido ospizio.
Giovani, arete. É me fortuna ancora
A la vostra simile ha similmente
Per molti affanni a questi luoghi addotta: 1020
Sì che natura e sofferenza e prova
De' miei stessi travagli ancor me fanno
Pietosa e sowenevole a gli altrui.
Ciò detto , Enea cortesemente adduco
Ne la sua reggia. In ogni tempio indice 1025
Feste e preci solenni. Ordina appresso 636
Che si mandino al mar venti gran tori.
Cento gran porci, cento grassi agnelli
Con cento madri, e ciò eh' a' suoi compagni
Per vitto e per letizia ò di mestiere. 1030
Dentro al real palagio realmente
De' più gentili e sontuosi arnesi
H convito e le stanze orna e prepara:
Copre d' ostro le mura ; empie le mense
D'argento e d'oro, ove per lunga serie 1035
Son de' padri e de gli avi i fatti egregi.
Enea, cui la paterna tenerezza
Quetar non lascia , a le sue navi innanzi
Ratto spedisce Acato che di tutto
Ascanio avvisi » ed a ^ tosto il moni; 1040
Gilè in Ascauio mai Hcmprc intenta e fisso
SU del suo caro padre o;,'ni pensiero.
Gli comanda oltre a ciò , eh' a la regina
Porti alcuno a donar spoglie superbe
Che si salvar da la ruma appena
E dal foco di Troja: un ricco manto
Ricamato a figure , e di fin oro
Tutto contesto: un prezioso velo.
Cui di palliilo acanto un ampio fregio
Trapunto era d' intorno ; ambi ornamenti
i)' Elena argiva , e di sua madre Leda
Mirabil dono. In questo avca le biondo
Sue chiome avvolte il (U che di Micene
A nuove nozze e non concesso uscio.
E porti anco lo scettro, ondo superba
lUone di Priamo se 'n giva
Primogenita figlia , o '1 suo monile
Di gran lucide perle; e quoUa slessa,
Onne'l fronte cmgoa, doppia corona
Di gemme orientali ornata e d' oro-
Tutto ciò procurando il fldo Acato
In ver le navi accelerava il piede.
Venere intanto con nov'arte e novi
Consigli s' arj;oTienta a far che in vece
E'n sembianza d'Aacanio il suo Cupido
Se ne vada in Cartajjo; e con quei doni.
Con le dolcezze sue , con la sua face
Alletti , incenda , amor desti e furore
Nel petto a la regina , onde sospetto
Più non aggia o'I suo regno, o la perfidia
De la sua gente, o di Oiunon l'insidie
Che da pensare e da vegghiar le danno
Tutte le notti. E fatto a se venire
L' alalo Dio , cosi seco ragiona :
Figlio, mia forza e mia maggior possanza:
Figlio , che rie! gran padre anco non temi
L' orribit telo , onde percosso giacque
Chi ne die fin nel ciel briga e spavento :
A te ricorro , e dal tuo nnmo aita
Chieggio a 1' altro mio figlio Enea tuo fVate.
Come Giuno il persegua , e come l' aggia
Per tutti i mari omai spinto e travolto,
Tu'l sai, che del mio duol li sei doluto
PIÙ volte meco. Or la sidonia Dido
L'have in sua forza, e con benij^i e dolci
Modi fin iiul r accoglie e lo trattiene.
Ha li dor è, lassa! chs vai, comonqua
Sia caramente accolto ? In casa a Giimo
Da le carezze ancor chi m* assecura ?
Cli*ella più neghittosa, e mono atroce 1090
In un caso non Ila di tanto affare.
E però con astuzia e con inganno \
Cerco (li prevenirla; e del tuo foco
Ardere il cor de la regina in guisa,
Ch'altro Nume noi mute, e meco l'ami 1095
D'immenso tilfetto. Or come agevolmente «78
Ciò porre in atto e conse^^r si possa,
Ascolta. Enea manda teste chiamando
D suo regio fanciullo , amor supremo
Del caro padre, e mio sommo diletto; 1100
Perchè de' Tirj a la città sen vada
Con doni a la regina, che di Troja
A l'incendio avanzarono ed al mare.
Questo vinto dal sonno, o sopra l'alta
Citerà, o dentro al sacro bosco Llalio li05
Terrò colato si ch'ei non s'accorga.
Ed accorto di ciò non faccia altrui
Con alcun suo rintoppo. E tu che puoi
Fanciullo il noto fanciullesco aspetto
Ventire acconciamente, in lui ti cangia 1110
Sola una notte, e li suoi gesti imita.
E quando Dido al suo rea! convito
Riceveratti, e, come a mensa fassi,
Sarà bevendo e ragionando allegra;
Quando, come farà, cortese in grembo il 15
Terratti, abbracceratti, e dolci baci
Porgeratti sovente, a poco a poco
D tuo foco le spira e 1 tu(r veleno.
Al voler de la sua diletta madre
Pronto mostrossi e baldanzoso Amoro, 1120
E gittò l'ali; ed in un ten pò l'abito 693
E '1 sembiante e l' andar prese di Julo.
Ciprigna intanto al gìovìMetto Ascanio
Tale un profondo e dolco sonno infuse,
E 'n guisa l'adattò, che agiatamente 1125
Ir grembo lo si tolse; e ne la cima
De la selvosa Idalia, entro un cespuglio
Di lieti fiori e d'odorata persa,
A la dolce aura, a la frese' ombra il pose.
Cupido co' suoi doni allegramente, 1130
Per far quanto gli avea la madre imposto, «99
Con la guida si pon d'Acato in via.
Giunse, che giunta era Didono appunto
K^ la gran sala, che di Uni arazzi.
46 ENEIDE
Di fior, di frondi o di festoni intorno 1135
Era tutta vestita , ornata e sparsa.
E già sopra la sua dorata sponda
Con real maestà s' era nel mezzo
A tutti gli altri alteramente assisa.
Appresso, Enea: poscia di mano in mano 1140
Sopra drappi di porpora e di seta
Si stondea la trojana gioventute.
Già con r acqua e con Cerere a Io mense
Gli aurati vasi e i nitidi canestri
E i bianchissimi lini eran comparsi. 1145
Stavano dentro, a le vivando intorno,
Intorno a' fochi, a dar ordine a* cibi,
Cinquanta ancelle , ed altre cento fuori
Con altrettanti d*una stessa etade
Tra scudieri e pincerni; e gli atrii tutti 1150
Si riempier di Tirj , a cui le mense 7 io
Di tappeti dipinti eran distese.
A r apparir del giovinetto Julo
Corser tutti a mirare il manto e '1 velo
E gli altri eh* adducea leggiadri arnesi; 1155
A sentir quelle sue tìnte parole,
A contemplar quel grazioso aspetto ,
Ch' ardore e deità ra^^giava intorno.
Ma sopra tutti T indice Dido
Kon potea nò la vista, nè'l pensiero 1160
Saziar, mirando or li suoi doni, or lui;
E com' più li rimira, e più s'accende.
Poiché lunga fiata umile e dolco
Del non suo genitor pendè dal collo,
E finse di figliuol verace affetto, 11C5
Si volse a la regina. Ella con gli occhi, 720
Col pensier tutto lo contempla e mira:
Lo palpa , e *1 bacia , e 'n grembo lo si reca.
Misera ! che non sa quanto gran Dio
S' annidi in seno. Ei de la madre intanto 1170
Rimembrando il precetto, a poco a poco
De la mente Sicheo comincia a trarlo ,
Con vivo amore e con visibil fiamma
Rompendole del core il duro smalto,
E introducendo il suo già spento affetto. 1175
Cessati i primi cibi, e da* ministri
Già le mense rimosse , ecco di nuovo
Comparir nuove tazze e vino 0 fiori,
Per lietamente incoronarsi e bore.
Quinci un romoregijiare , un riso , un giubilo , 1180
Cho d'allegrezza ompxaa Io salo e gli atriij
LIBRO PRIMO 47
E i torchi 0 le lumiere che pendevano
Da i palchi d' oro , poiché notte fecesi ,
Tinceano 1 giorno e '1 sol , non che le tenebre.
Qui fattosi Bidone un vaso porgere 1185
ly oro gravo e di gemme , ov* era solito
Ke* conviti e ne' di solenni e celebri
Ber Belo , e gli altri che da Belo uscirono
Di fiori ornollo, e di vin vecchio empiendolo ,
Orò cosi dicendo: Eterno Giove, 1190
Che albergator nomato hai de gli alberghi 785
E de le cortesie cura e diletto j
Priegoti eh' a' Fenicj ed a' Trojani
Fausto sia questo giorno , e memorando
Sempre a' posteri loro. E te, Lièo 1195
Largitor di letizia; e te, cclcsie
E buona Giuno , a questa prece Invoco.
Voi co' vostri £aivori e Tirj e Peni
Prestate a' prieghi miei divoto assenso.
Ciò detto, rivcrsoUo, e lievemente 1200
Del sacrato liquor ì^ mensa asperse, ^ 740
Poscia ella in prima con le prime labbia
Tanto sol ne sorbi quanto n attinse.
Indi con dolce oltraggio e con rampogno
A Bizia il die , che valorosamente 1205
A piena bocca inlìno a l'aureo fondo
Vi si tuffò col volto , e vi s' immerse.
Ciò seguir gli altri Eroi. Comparve intanto
Co' capei lunghi e colla cetra d'oro
fl biondo Jopa ; e qual Febo novello 1210
Cantò del Ciel le meraviglie e i moti
Che dal gran vecchio Atlante Alcide apprese.
Cantò le vie che drittamente torte
Rendon vaga la luna e bujo il sole :
Come prima si fér gli uomini e i bruti ; 1215
Com' or si fan le pioggie e i venti e i folgori :
Cantò r làde e l' Orse e '1 Carro e '1 Corno ,
E perchè tanto a 1' Oceano il verno
Vadan veloci i di , tarde le notti.
Un novo plauso incominciaro i Tiri: 1220
Seguirò i Teucri ; e l' infelice Dido ,
Che già fea dolce con Enea dimora.
Quanto bevesse amor non s'accorgendo ,
A hingo ragionar seco si pose
Or di Priamo, or d'Ettorre, or con qual' armi 1225
Venisse a Troia de l' Aurora il figlio , 754
Or qual fòsse Diomede , or cruanto Achille,
Anzi, se non t' è grave , al fin gU disse ,
Incomincia a contar fin da principio
£ r insidie de' Qruci e la mina
E r incenilio '«li Troja e '1 corso intero
De gli orror vostri : già Che '1 sotlim' anno
£ oer terr& e per mar raminghi andato.
FINE DEL Msao ravio.
/
LIBRO SECONDO
ARGOMENTO
I
ftfnchè a malincuore. Enea così racconta, i luttuo8l<«(;lml eventi, 1-18.
I6rKÌ affidanti dalla decenne guerra e diffidando del proprio valore, pi-
eorroDO all'inganno: facendo vista di fuggire, veleggiano a Tenedo. e
éèìro qu<>ir Uola si nascondon* , dopo aver lasciato sul lido un cavallo
é legno, in cui avevano rinchiuso l più eletti fra i capi delFesercito, e
eh» avevano costruito di tanta grandezza , da ììcm potersi accogliere
ntro le porte di Troja. I Trojani parte indotti dalle rrodi di Sinone, parte
■meniti aal supplizio di Laocoonte. demolita una parte del muro, trasci-
BUK> il cavallo tin sulla rt'Scca, 14-249. A notte avanzata l Greci rivenuti
da Teuedo invadono la città, le cui guardie erano già state uccise dal guer-
rieri asciti dal cavallo, 250-267. Intanto Ettore apparisce in sogno ad Enea
e \f* esorta di provvedere al suo scampo colla fuga, e di salvare dairin-
ceodio gli Dei patrii, 263-297. Ma egli ^teponendo alla fuga una morte
onorata, corre alle armi ; e in sul primo far impeto la fortuna arride al
Trojani; onde, seguendo il consiglio di Corebo, indossano le armi del
BMbid uccL<ii: ma poi riconosciuti dai Greci e presi in iscambio dagli
I iBiici, fluiscono oppressi dalle armi degli uni e degli altri, 298-437. Frat-
I tuito si dà Tassalto alla reggia di Priamo, che muore miseramente tru-
tì-lato da Pirro figlio d'Achille, 438-558. Tentata indarno ogni prova, Snea,
T«dRido ^li stessi numi dar mano alla distruzione di Troia, affida al padre
• no Anchise gli oggetti sacri, e toltosi lui su le spalle, preso Ascanio per
BaDO , ingiunto a la moglie Creusa di seguirlo da presso , si dà alla
tao, 559-729. I Greci V Inseguono. Nel tumulto si smarrisce Creusa ; ed
cni a ricercarla; mentre invano ritorna e s'aggira per gFincendj della
' oaà, vede farglisi incontro Tornbra della consorte che gli fa vaticinj in*
tomo air Italia, e gli raccomanda Ascimio, 730-794. Allora ritorna al luogo
' or'eraDO i compagni, e vede che vi s*è accolui gran moltitudine di uomini
e donne, pronti tutti a seguir la sua sorte, 795-804. ^
Stavan taciti, attenti e disiosi
ìy udir già tutti ; quando il padre Enea
In se raccolto, a così dir da 1' alta
Sua sponda incominciò : Dogliosa istoria
E d' amara e d' orribil rimembranza , 5
Regina eccelsa, a raccontar m' inviti :
Come la già possente e gloriosa
Mia patria, or di pietà degna e dì pianto,
Fosse per man de' Oreci arsa e distrutta,
E (luaf ne vid'io far ruina e scempio: 10
Gh' io stesso il vidi, ed io gran paiie fui
Der suo caso infelice. E chi sarebbe.
Ancor che Greco e Mirmidone e Dòlopo,
Che a ragionar di ciò non lagrimassoj |t
MVBneidc 4
E già la notte inchina, o già lo stelle 1
Sonno, dal eie! cingendo, a gli occhi infondono. »
Ma se tanto d' udirò i nostri guai.
So brevemente di saver t' aggrada
L' ultimo eccidio, ond' ella arse e cadco,
(Benché lutto e dolor mi rinnovollo, i
E sol do la memoria mi sgomento) is
Io lo pur conterò. Sbattuti e stanchi
Di guerreggiar tant' anni, e risappimi
Ancor da' 1? ati i greci condottieri
A r insidie si diero : e da Minerva !
Divinamente insLrutti un gran cavallo
Di bun contesti e ben conlitti abeti
In sembianza d'un monte ediTicaro.
Poscia fìnto elio ciò fosso per voto
Del lor ritorno, di lornar semltiante ;
Fecero tal, che se ne sparso il grido.
Dentro al suo cieco ventre o no le grotto.
Che molto orano e grandi in si gran molo,
Binchiusor di nascosto arme e guerrieri
A ciò por aorte e per valore cletli. !
Giaco di Troja un' Isola in cospetto
(Tònedo è detta) assai famosa e ricca,
^entre eh' Ilio fioriva. Ora un ridotto
E sol di naviganti o di navili,
Inildo seno, e mal sicura spiaggia. *
Qui, poiché di Sigèo sciolse o sparlo.
La greca armata si rattenne, e dietro
Appiattossi al suo lilo ermo e deserto.
E noi credemmo che veracemente
Fosse partila, e che a spiegate vele '.
Gisse a Micene. Onde la Teucrìa tutta, ts
Già cotant' anni lagrimosa e mesta,
Volta ne fu subitamente in gìoja.
S'aprir le porte, uscir d'Ilio, e d'intorno
Le genti tutte , disinse e liete f
Di veder vóti i campi e sgombri i lìti,
Ch'eran coverti pria di navi e d'armi.
gul s'accampava Achille ; e qui de* Dòlopi
ran le tende : ivi solean le zuffe
Farsi de' cavalieri ; e là , de' fanti ; |
Dicean parte vagando: e parte accolti
Facoan mirando al gran destriero intorno
Meraviglie o discorsi; e chi per sacro,
E chi per esecrando il voto e '1 dono
Avean di Palla, n primo fu Timete l
A dir eh' eatro le mura , ne la rócca ss
LIBRO SECONDO 5i
Quindi si conducesse, o froda, o fato
Che ciò fosse de' miseri Trojani.
Ma Capi, e ^h altri, il cui più sano avviso
0 per insidioso , o per sospetto 66
(Quantunque sacre) avea le greche offerte,
Voleano, o che del mar fosse nel fondo
Precinitato, o che di fiamme ardenti
Si circondasse , o che foralo e lacero
Gh fosse il petto e sviscerato il fianco. 70
Stava tra questi due contrarj in forse
In due parti diviso il volgo incerto:
Quando con ffran caterva e con gran furia
Da la rocca discese , e di lontano
Gridò Laocoonte : O ciechi , o folli , 75
0 sfortunati ! Agli nemici , a' Greci
Date credenza? A lor credete voi,
Che sian partiti ? E sarà mai che doni
Siano i lor doni , e non più tosto inganni ?
Cosi v' è noto Ulisse ? 0 in questo legno 80
Sono i Greci rinchiusi, o questa è macchina 44
Contro a le nostre mura, 0 spia per entro
Ai nostri alberghi , 0 scala 0 torre o ponto
Per di sopra assalirne. E che che sia.
Certo 0 VI cova, 0 vi si ordisce inganno: 85
Che de' Pelasgi e de' nemici è il dono.
Ciò detto , con gran forza una grand' asta
Awentògli, 0 colpillo, ove tremante
Slette altamente infra due coste infissa:
El destrier come fosse e vivo e fiero 9O
Fieramente da spron punto cotale
Si storce , si crollò , tonògli il ventre ,
E rintonàr le sue cave caverne.
E se'I Fato non era a Troja avverso.
Se le menti eran sane , avea quel colpo 95
Già commossi infiniti a lacerarlo , 54
E del tutto a scovrir l'aj^guato argolico:
Ond' oggi e tu , grand' Ilio , e tu , diletta
Troja, staresti. Ma si vide intanto
De' pastor paesani una masnada 100
Venir gridando al re, eh' ivi era giunto,
E trargli avanti un giovine prigione
Ch' avea dietro le mani al tergo avvinte.
Questi era Greco ; e da' suoi Greci avea
Di salrare il destrier , d' aprir lor Troja 105
Assunto impresa; e por condurla, a tempo
Ascosto, a tempo a quei pastori offerto
S* era per se medesmo , in se disposto
E fermo di due coso una a finire,
O quest'opra, o la vita, A ciò concorso, i'
Per desio ili vedere, il popol tutto
Pai c.ival si di3tolF:o, e iliossi a gara
A schernire il prigione. Or ascoltate
Le malìzie dc'ureci: e da quest'uno
Conosceteli tutti. Egli nel mezzo I'
Cosi com'era a le tiemiclie schiere, «
Tiirhato, inerme e di catene avvinto,
Fermofisi : e poi che rimii'oilo hitorno ,
Con voco di pietà proruppe, e disse:
Or quale o terra, o m^iro, o loco altrove t'
Sarà, misero me! che mi racco!;^a,
O che m' affidi ornai ? poiché tra' fìreci
Non ho dov' io ricovri , e da' Troj.ini
Non deggio altro aspettar , che strazio e morte ?
Ne commosse a pietà , n' acquetò l' ira 1'
Si doglioso rammarco: e con dolcezza, 7»
E con promesse il confortammo a diro
Chi, di che loco, e di che san^c fosse;
E che portasse , e qual fidanza avesse
A dàmesi prigione. Egli in tal guisa 1
AssecuratP , al re si volse . e disse ;
Signor , segua cho vuole , in tuo cospetto
10 dirò tutto; o dirò vero. E prima
D'esser Greco io non nicgo. Lhè fortuna
Può ben far che Sinon sia gramo e misero, 1
Ma non giammai che sia bugiardo o vano.
Non so se, raginnandoBi, a gli orecchi
Ti venne mai di Palamede il nome ,
Cile nomato e pregiato e glorioso ,
E da Belo altameitie era disceso ; 1
Se hen con falso e scellerato indizio
DI tradigion , per detestar la guerra ,
Ei fti da' Greci indegnamente ucciso :
Com' or , che ne son privi . i Greci stessi
Lo piangon tutti. A questo Palamede , 1
A cui per parentela era congiunto ,
11 pover padre mio ne' miei prim' anni
Pria per valletto nel mesticr de l' armi.
Poi per compagno a rpiecla guerra diemmL
Inlln ch'ei visse, e fii'l sno alato in llore, 1
Fiorirò anco i miei giorni : e l' opre e '1 noma 88
E '1 grado mio no fur tal volta In pregio.
Estinto lui (che per invidia avvenne,
Com' ognun sa , del traditore Ulisse ) ,
AmaramflDte il piansi £ '1 caso indegno i
LIBRO SBGONbO 83
175
D'un tanto amico, e la mia vita oscura
Tra me sdegnando, come soro e follo
Ch'io fui, noi tacqui. Anzi se mai la sorte
Mei consentisse , o se mai fossi in Argo
Vincitor ritornato , alta vendetta 160
Ne gli promisi , e con minacce e motti 95
Acerbi acerbamente il provocai.
Questo fu del mio mal prima radice ;
E quinci de* suoi falli e del mio duolo
Consapevole Ulisse , a spaventarmi , 165
A travagliarmi, a seminar susurri
Si die nel vol§:o, e procurarmi inciampi
Ond'io cadessi. E non cessò, ch'ordimmi
Per mezzo di Calcante . . . Ma dov' entro >
Lasso ! senza profitto a fastidirvi ITO
Con nojose novelle ? A voi sol basta
Di saper eh' io son Greco ; già che i Greci
Tutti egualmente per nimici avete.
Or datemi , signor , supplizio e mòrte
Qual a voi piace : che piacere e gioia
N' aranno i regi ancor d' Itaca e d' Argo.
E qui si tacque. Allor brama ne venne,
Non che desio, di più sapere avanti;
Non ben sapendo ancor, miseri noi!
Quanta scelleratezza e quanta astuzia 180
Fosse ne' Greci. Egli a seguir costretto ,
Mostrossi in prima paventoso , e poscia
Di nuovo assicurossi , e finse , e disse :
Hanno molte fiate i Greci, afQitti
Già da la guerra , e dal disagio astretti , 185
Dislato e tentato anco più volte 10»
Di qui ritrarsi, e lasciar Troja in pace.
Cosi fatto r avessero ! Ma sempre
Or il verno , or i venti , or le procelle
Oli han distornati. E pur dianzi che l' opra 11K>
Del cavai, che vedete, era fornita ;
Di nuovo in sul partire, e 'n sul far vela.
Di tempeste, di turbini e di nembi
Risonò 'l cicdo, e conturbossi il mare.
Onde sospesi Euripilo mandammo i^^-
A spiar sopra a ciò quel che da Febo lU
Ne s' avvertisse. Riportonne un empio
E spaventoso oracolo ; e fu questo :
Col sangue, e con la morte d*una vergine
Placaste i venti per condtirvi in Ilio : 2 - »
Col sangue, e con la morte ora rf' un giovine
Convien placarli per ridarvi in Grecia.
64 ENEIDE
A cosi fiera voce sbii3M)ttissi ,
Impallidissi, e tremò '1 volgo tutto,
Ciascun per se temendo; e nessun certo 205
Qual di loro accennasse Apollo e *I Fato.
Qui fece Ulisse in mezzo al greco stuolo
Con gran tumulto appresentar Calcante:
E del volere in ciò de' santi Kumi
InterrogoUo. Ed ei rispose in guisa, 210
Che la sua fellonia, benché da tutti
Fosse prevista, fu però da molti
Simulata e taciuta, e da molti anco
A me predetta : pur ei tacque ancora
Per dieci f^^iorni; e scaltramente al niego 215
Si mise di voler che per suo detto
Fosse alcun destinato, o spinto a morte.
Ma poi, come da gridi astretto e vinto.
Di conserto con lui ruppe il silenzio.
Si, eh' io fui dichiarato al lìn per vittima. 220
Consentir tutti : perchè tutti ancora 120
Finian con la mia morte il lor periglio.
Era già da vicino il giorno orribile,
In che doveano al sacrifìcio offrirmi;
E già *1 farro e già '1 sale e già le bende 225
Erano a le mie tempie intorno fivvolte :
Quando, rotto (io nul niego) ogni rite^o,
Da la morte mi tolsi : e fìn eh' a' venti
Desser le vele (eh' eran presti a darle)
Di buja notte in un pantan m' ascosi, 230
Ove nel fango infra le scarde 0 i giunchi las
Stava qual mi vedete. Ora son qui
Privo d' ogni conforto e d' ogni speme
Di mai più riveder la patria antica,
I dolci ligli e '1 desiato padre, 235
Che saran, lasso me ! per la mia fuga.
Benché innocenti, ancor forse in mia vece
Incarcerati e tormentati e morti.
Òr io, signor, per quelli eterni Dei
Che scorgon di lassù se '1 vero i' parlo, 240
Per quella pura e intemerata fede
(Se tra' mortali in alcun loco è tale)
Ond* io già tutto a rivelar ti vegno ;
Priegoti che pietà di me ti prenda,
E de' miei tanti 0 sì gravosi affanni 245
Che indegnamente io solfro. A colai pianto
Commossi, e da noi fatti anco pietosi
Vita 0 venia gli diamo. E di sua Locca
Comanda il re» che si disferri e sciolga;
.1
LIBRO SECONDO 55
Poi dolcemente in tal guisa gli parla : 250
Qual tu ti sia, de' tuoi jporduti Greci
Ti dimentica ornai; che per innanzi
Sarai de' nostri. Or mi rispondi il vero
Di quel eh' io ti domando. A che fine hanno
Qui sì grande edificio i Greci eretto ? 255
Per consiglio di cui,? con guai avviso
L' han fabbricato ? E voto f è magia ? ò macchina ?
Che trama è questa ? Avea *1 re detto appena,
Quand' ei d' inganni e d' arte greca instrutto,
Le già disciolte mani al cielo alzando, 260
Disse: Voi fochi eterni e 'nviolabili, 153
Voi fascio, ond' io portai le tempie awhate,
Voi sacri altari, e voi cultri nefandi.
Cui fugjjendo anco adoro, a quel eh' io dico
Per testimonj invoco. A me lece ora 265
Ch* io mi disciolga, e mi disacri in tutto
Da l'obbligo de' Greci. E mi lece anco
Che non gli ami, e che gli odii, e che divolghi
Quel che da lor si cela ; già che astretto
Più non son de la patria a legge alcuna. 270
Tu, se vero io ti dico, e se gran morto 159
Di ciò ti rendo, e te, Troja, conservo ;
Conserva a me la già promessa fede.
Nel comiribiar di questa guerra 1 Greci
Bioosero ogni speme, ogni fidanza 275
Ne r ajulo di Palla ; e ben riposte
Pur sempre, infin che l'empio Diomede,
E r inventor d' ogni mal' opra Ulisse ,
D sacro tempio suo non violare :
Come fèr quando ne la rocca ascesi 280
N' uccisero i custodi, e n' involare
Il Palladio fatale, osando impuri
Por le man sanguinose al sacrosanto
Suo simulacro, e macular le intatte
E intemerato sue vlrginee bende. 285
Da Indi in qua d'ardir sempre e di forze
Scemar, non che di speme ; e Palla infesta
Ne fu lor sempre, e ne dio chiari ^egni
E portentosi, allor che al campo addotta
Fu la sua statua^ che posata appena 290
Torvamente mirogh; e lampi e fiamme na
Vibrò per gli occhi, e per le membra tutte
Versò salso sudore. Indi tre volte,
Meraviglia a contarlo ! alto da terra
Surse, e 'mbraccio lo scudo, e brandi Tasta, 293
Allor gridando indovinò Calc:inte
58 ENEIDE
Che fuggir si dovesse, e tosto a' venti
Spiegar le vele : che di Troja in vano
Era l'assedio, se con altri augurj
D'Argo non si tornava un'altra volta ; 3'
E de la Dea non si placava il nume. i?»
Ch* or, per ciò fare, nan seco in Grecia addotto.
Onde giunti a Micene, incontanente
Si daranno a dispor l'armi e le genti,
E gli Dei che gli aiti, e gli accompagni. 31
Poi ripassando il mar, con maggior forza,
Di nuovo assaliranvi, e d' improvviso.
Cosi Calcante interpreta, e predice.
Or questa mole che tant' alto sorge,
ftui per consiglio di Calcante è posta 3
In vece del Palladio, e per ammenda
Del Nume olTeso, a belio studio intesta
Di legni cosi gravi e cosi grandi,
Ed a si smisurata altezza eretta,
A fin che per le porte entro a le mura 3
Quinci addur non si possa, ove per segno
E per memoria poi del Isume antico
Riverita da voi, sacrata e colta
Sia ricovro e tutela al popol vostro.
Che allor che questo dono a Palla offerto 3
Per vostra man sia violato e guasto,
Ruina estrema (la qual sopra lui "
Caggia più tosto) a voi vuol che ne venga,
Ed al gran vostro impero : ed a rincontro.
Quando da voi sia dentro al vostro cerchio 3
Condotto e custodito; allor, che l'Asia 19*
Congiurerà con le sue forze tutte
A resterminio d'Argo ; e che tal fato
Sopra a' nostri nepoti in cielo è fìsso.
Con tal' arte Sinon, con tali insidie 3
Pe 8i che gli credemmo; e quelli stessi
Cui non poter né *1 figlio di Tidòo,
Né di Larissa il bellicoso alunno.
Né diece anni domar, né mille navi,
Furon da lagrimette e da menzogne 3
Sforzati e vinti. In questa a gì' infelici
Un altro 4Boprawenne assai maggiore
E più fiero accidente; onde a ciascuno
D' improvviso spavento il cor turbossL
\ Era Laocoonte a sorte eletto 3
Sacerdote a Nettuno; e quel dì stesso toi
^Gli faceà d' un gran toro ostia solenne:
Quand' ecco che da Tùncdo ( m' agghiado
LIBRO SECONDO -. 57
A raccontarlo ) due serpenti immani
Venir si veggon parimente al lito, 345
Ondeggiando co i dorsi onde maggiori
De le marine allor tranquille e quete.
Dal mezzo in suiendoan coi petti il mare,
E s' ergean con le teste orribilmente
Cinte di creste sanguinose ed irte. 350
H resto con gran giri e con grand' archi
Traean divincoljmdo ; e con le code
L' acque sferzanao si che lungo tratto
Si facean suono e spuma e nebbia intomo.
Giunti a la riva, con lìcri occhi accesi 355
Di vivo foco e d' atro sangue aspersi,
Vibrar le lingue, e gittàr liscili orribili.
Noi di paura sbigottiti e smorti
Chi mia, chi là ci dispergemmo; e gli angui
S'affilar drittamente a Laocoonte, 360
E pria di due suoi pargoletti figli «i3
Le tenerelle membra ambo avvinchiando,
Sen fòro crudo e miscrabil pasto.
Poscia a lui, eh' a' fanciulli era con l'arme
Giunto in ajuto , s'avventare , e stretto 365
L' awinser si che le scagliose terga *
Con due spire nel petto e due nel collo
Gli racchiusero il nato; e le bocche alte
Entro al suo capo fieramente infìsse ,
Gli addentarono il teschio. Egli , com' era 370
D'atro sangue, di bava e di veleno
Le bende e '1 volto asperso, i tristi nodi
Disgroppar con le man tentava indarno,
E d'orribili strida il ciel feriva;
Qual mugghia il toro allor che dagli altari 375
Sorge ferito, se del ma«;lio appieno ««s
Non cade il colpo, ed ei lo sbatte e fugge.-
I fieri draghi alfin da i corpi esangui
Disviluppati, in ver la rocca insieme
Strisciando e zufl'olando, al sommo ascesero: 380
E nel tempio di Palla, entro al suo scudo
Rinvolti, a* pie di lei si raggruppare. JJ^
Rinnovossi di ciò nel volgo orrore
E tremore e spavento; e mormorossi »
Che degnamente avea Laocoonte 385
Di sua temerità pagato il fio ,
E del furor che contro al sacro legno
Gli armò l'impura e scellerata mano:
E gridar tutti che di Palla al tempio
Si conducesse, e con preghiere e voti 390
58 ENEIDB
De la Dea si facesse il mime amico.
A ciò seguire immantinente accinti
Riuniamo la porta, apriam le mura,
Adattiamo al cavallo ortlijni e travi,
E ruote e curri a* piedi, e l'uni al collo. 395
Cosi mossa e tirata agevolmente 235
La macchina fatale il muro ascendo
D* armi pregna e d' armati , a cui d* intorno
Di verginelle e di fanciulli un coro
Sacro lodi cantando , con diletto» 400
Porgcan mano a la fune. Ella per mezzo
Tratta de la città , mentre si scuoto ,
Mentre che ne l'andar cigola e freme ,
Sembra che la minacci. O Patria, 0 Ilio,
Santo de' Numi a!b.:ìr,-^o! inclita in arme 405
Dardania terra! Noi la pur vedemmo
Con tanti occhi a l'entrar, che quattro volte
Fermossi, e quattro volte anco n'udimmo
Il suon de l'armi: e pur da furia spinti.
Ciechi e sordi che fummo , i nostri danni 410
Ci procurammo : che '1 di stesso addotto 244
E posto in cima a la sacrata rocca
Fu quel mostro infelice. Allor Cassandra
La bocca aperse ; e quale esser solca
Verace sempre e non creduta mai , 4i5
L'estremo une indarno ci predisse:
E noi di sacra e di festiva fronde
Velammo i tempj il di , miseri noi !
Che de' lieti dì nostri ultimo fue.
Scende da 1' Occàn la notte intanto , 420
E col suo fosco velo involve e copre
La terra e' 1 cielo e de' Pelasgi insieme
L' ordite insidie. I Teucri a i loro alberghi ,
A i lor riposi addormentati e quoti
Giaceàn liocuramente ; e già da Tònedo 425
A r usata riviera in ordinanza
Ver noi se ne venia 1' argiva armata,
Col favor de la notte occulta e cheta ;
Quando da la sua poppa il regio legno
Ne die cenno col foco. Allor S'inone, 430
Che per nostra mina era da noi
E dal Fato maligno a ciò serbato,
Accostossi al cavallo , e '1 chiuso ventre
Chetamente gli aperse; e fuor ne trasse
L' occulto agguato. Uscirò a 1' aura in prima 435
I primi capi baldanzosi e lieti, 249
Tutti per una fune a terra scesi:
[
LIBRO SECONDO 59
E fur Tisandro e Stènelo ed Ulisse,
Ata mante e Toante e Macaone
E Pirro e Menelao con lo scaltrito 440
Fabbricator di questo incanno Epòo. Z6^
Assalir la città che già ne V ozio
E nel sonno e nel vino era sepolta;
Ancisero le ^ardie; aprir le porte ;
Miser le schiere congiurate insieme ; 445
E dicr forma a V assalto. Era ne Torà
Che nel primo riposo hanno i mortali
Quel eh' e dal cielo a i loro affanni infuso
Opportuno e dolcissimo ristoro:
Quand' ceco in sogno ( quasi avanti gli occhi 450
Mi fosse veramente) Ettor m'apparve
Dolente , lagrimoso , e quale il vidi
Già strascinato , sang;uinoso e lordo
n corpo tutto , e i piò forato e gonfio.
Lasso me ! qiiale e quanto era mutato 555
Da queir Ettor che ritornò vestito
De le spoglie d'Achille, e rilucente
Del foco, ond' arse il gran navile argolico!
Squallida avea la barba , orrido il crine
E rappreso di sangue ; il petto lacero 460
Di quante unqua ferite al patrio muro
Ebbe d' intorno. E mi parca che '1 primo
Foss'io che lagrimando gli dicessi:
0 splendor di Dardania , o de' Trojani
Securissima speme , e quale indugio 465
T'ha fin qui trattenuto? Ond' or ne vieni
Tanto da noi bramalo ? Ahi dopo quanta
Strage de' tuoi , dopo quanti travagli
De la nostra città già stanchi e domi
Ti riveggiamo! E qual fero accidente 470
Fa sì deiforme il tuo volto sereno? «ss
E che piaghe son queste ? Egli a ciò nulla
Rispose, come a vani miei quesiti.
Ma dal profondo petto alti sospiri
Traendo, oh! fuggi, Enea, fuggi, mi disse; 475
Togliti a queste namme. Ecco che dentro
Sono i nostri nemici. Ecco già eh' Ilio
Arde tutto e mina. Infine ad ora
E per Priamo e per Troja assai s'è fatto.
Se difendere omai più si potesse, 480
Fora per questa man difesa ancora: 291
Ma dovendo cader, le sue reliquie
Sacre e gli santi suoi Numi Penati
A te solo accomanda; e tu li prendi
60 ENEIDB
t
;
Per compagni a* tuoi fati; e, come è d'uopo, 485 \
Cerca loro altro torre, er^i altre mura;
Che dopo lungo e travaglioso esiglio
L'ergerai più di Troja altere e grandi.
Detto ciò, da le chiuse arche reposte
Trasse, e mi consegnò le sacre oende 490
E r effige di Vesta e '1 foco eterno.
Spargonsi intanto per diverse parti
De la presa città le grida e 'l pianto
E '1 tumulto de l'armi; e rinforzando
Via più di mano in man , tanto s' avanza 495
\ Che a r antica magion del padre Anchise
(Come che fosse assai remota , e chiusa
D' alberi intorno ) il ^ran rumore aggiunge.
Allor dal sonno mi riscuoto, e salgo
Subitamente d' un terrazzo in cima , 500
E porgo per udir gli orecchi attenti. «oa
, Cosi rozzo pastor , se da gran suono
E da lungo percosso, in alto ascende,
E mirando si sta confuso e stupido
O foco , che al soffiar d' un torbid' austro 505
Stridendo arda le biade e le campagne,
0 tempestoso e rapido torrente
Che dal monte precipiti, e le selve
Ne meni e i colti e le ricolte e i campi.
Allor tardi credemmo , allor le insidie 510
Ne ftir conte de' Greci. E già '1 palagio
Era di Delfóbo arso e distrutto;
Già '1 suo vicino Ucalegon ardea,"*^
E r incen'lio di lYoia in ogni lato
Rilucea di Sigòo ne la marina; 515
E s'udia gridar genti, e sonar tube. ^ 8i2
Io m' armo , e forsennato anco ne l' armi
Non vegiL^io ove m' adopri. Al fin risolvo ,
Raunati i compagni , avventurarmi ,
Menar le mani , e ne la Rocca addurmL 620
Mi fan r impeto e l' ira ad ogni rischio
Precipitoso; e solo a mente vienmi
Che un bel morir tutta la vita onora.
Eravam mossi; quando ecco tra via
Ne si fa Panto d' improvviso avanti , 525
Panto Aglio d'Otròo, che de la Rocca
Era custode , e sacerdote a Febo.
Questi scampato da' nemici appena ,
Inverso il lito attonito fuggendo,
1 sacri arre li e i santi simulacri 530
De gli Dei vinti, e'I suo picciol nipote
ìf
LIBRO SECÒKnO '61
Si traea seco. O Panto, o Panto (io dissi)
A che Siam giunti? Ovo ricorso abbiamo,
Se la rocca è già presa ? Ei sospirando
E piangendo rispose: È giunto, Enea, 535
L' ultimo giorno e '1 tempo inevitabile zti
De la nostra mina. Ilio fu già;
E noi Trojani lummo. Or è di Troja
Ogni gloria caduta. Il fero Giove
Tutto in Argo ha rivolto; e tutti in preda 540
Siam de' Greci e del foco. Il gran cavallo ,
Ch'era a Palla devoto, altero in mezzo
Stassi de la cittade , e d' ogni lato
Arme versa ed armati II buon Sinone
Gode de la sua frode , e d' ogn' intorno 545
Scorrendo si rimescola , e s' aggira
Gran maestro d' incendj e di mine.
A porte spalancate entran le schiere
Senza ritegno ed a mi^liaja , quante
Ne d'Argo usciron mai, ne di Micene. 650
Gli altri, che prima entrare, han già le strade 38i
Assediate: e stan con Tarmi infeste
Parale a far di noi strage e macello.
Soli son fino a qui sorti in difesa
I corpi de le guardie: e guesti al bujo 655
Fanno con lievi e repentini assalti
Tale una cieca resistenza appena.
Dal parlar di costui, dal nume avverso
Spinto mi caccio tra le fiamme e l'armi,
Ove mi chiama il mio cieco furore , 660
E de le genti il fremito e le strida
Che feriscono il cielo. E per compagni
Primieramente al lume de la luna
Mi si scopron Rifèo, Ifito il vecchio
Ed Ipano e Dimante: indi comparvo 565
n giovine Corebo. Era costui
Figlio a Migdone , insanamente acceso
De r amor di Cassandra ; e come fosse
Già suo consorte , pochi giorni avanti
In soccorso del suocero e de' .Frigi 570
S' era a Troja condotto. Infortunato! su
Che non avea la sua sposa indovina
Ben anco intesa. A questi insieme accolti
Per accendergli più mi volgo, e dico:
Giovani forti e valorosi, in vano 675
Ornai fla la fortezza e '1 valor vostro;
Poiché i)erduti siamo e che Troja arde,
E gli Dei tutti , a cui tutela e cura
62 fnt:tt>h
Si rcggea questo impero , in abbandono
Lasciano i nostri tempj e i nostri altari 590
Ma so voi cosi fermi e così certi
Siete pur, coni' io veggio, a seguitarmi;
Ancor che a morte io vada, in mezzo a Tarmi
Avventianci, e moriamo. Un sol rimedio
A chi speme non havo è disperarsi. 585
Cosi 1 ardir di quegli animi accesi 351
Furor divenne. Usciam di lupi in guisa
Che rapaci, lame liei e rabbiosi.
Gol ventre voto e con le canne asciutto
Sentan de'lupicini urlar per fame 590
Pieno un digiun covile. Andiam per mezzo
De' nemici e de Tarmi a morte esposti.
Senza riservo, e via dritti fenrliamo
La città tutta, a la buja ombra occulti,
Che T altezza facea de gli edifici. - 595
Or chi può dir la strage e la mina
Di quella notte ? E qual è pianto eguale
A tanta uccisione, a tanto eccidio?
Troja mina, la superba, antica
E gloriosa Troja che tant'anni 600
Portò scettro e corona. Era, dovunque
S'andava, di cadaveri, di sangue,
D' ogni calamità pieno ogni loco,
Or vie, le case, i tempj. E non pur soli
Caddero i Teucri: che l'antico ardire 605
Destossi, e surse alcuna volta ancora 366
Ne li lor petti. I vincitori e i vinti
Giacean confusamente, e d' ogni lato
S' udian pianti e lamenti ; e questi e quelli
Eran da la paura e da la morte 610
In mille guise aggiunti. Andrògeo il primo
De' Greci fu , che avanti ne s' offerse
Condottier di gran gente. Egli avvisando
Parte sollecitar de la sua schiera,
Affrettatevi, disse ; a che badate ? 615
Che indugio è'I vostro? Altri espugnata ed arsa
E depredata han di già Troja: e voi
Testé venite ? Aveva ciò detto appena.
Che T se^no e la risposta indarno attesa .
Tra nemici si vide: e come attonito 620
Restando, con la voce il piò ritrasse. »76
Come repente il vtator s' arretra ,
. Se d'improvviso fina le s^ine un angue
' Àwien che prema , ed ei premuto e punto
D' ira gonfio e di tosco gli s' avventi ; 625
r_9^«s^
LIBRO SECONDO 63
Cosi dal nostro subitano incontro
Sovraggiunto in un tempo o spaventato,
Andrògeo per fuggir ratto si volse.
Ma noi che impauriti e sconcertati
A la sprovvista gli assalimmo in lochi 630
A lor non consueti , in breve spazio
Li circondammo, e gli ancidemmo al fine:
Tanto nel primo assalto amica e presta
Ne fu la sorte. E qui fatto Gorebo
D* un tal successo e di coraggio altero, 635
Compagni , disse , poi che la fortuna
Con questo si felice a gli altri incontri
Ne porge aita a nostro scampo , usianla.
Mutiam gli scudi, accomodianci gli elmi
E r insegne do' Greci. 0 biasmo , o lode 640
Che ciò ne sia , chi co' nemici il cerca ? 890
L'arme ne daranno essi. E cosi detto.
La celata e '1 cimier d' Andrògeo stesso
£ la sua scimitarra e la sua targa
Per lui si prese , armi onorate e conte. 645
Cosi fece Rifèo, cosi Dimante •
E cosi tutti: che per se ciascuno
Di nuove spoglie allegramente armossi.
Ci mettemmo tra lor , che i nostri Dii
Non eran nosco ; e ne T oscura notte 650
Con ogni occasione in ogni loco
Ci azzuffammo con essi ; e di lor molti
Mandammo a l'Orco, e ritirar molt* altri
Ne facemmo a le navi: e fur di quelli
Che per viltà nel cavernoso e cieco 055
Ventre si racquattàr del gran cavallo. 4oo
Ma che? Gontra'l voler de' regi eterni
Indarno osa la gente. Ecco dal tempio
Trar veggiam di Minerva, con le chiome
Sparse, e con gli occhi indarno al ciel rivolti, COO
La vergine Cassandra. Io dico gli occhi;
Perchè le regie sue tenere mani
Eran da lacci indegnamente avvinte.
A si fero spettacolo Corebo
Infuriato, e di morir disposto, CC5
Anzi che di soffrirlo, a quella schiera
Scagliossi in mezzo; e noi ristretti insieme
Tutti il seguimmo. Or qui fessi di noi
Una strage crudele e miserabile,
E da' nostri medesmi, che la cima 670
Tenean del tempio: e dardi e sassi e travi
Me versarono addosso, immaginando
64 BNBIDB
1^
Da r armi , da' cimieri e da V insegne
Di ferir Greci : e i Greci d' ogn' intorno ^
Tratti dal gran rumore e da lo sdegno 675
De la ritolta vergine , s' unirò 4is
Ai nostri danni. Il bellicoso Ajace,
I fieri Atridi, i Dòlopi e gli Argivi,
Tutti ne furon sopra in quella guisa
Ch' opposti un centra V altTO Affrico e Bòrea 680
E Garnino e Volturno accolte in mezzo
Ban le selve stridenti, o '1 mare ondoso,
Quando col suo tridente in fin dal fondo
D gran Nereo il conturba. E tornar anco
Incontro a noi guei che da noi pur dianzi 685
Sen gir rotti e dispersi ; e questi in prima
Scoprir le nostre insidie, e fér palesi
Le cangiate armi e li mentiti scudi,
E 1 parlar che dal Greco era diverso.
Cosi ne fU subitamente addosso .690
XJn diluvio di gente. E qui per mano 4J4
Di Peneleo, davanti al sacro altare
De r armigera Dea cadde Gorebo :
Cadde Rlleo , eh' era ne' Teucri un lume
Di bontà, di giustizia e d' equitate 695
(Cosi a Dio piacque ) ; ed Ipane e Dimante
Caddero anch'essi; e questi; oimè! trafitti
Per le man pur de' nostri. E tu, pietoso
Panto, cadesti; e la tua gran piotate,
E r infoia santissima d' Apollo 700
In ciò nulla ti valse. 0 fiamme estreme,
O ceneri de' miei ! fatemi fede
Voi, che nel vostro occaso io rischio alcuno
ISfon rifiutai ne d'arme, nò di foco.
Né di qual fosse incontro , né di quanti T05
Ne facessero i Greci : e so '1 Fato era
Ch'io dovessi cader, caduto fora:
Tal ne feci opra. Ne spiccammo al fine
Da quel mortale assalto. Ifìto e Pelia
Ne venner meco ; Ifito afflitto e grave 710
Già d'anni; e Pelia indebolito e tardo 435
D' im colpo , che di mano ebbe d' Ulisse.
Quinci divelti; al gran palagio andammo
Da le grida chiamati. Ivi era un fremito.
Un tumulto, un combatter cosi fiero, 715
Come guerra non fosse in altro loco,
E quivi sol si combattesse, e quivi
Ogn'un morisse, e nessun altro altrove;
Tal v* era Marte indomito, e de' Greci
LIBRO SECONDO 65
Tanto concorso. Avean la porta cinta 720
Di schiere e di testuggini e di travi,
E d' ambi i lati a la parete in aito
Appoggiate le scale; onde saliti
E spinti un dopo 1* altro; con gli scudi
Si ricoprian di sopra; e con le destre 725
Rampicando salian di grado in grado. 44 1
A rincontro i Troiani, altri di sopra
Muri e tetti versando e torri intere,
I travi e i palchi d' oro e i fregi tutti
De la reggia e de' resri avean nei
^^ *« *^c)o*« - — -^ó- «.v,«xx per armi; 730
Fermi a far si ( poich' eran giunti al fine )
Ch'ogni cosa con lor finisse insieme:
Ed altri unitamente entro a la porta
Stavan coi ferri bassi, in folta schiera
A guarflia de V entrata. E mii di novo 735
A sovvenir la corte, a far difesa
Per entro, a dare a' vhiti animo e forza
Mi posi in core : e' n cotal guisa il feL
Era un andito occulto ed una porta
SecreU^mente accomodata a l'uso 740
De le stanze reali, onde solca
Andromaca infelice al suo buon tempo
Gir a' suoceri suoi soletta; é seco
Per domestica gioja al suo grand' avo
n pargoletto Ast'ianatte addurre. 745
Qmnci entromesso, me ne salsi in cima 457
A l'alto corridore; onde i meschini
Facean di sopra a le nemiche schiere
Tempesta in vano. Era dal tetto a l'aura
Spiccata, e sopra la parete a filo 750
tm' altissima torre, onde il paese
Di Troia, il mar, le navi e '1 campo tutto
Si scopria de' nemici. A questa intomo
Co' ferri ci mettemmo e co' puntelli ;
E da radice, ov' era al palco aggiunta, 755
E da' suoi tavolati e da' suoi travi
Recisa in parte, la tagliammo in tutto,
£ la spingemmo. Alta mina e suono
Fece cadendo ; e di più greche squadro
Fu strage e morte e sepoltura insieme. 760
Gli altri vi salir sopra : e d' ogni parte 4««
Senza' intermission d' ogni arme un nembo
Volava intanto. In su la prima entrata
Stava Pirro orgoglioso, e d' armi cinto
Si luminose, e da' rillessi accese 765
Di tanti incendj, che di foco e d' ira
J)eWJineide 5
66 ENEIDB
Parean liifige avventar raggi e scintille.
Tale un colubro mal pasciuto e gonfio,
Di tana uscito, ove la fredda bruma
Lo tenne ascoso, a Taura si dimostra, 770
Quando, deposto il suo ruvido spoglio,
Ringiovenito, alteramente al sole
Lubrico si travolve, e con tre lingue
Vibra mille suoi lucidi colori.
Seco il gran Peritante e '1 grand' auriga 775
D'Achille , Automedonte , e lo stuol tutto
Era de' Sciri : e di già sotto entrati.
Fiamme a' tetti avventando, ogni difesa
Ne facean vana. E qui co' primi avanti
Pirro con una in man grave bipenne 780
Le sbarre, i legni, i marmi, ogni ritegno 49o
De la Derrata porta abbatte e frange ,
E per disgangherarla ogni arte adopra.
Tanto al un ne recide che nel mezzo
V apre un* amjjia finestra. Appajon dentro 785
Gli atrii superbi, i lunijhi colonnati,
E di Priamo a degli altri antichi regi
I reconditi alberghi Appajon l'M-mi
Che davanti erau pronte a la difesa.
S' ode più dentro uti gemito, un tumulto, 700
¥n compianto di donne, un ululato,
E di confusione e di miseria
Tale un suon che feria l'aura e le stelle.
Le misere matrone spaventate.
Chi qua, chi là per le gran sale errando, 795
Battonsi i petti ; e con dirotti pianti 499
Danno infine a le porte amplessi e bacL
Pirro intanto non cessa, e furioso.
In sembianza del padre, ogni riparo.
Ogni intoppo sprezzando, entro si caccia, 800
Già l'ariete a fieri colpi e spessi
Aperta, fracassata, e d' ambi i lati
Da' cardini divelta avoa la porta ;
Quand' egli a forza urtò, ruppe e conquise
I primi armati ; e quinci in un momento 805
Di Greci s' allagò la reijgia tutta.
Qual ò, se rotti gli argini, spumoso
Esce e rapido un fiume, allor che gonfio
E torbe e ruinoso i campi inonda.
Seco i sassi traendo e i boschi interi, 810
E gli armenti e le stalle e ciò che avanti
Gli s' attraversa ; in co tal guisa io stesso
"Vidi PiiTO menar ruina e strage :
LIBRÒ SECONDO 67
E vidi ne V entrata ambi ffli Atridi;
Vidi Ecuba infelice, ed a lei cento 815
Nuore d' intorno ; e Priamo vid* anco
Ch' estinguea col suo sangue, cimò ! quei fochi
Che da lui stesso eran sacrati e colti.
Cinquanta maritali appartamenti
Eran nel suo serraglio: quale, e quanta 820
Speranza de'lìgliuoli e do' nipoti! 603
Quanti fregi , quant* oro , quante spoglie ,
E quant' altre ricchezze ! e tutte insieme
Perirò incontanente : e dove il foco
Non era, erano i Greci. Or, per contarvi 825
Qual di Priamo fosse il fato estremo ,
E^li, poscia che presa, arsa e disfatta
Vide la sua cittade , e i Greci in mezzo
Ai suoi più cari e più riposti alberghi ;
Ancor che veglio e debole e tremante 830
L'armi, che ìli gran tempo avoa dismesse, 509
Addur si fece ; e d' esse inutilmente
Gravò gli omeri e*l fianco; e come a morte
Devoto , ove più folti e più feroci
Vide i nemici , incontr' a lor si mosso. 835
Era nel mezzo del palazzo a T aura
Scoperto un grand' altare , a cui vicino
Sorgea di molti e di molt' anni un lauro
Che co' rami a l'aitar facea tribuna,
E con r ombra a' Penati opaco velo. 840
Qui , come d' atra e torbida tempesta
Spaventate colombe , a 1' ara intorno
Avea le care figlie Ecuba accolte;
Ove agi' irati Dei pace ed aita
Chiedendo , a li lor santi simulacri 845
Stavano con le braccia indarno appeso.
Qui , poiché la dolente apparir vide
Il vecchio re giovenilmentc armato ,
O , disse , infelicissimo consorte ,
Qual dira mente , o qual follia ti spinge 850
A vestir di quest'armi? Ove t' avventi siJ?
Misero? Tal soccorso e tal difesa
Non è d' uopo a tal tempo : non , s' appresso
Ti fosse anco Ettor mio. Con noi più tosto
Rimanti qui; che questo santo altare 855
Salverà tutti ; o morrem tutti insieme.
Ciò detto , a se lo trasse; e nel suo seggio
In maestate il pose. Erco (V nvanti
A Pirro intanto il giovino dolilo ,
Un de' figli del re , scampo cercando
BCO
Dal suo ftirore , e già da lui fefito ,
Per portici e per loggie armi e nemici
Attraversando , in ver V aitar sen fugge :
E Pirro ha dietro che lo segue , e 'ncalza
Si che già già con V asta e con la mano 865
Or lo prende , or lo fere. Alfìn qui giunto , 530
Fatto di mano in man di forza esausto
E di sanjj^ue e di vita, avanti a gli occhi
D* ambi i parenti sui cadde , e spirò.
Qui , perchè si vedesse a morte esposto , 870
Priamo non di se punto oblìossi,
Ne la voce frenò , né frenò V ira :
Anzi esclamando , O scellerato , disse ,
O temerario ! Abbiati in odio il cielo ,
Se nel cielo è pietate ; o se i celesti 875
Han di ciò cura , di lassù ti caglia
La vendetta che merta opra si ria.
Empio , eh' anzi a' miei numi , anzi al cospetto
Mio proprio fai governo e scempio tale
D' un tal mio figlio , e di sì fera vista 880
Le mie luci contamini e funesti.
Cotal meco non fu , benché nimico ,
Achille , a cui tu menti esser figliuolo ,
Quando, a lui ricorrendo, umanamente
M' accolse , e riveri le mie preghiere ; 885
Gradi la fede mia ; d' Ettor mio figlio 5U
Mi rendè '1 corpo esangue : e me securo
Nel mio regno ripose. In questa , acceso
Il debil vecchio alzò V asta , e lanciolla
Si , che senza colpir languida e stanca 890
Ferì lo scudo , e lo percosse appena ,
Che dal sonante acciaro incontanente
Risospinta e sbattuta a terra cadde.
A cui Pirro soggiunse : Or va tu dunque
Messaggiero a mio padre, e da te stesso, 805
Le mie colpe accusando i miei difetti, 647
Fa conto a lui come da lui traligno:
E muori intanto. Ciò dicendo, irato
AfTcjrrollo , e per mezzo il mollo sangue
Del suo figlio tremante , e barcolloni 900
A r aitar lo condusse. Ivi nel ciuffo
Con la sinistra il prese ; e con la destra
Strinse il lucido ferro, e fieramente
Nel fianco infìno agli elsi gli l'immerse.
Questo fin ebbe, e qui fortuna addusse 905
Priamo, un re si ;jrande, un si superbo
Dominator di genti e di paesi ,
LIBRO SECONDO 69
Un de r Asia monarca , a veder Troja
Ruinata e combusta; a giacer quasi
Nel lito un tronco desolato, un capo 910
Senza il suo busto , e senza nome un corpo.
Allor pria mi sentii dentro e d' intorno
Tal un orror, che stupido rimasi.
E y di Priamo pensando al caso atroce ,
Mi si rappresentò rimago avanti 915
Del padre mio eh' era a lui d' anni eguale.
Mi sovvenne V amata mia Grcmsa ,
Il mio picciolo Julo , e la mia casa
Tutta a la violenza, a la rapina,
Ad ogni ingiuria esposta. Allora in dietro --^
Mi volsi per veder che gente meco si^
Fosse de miei seguaci ; e nullo intorno
Più non mi vidi: che tra stanchi e morti
E feriti e storpiati , altri dal ferro ,
Altri da le ruine , altri dal foco , 925
M' avean già tutti abbandonato. In somma
Mi trovai solo. Onde smarrito errando ,
E d* ogn 'intorno rimirando , al lume
D6l_grand' incendio ecco mi s' offre a gli occhi
Di Tindaro la figlia che nel tempio 930
Se ne stava di Vesta , in un reposto 569
E secreto ridotto ascosa e cheta :
Elena dico , origine e cagione
Di tanti mali, e che fu d' Ilio e d'Argo
Furia comune. Onde comunemente 935
E de' Greci temendo e de' Trojani
E de l'abbandonato suo marito,
S' era in quel loco , e 'n se stessa ristretta ,
Confusa, vilipesa ed ab borrita
Fin dagli stessi altari. Arsi di sdegno, 940
Membrando che per lei Troja carica;
E '1 suo castigo e la vendetta insieme
De la mia patria rivolgendo, A<lunque
( Dicea meco ) , impunita e trionfante
Ritornerà la scellerata in Argo ? 945
E regina vedrà Sparta e Micene?
Gkvierà del marito, dei parenti,*
De' figli suoi? Farà pompe e grandezze,
E d' Ilio avrà per serve e per ministri
L'altere donne e i gran donzelli intomo t 950
E qui Priamo sarà di ferro anciso , 580
E Troja incensa, e la Dardania terra
Di tanto sangue tante volte aspersa?
Non fla cosi; che se ben pre^jio e lode
'^^ ENEIDE
Non s'acquista a punire, o vincer donna, 955
Io lodato e pregiato assai terrommi,
Se si dirà cu' aggia d' un mostro taic
Purgato il mondo. Appagherommi almeno
Di sfogar Y ira mia: vendicherommi
De la mia patria; e col fiato e col sangue 960
Di lei placherò V ombre, e farò sazie
Le ceneri de' miei. Ciò vaneggiando ,
Infuriavo; quand* ecco una luce
M' aprio la notte, e mi scoverse avanti
L'alma mia genitrice, in un sembiante, 9C5
Non come V altre volte in altre forme
Mentito 0 dubbio, ma verace e chiaro,
E di madre e di Dea, qual credo e quanta
Su tra gli altri Celesti in ciel si mostra.
Cotal la vidi, e tale anco per mano 970
Mi prese; e con pietà le sante luci 592
E le labbia rosate aperse, e disse:
Figlio, a che tanto affanno? a che tant'ira?
Che non t' acqueti omai? Questa è la cura
Che tu prendi di noi? Che non più tosto 975
Rimiri ov' abbandoni il vecchio Anchise
]• la cara Creusa e '1 caro Julo ,
Cui sono i Greci intorno? E se non fosse
Che in guardia io gli a^gio, in i)reda al ferro, al foco,
Foran sik tutti. Ah figlio ! non il volto 980
De r odtata Argiva, non di Pari
La biasmata rapina, ma del cielo
E de' Celesti il voler empio atterra
La trojana potenza. Alza su eli occhi,
( Ch' io ne trarrò V umida nube e '1 velo 985
Che la vista mortai t* appanna e grava:
Poscia credi a tua madre, e senza indugio
Turto fa, che da lei ti si comanda)
Vedi là quella mole, ove quei sassi
Son da' sassi distì^iunti, e dove il fumo 990
Con la polve ondeggiando al ciel si volve, «os
Come fiero Nettuno inhn da V imo
Le mura e i fondamenti e' 1 terren tutto
Col gran tridente suo sveglie e conquassa.
Vedi qui su la porta come Giuno 095
Infuriata a tutti gli altri avanti
Si sta cinta di ferro, e da le navi
Le schiere d'Argo a' nostri danni invita.
Vedi poi colassù Pallade in cima
A i' afta rocca, entro a quel nembo annata, 1000
Con che lucenti e spaventosi lampi
MHTio sECoxno 71
n gran Oor^onc Fiio rliscopro o vibr«i.
Che più? mira nel ciol, che T'iove stesso
Som ministra a gli Argivi animo e forza,
E incontro a le vostre armi a 1' arme incita 1005
Gli eterni Dei. Cedi lor, figlio, e fuggi, 6i8
Poi che indarno t* affanni, lo sarò teco
Ovunque andrai, sì che securamente
Ti porrò dentro a' tuoi paterni alberghi.
Cosi disse; e per entro a le folt' ombro 1010
De la notte s\t scose. Allor vid' io
orinvisibili aspetti, e i fieri volti
De' Numi a Troja infesti, e Troja tutta
In un sol foco immersa e fin dal fondo
Sottosopra rivolta. In quella guisa 1015
Che d* alto monte in precipizio cade
Un orno antico , i cui rami pur dianzi
Facean contrasto a' venti e scorno a] pql^;
Quando con molle accette al suo gran tronco
Stanno i robusti agricoltori intorno 1020
Per atterrarlo, e gli dan colpi a gara,
Da cui vinto e dal peso, a poco a poco
Crollando e balenando, il capo incnina;
E stride e geme e dal suo gio^o ai Une
O con parte del gio^o si diveglie, 1025
0 si scoscende; e ciò che intoppa urfando, 63 1
Di suono e di mina empie le valli. ^
Allor discesi; e la materna scorta
Seguendo, da' nemici e da lo fiamme
Mi rendei salvo: che dOTwnque il passo 1030
Volgea, cessava il foco, e fùggian TarmL
Poich' io ftii giunto a la magione antica
Del padre mio , di lui prima mi cs^^e
E del suo scampo , e per condurlo a' monti
M'apparecchiava: quand'ei disse: 0 figlio, 1035
Io decrepito, io misero, che avanzi
A i di de la mia patria ? Io posso , io deggio
Sopravvivere a Troja ? E fia eh' io sofifra
Si vile esigilo ? Voi , che ne' vostri anni
Siete di sangue e di vigore intieri, Ì04G
Voi vi salvate. A me ( s* io pur dovea ess
Restare in vita ) avrebbe il ciel serbato
Questo mio nido. Assai , figlio^, e pur troppo
Son vissuto fin qui ; poi eh' altra volta
Vidi Troja cadere , e non cadd' io. 1045
Fatemi or di pietà ^li ultimi offici ;
Iteratomi il vale , -e per defunto
Cosi composto il mio corpo lasciato;
és
Gh' io troverò chi mi dia morte; e i Greci
Mcdcsmi 0 per pietate , o per vaghezza 1050
De le mie spoglie , mi trarran di vita
E (li miseria : e se d' esequie io manco ,
Se manco di sepolcro, il danno è lieve.
Da r ora in qua son io visso a la terra
Disutil peso, ed al gran Giove in ira, 1955
Che dal vento percosso e da le fiamme
Fui dal folgore suo. Ciò memorando
Stava il misero padre a morte additto;
E d' intorno gli er' io^ Crcùsa, JiUo,
La casa tutta con preghiere e pianti lOGO
Stringendolo a salvarsi , a non Irar seco ens
Ogni cosa in mina , a non offrirsi
Da se stesso a la morte. Ki fermo e saldo
Nò di proponimento, ne di loco
Punto si cangia : ond* io pur V armi grido 1065
Di morir desioso. E qual v* era altro
Rime lio o di consiglio, o di fortuna?
Ah! che di questa soglia io tragga il piemie,
Palre mio, per lasciarti? Ah! che tu possa
Creder tanto di me? Da la tua bocca 1070
Tanto di scolloranza e di viltate c:»s
È d' un tuo tìglio uscito ? Or s' ò destino
Che di sì gran città nulla rimanga,
Se piace a te, se nel tuo core ò fermo
Che nò di te , nò de gli tuoi si scemi 1075
La ruin-i di Troja; e così vada,
E così 111: ch'Io veggio a mano a mano
Qui del sangue del re tutto cosperso ,
E bramoso del nostro, apparir Pirro
Che i padri uccido anzi a gli altari, e i figli 1080
Anzi agli occhi de' padri. Ah! madre mia,
Per questo line qui salvo e difeso
M'hai da Tarmi e dal fuoco, acciò ch'io veggia
Con gli occhi miei ne la mia casa stessa
I miei nemici e '1 mio padre e '1 mio figlio 1085
E la mia donna crudelmente uccisi
il L' un nel sangue de l' altro ? Mano a r^iiQgj
// £IIil mi dà r armi ? Ecco che i giorno estremo
Vinti a morte ne chiama. Or mi lasciato,
Ch' io torni infra nemici, e che di nuovo 1090
Mi razzufll con essi: che non tutti
Abbiam senza vendetta àsgì a perire.
E già di ferro cinto, a la sinistra
M' adattava lo scudo , e fuori uscia ,
Quand' ecco in bu la soglia attraversata 1006
LIBRO SECONDÒ 73
Greùsa avanti a' j)iò mi si distende, 673
E me gli abbraccia; e '1 fanciuletto Julo
M' appresenta , e mi dice : Ah ! mio consorte ,
Dove ne lasci? Se a morir ne vai,
Che non teco n' adduci ? E se ne V armi 1100
E ncir esperienza hai speme alcuna ,
Che non difendi la tua casa in prima?
OvQ Ascanio abbandoni ? ove tuo padre ?
Ove Cretisa tua , che tua s* è detta
Por alcun tempo? E ciò gridando empiea 1105
Di pianto e di stridor la ma^ion tutta;
Quand'ecco innanzi agli occhi e fra le mani
De gli stessi parenti un repentino
E mirabile a dir portento apparve;
(^hè sopra il capo del fanciullo Julo 1110
Chiaro un lume si vide , e via più chiara 688^
TJna fiamma che tremola e sospesa
Le sue tempie rosate e i biondi crini
Son già come leccando, e senza otTesa
Lievemente pa<?cendo. Orrore e tema 1115
No presi in prima. Indi a quel santo foco
D'intorno, altri con acqua, altri con altro,
0;5mun facea per ammorzarlo ogni opra.
Mi 1 padre Anchise a coiai vista allegro ,
Le man, ffli occhi e la voce al ciel rivolto, 1120
Orò dicenao: Eterno, onnipotente
Signor, se umana prece unqua ti mosse,
Ver noi rimira , e ne fla questo assai.
Ma se di morto alcuno in tuo cospetto
K la nostra pietà, padre benigno, 1125
Danne anco aita; e con felice segno
Questo annunzio ratifica e conferma.
Avea di ciò pregato il vecchio appena,
Che tonò da sinistra e dal convesso
Del ciel cadde una stella che per mezzo 1130
Fendè l'ombrosa notte, e lunga striscia «93
Di face e di splendor dietro si trasse.
Koi la vedemmo chiaramente sopra
Da' nostri tetti ire a celarsi in Ida
Si che lasciò, quanto il suo corso tenne, 1135
Di chiara luce un solco; e lungo intorno
Fumò la terra di sulfùreo odore.
Allor vinto si diede il padre mio;
E tosto a l'aura uscendo, al santo segno
De la stella inchinossi , e con gli Dei 1140
Parlò devotamente : O de la patria
Sacri nomi Pe^aU. a voi mi rendo»
4
74 FA-I-.Ih:^.
Voi questa casa, voi questo nipote
Mi conservate. Questo augurio è vostro,
E nel poter di voi Troja rimansi. 1145
Poscia, rivolto a noi: Fa, fìgliuol mio, 703
Ornai, disse, di me che più t'aggrada;
Che al tuo voler son pronto , e d' uscir teco
Più non recuso. Avea già '1 foco appresa
La città tutta: e già le lìammg e i vampi 1150
Ne ferian da vicino , allor che *1 vecchio
Così dicea. Caro mio padre , adunque ,
Soggiuns' io , com' è d' uopo , in su le spalle
A me ti reca , 0 mi t' adatta al collo
Acconciamente; ch'io robusto e forte 1155
Sono a tal poso : 0 sia poscia che vuole :
Che un sol periglio , una salute sola
Fia d'ambidue. Sejjuami Julo al pari;
Greùsa dopo: e voi,, miei servi, udite
Quel eh' io diviso. È de la porta fuori 1160
IJn colle , ov* ha di Cerere un antico
E deserto delubro , a cui vicino
Sorge un cipresso , già molt' anni e molti
In onor de la Dea serbato e colto.
Qui per diverse vie tutti in un loco 1165
Vi ridurrete; e tu con le tue mani
Sosterrai , padre mio , de' santi arredi
E de'patrii Penati il sacro incarco.
Che. a me , si lordo e si recente uscito
Da tanta uccislon . toccar non lece 1170
Pria che di vivo fiume onda mi lave. 719
Ciò detto , con la veste e con la pelle
D' un villoso leon m' adeguo il tergo ;
E '1 caro peso a gli omei-i m' impongo.
Indi a la destra u fanciulletto Julo 1175
Mi s' aggavigna , e non con moto eguale 7S8
Ei segue i passi miei , Greùsa l' orme.
Andiam per luoghi solitarj e bui : *
E me, cui dianzi intrepido e sicuro
Vider de V arme i nemlìi e de gli armati 1180
Le folte schiere, or ogni suono, ogni aura
Empie di tema: si geloso fammi
E la soma e *1 compagno. Era vicino
A r uscir de la porta , e fuori in tutto ,
Com'io credeaj d'ogni sinistro incontro; 1185
Quand* ecco d' improvviso udir mi sembra
IJn calpestio di gente , a cui rivolto
Disse il vecchio gridando : Oh ! fùgff 1 , figlio,
Fuggi , che ne soa presso. Io veggio , io sento
LIBRO SBCONBO 75
Sonar gli scudi , e lampeggiar i ferri. 1190
Qui ridir non saprei come , né quale
Avverso Nume a me stesso mi tolse :
Che mentre da la fretta e dal timore
Sospinto esco di strada , e per occulte
E non usate vie m* aggiro e celo , 1195
Restai , misero me ! senza la mia
Diletta moglie, in dubbio se dal fato
Mi si rapisse , o traviata errasse ,
O pur lassa a posar posta si fosse.
Basta , eh' unqua dipoi non la rividi : 1200
Ne per vederla io mi rivolsi mai : 74o
Né mai me ne sovvenne , infìn che giunti /
Di Cerere non fummo al sagro poggio. \
Ivi ridotti , ne mancò di tanti
Sola Greùsa , oimè , con quanto scorno , 1205 '
E con quanto dolor del suo consorte
E del figlio e del suocero e di tutti !
Io che non feci allora, e che non dissi?
Qual degli uomini , folle ! e degli Dei
Non accusai ? Qual vidi in tanto eccidio , 1210
O eh* io provassi , o che avvenisse altrui , 746
Caso più miserando e più crudele ?
Qui mio figlio , mio padre e i patrii Numi
Lascio to guardia accompagni, ed io de Tarmi
Pur mi rivesto , e 'ndietro me ne tomo , 1215
Disposto a ritentare ogni fortuna,
A cercar Troja tutta , a por la vita
Ad o§ni ripentaglio. Incominciai
In pnma da le mura e da la porta,
Ond* era uscito; e le vie stesse e V orme 1220
Ripetei tutte , per cui dianzi io venni ,
Gli occhi portando per vederla intenti.
Silenzio, solitudine 6 spavento
Trovai per tutto. A casa aggiunsi in prima
Cercando se per sorte ivi smarrita 1225
Si ricovrasse. Era già presa e piena
Di nemici e di foco; e già da* tetti
Uscian da' venti e da le furie spinte
Rapide fiamme e minacciose al cielo.
Torno quinci al palagio ; indi a la rocca : 1230
Seguo a le piazze , a* portici , a 1* asilo
Di Giunon , che già fatti eran conserve
De la preda di Troja , a cui Fenice
E '1 fiero Ulisse eran custodi eleltL
Qui d' orni parte le trojane spoglile 1235
Fin de le sacristte , fin de gli altari 768
76 ENEIDIS
Le sacre mense, i preziosi vasi
Di solicV oro , e i paramenti e i drappi
E le delizie e le ricchezze tutte
A gli incendi ritolte , erano addotte, 1240
jy intorno innuraerabili prigioni
Slavan di funi e di catene avvinti,
E matrone e donzelle e pargoletti.
Che di sordi lamenti e di muggiti
Faccan ne V aria un tuono ; e men tra loro 1245
Era la donna mia : né dove fosse,
Più ripensar sapendo , osai dolente
Grillar per le vie tutte; e, benché in vano.
Mille volte iterai V amato nome.
Mentre cosi tra fUrioso e mesto 1250
Per la città m' aggiro , e senza fine 77 1
La ricerco e la chiamo, ecco davanti
Mi si fa r infelice simulacro
Di lei, maggior del solito. Stupii,
M' aggricciai , m' ammutii. Prese ella a dirmi , 1255
E consolarmi : O mio dolco consorte ,
A che si folle affanno ? A ^li Dei piace
Che cosi segua. A te quinci non lece
Di trasi)ortarmi. Il gran Giove mi vieta
Gli' io sia teco a provar gli alffanni tuoi : 1260
Che soffrir lunghi esisli , arar gran mari •
Ti converrà pria eh' al tuo seggio arrivi ,
Che fìa poi ne 1* Esperia , ove il Tirreno
Tebro con placid' onde opimi campi 1265
Di bellicosa gente impingua e riga.
Ivi riposo e regno e regia moglie
Ti si prepara. Or de la tua diletta
Creùsa , signor mio , più non ti doglia :
Che i Dolopi superbi , o i Mirmidoni 1270
Non vedranno già me dardania prole, 785
E di Priamo figlia e nuora a Venere •
Né donna lor , né di lor donne ancella :
Che la gran Genitrice degli Dei
Appo se tlemmi. Or il mio caro Julo ,
Nostro comune amore, ama in mia voce; 1275
E lui conserva, e te consola. Addio.
Cosi detto , disparve. Io che dal pianto
Era impedito , ed avea molto a dirle,
Me le avventai , per ritenerla , al collo :
E tre volte abbracciandola, altrettante, 1280
Come vento stringessi o fumo o sogno, 79S
Ide ne tomai con le man vote al petto*
E cosi scorsa e consumata indarno
if,.
^ — -.
LiD^v) sr.o ìNDO
77
Tutta la notte , al poggio mi ritrassi
A' miei compagni , ove trovai con molta 1285
Mia maraviglia d' ogni parte accolta
Una gran gente , un miserabil volgo
D'ogni età, d'ogni sesso e d* ogni grado,
A r esigilo parati , e 'nsieme additti
A seguir me, dovunque io gli adducessi, 1290
O per mare o per terra. L'scia già d' Ida
La mattutina stella, e'I dì n'apria;
Quando in dietro mi volsi, e vidi Troja
Fumar già tutta ; e de la rocca in cima ,
E di sovr' ogni porta inalberate 1295
Le greche insegne : onde nò via , né speme
Rimanendomi niù di darle aita ,
Cedei; ripresi u carco , e salsi al monte. 1298
804
rari DBL LIBRO gBGOXOH).
LIBRO TERZO
A
RGOMBNTO
Caduta Troia, Enea raccoglie i superstiti, e messa in punto, presso Mn^
tandro, un'armata di venti navi fa vela, ed approda primieramente' in
Tracia. Quivi mentre sta gettando le fondamenta di una città, è atterrito
dal -pi'odiglo di Polidoro, ucciso già da Polimnestore ; onde salpa di nuovo
e prende terra a Delo, 1-77 ; dove consultando l'oracolo di Apollo, ne ha
il responso che « dee ritornare airantica madre della sua genyB : » il quale
oracolo male interpretato da Anchise fa volgere i Troiani a Creta. Ivi,
Suando già sorgevan le mura, sono travajgliuti da una derissima pestilenza,
nde Enea ammonito in sogno dai Penati, abbandona Creta e muove Terso
ritalia, 121-2G9. In questa navigazione editi da improvvisa tempesta, son
flettali alle isole Stroftidi, di dove respinti dalle offese delle Arpie e dai
risti presagi di una di esse. Celeno, l92-2tì9, riparano ad Azzio, e vi cele-
brano i giuochi in onore d' Apollo , 270-290. Di là passano i^ Corcira ,
e nell'Epiro, che allora era soggetto all'indovino Eleno, un figlio di
Priamo, il quale dope le accoglienze oneste e liete espone ad Enea tutti i
Sericoli di (erra e ai mare che gli restano a correre, e jgli apre l'arcano
ei ftiti, 291-505. Lasciatosi dietro l' Epiro, Enea costeggiando Taranto in
sulla punta d' Italia, arriva in Sicilia, in luogo non lontano dal monte
di Eleno, per causare Scilla è Cariddi, fa il lungo giro della Sicilia, finché,
giunto a Drepano, ivi perde Anchine, che se ne muore per vec^iezza, 684-711 .
Di là, mentre naviga verso Italia, è sbalzato in Affrica da quella bufera
che è narrata nel primo libro. — Qui finisce la narrazione d'Enea, 712-718.
Poiché fti d' Asia il glorioso regno
E '1 suo re seco e '1 suo legnaggio tutto ,
Come al elei piacque, indegnamente estinto,
Ilio abbattuto e la Nettunia Troja
Desolata e combusta j i santi augurj 5
Spiando , a vari esigli , a varie terre
Per ricovro di noi pensando andammo:
E ne la Frigia stessa a piò d* Antandro
Ne' monti d Ida a fabbricar ne demmo
La nostra armata, non ben certi ancora 10
Ove il ciel ne chiamasse , e quale altrove
Ne desse altro ricetto. Ivi le genti
D'intorno accolte, al mar ne riducemmo,
E n' ♦mbarcammo al fine. Era do V anno
La stagion prima, e i primi giorni appena j 15
LIBRO TERZO 79
25
Quando sciolte le sarte e date a' venti 8
Le vele , come volle il padre Anchise
Piangendo abbandonai le rive e i porti
E i campi, ove fu Troja, i miei compagni
Meco traendo e *1 mio figlio e i miei Numi 20
A r onde in preda, e de la patria in bando. is
E de la Frigia incontro un gran paese
Da' Traci arato , al fiero Marte additto ,
Ampio regno e famoso , e seggio un tempo
Del feroce Licurgo. Ospiti antichi
S' eran Traci e Trojani : e fin eh* a Troja
Lieta arrise fortuna, ebbero entrambi
Comuni alberghi. A questa terra in prima
Drizzai '1 mio corso, e qui primieramente
(f Nel curvo lito con destino avverso 30
Una città fondai , che dal mio nomo
Enèade nomossi : e mentre intorno
Me le travaglio, e i santi sacrificj
. A Venere mia madre, ed a gli Dei,
Che sono al cominciar propizj , indico ; 35
Mentre che 'n su la riva un bianco toro
Al supremo. Tonante oifro per vittima,
Ddite che m'avvenne. Era nel lito
Un picciol monticello, a cui sor^^a
Di mirti in su la cima e di comiali 40
Una folta selvctta. In questa entrando zz
Per di fronde velare i sacri altari,
Mentre de* suoi più teneri e più verdi
Arbusti or questo, or quel diramo e svelgo;
Orribile a veder, stupendo a dii'e, 45
M' apparve un mostro ; che divelto il primo
Da le prime radici , uscir di sangue
Luride goccio , e ne fu '1 suolo asperso.
Ghiado mi strinse il core ; orror mi scosse
Le membra tutte ; e di paura il sangue 50
Mi si rapprese. Io le cagioni ascose
Di ciò cercando , un altro ne divelsi ;
Ed altro sangue uscinne : onde confuso
Vie più rimasi; e nel mio cor diversi
Pensier volgendo , or de V agresti Ninfe , 55
Or del scitico Marte i santi Numi
Adorando, poijgea preghiere umili,
Che di si fiera e portentosa vista
Mi si togliesse, o si temprasse almeno
H diro annunzio. Ritentando ancora, 60
Vengo al terzo virgulto , o con più forza 37
Mentre lo scerpo, e i piedi al suolo appunto,
* —
tSU BN8IDS
E lo scuoto e lo sbarbo (il dico , o '1 taccio ?)
Un sospiroso e lagrimabil suono
Da r imo poggio odo che grida e dice : 65
Ahi ! perchè si mi laceri e mi scempi ?
Perchè di cosi pio , cosi spietato ,
Enea, ver me ti mostri ? A che molesti
Un eh' è morto e sepolto ? A che contamini
Gol sangue mio le consanguinee mani ? 70
Che né di patria, ne di gente esterno
Son io da te ; nò questo atro liquore
Esce da sterpi , ma da membra umane.
Ah ! fuggi , Enea , da questo empio paese :
Fuggi da questo abbominevol lito. 75
Che Polidoro io sono; e qui confìtto
M' ha nembo micidiale , e ria semenza
Di ferri e d' aste, che dal corpo mio
• Umor preso e radici , han fatto selva.
A cotal suon da dubbia tema oppresso . 80
Stupii , mi raggricciai , muto divenni , 47
Di Polidoro udendo. Un de* figliuoli
Era questi del re , che al tracio rego
Fu con molto tesoro occultamente
Accomandato allor, che da' Trojani 85
Incominciossi a diffidar do l'armi,
E temer de V assedio. Il rio tiranno ,
Tosto che a Troja la fortuna vide
Volger le spalle, anch' ci si volse, 0 Tarmi
E la sorte segui de' vincitori; 00
Si che de 1' amicizia e de 1' ospizio 51
E de 1* umanità rotta ogni legge ,
Tolse al regio fanciul la vita e Toro.
Ahi de r oro empia ed csccrabil fame !
E che per te non osa, e che non tenta 05
Quest' umana ingordigia ? Or poiché '1 gelo
Mi fu da r ossa uscito , a' primi ca])i
Del popol nostro ed a mio padre in prima
Il prodigio rcfersi , e di ciascuno
Il parer ne spiai. Via , disser tutti iOO
Concordemente , abbandoniam quest' empia
E sccUcrata terra; andiam lontano
Da c\vie8to infame e traditore ospizio.
RimeUianci nel mare. Indi 1' eseqiEo
Di Polidoro a celebrar ne demmo; 105
E, composto di terra un alto cumulo,
Oli aitar vi consacrammo a i ISumi inforni ,
Che di cerulee bon«1o 0 di funesti
Cipressi ora.n covoni. Ivi io Jouuo
L1IU\0 TLRZO Si
D' Ilio , com' è fra noi rito solenne , 110
Vestile a bruno e scapigliate e mesto
Ulularono intorno; e noi di sopra
Di caldo latte e di sacrato sangue
Piene tazze spargemmo , e con supremi
Richiami amaramente al suo sepolcro 115 '
Rivocammo di lui T anima errante. «7
Né pria ne si mostrar V onde sicuro , >
E fidi i venti , che del porto usciti
Incontanente ne vedemmo avanti
Sparir T odiosa terra , e gir da noi 120
Di. mano in man fuggendo i liti e i monti
E nel mezzo a T Egèo, diletta a Dori
Ed a Nettuno , un* Isola famosa,
Che già mobile e vaga intorno a* liti
Agitata da T onde errando andava ; 125
Ma fatta di Latona e de' suoi figli
Ricetto un tempo, dal pietoso arciero
Tra Giare e Micon fu stretta in guisa,
Che immota e colta e consacrata a lui
Ebbe poi le tempeste e i venti a scherno. 130
Qui porto placidissimo e securo 77
Stanchi ne ricovette; 0 già smontati
Veneravam d* Apollo il santo nido ;
Quand' ecco Anio suo rege , e rege insieme
E sacerdote, che di sacre bende 135
E d'onorato alloro il crine adorno
Ne si fa'ncontro. Era al mio padre Anchise
Già di molt' anni amico ; onde ben tosto
Lo riconobbe, e con sembiante allegro
Lui primamente , indi noi tutti accolti , 140
W abbracciò, ne invitò, seco n* addusse.
Quinci al delubro , che ad Apollo in ciiua
Era d' un sasso anticamente estrutto ,
Tutti salimmo : ed io devoto orai :
Danne, Padre Timbrèo, propria magione, 145
E propria terra, ove ^ià stanchi abbiamo
Posa e ristoro, e ne da stirpe e nido
Opportuno , durabile e securo :
Danne Troja novella ; e de* Trojani
Serba queste reliquie, che avanzate 150
Sono appena a gh storpi, a le mine, «7
Al foco , a' Greci , al dispietato Achille.
Mostrane chi ne guidi, ove s* indrizzi
Il nostro corso ; e qual fìa *l nostro seggio.
Coi tuoi più chiari e manifesti augurj , 155
Signor , tu no predici , e tu n* inspira,
I>clVEneid9 . - ft
»4 ENEIDE
Rinavigando il navigato maro ,
Si tornasse in Ortigia , e che di nuovo
Ricorrendo di Febo al santo oracolo,
Perdon gli si chiedesse , aita e scampo
Da si maligno e velenoso influsso; 255
Ed al fm del cammino e de la stanza
Chiaro ne si traesseindrizzo e lume.
Era già notte, e già dal sonno vinta
Posa e ristoro avea V lunana gente ;
Quando le sacre effigie de* Penati , 260
Quelle che meco avea tratte dal foco 148
Se la mia patria, quelle stesse in sogno
"Vive mi si mostrar veraci e chiare:
Tal piena, avversa e luminosa luna
Penetrava per entro al chiuso albergo 265
Di puri vetri i lucidi spiragli;
E come eran visibili, appressando
La sponda ov' io giacca , soavemente
Mi SI fecero avanti, e *n cotal guisa
Mi confortare: Quel che Apollo stesso, 270
Se tornaste in Ortigia, a voi direbbe, i54
Qui mandati da lui vi diciam noi :
E noi Siam quei che dopo Troja incensa
Per tanti mari , a tanti affaimi teco
N* uscimmo, e te seguiamo e V armi tue. 275
Noi compagni ti siamo; e noi saremo
Gh'a la nova città, che tu procuri.
Daremo eterno imperio, e i tuoi nipoti
Ergeremo a le stelle. Alto ricetto
Tu dunque e degno de Y altezza loro 280
Prepara intanto ; e i rischi e le fatiche
Nsn rifiutar di più lontano esiglio.
Cerca loro altro seggio; ergi altre mura
Vie più chiare di queste : che di Greta
Né curiam noi, nò lo ti dice Apollo. 285
Una parte d* Europa è , che da' Greci
Si disse Esperia, antica, bellicosa
E fertil terra. Da gli Enotrj colta
Prima Enotria nomossi: or, com'è fama,
Preso d' Italo il nome , Italia è detta. 290
Questa è la terra destinola a noi. i65
Quinci Dardano in prima e Jasio uscirò;
E Dardano è l' autor del sangue nostro.
Sorgi dunque e riporta al padre Anchiso
Quel ch'or noi ti diciam, che diciam vero: 295
E tu cerca di Gerito , e d' Ausonia
L' antiche terre: che da Giovo in Greta
LIBRO TERZO 85
Re.iniar ti s' interdice. Io di tal vista,
E rìi lai voci, ch'cran voci e corpi
De* nostri Dei, non simulacri e sogni, 300
(Clic Ilo vid' io le sacre bende e i volti
Spirami e vivi) attonito e cosperso *
Di j:clato sutlorc, in un momento
Salto dal letto; e con le mani al cielo
E con la voce supplicando, spargo 305
Di doni intemerati i santi fochi. 177
Riveriti i Penati, al padre Anchise
Lieto men vado , e del portento intera-
Mente il successo e V ordine gli espongo.
Incontanente riconobbe il doppio 310
Nostro legnaggio, e i due padri e i due tronchi
Di cui rami siam noi vette e rampolli;
E d'erra uscito: Ora io m*avveggio, disse,
Figlio, che segno sei delle fortune
E del Fato di Troja; e ciò rincontro 315
Che Cassandra dicea. Sola Cassandra
Lo previde e *1 predisse. Ella al mio sangue
Augurò questo regno; e questa Italia
E questa Esperia avea sovente in bocca.
Ma chi mai ne V Esperia avria creduto 320
Che regnassero i Teucri? E chi credea
In quel tempo a Cassandra? Ora, mio figlio,
Cediamo a Febo; e ciò che '1 Dio del vero
Ke dà per meglio , per miglior s* elegga.
Ciò disse, 0 i detti suoi tosto eseguimmo; 325
Ed ancor questa terra abbandonammo, i89
Se non se pochi. N' andavamo a vela
Con second!^ aura ; e già d'alto mirando,
Non più terra apparìa, ma cielo ed acqua
Vedevam solamente; quando oscuro 330
E denso e procelloso un nembo sopra
Mi stette al capo , onde tempesta e notte
No si fece repente e di più siti
Rapidi uscendo imperversaro i venti;
S' abbujò r aria ; abbaruffossi il mare ; 335
E gonfìaro altamente e mugghiar T onde.
n ciel fremendo , in tuoni , in lampi , in folgori
Si squarciò d' ogni parte. Il giorno notte
Fessi , e la netto abisso ; e 1' un da 1* altro
Non discernendo 'Palinuro stesso 34 '
De la via diffidossi e de la vita. %o%
Cosi tolti dal corso , e quinci 0 quindi
Per lo gran golfo dissipati e ciechi,
Da bujo e da caligine coverti.
88 ENEIDE
Tre Soli interi senza luce errammo; 345
Tre notti senza stelle. Il quarto giorno
"Vedemmo al fin (juasi dal mar risorta
La terra aprirne i monti e gittar fumo.
Cagi^on le vele ; e 1 remiganti a prova ,
DiDianche schiume il gran ceruleo golfo 350
Segnando, inverso i liti i legni affrettano.
\ Né prima fui di si gran rischio uscito ,
' Che giunto ne le Strofadi mi vidL
Strofadi grecamente nominate
Son certe isole in mezzo al gran Ionio , 355
Da la fera Celeno e da quell altre
Rapaci e lorde sue compagne Arpie
Fin da l'ora abitate , che per tema
Lasciar le prime mense , e di Fineo
Fu lor chiuso V albergo. Altro di queste 3G0
Più sozzo mostro , altra più dira peste 214
Da le tartaree grotte unqua non venne.
Sembran vergini a* volti ; uccelli e cagne
A r altre membra : hanno di ventre un fedo
Profluvio , ond' è la piuma intrisa ed irta : 365
Le man d' artigli armate ; il collo smunto ;
' La faccia per la fame e per la rabbia
Pallida sempre e raggrinzata e magra.
Tosto che qui sospinti in porto entrammo,
Ecco sparsi veggiam per la campagna 370
Senza custodi andar gran torme errando
Di cornuti e villosi armenti e greggi.
Smontiamo in terra ; e per far carne , prese
L'armi, a predare andiamo, e de la preda
Gli Dei chiamiamo e Giove stesso a parte. 275
Fatta la strage e già parati i cibi 223
E distese le mense, eravam lungo
Al curvo lito a ricrearne assisi ;
Quand' ecco che da' monti in un momento
Con dire voci e spaventoso rombo 380
Ne si fan sopra lo bramose Arpie :
E con gli urti e con T ali e con gli ugnoni ,
Col tetro , osceno , abbominevol puzzo
Ne sgominar le mcns(3 , ne rapirò ,
Ne infettar tutti e i cibi e i lochi e noi. 385
Era presso un ridotto , ove alta e cava
^^--^ r. Rupe a arbori chiusa e d' ombre intorno
^"'■■■0 Facea capace ed opportuno ostello.
Ivi ne rivincemmo , e ne le mense
Riposti i cibi e ne gli altari i fochi 390
4 convivar tornammo ; ed ecco un' altra
LIBRO TERZO 87
Volta cV uiV altra parto per occulto
E non previsto vie no si scovcrso
L'orribil torma; e con gli arlunchi artigli,
Co' fieri denti e con le bocche impuro 395
Ghermir la preda, e ne lasciar di novcf
Vote le mense e scompigliate e sozze.
Allor, via (dico a' mici) di guerra è d'uopo
Contra sì dira gente; e tutti a Tarme
Ed a battaglia mcito. E^ino in guisa 400
Ch' io li disposi , i ferri ignudi e V asto «»3
E gli scudi e le frombe e i corpi stessi
Infra V erba acquattaro ; il lor ritorno
Stero aspettando. Era Miseno in alto
A la veletta asceso; e non più tosto 405
Scoprir le vide, e schiamazzare udille,
Che col canoro suo cavo oricalco
Ne die cenno a* compagni. Uscir d* agguato
Tutti in un tempo, e nuova zulTa e strana ^%
Tentar contra i marini uccelli in vano : 410
Che le piume e le terga ad ogni colpo wo
Aveano impenetrabili e secure ;
Onde securamente al ciel rivolte
Se ne fuggirò , e ne lasciar la preda
Sgraffiata, smozzicata e lorda tutta. 415
Sola Geleno a V alta rupe in cima
Disdegnosa fcrmossi , e d* infortuni
Trista indovina infuriossi , e disse :
Dunque non basta averne , ardita razza
Di Laomedonl^, depredati e scorsi 420
Gli armenti e i campi nostri , che ancor guerra ,
Guerra ancor ne movete ? E le innocenti
Arpie scacciar del patrio regno osato?
Ma sentite , e nel cor vi riponete
Quel ch'io v'annunzio. Io son Furia suprema, 425
Che annunzio a voi quel che '1 gran Giove a Febo ,
E Febo a me predice. 11 vostro corso
È per r Italia ; e ne T Italia avrete
E porto e seggio. Ma di mura avanti,
La città che dal ciel vi si destina , 430
Non cingerete , che d' un tale oltrag^o
Castigo arcte; e dira fame a tanto
Vi condurrà , che fino anco le menso
Divorerete. E cosi detto , il volo
Riprese in ver la selva , e dileguossi. 435
Sgomentaronsi i miei , cadde lor V ira ; 858
E pricghi , invece d' armi , e voti oprando ,
Mercè chiesero e paco , o Dive o Dire
88 ENKIDT?
Che si fosser V alato ingorde belve :
E 1 padre Anchise in su la riva sporte 440
Al ciel le palme , e i gran celesti Numi
Umilmente invocando , indisse i sacri
A lor dovuti onori : O Dii possenti ,
0 Dii benigni , voi rendete vane
Queste minacce ; voi di caso tale 445
Ne liberate ; e voi giusti e voi buoni j«3
Siate pietosi a noi eh* empi non siamo.
Indi ratto comanda che dal lito
Si disciolgano i legni. Entriam nel marò,
Spieghiam le vele a gli austri , e via per V onde 450
Spumose a tutto corso in fuga andiamo
La 've *1 vento e '1 nocchier ne guida e spinge*
E già d' alto apparir veggiam le selve
Di Zacinto: passiam Dulichio e Samo:
Varchiam iS^rito alpcstro; e via fuggendo 455
E bestemmiando trapassiam gli scogli
D' Itaca , imperio di Laerte e nido
Del fraudolente Ulisse. Indi ne s' apre
n nimboso Leucàte , e quel , che tanto
A' naviganti è spaventoso , Apollo. 460
Ivi stanchi approdammo; ivi gittate
L' ancore , ed accostati i legni al lito ,
Ne la picciola sua cittade entrammo.
Grata vie più quanto sperata meno
Ne fu la terra ; onde purgati ergemmo 465
Altari e voti, ed ostie a Giove offrimmo. «78
E d'Azio in su la riva festeggiando
Ignudi ed unti , uscir de' miei compagni
1 più robusti, e com'è patria usanza,
"Varie palestre a lotteggiar si diero; 470
Gioiosi che per tanto mare e tanto
Greche terre inimiche a salvamento
Fosser tant' oltre addotti. Era de l' anno
Compito il giro , e i gelidi aquiloni
Infestavano il mare: ond'io lo scudo 475
Che di forbito e concavo metallo ts^
Fu già del grande Abanto insegna e spoglia,
Con un tal motto in su le porte appesi:
A' GRECI VINCITORI ENEA LEVÒLLO,
ED A TE'L SACRA, APOLLO. Indi al mar giunti 480
Ne rimbarcammo : e remigando a gara
Fummo in un tempo de' Feaci a vista,
E gli varcammo : poi rivolti a destra ,
Costeggiammo 1* Epiro , e di Gaonia
Giungemmo al porto, ed in Butroto entrammo. 485
Mimo Tnnzo 89
Qui cosa udii, che meraviglia e gioja
Mi porse insieme ; e fu , eh' Eleno , Aglio
Di Priamo re nostro, era a quel re^no
Di greche terre assunto, e cne di Puro
E del suo scettro o del suo letto erede 490
Trojano sposo a la trojana Andromache
S' era congiunto. Arsi d* immenso amoro
Di visitarlo, e di spiar da lui
Come ciò fosse; e de l'armata uscendo
Scesi nel lito , e me n' andai con pochi 495
A ritrovarlo. Era quel giorno a sorte
Andromache regina in su la riva
Del novo Simoénta a far solenne
Sepolcral sacriiìcio ; e come è rito
De la naia patria, avea fra due grandmare 500
Di verdi cespi una gran tomha eretta , 3(fc
Monumentò di lagrime e di duolo;
Ove con tristi doni e con lugubri
Voci del grand' Etlòr 1' anima e '1 nome
Chiamando, il fìnto suo corpo onorava, 505
Poiché venir mi vide , e che di Troja
Avvisò l'armi, e me conobbe, un mostro
Veder le parve , e forsennata e stupida
Permessi in prima : indi gelata e smorta
Disvenne e cadde ; e dopo molto appena 510
Risensando , mirommi , e così disse :
Oh! sei tu vero, o pur mi sembri Enea?
)i corpo od ombra ? Se da' morti udito
1 mio richiamo, Ettòr perchè te manda?
Perchè teco non viene ? E sei tu certo 515
Nunzio di lui ? Ciò detto , lagrimando, ai«
Empia di strida e di lamenti i campi.
Io di pietà e di duol confuso , appena
In poche voci, e quelle anco interrotte,
Snodai la lingua, io vivo , se pur vita 520
E menar giorni sì gravosi e duri:
Ma cosi spiro ancora, e veramente
Son io quel che ti sembro. 0 da qual grado
Scaduta , e da quanto inclito marito !
Andromache d' Ettòr a Pirro, a Pirro 525
Fosti congiunta? Or qual altra più lieta
r incontra , e più di te degna fortuna ?
Abbassò '1 volto, e con sommessa voce
Cosi risposo : 0 fortunata lei
Sovr'ogni donna, che re^na e vergine 530
Ne la sua patria a sacriiìcio offerta
Del nimico fu vittima e non preda,
90 BNEIDB
CMnA^K*tij
Né del suo vincitor serva, ne donna!
Io dopo Troja incensa, e dopo tanti
E tanti arati mari, a servir nata , 535
De la stirpe d' Achille il giogo e '1 fasto ,
E '1 superbo suo figlio a sollVir ebbi.
Questi poi con Ermione conjjiunto,
E lei , che de la razza era di Leda
E del sangue di Sparta , a me preposta , 540
Volle , eh' Eleno ed io , servi ambidue , 3«8
N' accoppiassimo insieme. Oreste intanto ,
Che tòr V amata sua donna si vide ,
^^tr^rw*^'**^' Da l'amore infiammato e da le faci
De le furie materne, anzi a gli altari 545
Del padre Achille, insidiosamente
Tolse la vita a lui. Per la sua morte
Fu '1 suo regno diviso ; e questa parte
De la Gaonia ad Eleno ricadde,
Che dal nome di Gàone trojano 550
Cosi l'ha detta, come disse ancora 335
Dio da r Ilio nostro questa rocca
Che qui su vedi; e Simoénta e Pergamo
Queste picciolo mura e auesto rivo.
Ma te quai venti , 0 qua! nostra ventura 555
Ha qui condotto, fuor d'ogni pensiero
Di noi certo , e tuo forse ? Ascanio nostro
Vive? cresce? che fa? come ha sentito
La morte di Greiisa? E qual presagio
Ne dà, ch'Enea suo padre, Ettor suo zio 560
Si rinnovino in lui ? Cotali Andromache
Spargea pianti e parole; ed ecco intanto
D teucro eroe che de la terra uscendo
Con molti intorno a rincontrar ne venne.
Tosto che n' adocchiò , meravigliando 505
Ne conobbe , n' accolse , e lietamente
Seco n'addusse, de' comuni affanni
Molto con me, mentre andavamo, anch' egli
Ragionando e piangendo. Entrammo al fine
Ne la picciola Troja, e con diletto 570
Un arido ruscello, un cerchio angusto
Sentii con finti e rinnovati nomi
Chiamar Pergamo e Xanto; e de la Scea
Porta entrando abbracciai 1' amata soglia
Così fecero i miei, meco godendo 575
L' amica terra , come propria e vera 352
Fosse lor patria. Il re le sale e i portici
Di mense empiendo , fé' lor cibi e vini
Da' regj servi realmente esporre
^
LIBRO TERZO 91
Con vaselli d' argento e coppe d* oro. 58o
Passato il primo giorno e T altro appresso ,
Soffiar prosperi i venti : ond' io commiato
A l'indovino re chiedendo, seco
Mi ristrinsi e gli dissi : Inclito sire ,
Cui non son de gli Dei le menti occulte, 585
Che Febo spiri e '1 tripode e gli allori 359
Del suo tempio dispensi, e de le stelle
E de' volanti ogni secreto intendi;
Danne certo, ti priego, indicio e lume
De le nostre venture. Il nostro corso, 690
Com' ogni augurio accenna , ed ogni Niune
Ne persuade , è per Italia ; e lieto
E fortunato ancor ne si promette
Infine a qui. Sola Geleno Arpia
Novi e tristi infortunj e fame ed ira 595
De gli Dei ne minaccia. Io da te chieggio
Avvertenze e ricordi, onde sia saggio
A tai perigli, e forte a tanti affanni.
Qui pria solennemente Eleno, uccisi
I dovuti giovenchi, in atto umile 600
Impetrò da gii Dei favore e pace ;
Poscia , raccolto in se , le bende sciolse
Del sacro capo ; e me , cosi com' era
A tanto officio attonito e sospeso,
Per man prendendo a la febea spelonca 605
M' addusse avanti , e con divina voce
Intonando proruppe: O de la Dea
Predato figlio ( quando a gran fortuna
E cniaro in prima che '1 tuo corso è volto ;
Tal è del ciel , de' Fati e di colui 610
Che li regge , il voler , 1* ordine e 'I moto ) , 37»
Io di molte e ^an cose che antiveggo
Del tuo peregrinaggio , acciò più franco
Navighi i nostri mari, e'I porto ausonio,
Quando che sia, securamente attinga, 615
Poche ne ti dirò; che a te le Parche
Vietan che più ne sappi; ed a me Giuno,
Ch' io più te ne riveli. In prima il porto,
E r Italia che cerchi , e si vicina
Ti sembra , è da tal via, da tanti intrichi 620
Scevra da te , ch'anzi che tu v' aggiunga, 388
Ti parrà malagevole e lontana
Più che non credi; e ti fia d' uopo avanti
Stancar più volte i remiganti e 1 remi,
E 1 mar de la Sicilia e '1 mar Tirreno , 025
£ i laghi inferni e r isola di Circo
\
92
ENEIDB
•« . •■ aar I
Cercar ti converrà , pria che vi fondi
Securo seggio. Io di ciò chiari segni
Darotti, e tu ne fa nota e conserva.
Quando più stanco e travagliato a riva
Sarai d*un fiume, u' sotto un'elee accolta
Sarà candida troja, ed ara trenta
Candidi figli a le sue poppe intorno;
AUor di' : Questo è il segno e *1 tempo e *1 loco
Da fermar la mia sede , e questo è '1 fine
De' miei travagli. Or che V ingorda fame
Addur ti deggia a trangugiar le mense ,
Comunque avvenga, i Fati a ciò daranno
Opportuno compenso ; e questo Apollo
Invocato da voi presto saravvi.
Queste terre d' Italia e questa riva 895
Ver noi volta e vicina a i liti nostri
É tutta da' nemici e da' malvagi
Greci abitata e colta; e però lungo
Fuggi da loro. I Locri (h Narizia
Qui si posare ; e qui no' Salentini
I suoi Cretesi Idomenòo condusse.
Qui Filottete il Melibòo campione
La piccioletta sua Petilia eresse.
Fuggili dico; e quando anco varcato
Sarai di là ne 1' alto lite , intento
A sciorre i voti, di purpureo ammanto
Ti vela il capo; acciò tra i santi fochi
Mentre i tum Numi adori, ostile aspetto
Te co' tuoi sacrifici non conturbi.
E questo rito poi sia castamente 40d
Da te servato e da' nepoti tuoi.
Quinci partito, allor che da vicino
Scorgerai la Sicilia, e di Pelerò
Ti si discovrirà V angusta foce ,
Tienti a sinistra;, e del sinistro mare
Solca pur via quanto a di lungo intorno
Gira r Isola tutta , e da la, destra
Fuggi la terra e l' onde. E fama antica
Che questi or due tra lor disgiunti lochi
Erano in prima un solo , che per forza
Di tempo, di tempeste e di rumo
(Tanto a cangiar queste terrene cose
Può de' secoli il corso ) un dismembrato
Fu poi da r altro. 11 mar fra mezzo entrando
Tanto urtò , tanto rose , che l' Esperio
Dal Sicolo terreno al iìn divis(3 :
E i campi e le città, che in su le rivo
630
635
640
645
650
655
660
665
670
-i
LIBRO TERZO 03
Uostaro, angusto freto or bagna o sparte.
Nel destro lato è Scilla; nel sinistro 675
È r ingorda Gariddi. Una vorago 4So
D'un gran baratro è questa, che tre volte
I vasti flutti rigirando assorbe ,
E tre volte a vicenda li ributta
Con immenso boiler fino alle stelle. 680
Scilla dentro a le sue bujo caverne
Stassene insidiando ; e con le bocche
De' suoi mostri voraci , che distese
Tien mai sempre ed aperte , i naviganti
Entro al suo speco a se tra^ge e trangugia* 685
Dal mezzo in su la faccia , il collo e '1 petto
Ha di donna e di vergine ; il restante ,
D'una pistrice immane che simili
A' delfini ha le code , a i lupi il ventre.
Meglio è con lungo indugio e lunga volta 690
Girar Pachino e la Trinacria tutta ,
Che j non eh' altro , veder queir antro orrendo ,
Sentir quegli urli spaventosi e fieri
Di (Tuei cerulei suoi rabbiosi cani.
Oltre a ciò , se prudenti , se fedeli 695
Sembrar ti può che sian d'Elcno i detti, 43S
E se scarso non m' ò del vero Apollo ;
Sovr' a tutto io t' accenno , ti predico ,
Ti ripeto più volte e ti rammento ,
La gran Giunone invoca ; a Giunon voti 700
E preghi e doni e sacrifìci offrisci
Devotamente : che , lei vinta , al fine
Terrai d' Italia il desiato lite.
Giunto in Italia, allor che ne la spiaggia
Sarai di Cuma , il sacro Arcrno lago 705
Visita , e quelle solve e quella rupe , ^
Ove la vecchia vergine Sibilla
Profetizza il futuro , e 'n su le foglio
Ripone i Fati : in su le foglie , dico ,
Scrive ciò che prevede , e ne la grotta 710
Distese ed ordinate , ove sian lette ,
In disparte lo lascia. Elle serbando
L' ordine e i versi , ad uopo de' mortali
Parlan de 1' avvenire ; e quando , aprendo
Talor la porta , il vento le disturba , 715
E van per 1' antro a volo , ella non prende 448
Più di ricorle e d' accozzarle aff*anno :
Onde molti delusi e sconsigliati
Toman sovente , e mal di lei s' appagano.
Tu per soverchio che ti sembri indugio , 720
04 ENEIDK
Per richiamo de' venti , o de* compagni.
Non lasciar di vederla , e d' impetrarne
Grazia , che di sua hocca ti risponda ,
E non con Irondi. Ella daratti avviso
D' Italia , de le guerre e de le genti 725
Che ti lìan contra; e mostreratti il modo 458
Di l'uggir, di sollrir, d'espugnar tutto
Le tue fortune , e di condurti in porto.
Questo è quel che nf occorre , o che mi lice
Ch' io ti ricordi. Or vanne, e co' tuoi gesti 730
Te porta e i tuoi con la gran Troja al ciclo.
Poscia che ciò come profeta disse ,
Comandò come amico, che a le navi
Gli portassero i doni, opre e lavori
Che avea d' oro e d' avorio apparecchiati , 735
E gran masse d' argento e gran vaselli
Di dodonèo metallo: una lorica
Di forbite azzimine, e rinterzatc
Maglie , dentro d' acciaro, e'ntorno d'oro;
Una targa, un cimiero, una celata, 740
Ond' era a pompa ed a difesa armato
Neottolemo altero. 11 vecchio Anchiso
Ebbe anch' egli i suoi doni ; ebber poi tutti
Cavalli e guide; e fu di remi e d'armi
Ciascun legno provvisto : e perchè '1 vento 745
Che secondo feria , non punto indarno
Sj)irasse , ordine avea di scior le velo
Già dato Anchise, a cui con molto onoro
Si fece Kleno avanti , e cosi disse :
0 b(»n degno, a cui fosse amica e sposa 750
La gran madre d'Amore ; o de' Celesti 475
Sovrana cura , che a 1' eccidio avanzi
Già due volte di Troja, eccoti a vista
Giunto d'Italia. A questa il coi-so indrizza;
Ma fa meslier di volte^^giarla ancora 755
Con lungo {firo; poiché hmge assai
K la parte ai lei che Apollo accemia.
Or lieto te ne va , padre felice
Di sì pietoso lìglio. Io, già che l'aura
Si vi spira propizia, indarno a bada 760
Più non terrovvi. Indi la mi»sta Andromacho 4Si
Fece con tutti , e con Ascanio al fine
La suprema [jartenza. Arnesi d'oro
Guarniti e ricamati, e drappi e giubbe
Di mon^sco lavoro, ed altri «legni 705
Di lui vestili e fregi , e ricca e larga
0)[)\'d di l.ii.uicherie donògli , e disse:
ì
Lir,?.o Tr.nzo 05
Prendi figlio da me quest' opre uscito
Da le mie mani, e per memoria lienle
Del grande e lungo amor che sempre avratti 770
Andromache d* Ettorre ; ultimi doni
Che ricevi da' tuoi. Tu mi sei, lìglio,
Quell'unico sembiante che mi resta
D' Astlanatte mio. Cosi la bocca.
Cosi le man, cosi gli occhi movea 775
Quel mio figlio infelice ; e d' anni eguale
A te, del pari or saria teco in fiore.
Ed io da loro , anzi da me partendo ,
Con le lagrime agli occhi al fin soggiunsi :
Vivete lieti voi, cui già la sorte 780
Vostra è compita: noi di fato in fato, 493
Di mare in mar tapini andrem cercando
Quei che voi possedete. A noi V Italia
Tanto ognor se ne va più lungo, quanto
Più la sediamo ; e voi già la sembianza 785
D' Ilio e di Troja in pace vi godete ,
Regno e fattura vostra. Ah ! che de V altra
Sia sempre e più felice e meno esposta
A le forze de' Oreci. Io s' unqua il Tebro
Vedrò, se fia giammai che ne* suoi campi 790
Sorgan le mura destinate a noi;
Come la nostra Esperia e '1 vostro Epiro
Si son vicini, e come ambe le terre
Fien vicine e colmate, ed ambe avraimo
Dardano per autore, e per fortuna 795
Un caso stesso ; così d' ambedue
Mi proporrò che d* animi e d' amore 603
Siamo una Troja: e ciò perpetua cura
Sia de* nostri nipoti. Entrati in mare
Ne spingemmo oltre a gli Gerauni monti 800
A Butroto vicini, onde a le spiagge
Si fa d' Italia il più breve tragitto.
Già declinava il sole , e crescean V ombre
De' monti opachi; quando a terra volti
Col desire , e co' remi in su la riva 805
Pur n'adducemmo, e procul'ammo a' corpi
Cibo, riposo e sonno. Ancor la notte
Non era al mezzo, che del suo stramazzo
Surse il buon Palinuro ; e poscia eh' ebbe
Con gli orecchi spiati il vento e *1 mare , 810
Mirò le stelle, contemplò l'Arturo,
L' ladi piovose , i gemini Trioni ,
Ed Orione armato ; e , visto il cielo
Sereno e*l mar sicui^o, in su la poppa
or, i: ni: 'DI'.
Il(MV)ssi, (^'l S(';;iio (Ucnno. Tnimniitinento 8151
Movoiiirno il campo, e quasi in un baleno 519
Giunti e posti nel mar, vola facemmo.
Avca r Aurora j;ià vormiglia e rancia
Scoloi'ile le stelle, allor che lungo
Scoprimmo, e non ben chiari, i monti in prima, 820
Poscia i liti d' Italia. Italia Acato
Gridò primieramente: Italia, Italia
Da ciascun legno ritornando alle^^ri
Tutti la salutammo. Allora Anchiso
Con una inghirlandata o piena tazza 825
In su la poppa alteramente assiso,
O del pelago, disse, e de la terra,
E de le tempesLà numi possenti,
Sfnrate aure seconde, e ver l'Ausonia
De' nostri legni agevolate il corso. 890
Rinforzaronsi i venti; apparve il porto sto
Più da vicino; apparve al monte in cima
Di Pallade il delubro. Allor le velo
Ca[ammo, e con le prore a terra demmo.
É di ver r Oriente un curvo seno . 835
In guisa d' arco, a cui di corda in vece
Sta d' un lungo macigno un dorso avanti ,
Ove spumoso il mar percuote e frange.
Ke'suoi corni ha (hie scogli, anzi due torri,
Che con due braccia il mar dentro accogliendo, 840
Lo fa porto e l'asconde; e sovra al porto
Lunge dal lito è'I tempio. Ivi smontati,
// Quattro destrier vie più che neve lùanchiy.^.
' Che pascevano il campo, al primo incontro
Per nostro augurio avemmo. Oh! disse Anchise 845
lUierra ne si minaccia; a guerra additti
Sono i cavalli; o pur sono anco al carro
Talvolta aggiunti, e van del pari a giogo:
Guerra lìa (hnique in prima, e pace dopo.
Quinci devoli venerammo il nume 850
De l'armigiu-a Palla, a cui giojosi 544
Prima il corso indrizzammo. In su la riva
Altari ergemmo; e noi d'intorno, come
Eleno ci ammoni, le teste avvolte
Di frigio ammanto a la gran Giuno argiva 855
l*r(\L:hiere o doni e sacriiizj offrimmo.
Poiché sol«Mmemente i prieghi e i voti
Furon compili, al mar ne rafiducemmo
Immantinente; e rivolgendo i corni
]>e l'.' velale antenna, il .^tcco ospizio 860
£ '1 sospjll j piiese abbjin '.o.uimnio.
LIBRO TEK70 - 97
E prima il tarentino erculeo seno
(Se la sua fama è vera) a vista avemmo.
Poscia a rincontro di Lacinia il tempio,
La rocca di Gaulone e*l Scillacèo, 865
Onde i navilj a ai gran rischio vanno. ssa
iDdi ne la Trinacria al mar discosto
D*Etna il monte vedemmo e lungo udimmo
n fremito, il muggito, 1 tuoni orrendi
• Che facean ne' suoi liti e 'ritorno a' sassi 870
E dentro a le caverne i flutti e 1 fuochi ,
Al ciel ruttando insieme il mare e *1 monte
Fiamme, fumo, faville, arene e. schiuma.
Qui disse il vecchio Anchise: E forse questa
Suella Gariddi? Questi scogli certo, 875
questi sassi orrendi Eleno dianzi *
Ne profetava. Via compagni a' remi
Tatti in un tempo, e vincitori usciamo
D'un tal x>eriglio. Palinuro il primo
Rivolse la sua vela e la sua proda 880
Al manco lato : e ciò ^li altri seguendo,
Con le sarte e co* remi in un momento
Ne gittammo a sinistra : e '1 mar sorgendo ,
Prima al ciel ne sospinse ; indi calando ,
Ne r abisso ne trasse. In ciò tre volte 885
Mugghiar sentimmo i cavernosi scogli, m%
E tre volte rivolti in ver le stelle
D'umidi sprazzi e di salata* schiuma
n ciel vedemmo rugiadoso e molle.
Eravam lassi; e T vento e'I sole insieme 890
Ne mancar si, che del viaggio incerti
Disavvedutamente a le contrade
De* Ciclopi approdammo. É per se stesso
A* venti inaccessibile e capace
Di molti legni il porto , ove sorgemmo; 895
Ma si d* Etna vicino, che i suoi tuoni
E le sue spaventevoli mine
Lo tempestano ognora. Esce talvolta
Da questo monte a V aura un' atra nube
Mista di nero fumo e di roventi 900
Faville, che di cenere e di pece S78
Fan turbi e groppi, ed ondegiriando a scosse
Vibrano ad ora ad or lucide fiamme
Che van lambendo a scolorir le stelle:
E talvolta, le sue viscere stesse 905
Da se divelto, immani sassi e scogli
Liquefatti e combusti al ciel vomendo
In im dal fondo romoreggia e bolle.
. • f
100 ENEIDE
Gli trivellammo, venflicanlo al Ano
Gol tor la luco a lui T ombre de' nostri.
Ma voi che fato qui ? che non fuggito , 1005
Miseri voi? Fuggite, e senza indugio «89
Tagliate il fune e v' allargate in mare ;
Che cosi smisurati e cosi fieri,
Com'è costui che Polifcmo è detto,
Ne son.via più di cento in questo lito, 1010
Tutti Ciclopi, e tutti antropofagi
Che vanno il di per questi monti errando.
Già visto ho la cornuta e scema luna
Tornar tre volte luminosa e tonda,
Da che son qui tra selve e tra burroni 1015
Con le fere vivendo. Entro una rupe
È'I mio ricetto; e quindi benché lungo
Gli miri, ad or ad or d' avergl' intorno
Mi sembra, e'I suon n' abborro e'I calpestio
De la voce e de' piò. Pascomi d'Srbe, 1020
Di coccole e di more e di corgnali,
E di tali altri cibi acerbi e fieri :
Vita e vitto infelice. In questo tempo,
Quanto ho scoperto intorno, unqua non vidi
Gh' altro legno giammai qui capitasse, 1025
Salvo che i vostri. A voi dunque del tutto 65»
Af addico: e che che sia, parammi assai
Fuggir questa nefanda e flira gente.
Voi, pria che qui lasciarmi, ogni supplicio
Mi date ed ogni morte. Appena il Greco 1030
Avea ciò detto, ed ecco in su la vetta
Del monte avverso, Poliremo apparve.
Sembrato mi sarebbe un altro monte,
A cui la gregge sua pasccsse intorno ;
Se non che si movea con essa insieme , 1035
E torreggiando inverso la marina
P(5r r usato sentier se ne calava :
Mostro orrendo, difforme e smisurato,
Che avea come una grotta oscura in fronte
In vece d' occhio , e per bastone un pino , 1040
Onde i passi fermava. Avea d' intorno «59
La greggia a' pie li , e la sampogna al collo ,
OuoTla il suo amore, e questa il suo trastullo,
Ond'orbo<illeggeriva il duolo in parte.
Giunto a la riva entrò ne l'onde a gu?nzo: 1045
E pria de l' occhio la sanguigna cispa
Lavossi , ad or ad or per ira i denti
DiOTgnando e fremenao ; indi si stese
Por entro '1 mare , e nel più basso fondo
LIBRO TERZO lOl
V
Fu pria co' pie , che non ftir V onde a Y anche. 1050
Noi per paura (ricevuto in prima,
Come Ben meritò , l' ospite greco)
Di fuggir n' affirettammo ; e chetamente
Sciolte le ftmi a remigar ne demmo
Più che di fùria. Udì 1 Giclopo il suono 1055
E'I tramhusto de' remi; e volti i passi
Ver quella parte e '1 suo gran pino a cerco
Poiché lun^ sentinne , e lungamente
Pensò segmrne per l'Ionio in vano,
Trasse un mugghio, che'l maro e i liti intorno 1060
Ne tremar tutti; ne senti spavento «tjb
Fino a ritalia; ne tonaron quanti
La Sicania avea seni, Etna caverne.
L' udir gli altri Ciclopi , e da le selve
E da' monti calando , in un momento 1065
Corsero al porto, e se n' empierò i litL
Gli vedevam da lunge in su l'arena ,
Quantunque indarno, minacciosi e torvi
Stender le braccia a noi , le teste al cielo ,
Concilio orrendo : che ristretti insieme 1070
Erano quai di querce annose a Giove ,
Di cipressi coniferi a Diana .
S' ergono i boschi alteramente a Y aura.
Fero timor n' assalse ; e da l' un canto
Pensammo di lasciar che '1 vento stesso 1075
Ne portasse a seconda ovunque fosse, 683
Purché lunge da loro ; ma da l' altro ,
D' Eleno cel vietava il detto espresso ,
Che per mezzo di Scilla e di Cariddi
Passar non si dovesse a si ^ran rischio, 1080
E di si poco spazio e quinci e quindi
Scevri dfa morte. In questa che già fermi
Eravam di voltar le vele a dietro ,
Ecco che da lo stretto di Peloro ,
Ne vien Borea a grand' uopo , onde repente 1085
A la sassosa foce di Pantagia , '
Al Megarico seno, a i bassi liti
Ne trovammo di Tapso. In cotal guisa
Riferiva Achemenide , compagno
Che 8* è detto d' Ulisse, esser nomati • 10
Quei lochi , onde pria seco era passato.
Giace de la Sicania al ^olfo avanti
Un* isoletta che a Plemmirio ondoso
E posta incontro , e dagli antichi è detta
Per nome Ortigia. A quest' isola ò fama , 1
Che per vie sotto il mare il greco Alfeo 004
0 -v
V j
102 ENEIDE
Vieri, da Doride intatto, infìn d'Arcadia
Per bocca d' Aretusa a mescolarsi
Con r onde di Sicilia. E (jiii del loco
Venerammo i gran Numi; indi varcammo liOO
Del paludoso Eloro i campi opimi ;
Rademmo di Pachino i sassi alpestri;
Scoprimmo Gamarina , e '1 fato udimmo ,
Che mal per lei fora il suo stagno asciutto.
La pianura passammo de' Geloi, 1105
Di cui Gela e la terra , e Gela il fiume.
Molto da lunge il gran monte Agragante
Vedemmo, e le sue torri e le sue spiagge
Che di razze fur già madri famose.
Col vento stesso in dietro ne lasciammo 11 10
La palmosa Seline; e 'n su la punta 705
Giunti di Lilibèo, tosto girammo
Le sue cieche seccagne , e *1 porto al fine
Del mal veduto Dnepano afferrammo.
Qui, lasso me! da tanti affanni oppresso , 1115
A tanti esposto, il mio diletto padre.
Il mio paare perdei. Qui stanco e mesto.
Padre, m' abhandonasti: e pur tu solo
M'eri in tante gravose mie fortune
Quanto avea di conforto e di sosterò. 1120
Oimè ! che indarno da sì gran perigli
Salvo ne ti rendesti. Ah , che fra tanti
Orrendi e miserabili infortunj,
Ch'Eleno ci predisse e Temnia Arpia,
Questo non era già, ch'era u maggiore! Ii25
Oh fosse cruesto ancor l'ultimo affanno,
Com'è l'ultimo corso! Che partendo
Da Dimenano , se ben fera tempesta
Qui m' na gittate, certo amico Nume
M'ha, beniicna regina, a voi condotto. 1130
Cosi da lutti con silenzio udito,
Poich' ebbe Knoa distesamente esposto
La mina di 'i'roj/i e i rischi e i fati
E gli crror suoi, fece qui fine e tacque. ii34
71d
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FINB DEL LIBRO TERZO.
<•
•• * •».
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LIBRO QUARTO
>H
a O M £ N T O
Dldone accesa d*amore per Enea, scopre la sua passione alla sorella
Inna, e seguendo il consiglio di lei volge ranimo aUTdoa delle uozze, I-8tf.
lUora Giunone per potere più agevolmente allontanare Enea dall* Italia,
trutta con Venere perchè anch'essa consenta a queste nozze ^ ed a lei stessa
commette di trovarne il modo e Topportunità. 90-128. La dimane Enea con
Dldone usciti ad una gran caccia sono sorpresi da un turbine mandato da^
Giunone : onde la numerosa comitiva è dispersji, ed Enea con sola Didone^
ripara ad una caverna; quivi seguono le infauste nozze, 129-172. Jarba
re de* Oetuli, alla notizia che gli reca la fuma di questo amore, niul sop-
Sortando di vedersi da Didone posposto ad un forestiero, ne chit^de ven-
etta a Giove* il quale, spedito ad Enea Mercurio, gì* ingiunge di abban-
donar subito rAffiica e navigare verso Tltaliu, 173-2t8. Al cenno di Giovo,
Enea dà ordine che di nascosto si mettano in punto le navi, 279-295. M:i
Mdone insospettita di questi apparecchi ne muove gravi querele ad KiKfa,
e pregando e piang*'ndo si studia di stornarlo da* suoi propositi ; quindi
una gran pira, Ange di voler c<*lebrare certe cerimonie magiche p^n* libf»-
rar*i di queiramore, 474-521. il quale invece, diventando furore, la fa darò
in i smanie, 522-563. Intanto Enea, nuovamente avvisato in sogno da Mer-
curio, entra in mare, 553-583. IHdone. la mattina vedendo i TroiaxugiA in ulto,
impreca ogni male ad Enea, consacnindolo alle furie, 584-629; posciu per al-
lontanare da sé anche Burce, la nutrice del i>rimo suo marito Ficlu'O. la
manda con un pretesta dulia -iiorella, e in quel mezzo si dà la morte, 0U0-70Ù.
Ma la restia d' amoroso strale
Già punta. li core , e ne le vene accesa
D' occulto foco , intanto arde e si sl'ace ;
E de r amato Enea fra se volgendo
n legnaggio , il valore , il senno , V opre , 5
E quel , che più le sta ne V alma impresso ,
Soave ragionar, dolce sembiante,
Tutta notte no pensa e mai non dorme.
Sorgea V Aurora, quando surse anch'olla.
Cui le piume parean già stecchi e spini j
E con la sua diletta e llda suora
Si ristrinse e le disse : Anna sorella ,
Che vigilie, che sogni, che spaventi
Son questi miei ? che peregrino è questo
Che qui novellameute e capitato ? i5
10
104 ENEIDE
\
Vedestù mai si grazioso aspetto ?
Conoscesti ungua il più saggio, il più forte,
E '1 più guerriero ? Io credo ( e non è vana
La mia credenza ) che dal ciel discenda
Veracemente. L' alterezza è segno 20
D* animi generosi E che fortune , i3
E che guerre ne conta ! Io , se non fusse
Che fermo e stabilito ho nel cor mio
Che nodo maritai più non mi stringa ,
Poiché '1 primo si ruppe , e se d' ognuna 25
Schiva non fossi , solamente a lui
Forse m' inchinerei Che a dirti '1 vero ,
Anna mia, da che morte e V empio frate
Mi privar di Sichèo, sol questi ha mosso
I miei sensi e '1 mio core , e solo in lui 30
Conosco i segni de V antica &ammii.
Ma la terra m' ingoj , e *1 ciel mi fùlmini ,
E ne r abisso mi trabocchi in prima
Ch' io ti violi mai , pudico amore.
Col mio Sichèo , con chi pria mi giungesti , 35
Giungimi sempre , e 'ntemerata e puro
Entro al sepolcro suo seco ti serba.
E qui piangendo e sospirando tacque. *
Anna rispose : O più de la mia vita
Stessa , amata sorella, adunque sola 40
Vuoi tu vedova sempre e sconsolata
Passar questi tuoi verdi e florid' anni ,
Che frutto non ne colga , e mai non gusti
La dolcezza di Venere e '1 contento
De' cari fl^li ? Una gran cura certo 45
Han di ciò V ombre e '1 cener de' sepoltL t4
Abbiti insino a aui fatto rifiuto
E del getulo Jarba e di tant' altri
Possenti , generosi e ricchi duci
Peni e Fenicj ; eh' io di ciò ti scuso, 50
Com'allor dolorosa, e non amante.
Ma poich' ami , ad amor sarai rubella,
E ritrosa a te stessa? Ah! non sowienti
Qual cinga il tuo reame assedio intorno t
Com' ha gì' insuperabili Getuli 55
Da r una parte , i Numidi da l' altra , 4i
Fera gente e sfrenata ? indi le secche.
Quinci i deserti, e più da lungo infesti
I feroci Barcei ? Taccio le guerre
Che già sorgon di Tiro; e le minacce W
Del nero tuo fratello. Io penso certo
Che la sn'W Giuno , e tutto '1 ciel benigno
LIBRO QUARTO 105
Ne si mostrasse allor che a' nostri liti
Questi legni approdaro. O qual cittade ,
Qual imperio ila questo ! Qiianto onore, 65
Quanto prò, quanta gloria a questo regno
Ne verrà, quando ei teco, e Y armi sue
Saran giunte a le nostre! Or via, sorella,
Porgi preci a gli Dei, fa vezzi a lui,
Assecuralo, onoralo, intrattienlo : 70
Chè'l crudo verno, il tempestoso mare,
n piovoso Orione, i venti, il cielo.
Le sconquassate navi in ciò ne danno
Mille scuse di mora e di ritegno.
Con questo dir , che fu qual' aura al foco , 75
Ond' era il cor de la regina acceso , m
L' infiammò , Y incitò , speme le diede ,
E vergogna le tolse. Anaaro in prima
A visitare i tempj , a chieder pace
E favor da' Celesti , a porger doni, 80
A far d'elette pecorelle offerta
A Cerere , ad Apollo , al padre Bacco ,
E pria che a tutti gli altri a la gran Giunp^
Cui son le nozze e i maritaggi a cura.
La re^na ella stessa ornata e hella 85
Tien a' oro un nappo , e fra le corna il versa
D' una candida vacca : o si ravvolge
Intorno a' pingui altari , ed ogni giorno
Rinova i doni , e de le aperte vittime
Le palpitanti fibre , i vivi moti , SO
E le spiranti viscere contempla,
E con lor si consiglia. O menti sciocche
De gì' indovini ! E che ponno i delubri ,
E i voti , esterni ajuti , a mal eh' è dentro ?
Nel cuor, ne le midolle e ne le vene ^5
E la piaga e la fiamma , ond' arde e pere. ««
Arde Dido infelice , e furiosa
Per tutta la città s' aggira e smania :
Qual ne' boschi di Creta incauta cerva
D' insidioso arcier fugge lo strale
Che l'ha già colta; e sec^, ovuncpe vada, iOO
Lo porta al fianco infisso. Or a diporta
Va con Enea per la città mostrando
Le fabbriche, i disegni e le ricchezze
Del suo novo reame ; or desiosa 105
Di scoprirgli il suo duol prende consiglio :
Poi non osa , o s' arresta. E quando il giorno
Va dechinando , a convivar ritorna ,
E di nuovo a spiar de gli accidenti
106 BNEIDB
E de' fati di Troja, e nuovamente 110
Pende dal volto del facondo amante.
Tolti da mensa, allor che notte oscura
In disparte li traggo , e che le stelle
Sonno , dal elei ca ggendo , a gli occhi infondono ;
Dolente, in solitudine ridotta, 115
Ritirata da gli altri, è sol con lui 82
Che le sta lun«je, e lui sol vede e sente.
Talvolta Ascanio il pargoletto figlio
Per sembianza del padre in grembo accolto.
Tenta, se cosi può , 1* ardente amore 120
0 spegnere, o scemare, o farli inganno.
Le torri, i tempj, ogni edifìcio intanto
Cessa di sormontar ; cessa da V arme
La gioventù. Le porte, il porto, il molo
Non sorgon più : dismosse od interrotto 125
Pendon r opere tutte e la gran macchina ss
jl Che fea dianzi ira a' monti e scorno al cielo.
Vide da Y alto la saturnia Giuno
n furor di Didone , e tal che fama
E ^spetto d'onor più non V alfrena : 130
Onde Venere assalse , e 'n cotal guisa
Disdegnosa le disse : Una gran loda
Certo , un gran morto , un memorabil nome
Tu col fanciullo tuo , Ciprigna , acquisti
D' aver due si gran Dii vinta una femmina. 135
10 so ben che guardinga e sospettosa
Di me ti rende e de la mia Cartago
11 temer di tuo Aglio. Ma fla mai
Che q[uesta tema e ouesta gelosia
Si finisca tra noi ? Cnè non più tosto 140
Con una etema pace e con un saldo
Nodo di maritaggio unitamente
Ne ristringemo? Ecco hai già vinto; e vedi
Quel che più desiavi. Ama, arde, infuria;
Con ogni affetto ò verso Enea tuo figlio 145
La mia Dido rivolta. Or lui si prenda;
E noi concordemente in pace aoblamo
Ambedue questo popolo in tutela :
Ne ti sdegnar che si nobil regina
Serva a frigio marito , e oh' ei le genti ^^
N' aggia di Tiro e di Cartago in dote. *08
Venere, che ben vide ove mirava
n colpo di Giunone , e che V occulto
Suo bersaglio era sol con questo avviso
Distor d' Italia il destinato impero *^
E trasportarlo in Libiai incontro a lei
LIBRO QUARTO 107
Così scaltra rispose : E chi si folle
Sarebbe mai che un tal fesse rifiuto
Di quel eh' ei più desia', per teco averne ,
Teco, che tanto puoi^ gara e tenzone, IGO
Quando ciò , che tu di , possibil fosse ? los
Ma non so che si possa , né che '1 Fato ,
Né che Giove il permetta, che due genti
Diverse , come son Tiri e Trojani ,
Una sola divenga. Tu consorte 165
Gli sei: tu ne'l dimanda, e tu V impetra:
Ch' io per me ne son paga. Ed io ( soggiunse
Giuno ) sopra di me T incarco assumo,
Ch* ei ne '1 consenta. Or odi brevemente
Il modo che a ciò Ikr già ne si porge. 170
Tosto che '1 sol dimane uscirà fuori ,
Uscir ancor V innamorata Dido
Col trojan Duce a caccia s* apparecchia,
Ove opportunamente a la foresta,
Mentre de' cacciatori e de' cavalli 175
Andran le schiere in volta, io loro un nembo
Spargerò sopra tempestoso e nero,
Con un turbo di grandine e di pioggia;
E di si fieri tuoni il ciel empiendo ,
Ch'indi percossi i lor seguaci tutti 180
Andran oispersi e d' atra nube involtL
Solo con sola Dido Enea ridotto
In un antro medesimo accorrassi.
Io vi sarò : saravvi anco Imeneo ;
E se del tuo voler tu m'assecuri, t85
Io farò si , eh' ivi ambidue saranno i25
Di nodo indissolubile congiunti.
Venere in ciò non disdicendo , insieme
Chinò la testa ; e de la dolce froda
Dolcemente sorrise. Uscio del mare 190
L* aurora intanto j ed ecco fuori armati
Di spiedi e di zagaglie a suon di corni
Venirne i cacciatori , altri con reti ,
Altri con canL Ha questi un gran molosso,
Quelli un veltro a guinzaglio, e lunghe filo 195
Van di segugi incatenati avanti.
Scorrono intorno i cavalicr massilj :
E i maggior Peni , e più chiari Fenicj
Stanno in sella aspettando anzi al palagio ,
Mentre ad uscir fa la regina indugio; 200
E presto intanto d' ostro e d' oro adorno 134
n suo ginnetto , e vagamente fiero
Ringhia , e sparge la terra , e morde il freno.
SNEIDB
Esce a la flnet accompagnata intorno
Da regio stuolo , e non con regio arnese , 205
Ma leggiadro e ristretto. E la sua veste
Di tirio drappo , e d' arabo lavoro
Riccamente fregiata : è la sua chioma
Con nastri d' oro in treccia al capo avvolta ,
Tutta di gemme come stelle aspersa, 210
E d* oro son le fìbbie , onde sospeso
Le sta d' intorno de la gonna il lembo.
Da gli omeri le pende una faretra,
Dal fìanco un arco. I Fri^i, e '1 bello Julo
Le cavalcano avanti; e via più bello, ' 215
Ma di beltà feroce e graziosa
Le ^iva Enea con la sua scbuera a lato.
Qua! se ne va da Licia e da le rive
Di Xanto , ove soggiorna il freddo inverno ,
A la materna Delo il biondo Apollo , 220
Allor che festeggiando accolti e misti 144
Infra gli altari i DrXopi , i Cretesi ,
E i dipinti Agatirsi in varie tresche
Gli s* aggirano intorno ; 0 (mando spazia
Per le piagge di Cinto , a 1* aura sparsi 225
I bei crin (f oro , e de T amata fronde
Le tempie avvolto, e di faretra armato:
Tal fra la gente si mostrava, e tale
Era ne' gesti e nel sembiante Enea
Sovra d* ogni altro valoroso e vago. 230
Poscia che furo a' monti, e nel più folto iso
Penetrar de le selve, ecco da i balzi
De r alte rupi uscir capri e camozze ;
E cervi altronde, che d'armenti in gruisa.
Quasi in un gruppo spaventati a torme 235
Fuggono al piano , e fan nubi di polve.
Di CIÒ giojoso il giovinetto Julo
Sul feroce destrier per la campagna
Gridando e traversando, or questo arriva,
Or quel trapassa: e nel suo core agogna 240
Tra le timide belve o d' un cignale
Aver rincontro , 0 che dal monte sfienda
Un velluto leone. In questa il cielo
Mormorando turbossi, e pioggia e grandine
Diluviando, d' ogni parte m niga 245
Ascanio , i Teucri , 1 Tiri a i più propinqui
Tetti si ritirare j e fiumi in tanto
Sceser da' monti , ed allagaro i piani
Solo con sola Dldo Enea ridotto
In un antro medesimo s' accolse. 250
»"•.
^
LIBRO QUARTO , 109
Die di quel , che seguì, la terra segno 165
E la pronuba Giuno. I lampi , i tuoni
Pur de le nozze lor le faci e i canti:
Testimonj assistenti e consapevoli
Sol ne fur Y aria e V antro : e sopra 1 monte 255
N' ulularon le Ninfe. Il primo giorno
Fu questo , e questa fu la prima origine
Di tutti i mali, e de la morte al fine
De la Regina: a cui poscia non calso
Né de r indegnità, né de l'onore, 260
Né de la secretezza. Ella si fece
Moglie chiamar d*Enea: con ^esto nome
Ricoverse il suo fallo e di ciò tosto
Per le terre di Libia andò la fama.
E questa fama un mal, di cui nuli' altro 265
É più veloce ; e com' più v^ , più cresce , i74
E maggior forza acquista. E da principio
Picciola e debil cosa, e non s'arrischia
Di palesarsi; poi di mano in mano
Si discopre e s' avanza ; e sopra terra 270
Sen va movendo e sormontando a l' aura ,
Tanto che'l capo infra le nubi asconde.
Dicon che già la nostra madre antica
Per la mina dei Giganti irata
Centra i Celesti al mondo la produsse, 275
D' Encelado e di Ceo minor sorella ;
Mostro orribile e grande , e d' ali presta
E veloce de' pie; che quante ha pmme,
Tanti ha sott occhi vigilanti , e tante
(Meraviglia a ridirlo ) ha lingue, e bocche 280
Per favellare , e per udir orecchi
Vola di notte per l' oscure tenebre
De la terra e del elei senza riposo.
Stridendo sempre , e non chiude occhi maL
n giorno sopra tetti , e per le torri 285
Sen va de le città spiamlo tutto i86
Che si vede , e che s' ode ; e seminando
Non men che '1 bene e '1 vero , il male e '1 falso ,
Di rumor empie e di spavento i popoli.
Questa giojosa, bisbigliando in prima, 290
Poscia crescendo , del seguito caso
Molte cose dicea vere , e non vere.
Dìcea, eh' un di trojana stirpe uscito
Venuto era in Cartago, a cui degnata
S' era la bella Dido esser congiunta, 295
Chi con nodo dicea di maritag^o, i9f
Chi di lascivo amore ; e eh' ambedue
Posti i regni in non calo, a l'ozio, al lusso,
A la lascivia bnitlaniciite addilli
Consuiìiavan del verno i giorni tutti.
Questo , e cose altre assai la sozza Dea
Per le bocche de gli uomini spargendo,
Tosto in Oetulia al gran Jarba pervenne :
E con parole e con punture acerbe
Si de 1 olfeso re 1' animo acceso ,
Ch'arse d'ira e di sdegno. Era d' Ammone,
E de la Oaramanlide ?<apea
Già rapita da lui questa re nato.
Ondo a Giove suo padrj entro a suoi regni
Cento gran tempi e conto pingui altari
Avea sacrati, e di continui fochi
Mantenendo agli Dei vigilie eterne.
Di vittime, di uori e di ghirlande
Gli tenca sempre riveriti e cólti.
Ei sì com' era afflitto e conturbato
Da r amara novella, anzi a gli altari,
£ fra gli Dei, le mani al ciclo alzando «
Colali , umile insieme e dis legnoso ,
Porse prieghi e querele : Onnipotente
Padre , a cui tanti opimi e sontuosi
Conviti , e di Lcnèo sì larghi onori
OfTrisco oggi de' Mauri il gran paese,
Vedi tu queste cose ? o pure invano
Tonando e folgorando ci spaventi ?
Una femmina errante, una che dianzi
Ebbe a prezzo da me nel mio paepe ,
Per fonnar la sua terra, un piccini sito;
Dna che arena ha- per arare, ha vitto,
Loco e leggi da me, me per marito
Rifiuta ; e di sé donno e nel suo regno
Ha fatto Enea. Questo or novello Pari
Con quei suoi delicati e molli eunuchi,
Mitrato il mento, e profumato il crine,
"Va del mio scorno e del suo ftirto altero :
Ed io qui me ne sto vittime e doni
A te porgendo; e son tuo Q^Iio Indarno.
Cosi Jarba dicca ; né da l' altare
S'era ancor tolto, ornando il Padre udLllo;
E gli occhi in ver Cartajjine torcendo
Vide gli amanti che a gioire intesi
Aveau posti in obblio la fama e i regni
Onde volto a Mercurio : Va , Qgliuolo ,
Gli disse : chiama i venti, e ratto scendi
Là 've bÌ ueghittoBo il trojan duce
LIBRO OUARTO HI
bte-
Bada in Gartago, e*l deàtinato impero 345
Non gradisce e non cura; e ciò gii annunzia ^
Da parte mia: che Venere sua madre
Non per tal lo mi diede ; e che a tal fine
Non e stato da lei da T armi greche
Già due volte scampato. Ella promise 350
Gh'ei sarebbe atto a sostener gV imperi,
È le guerre d' Italia ; a trar qua suso
La progenie di Teucro; a porre il freno,
A dar le leggi al mondo. A ciò se '1 pregio
Di si gran cose e de la gloria stessa 355
Non muove lui , perche non guarda al figlio?
Perchè di tanta sua grandezza il froda ,
Di quanta fian Lavinio ed Alba e Roma
Ne' secoli a venire ? E con che speme ,
Con che disegno in Libia fa dimora? 360
E co' nemici suoi? Navighi in somma. 235
Questo digli in mio nome. Udito ch'ebbe
Mercurio , ad eseguir tosto s' accinse
I precetti del Padre ; e prima a' piedi
I talari adattossi. Ali son oneste 365
Con penne d' oro , ond' ci r aria trattando ,
Sostenuto da' venti ovunque il corso
Volga , o sopra la terra , o sopra '1 mare ,
Va per lo ciel rapidamente a volo.
Indi prende la verga , ond' ha possanza 370
Fin ne l' Inferno , onde richiama in vita 248
L' anime spento, onde le vive adduce
Ne r imo abisso , e dà sonno e vigilia
E vita e morte ; aduna e sparge i venti ,
E trapassa le nubi. Era volando 375
Giunto là 've d' Atlante il capo e '1 fianco
Scorffca , de le cui spalle il cielo è soma ;
D'Atlante , la cui testa irta di pini ,
I>i nubi involta a piogge a' venti a' nembi
È sempre esposta ; il cui mento , il cui dorso 380
E per nevi e per gel canuto e gobbo
È da fiumi rigato. In questo monte ,
Che fti padre di Maja, avo di lui.
Primamente fermossi. Indi calando
Si gittò sovra l' onde, e lungo al lito 3S5
Di Libia se n' andò 1' aure secando
In quella guisa che marino augello
D' un' alta ripa a nuova pesca mteso
Terra terra scn va tra rive e scogli
Umilmente volando. Appena giunto 300
Era in Gartago , che d'avanti Enea 95»
ut BNBIDS
Si vide , intento a dar siti e disegni
A i superbi ediflcj. Avea dal manco
LTito una storta , di diaspro e d' oro
Guarnita , e di stellate gemme adorna. 395
Dal tergo gli jpendea di tiria ardente
Porpora un ricco manto, arnesi e doni
De la sua Dido : eh* ella stessa intesta
Avea la tela, e ricamati i fregi.
Né '1 vide pria , che gli fti sopra , e disse : 400
Te ne stai si neghittosamente, tts
Enea, servo d' amor, ligio di donna, .
A fondar V altrui iregno , e '1 tuo non curi ,
A te mi manda il Regnator celeste,
Ch' io ti dica in sua vece: che pensiero , 405
Che studio è il tuo? Con che speranza indugi
In queste parti ? Se '1 tuo proprio onore,
Se la propria grandezza non ti snin^o;
Che non miri a* tuoi posteri , al aestmo,
A la speranza del tuo figlio Julo, 410
A cui si deve il glorioso impero
De r Italia e di Roma ? E più non disse,
Né più risposta attese ; anzi dicendo ,
Uscio d' umana forma, e dileguossi.
Stupi, si raggricciò, tremante e fioco 415
Divenne il trojan duce , il gran precetto,
E chi'l portava, e chi'l mandava udendo.
Già pensa di ritrarsi Ma che modo
Terra con Dido ad impetrar commiato ?
Con quai parole assalirà , con quali 420
Disporrà mai la furiosa amante ?
Pensa, volge, rivolge: in un momento
Or questo , or quel partito , or tutti insieme
Va discorrendo; ed ora ad un s' appiglia,
Ed ora a l'altro. Si risolve al fine : 425
E fatto a se venir Memmo, Sergesto, ^^^
E l'ardito Gloanto: Andate, disse,
Rannate i compagni. Itene al porto:
E con bel modo chetamente l'arme
Apprestate e 1' armata; e non mostrate *30
Segno di novità , né di partenza.
Intanto io troverò loco opportuno ,
E tempo accomodato e oestro modo
D' ottener da quest' ottima regina ,
Che da lei con dolcezza mi diparta, *^
Kulla sapendo ancor di mia partita.
Né sperando tal fine a tanto amore.
A r ordme d' Enea lieti i compagni
lib:\o quarto H3
Obbedir tutti; e prestamenfe in punto
Fu ciò che impose. Ma Didon del tratto 4i0
Tosto s' avvide : e che non vede Amore ?
Ella pria se n* accorse ; eh' ojpii cosa
Temea , benché secura. E già la stessa
Fama importunamente le rapporta
Armarsi i legni, esser i Teucri acciAti 445
A navigare. Onde d'amore e d'ira Ì#P
Accesa , infurliata , e fuori uscita
Di se medesma^ imperversando scorre
Per tutta la citta. Quale a i notturni
Gridi di Giteron Tlade , allora 450
Che '1 trìennal di Bacco si rinnova ,
Nel suo moto maggior si scaglia e fireme t
E scapigliata e Aera attraversando,
E mugolando al monte si conduce;
Tal era Dido , e da tal furia spinta 455
Enea da se con tai parole assalse :
Ah perfido ! Gelar dunque sperasti
Una tal tradigione, e di nascosto
Partir da la mia terra ? E del mio amore ,
De la tua data fé, di quella morte 460
Che ne farà la sfortunata Dido ,
Punto non ti sovviene , e non ti cale f
Forse che non t'arrischi in mezzo al verno
Tra' più fieri Aquiloni a 1* onde esporti f.
Crudele! Or che faresti, so straniere 465
Non ti fosser le terre , ignoti i lochi su
Che tu procuri ? E che faresti , quando
Fosse ancor Troja in piede ? A Troja andresti
Di questi tempi ? E me lasci , e me fuggi I
Deh per queste mie lagrime , per (luello 470
Che tu della tua fé pegno mi desti
(Poiché a Dido infelice altro non resta
Che a se tolto non ajjgia) , per lo nostro
Maritai nodo , per Y imprese nozze ,
Per quanti ti fci mai , se mai ti fci 475
Comodo , 0 grazia alcuna , o s' alcun dolco
Avesti uncrua da me ; ti priego , eh' abbi
Pietà del dolor mio , de la mina
Che di ciò m' avverrebbe ; e (se più luogo
Han le preci con te) che tu del tutto 480
Lasci questo pensiero. Io per te sono sia
In odio a Libia tutta , a' suoi tiranni ,
A' miei Tirj , a me stessa. Ilo già macchiato
La pudicizia; e (quel che più mi duole)
Ho perduta la fama , ond' io pur dianzi 485
Dell'Eneide %
lì A BNEIDB
iiwn— ■— <^ Il ni II mmtmmmtmtf^mm
Sorvolava le stelle. Or come in preda
Solo a morte mi lasci , ospite mio ?
Ch* ospite sol mi resta di chiamarti
Di marito che m'eri. E perchè deggio,
Lassa, viver io più? Per veder forse 490
Che' 1 mio fratel Pigmalion distrugga
Queste mie mura, o' 1 tuo rivale Jarba
In servitù m' adduca ? Almeno avanti
La tua partita avess' io fatto acquisto
D' un pargoletto Enea che per le sale 495
Mi scherzasse d' intorno , e solo il volto ,
E non altro, di te sembianza avesse;
Ch' esser non mi parrebbe abbandonata ,
Ne delusa del tutto. A tai parole
Enea di Giove al gran precetto affìsso ^ 500
Tenea il pensiero e gli occhi immoti e saldi, ssi
E brevemente le rispose al fino :
Regina , e' non fla mai eh' io non mi tenga
Doverti quanto forse unoua potessi
Rimproverarmi. E non na mai eh' Elisa 505
Non mi ricordi infìn che ricordanza
Avrò di me medesmo , e che '1 mio spirto
Reggerà q^ucste membra. Ora in discarco
Di me diro sol questo, che sperato,
Nò pensato ho pur mai d' allontanarmi 5i0
Da te (come tu di') furtivamente;
Né d'esserti marito anco pretendo:
Ch' unqua di maritaggio , o di soggiorno
Teco non patteggiai. Se '1 mio destmo
Fosse chela mia vita, e i miei pensieri 515
A* mia voglia reggessi , a Troja in prima 8*0
Farei ritorno : raccorrei le dolci
Sue disperse reliquie : a la mia patria
Di novo renderei la vita e i figli ,
E la reggia e le torri e me con loro. 580
Ma ne P Italia il mio fato mi chiama.
Italia Apollo in Delo, in Licia, ovunque
Vado , 0 mando a spiarne , mi promette.
Quest' è r amor , quest' è la patria mia.
Se tu, che di Fenicia sei venuta, 525
Siedi in Gartago , e ti diletti e godi
Del tuo libico regno ; qual divieto ,
Qual invidia è la tua, che i miei Trojan!
Prendano Ausonia? Non lece anco a noi
Cercar de' regni esterni ? E non copre ombra 630
La terra mai, non mai sorgon le stelle , 350
Che dal mio padre una turbata imago
LIBRO QUAHTO 115
luna r.35
Non veggia in sogno , e che di ciò ricordo
Non mi porga e spavento. A tutte Y ore
Del mio ngiio sowiemmi , e de T ingiuri
Che riceve da me si caro pegno,
Se del regno d* Italia io lo defraudo ,
Che gli son padre , quando il fato e Giovo
Ne '1 privilegia. E pur dianzi mi venne
Dal ciel mandato il messaggier celeste 540
A portarmi di ciò nuova imbasciata
Dal CTan re de gli Dei. Donna, io ti giuro
Per la lor deità , per la salute
D* ambedue noi , che con quest'echi il vidi
Qui dentro in chiaro lume ; e la sua voce 515
Con quest' orecchi udii. Rimanti adunque 839
Di più dolerti; e con le tue querele
Né te, nò me più conturbare. Italia
Non a mia voglia io seguo. E più non disse.//
Ella, mentre dicea,' crucciata e torva ■ 550
Lo rimirava , e volgea gli occhi intorno
Senza far motto. Allìn da sdegno vinta
Cosi proruppe: Tu, perfido, tu
Sei di Venere nato ? Tu del sangue
Di Dardano ? Non già ; che T aspre rupi 555
Ti produsser di Caucaso , e T Ircane
Tigri ti fur nutricL A che tacere ?
Il simular che giova ? E che di meglio
Ne ritrarrei ? Forse eh' a' miei lamenti
Ha mai questo crudel tratto un sospiro, 560
0 gittata una lagrima, 0 pur mostro
Atto o se§no d' amore , 0 di pictade ?
Di che prima mi dolgo ? di cne poi ?
Ah ! che nò Giuno omai , nò Giove stesso
Cura di noi; nò eoa giust' occhi mira 5G*>
Più r opre nostre. Ov' ò qua giù più fede ? 872
E chi più la mantiene? Èra costui
Dianzi nel lite mio naufrago, errante.
Mendico. Io V ho raccolto , io gli ho riflotti
1 suoi compagni , e i suoi navigli insieme , 570
Ch' eran morti e dispersi ; ed io T ho messo
(Folle ! ) a parte con me del regno mio ,
È di me stessa. Ahi da furor, da foco
Rapir mi sento ! Ora il profeta Apollo ,
Or le sorti di Licia, ora un araldo, 475
Che dal ciel f:li si manda, a gran faccende
Quinci lo chiama. Un gran pensiero han ccìrto
Di ciò gli Dei. D' un gran travaglio e questo
A lor quiete. Or va , che per imi:uui
116 ENEIDE
Più non ti te^no , e più non ti contrasto, 580
Va pur , segui V Italia , acquista i remi
Che ti dan l'onde e i venti. Ma so i Numi
Son pietosi , e se ponno , io spero ancora
Che da' venti e da 1' onde e da gli scogli
N' avrai degno castigo ; e che più volte 385
Chiamerai Dido , che lontana ancora 888
Co' neri fuochi suoi ti fla presente :
E tosto che di morte il freddo gelo
L'anima dal mio corpo avrà disgiunta,
Passo non moverai , che V ombra mia 590
Non ti sia intorno. Avrai , crudele , avrai
Ricompensa a' tuoi morti , e ne T Inferno
Tosto me ne verrà lieta novella.
Qui'l suo dire interruppe; e lui per tema
Confuso e molto a rephcarle inteso 595
Lasciando , con disdegno e con angoscia
Gli si tolse d' avanti. Incontanente
Le fur r ancelle intomo ; e siccom' era
Egra e dolente , entro al suo ricco albergo
Le dier sovra lo piume agio e riposo. 600
Enea , quantunque pio , craantunquo afflitto 8W
E d'amore infiammato, e ai desire
Di consolar la dolorosa amante,
Nel suo core ostinossi. E fermo e saldo
D' obbedire a gli Dei fatto pensiero , 605
Calessi al mare , e i suoi legni rivide.
Allor furo in un tempo unti e rispinti
E posti in acqua : e per la fretta , i remi
Diventarono i rami che dal bosco-
Si portavano allor frondosi e rozzi. 610
Era a veder da la cittade al porto
De' Teucri , de le ciurmo , e do le robe
Ch' al mar si conducean , pieno il sentiero ;
Qual è , quando le provide formiche
De le lor vernaricce vettovaglie 615
Pensose e procaccievoli si danno 403
A depredar di biade un grande acervo:
Che va dal monte ai ripostigli loro
La negra torma , e per angusta e lunga
Semita le campagne attraversando , 620
Altre al carreggio intese o lo s'addossano,
0 traendo, o spingendo lo conducono;
Altre tengon le schiere unite , ed altre
Castiganr infingarde; e tutt^ insieme
Pan che tutta la via brulica e ferve. 625
Che cor , misera Dido , che lamenti
V'
unno QUARTO H7
Erano allora i tuoi, quando da Tnlto
Un tal moto scorinovi , e tanti gridi
Ne sentivi dal mare ? Iniquo amore ,
Che non puoi tu ne' petti de* mortali ? ggo
Ella di nuovo al pianto , a le preghiere ,
A sottoporsi a T amoroso giogo
Da la tua forza e suo malgrado astretta.
Ma per fare ogni schermo, anzi che muoja,
La sorella chiamando , Anna , le disse , 03
Tu vedi che s*alIì'ettano , e scn vanno. ^tr.
Vedi già loro in su la spiaggia accolti,
Le vele in alto, e le corone in poppa.
Sorella mia , s' avessi un tal doloro
Antiveder potuto , io potrei forse • C40
Anco sofirurlo. Or questo solo affanno
Prendi per la tua misera sirocchia.
Poiché te sola quel crudele ascolta,
E sol di te si fida , e i lochi e i tem^i
Sai d' esser seco , e di trattar con lui ; 645
Trova questo superbo mio nimico,
E suppuchevolmente gli favella.
Digli che Dido io sono , e che non ftii
In Aulide co' Greci a far congiura
Contro a' Trojani ; e che di Troja a* danni 650
Nò i miei legni mandai , né le mie genti.
Digli che né le ceneri , né Y ombre
Né del suo padre mai, né d' altri suoi
Non vIolaL Qual dunque 0 mio de merlo,
O sua durezza fa eh' ei non ascolti 655
D mio dire , e me fu^ga , e se precipiti ? 428
Chiedigli per mercé delFamor mio,
Per salvezza di lui , per la mia vita ,
Che induj^ il suo partir tanto che 'I mare
Sia più sicuro e più propizj i venti. 660
Né più del maritaggio io lo ricliieggio ,
Ch'ha già tradito , né vo' più che manchi
Del suo bel Lazio , 0 i suoi re^ni non curi
Un picciol tempo, e d'ogni obbligo sciolto
Io eli dimando , e tanto 0 di quiete , 665
O d'intervallo al mio cieco furore,
Che in partp il duol disacerbando , impari
A men dolermi. Questo é 'l dono estremo
he da lui per tuo mezzo agogna e brama
Questa tua miserabile sorella : 670
E se tu lo m'impetri, altro che morte
Forza non avrà mai eh' io me n' obbliL
Questo 0 tali alti« coso olla piangendo
~/4
1 13 fiNElDE
Dicea con Anna, ed Anna al frigio Duce
Disse , ridisse , e riportò più volte 675
Or da r una , or da V altro , e tutto in vano ; 438
Che nò pianti , nò preci , né querele
Punto lo muovon più. Gli ostano i fati ,
E solo in ciò gli ha Dio chiuse V orecchie ;
Benché dolce e trattabile e benigno 680
Fusse nel resto. Como annosa e valida
Quercia , che sia ne V alpi esposta a Borea ,
§' or da r uno, or da V altro de' suoi turbini
E combattuta, si scontorce e tituba:*
Stridono i rami e '1 suol di frondi spargcsi , 685
E *1 tronco al monte infisso immoto e solido 448
Se ne sta sempre ; e quanto sorge a T aura
Con la sua cima, tanto in giù stendendosi
Se ne va con le barbe infine agi* inferi :
Cosi da preci, e da querele assidue 690
Battuto Quolsi il gran Trojano ed angosi,
E con la mente in se raccolta e rigida
Gitta indarno per lei sospiri e lagrime.
La sfortunata Dido, poiché tronca
/Si vide ogni speranza , spaventata 695
Dal suo fato , e di se schiva e del sole ,
Disiò di morire ; e ctSiì portenti
Di ciò presagio , e fretta anco le fero.
Ella, mentre a gli altari incensi e doni
Offtia devota ( orribil cosa a dire ! ) , 700
Vide avanti di se cogli occhi suoi
Parsi lurido e negro ogni liquore,
E *1 puro vin cangiarsi in tetro sangue :
E 1 vide , e '1 tacque , e 'nflno a la sorella
Lo tenne ascoso. Entro al suo regio albergo 705
Avea di marmo un bel delubro eretto, 457
E dedicato al suo marito antico.
Questo con molto studio, e molt' onore
Fu mai sempre da lei di bianchi velli,
E di festiva fronde ornato e cinto. 710
Quinci notturne voci udir le parve
Del suo caro Sicheo che la chiamasse :
E nel suo tetto un solitario gufo
Molte fiate con lugubri accenti
Fé' di pianto una lunga querimonia, 715
Oltre a ciò da l'antiche profezie.
Da pronostichi orrendi e spaventosi
De fa vicina morte era ammonita.
Vedcnsi Enea tutte le notti avanti
Con l'or.'i imago, che turbata o mesta 720
■r
LlUaO QUARTO ild
La tenea sempre. Le parea da tutti
Restare abbandonata, e per un lungo
E deserto cammino andar solinga
De' suoi Tirj cercando. In cotal guisa
Le schiere de l'Eumenidi vedea 725
PentSo forsennato, e doppio il sole 469
E doppia Tebe. In cotal guisa Oreste
Per le scene imperversa, e furioso
Vede, fugjjendo, la sua madre armata
Di serpenti e di faci, e 'n su le porte 730
Le furie nitrici. Or poi che la meschina
Fu da tanto furor, da tanto affanno
Oppressa e vinta, e di morir disposta.
Divisò fra se stessa il tempo e'I modo:
Ed Anna, si com' era afflitta e mesta, 735
A se chiamando, il suo Aero consiglio
Celò nel core, e nel sereno volto
Spiegò gioja e speranza: Anna, dicendo.
Rallegrati con me, che al fin trovato
Ho com* io debba o racquistar quell'empio, 740
O ritormi da lui Nel lito estremo
De r Oceàn, là dove il sol si corca.
De l'Etiopia a l'ultimo confino,
E presso a dove Atlante il ciel sostiene.
Giace un paese, ond'ora è qui venuta 745
Una sacerdotessa incantatrice 48 1
Che Massila di gente è stata poi
Del tempio de l'Esperidi ministra,
E del drago nudrice, e de le piante
Del pomo d'oro guardiana un tempo, 750
Questa d'umido mele e d'obbllosi
Papaveri composto un suo miscuglio.
Promette con parole e con malie
Altri scior da l'amore, altri legare,
Com' a lèi piace; distornare i numi, 755
Ritrar le stelle, e convocar per forza 489
Le notturne fantasme. Udrai la terra
Mugghiar sotto a' tuoi piò. Vedrai da* monti
Calar gli orni e le querce. Io por gli Dei,
Per te, per la tua vita a me si cara, 7C0
Ti giuro, suora mia, che mal mio grado
M'adduco a questi magici incantcsmi;
Ma gran forza mi spinge. Or va, sorella;
Sce^Mi per entro a le mie stanze un luogo
Il più remoto e solo, a Taura esposto.
Ivi ergi una gran pira, e vi conduci
L'armi che a la mia c;m-cra sospese
'05
i20 ENElDfi
Lasciò quel disleale^ e quelle spoglio
Tutte e quel letto, ov* io, lassa ! perii :
In somma ogni ^uo arnese. Che la maga 770
Cosi m' impone, e vuol eh' ogni memoria.
Ogni segno di lui si spenga e pera.
Cosi detto, si tacque, e di pallore
Tutta si tinse. Non però s'avvide
Anna, che sotto a' nuovi sacriiìcj 775
Si celasse di lei morte si fera : 500
Che si fero concetto non le venne,
E non temè che peggio le avvenisse.
Che in morte di Sichoo. Tosto fé' dunque
Quel ch'imposto le fu. Fatta la pira, 780
E d'ilici e ai tede aride e scisse
Altamente composta; la regina
D'atre ghirlande e di funeste frondi
Ornar la foce intorno : indi lo spoglie
E la spada e refllgie de l' amante 785
Sopra a giacer vi pose , hen secura 507
Di ciò che n'avverrebbe. Eran d'intorno
Gli altari eretti : era tra lor la maga
Scapigliata e discinta; e con im tuono
Di voce formidabile invocava 790
Trecento Deità, 1' Èrebo , il Gao ,
Ecato con tre forme , o con tre facce
La vergine Diana. Avea già sparso
Le fìnto acquo d' Averne , e i suffumigi
Fatti de le nocivo erbe novello 795
Che por punti di luna, e con la falce
D'incantato metallo eran segate.
Si fé* venir la maliosa carne
Che de la fronte al tenero pulledro
Con r amor de la madre si divelle. 800
Essa stessa regina il farro e' 1 sale
Con ^0 man pie sovr' a gli altari impone ,
E d' un pio scalza , e di tutt'altro sciolta ,
Solo accinta a morir , per testimonj
Chiama li Dei. Protestasi a lo stello 805
Del suo fato consorti: e s' alcun ^'ume sio
Mira a gli afflitti e sfortunati amanti ,
Questo prega e scongiura che raffione
E ricorflo no tenga , e ne gli caglia.
Era la notte ; e già di mozzo u corso 810
Cadeau le stelle : onde la terra e* 1 mare ,
Le selve, i monti e le campagne tutte,
E tutti gli sgiimali, i bruti, i pesci,
S i volanti e i Berpenti e ciò che vive
LinnO QUARTO 121
Avea da ciò che la lor vita affanna 815
Tregua , silenzio , obblio , sonno e riposo.
Ma non Dido infelice, a cui la notte
Kè gli occhi grava, nò'l pensiero alleggia;
Anzi maggior col tramontar del sole
In lei risorge V amorosa cura : 820
E non men che d'amor, d' ira avvampando 63 1
Cosi fra se farnetica e favella :
E che farò cosi delusa poi ?
Chi più mi seguirà do' primi amanti?
Proferirommi per consorte io stessa 825
D' im Zingaro , d' un Moro , o d' un Arabo ,
Quando n' ho vilipesi e rifiutati
Tanti e tai , tante volte ? Andrò co' Teucri
In su l'armata? Mi farò soggetta
Di regina ch'io sono, e serva a loro? 830
Si certo, che gran prò fin jui riporto
De le mie loro usate cortesie ;
E grado me n' avranno , e grazia poL
Ma ciò dato eh' io voglia , chi permette
Ch'io l'eseguisca? Chi così schernita 835
Volentier mi raccoglie ? Ahi sfortunata
Dido ! eh' ancor non vedi a che sei giunta,
E le fì'ode non sai di questa iiiimia
Schiatta di Laomedonte. E poi che fia
Per questo ? Deggio sola in compagnia 840
Di marinari anofar femmina errante ? 548
O condur meco i miei Fenicj tutti
Con altra armata ? e. trarli un' altra volta
D' un' altra patria in mare in preda a' venti
Senz' alcun prò, senza cagione alcuna; 845
Quando anco appena di Sidon li trassi
Per ritorli da man d* empio tiranno ?
Ah ! muor più tosto , come degnamente
Hai meritato ; e pon col ferro fine
Al tuo grave dolore. Ah , mia sorella ! 850
Tu sei prijma cagion di tanto male ;
Tu vinta dal mio pianto in quest' angoscia
M' hai postai e data ad un nemico in preda:
Che dovca vita solitaria e fera
Menar più tosto , che commetter fallo 855
Si dannoso e si grave, e romper fede
Al cener di Sicheo. Questi lamenti
Uscian del petto a 1' affannata Dido;
Quando già di partir fermo e parato
Enea , per riposar pria che sciogliesse » 800
S* ttft a dormir sopra la poppa agiato. tn
Quoati rioni al mio cenere mandato,
Morta ch'Io sia. Nò mai tra questo gotiti
Amor nasca, nò pace; anzi alcu« sorga
De l' ossa nue , cne di mia morto prenda
Alta veniletta , e la dardania gente aoo '
Con lu flamnm a col lerro assalj^a e spenga osa
Ora , in ftituro e sem_pre ; o sian Io fono
A qnest' animo eguali: i liti a i liti
Contrari eternamente , l' onde a 1' onde ,
E r armi incontro a l' armi , e i nostri ai loro 965
In ogni tempo. E ciò detto imprecando ,
,fictlìva di più veder l'eterea luce,
Affronò dì morire. E Barce in prima
Vistasi intorbo, una nutrico antica
Del suo Sicheo (chò la sua propria in Tiro 970
Era cenere già) , Cara nutrico ,
ÌLo disse!, va, mi chiama Anna mia suora,
; le di'cnó'soUociti, e che l'onda
Del fiume e J' ostie o i sultUmiKi adduca,
E ciò eh' è d' uopo (come pria le dissi) (05
A prepararmi; cnè Unire intendo
Il sacrifizio Che a Plutone inferno
Soionneihente ho di già lare impreso^
Per fine imporro a'mioi gravi mnrtiii,
E dar foco a la pira, ov'o l'imago 980
DI quell' empio trojano. A tal precetto
Mossa la vecchiarella a suo poterò
Lentamente alTrettossi ad eseguirlo,
Dido nel suo pensiero immano e fiero
Fieramente ostinata , in atto prima 9SS
DI paventosa, poi di sangue infetta 64i
Le torve luci , di pallore il volto ,
E tutta di color di morte aspersa
Se n' entrò ftirtosa ove secreto
Era il suo rogo a l' aura apparecchiato. 890
Sopra vi salse i e la dardania spada,
Ch ebbe da lui non a tal uso in dono,
Distrinse : e rimirando i frlgj arnesi
E '1 noto letto , poich' in se raccolta
Lagrimando e pensando alqunnto stetto , 895
Sopra vi s' inchinò col ferro al petto ,
E mandò fuoi" quost' ultime parole :
Spoglie mentre al ciel piacque amate fl caro,
A voi rend' io quost' anima dolente.
Voi r accogliete : e voi di questa angosda 1000
Mi liberate. Ecco lo son giunta al fine VSB
Da la mia vita , e di mia sorte 11 corso
LIBRO QUARTO Ì2S
Ho già compito. Or la mia grande imag[0
ly andrà sotterra: e qui di me che lascio?
Fondata ho pur (juesta mia nobil terra: 1005
Viste ho pur le mie mura: ho vendicato
D mio consorte : ho castigato il fiero
Mio nimico fratello. Ah che felice ,
Felice assai morrei, so a questa spiaggia
Giunte non fosser mai vele trojane! 1010
E qui su '1 letto ahhandonossi , e 1 volto
Vi tenne impresso; indi soggiunse: Adunque
Morrò senza vendetta ? Eh che si muoja
Comunque sia. Cosi , cosi mi giova
Girne tra l'ombre inferno: e poich'il crttdo, 1015
Mentre meco era, il mio foco non vide, «co
Veggalo di lontano ; e '1 tristo augurio
De la mia morte almen seco ne porte*
Avea ciò detto, quando le ministre
La vider sopra al ferro il petto infissa, 1020
Col ferro e con le man di sangue intrise
Spumante e caldo. In pianti , in ululati
Di donne in un momento si converse
La reggia tutta , e insino al ciel n* andato
Voci alte e fioche , e suon di man con elle- 1025
N* andò per la città grido e tumulto ,
Come se presa da' nemici a forza
Fosse Tiro, o Cartago arsa e distrutta.
Anna , tosto eh' udillo , il volto e '1 petto
Battessi e lacerossi ; e fra la gente ^^30
Verso la moribonda sua sorella, 5'^*
Stridendo , e '1 nome suo gridando corde :
E per questo (dicea), suora, son io
Da te cosi tradita ? Io t'ho per questo
La pira e l' are e *1 foco apparecchiato ? ^^^
Deserta me ! Di che dorrommi in prima ?
Perchè morir dovendo, una tua suora
Per compagna rifiuti ? E perchè teco
(Lassa! ) non m' invitasti ? Ch'un dolore ,
Un ferro , un' ora stessa ambe n' avrebbe 1040
Tolte d' aflanno. Oimè ! con le mie mani
T' ho posto il rogo. Oimò ! con la mia voce
Ho gli Dei de la patria a ciò chiamati.
Tutto ( folle ! ) ho fatt' io, perchè tu muoja ,
Perch' io nel tuo morir teco non sia. ^"^^
Con te , me , (juesto popol , questa terra
E '1 sidonio senato hai , suora , estinto.
Or mi date che '1 corpo omai componga
Che lavi la ferita , che raccolga
BENEID
Con le mì6 labbia li suo spirito estromo.
Se pili spirto lo rosta. E ciò dicendo,
Già do la pira era salita in cima.
Ivi lei , che spirava , in seno accolta ,
Lasan^inosa pìa;;a la^imaniio
Con le sue vesti le rasciuga e terge.
Ella talor le gravi luci alzando
La mira appena , che di nuovo a forza
Morte le chiude ; e la ferita intanto
Sangue e flato spargendo anela e stride.
Tre volte sopra il cubito risorse :
Tre volte cadde , ed a la terza giacque :
■E eli occhi volti al ciel, quasi corcando
Veder la luco, poiché vista l'ebbe.
Ne sospirò. De l'affannosa morte
Patta Giuno pietosa, Iri dal cielo
Mandò, che 'f groppo disciogllcssc tosto.
Che la tenea malgrado anco di morte
Col suo mortai si strettamente avvinta:
Ch'anzi tempo morendo, e non dal fato.
Ma dal furore anciaa, non le avea
Froserpina divelto anco il fatale
Suo dorato capello) n^ dannata
Era ancor la sua testa a l'Orco inferno.
Ratto spiegò la rugiadosa Dea
Le suo penne dorate, e 'ncontra al sole
Di quei tanti suoi lucidi colori
Lunga striscia traendo, indi sospesa
Sopra al caps le stette, e d'oro un Alo
Jic svelse e disse: Io qui dal ciel mandata
Questo a Fiuto consacro, e te disciolgo
Da le tue membra. Ciò dicendo spiirve.
Ed ella, io aura il suo spirto converso.
Restò senza calore e senza vita.
Firn DBL LIBRO QUANTO,
LIBRO QUINTO
A
RG OMENTO
ùoea. mentre yeleg^fla yei^o r Italia, è trasportato in Sicilia dalla ylo-
iza d^una procella, 1-34. Quivi amorevolmente accolto da Aceste, celebra
aaivemano solenne ai Mani di suo padre Anchlse, cui lo stesso giorno
iranoo precedente aveva seppellito a Drepano, e gli consacra il tumulo
giuochi, 85-103. Nella corsa delle navi vince 'ClOanto, IOi-885; In Quella
jMì vince Eurialo per inganno di* Niso, 2^0-362. lì vecchio Entello al
gilato abbatte Darete, ohe menava giovanili jattanze, 868-484. Nel trar
irco supera tutti Eurizione^ ma per un prodi|gio il premio viene «tggiu-
'Ato al vecchio Aceste, 4d5-544. Quindi Aicanio in compagnia di nobili
iciulii rallegra tutti con lo spettacolo di giuochi equestn in finta bat-
tila, 545-603. In questo mezzo le donne trojane, stanche della lunga uà-
{azione ed istigate da Iride, appiccano il fuoco alle navi, e ne incen-
ino quattro ; le altre salva Giove con una pioggia improvvisa, fi04-«99.
noUe seguente Anchise apparisce in sogno ad Enea, ed a ncgne di fìlovn
avverte di lasciare donne e vecchi in Sicilia ; e che egli col forte dei
>vani prosegua alla volta d'Italia; e là vada all'antro della Si-
la, la quale deve condurlo ai Campi Elisi per udire da lui ste^o il
ilo de* iati, 700-740. A queste ingiunzioni obbedisce Enea dopo aver fab-
icato in Sicilia una città, cui die nome Acesta, 741-778. Mentre è in maro,
ttuno a preghiera di Venere gli fa sicuro 11 viaggio, 779-884. Ma I'p li-
re il piloto, vinto dal sonno, cade in mare con esso il timone, 835-d7l.
In tanto Enea spinto dal vento in alto
Veleggiava a dilungo ; e pur con gli occhi
Da la forza d'amor rivolto indietro
Rimirava a Gartago. Ardea la pira
Già d' Elisa infelice: e le sue uamme 5
Raggiavan di lontan gran luce intorno.
La cagion non sapea; ma la temenza
Lo rimordea del violato amore,
E* 1 saper quel che puote e quel che ardisco
Femmma mriosa; e'I tristo augurio 10
Del foco, che lugubre era e ftmesto.
Lo tenea con lo stuol de' Teucri tutti
Disanimato e mesto. Eran di vista
Già de la terra usciti , e cielo ed acqua
Apparian solamente d' ogn* intorno , i5
ADor eh' un denso e procelloso nembo
Si fé' lor sopra : onde tempesta e notte
Sorse repente, e Palinuro stesso
Da r alta poppa il ciel mirando , Oh , disse ,
1
123 BNEIDB
Che fla con tante intorno accolte nubi ? -20
E che pensi e che fai , padre Nettuno ? is
Indi comanda: Via compagni, armianci.
Oprarne i remi, accomodiam le vele,
Tegniamo al vento avverso obliquo 11 seno.
E rivolto ad Enea : Con questo cielo , 25
Signor ( diss' egli ) , ornai più non m' affido
Prender Italia , ancor che Oiove stesso
Kcl promettesse , ed ei nocchier ne fosse.
Vedi il vento mutato , vedi il mare
Di ver Ponente , che s* annera e gonfia : 30
Vedi nel ciel crual ne s* accampa stuolo
Di folte nubù Traversia di certo
N* assalirà si che ne girle incontro ,
Né durar la potremo. Or poi eh' a forza
Cosi ne spinge , noi per nostro scampò 35
Assecondianla. Che già presso i porti
Ne son de la Sicilia e '1 fido ospizio
D' Erico tuo fratello , se abbastanza
De r arte mi rammento e de le stelle.
, Rispose Enea : Ben coiiosch' io che duro 40
E '1 contrasto de' venti , e *1 nostro è vano. ««
Vol^i le vele. E qual più grata altrove,
O più comoda riva, o più sicura
Aver mai ponno le mie stanche navi,
Di quella che no serba il caro Accste, 45
E r ossa accoglie del buon padre mio ?
Cosi volti a Levante , e preso in poppa
n vento e *1 flutto , a tutta vela il golfo
Correndo, Air subitamente a proda
De r amica riviera. Avea di cima TiO
Visto d'un monte il cacciatore Acesto 83
Venir la frigia armata. Onde in un tempo
Fu con essi a la riva ; e rincontrolli
Allegramente, si com'era incolto,
Di dardi armato e d' irta pelle cinto 55
Di libic' orso , umano insieme e rozzo ,
De la trojana Egesta e di Griniso
Fiume onorato figlio. Ei de gli antichi
Suoi parenti mcmbrando, con giojoso
Volto, se ben con rustico apparecchio, CO
QV invita , li riceve e li consola.
Era de 1* altro di l' aurora e '1 sole
Già fuor de l'onde , allor che'l frigio duco
Convocati i suoi tutti , alto in un greppo
Posto in mezzo di lor cosi lor disse: 65
Generosi e magnamini Trojaoi,
LIBRO QUINTO .. 129
Degna prole di Bardano e del cielo ,
Questa è V amica terra , ove oggi è V anno
Ch a le sante ossa del mio padre Anchise
Demmo requie e sepolcro , e i mesti altari 70
Gli consecrammo. Oggi è (s'io non m'inganno) 48
Quel sempre acerbo ed onorato giorno ,
Che onorato ed acerbo mi fìa sempre
( Poiché sì piacque a Dio ) , quantunque ovunque
Questo csiglio imelice mi trasporti : 75
Pongami ne T arene e ne le secche
De la Oetulia; spingami a gli scogli
Del mar di Grecia; ne la Grecia stessa
Idi chiugga , e dentro al cerchio di Micene ;
Ch' io r arò sempre per solenne, e voti 80
Farogli ogni anno e sacrifìcj e ludi.
Or poiché da Celesti, oltre ogni avviso
Nostro, tra' nostri siamo in prova addotti
Per onorar le sue ceneri sante,
Onorianle, adorianle, e dal suo nume 85
Imploriamo devoti amici i venti,
E stabil seggio, ove gli s'erga un tempio.
In cui sian quest'esequie e guesti onori
Rinovellati eternamente ogni anno.
Due pingui buoi per ciascun nostro legno 90
Vi profferisce il buon tfojano Aceste. ei
Voi d'Aceste e di Troja i patrj numi
Ne convitate: ed io, quando l'Aurora
Tranquillo e queto il nono giortio adduca,*
A' solenni spettacoli v' invito 95
Di navi, di pedoni e di cavalli,
Al corso, a la palestra, al cesto, a Y arco.
Ognun vi si prepari, ognun ne speri
Degna del suo valor mercede e palma.
E voi datevi assenso, e tutti insieme 100
V inghirlandate. E ciò dicendo, il primo
I)el suo mirto materno il crin si cinse.
Elimo lo segui, seguillo Alete,
Un di verd'aiini e l'altro di maturi;
Poscia il fanciullo Julo; e dietro a loro 105
D'ogni età gli altri tutti. Enea disceso
Dal parlamento, in mezzo a quante intomo
Avea schiere di genti, umile e mesto
Al sepolcro d* Anchise appresentossi. {
E con rito solenne in terra sparte 110
Due gran coppe di vino e due diciatto 77 \
E due di sangue, di purpurei fiori
Vi nevigò di sopra un nembo, e disse;
130 BNEIDB
A voi sant' ossa, a voi ceneri amato
E famose e felici, anima ed ombra 115
Del padre mio, torno di nuovo indarno
Per onorarvi ; poiché Italia e '1 Tebro
(Se pur Tebro è per noi) ne si contende.
Or miei eh' io posso, con devoto affetto
V'aaoro, e'nchmo come cosa santa. 120
Mentre cosi dicea, di sotto al cavo
De l'alto avello un gran lubrico serpe
Uscì placidamente ; e sette volte
Con sette giri al tumulo s'avvolse.
Indi strisciando infra gli altari e i vasi, 12S
Le vivande lambendo, in dolce guisa •
Con le cerulee sue squamose terga
Sen gio divincolando, e quasi un' Iri
A sole avverso scintillò d' intorno
Mille vari color di luce e d'oro. 130
Stupissi Enea di cotal vista; e l'angue
Di lungo tratto infra le mense e 1* aro,
Ond'era uscito, al lìn si ricondusse.
Rinovellò gì' incominciati onori
n frigio duce, del serpente incerto, 135
Se del loco era il Genio, o pur del padre
Sergente o messo. E com' era uso antico.
Cinque pecore elette e cmque porci.
Con cinque di morello il tergo aspersi
Grassi giovenchi anzi a la tomba uccise, 140
Nuoye tazze vepsando, e nuovamente
Fin d'Acheronte richiamando il nome
E r anima d' Anchise. Indi i compagni,
Ciascun secondo la sua possa offrendo.
Lieti colmar di doni i santi altari. 145
Altri di lor le vittime immolaro, loi
Altri cibi ne fero; e tutti insieme
Sul verde prato a convivar si diero.
Era già'l nono destinato giorno
Sereno e lieto a l' Oriente apparso, 150
E già la vaga fama e '1 chiaro nome
Avea d' Aceste convocati intorno
I vicin tutti ; e pieni erano i liti
Di gente , cui traea parte vaghezza
Di vedwe i Trojani , e parte ardire 155
Di provarsi con loro. In prima esposti los
Con pompa riguardevole e solenne
Furo in mezzo del Circo armi indorate,
Purpuree vesti , e tripodi e corono
E più guise d'arnesi e di moneto 100
LIBRO QUINTO 131
D* argento e d* oro , e palme ed altri premj
Di vincitori. Indi sonora tromba
D' alto die segno a i desiati ludi ,
E dal mar cominciossi. Avean di tutta
La teucra armata quattro legni scelti 165
Più di remi e di rèmigi guarniti,
E di tutti più destri. Un fu la Pistri,
E Mommo la rcggea , Mommo che poi
L* Italo fu nomato , e diede il nome
A la stirpe de* Mommi. La Chimera 170
Fu l'altro, a cui preposto era il gran Qìa, ii7
Un gran vascello che a tre palchi avea
Disposti i remi ; e i remiganti tutti
Eran Trojani e giovani e robusti.
Fu'l gran Centauro il terzo; e di quest'era 175
Sorgeste il capo , che a la Sergia prole
Diede principio. U ultimo , la Scilla
Guidata da Cloanto , onde i jCluenti
Trasser nome e legnaggio. E lungo incontra
A la spumosa, riva un basso scoglio 180
Che da* flutti percosso è talor tutto
Innondato e sommerso. Il verno i venti
Vi tendon sopra un nubiloso velo
Che ricopre le stelle ; e quando è il tempo
Tranquillo , ha ne l' asciutto una pianura 185
Ch* è di marini uccelli aprica stanza.
Qui d* un elee fipondoso il segno pose
D padre Enea, fin dove il corso avanti
Stender pria si dovesse , e poi dar volta.
Indi , sortiti i luoghi , al suo ciascuno 190
Si pose in fila. I capitani in poppa iss
Addobbati di bisso e d' ostro e d* oro
Risplendean di lontano ; e gli altri tutti
D* una livrea di pioppo incoronati
Stavano con le terga ignudi ed unti, 195
Si che tra Y olio e* 1 sol lumiere e specchj
Parean da lungo. E già ne* banchi assisi ,
Tese a* remi le braccia , al suon V orecchia
Aspettavano il segno. I cori intanto
Palpitando movea disio d* onore 200
E timor di vergogna. Avea la tromba
Squillato appena , che in un tempo, i remi
Si tuffar tutti, e tutti i legni insieme
Si spiccar da le mosse. I gridi al cielo
W andar de' marinari. Il mar di schiuma 205
S'asperse intorno; e'n quattro solchi eguali ui
Fu con ipolto stridor da* rostri aperto ,
13
^
BNEIDB
E da' remi stracciato. Impeto pari
Non fér nel Circo mai bighe o quadrighe
Da le carceri uscendo , allor eh* a sciolte 210
Ed onde.ip'gianti redini gli aurighi
A volanti dostrier sfcrzan le terga.
Le grida, il plauso, il fremito e le voci
In favore or di (juesti ed or di quelli
Tra i curvi liti avvolte , e da le selve 215
E da* colli riprose e ripercosse
Pacean V aria intonar fino a le stelle.
Kel primo uscire il primo avanti a tutti
Si vide Oia , mentre la gente freme :
E dopo lui Cloanto che de' remi 220
Migliore assai per la gravezza indietro
Rimanoa del suo legno. Indi del pari,
0 di poco infra loro avean contesa
n Centauro e la Pistri; e quando questa.
Quando quello era avanti ; e quando entrambi 225
Or le fronti avean §:iunte ed or le code. i67
Eran del sasso già presso a la meta ;
E di buon tratto vincitore avanti
Già se ne già , quand' ei sen vide in alto
Da la ripa più lungo ; onde rivolto ^ 230
Al suo nocchiero: E dove (disse ) andrai
Monete ? Attienti al lito e radi il sasso :
Vadano gli altri in alto. Ei tuttavia
D'urtar temendo, in pelago si mise.
E Già di nuovo : In qua , Monete : al sasso , 235
Al sasso : a la sinistra , a la sinistra ,
Dicea gridando ; e volto indietro vide
Gh* avea Cloanto addosso. Era Cloanto
Già tra lo scoglio e la Chimera entrato;
E via radendo la sinistra riva , 240
Tenne giro sì breve e sì propinquo ,
Che lui tosto e la meta anco varcando ,
Si vifle avanti il mare ampio e sicuro.
Grand' ira , gran dolore e gran vergogna
Ne senti '1 fiero giovane ; e piangendo 245
Di slizza , e non mirando il suo decoro ,
Né che Monete del suo legno seco
Fosse guida e salute , in mezzo il prese ,
E da la poppa in mar lungo avventollo.
Poscia ei nocchiero e capitano insieme 250
Die di piglio al timone , e rincorando
1 suoi compagni, al sasso lo rivolse.
Monete cae di veste era gravalo
E via più d* anni , inlìno a V imo fondo
LIBRO QUINTO
138
-»— ta
Ricevè '1 tuffo : e risorgendo appena
Rampicossi a lo scoglio , e si com* era
IdoUe e guazzoso , de la rupe in cima
Qual bagnato mastino al sol si scosse.
Rise tutta la gente al suo cadere :
Rise al notare : e più rise anco allora
Che a ' flutti vomitar gli vide il mare.
Mommo intanto e Scrgesto , che del pari
Erano addietro , parimente accesi
Su r indugio di Già preser baldanza.
Sergesto inver lo scoglio avea '1 vantaggio
Del primo loco; ma non tutto ancora
Era il suo legno avanti , che la Pistri
Premea col rostro del Centauro il fianco.
E Mommo confortando i suoi conipami
E 'n su e 'n giù per la corsia gridando ,
Yia fratelli , dicea , via degni alunni
D'Ettore invitto, via compagni eletti
Al grand* uopo di Troja. Ora è mcstiero
De' remi , de le forze e del coraggio ,
Che a le Sirti , a Cariddi , a la Malea
Mostraste già. Non più vincer contendo,
Che pur dovrei, se pur Mommo son io.
Vinca cui ciò da te, Nettuno, è dato.
Ma eh' ultimi arriviamo , ah non , fratelli ,
Questa vergogna; e ciò vincasi almeno
Che di tanto rossor tinti non siamo.
A cotal dir tutti insorgendo , a gara
Steser Te braccia, ed inarcare i dorsi,
E fèr per avanzarsi estremo sforzo.
Tremava a i colpi il ben ferrato legno :
Fugj^a di sotto u mare : ansando i rèmigi
Aprian le asciutte bocche : e spesso i fianchi
Sattendo , a gronde di suaor colavano.
Die lor fortuna il desiato onore :
Che mentre furioso oltre si spinge
Scrgesto , e con la prora arditamente
Rafie la ripa, ebbe il meschino intoppo.
Urtando de lo scoglio in una roccia
Che nel mar si sporgea. Schoggiossi U sasso :
Fiaccarsi i remi: si scoscese il rostro:
E d' un lato pendente e scossa tutta
Tremò la nave, e scompigliossi e stetto,
I remiganti attoniti, con gridi.
Con ferrate aste, con tridenti e pali
Stavan spingendo, e puntellando il legno,
£ ripescando i remi. In tanto ^egro.
256
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182
270
275
280
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295
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300
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E del siicpc?F.o coragyiaso e lialO.o
Mommo ratto s'avanza, e vince il sasso;
K via voij'aiiilo cJ invocando i venti
Fanilo a la china ed a 1' aporto il mare.
Qiial d' una grotta, ov' a^i^a i dolci flgU
E '1 caro nido, spavontata in prima
iJa subito sctiìaniazzo esce rombando,
Kd arrostando una colomba a l'aura;
Che poi giunta ne' campi a 1' acr queto
QuctameoLe per via dritta e sicura
Sen va con P ali immobili e veloci ;
Cosi la Pistri pria travolta e vaga
Venia da sozzo ; indi aOtlata e stretta
Passò prima Sergeato che nel sasso.
Come da vischio rattenuto augello t
E spennacchiato, ì suoi spezzati remi
Dibattendo, cbiedea soccorso in vano.
Poscia spingendo la Chimera aggiunse
E trapassoUa : che la sua gran mole
£ '1 perduto nocchier la fea più tarda.
Sol restava Cloanto : e vorso lui
Affllandosi, al ibi quasi del corso
Con ogni sforzo il segue, e già l' incalza.
Levossi al cielo un' altra volta il grido
Del favor che facoa la gente tutta
Porche i secondi divenissar primL
Quelli caccia lo sdegno e la vergogna
Di non toner il conseguito onore ;
Chù la gloria antepongono a la vita.
Questi lI successo manima e la speme t
Di ciò poter ; poich' altrui par che possaDO.
S' eran gii presso, e pareggiati i rostri
Pel pan i promj avrian forse ottenuti;
Se non ch'ambe lo mani al cielo alzando,
Cotal foce a gli Dei Cloanto un voto;
Santi numi del pelago eh' io corro,
Se'l corso agevolalo al legno mio,
Noi medesimo litn un bianco toro
Lieto consacrerovvi, e de l' opime
Suo visccro, e di vin limpido e nuro
L" arena spargotowi e l' ondo salso.
Furon da l'imo fondo i preghi uditi
Del buon Cloanto da la schiera tutta
Do le Kinfe di Nereo e dì Forco,
E da la Panopea vergine intatta:
E'I gr^n padre Portunno di sua mano
Gli spinso il legno; onde qual vonto, o Ptrale
LIBRO QUINTO 135
Lanciossi a terra , e si scagliò nel porto.
n padre Enea (com'è costume) avanti 350
Convocati a se tutti , a suon di tromba tu
Dichiarò vincitor Gloanto il primo,
E le tempie di lauro incoronogli.
Poscia a ciascuna do le navi in dono
Die tre grassi giovenchi, e tre grand' umo Só't
Di prezioso vino , e di contanti
Un ^ran talento. Ornò di maggior doni
I primi condottieri. Al vincitore
Presentò di broccato un ricco arnese
Che d* ostro a* groppi sopra T oro avea 360
Doppio un lavoro di ricamo e d' aco.
Nel mezzo entro al frondoso bosco ideo
Un real giovinetto era tessuto ,
Che anelo e fiero con un dardo in mano ^
Seguia per la foresta i cervi in caccia; 305
E poco indi lontano un' altra volta £53
Era il medesmo da Tuccel di Giove
Rapito in alto : e i suoi vecchi custodi
E udi cani lo miravan sotto ,
Quegli indarno le mani al cielo alzando, 370
E questi il muso , ed abbajando a l' aura.
A r altro poi , che per valore il primo
Fu per sorto secondo, in premio diede
Per ornamento e per difesa in arme
Una lorica che d' antica maglia , 375
E di lucente e rinterzato acciaro,
Di massiccio oro avea le fìbbie e gli orli.
Questa di Simoenta in su la riva
Sotto l'alto Ilio,.o di sua propria mano
Tolse al vinto Demòleo. Era si grave, 330
Che da Fegeo e da Sàgari , due forti
E robusti sergenti, ivi condotta
Era stata a gran pena : e pur in dosso
L' avea Demoleo u di che combattendo
Mise in quella riviera i Teucri in volta. 385
I terzi doni due gran nappi foro 166
Di forbito metallo , e due gran coppe
Di puro argento figurate intomo
Con mirabile intaglio. E già donati ,
E- de' lor doni alteri e festeggianti 390
Se ne gian tutti di purpuree bende
Le tempie avvinti, e di lentischio ftdomi;
Quando ecco da lo scoglio con grand' arte
fi con molta fatica appena svelto
Sor^e^to , col suo legno infranto e monco ^ ^"^
•••u
i36 ENEIDE
E tarpato ùe'remi in ver la terra
Se no venia disonorato e mesto.
Gom' angue suol , eh* o sia da ruota oppresso ^
Tra la ripa e *l sentiero , o sia di sasso
Dal v'iator pei*cosso o di randello , 400
Procacciando fuggir, con lunghe spire t75
S* arrosta indarno , e inalberato e hero
Dal mezzo in suso arde ne gli occhi e fischia;
E d* altra parte dilombato e tardo
Debilmente guizzando , in se medesmo 405
Si ripiega , s' attorce e si raggroppa :
Cosi co' remi la fiaccata nave
Se ne già lenta , e con le vele a volo ,
Ch'a piene vele al fine in porto aggiunse.
Ed a Sorgeste anco i suoi doni assegna 410
H padre Enea, di ricovrar contento
21 suo buon legno e i suoi fidi compagni
E furo i doni una cretese ancella,
Fòloe di nome , e di telare e d' aco
Maestra esperta e da Minerva instrutta, 415
Giovine e bella , e con due fìì;\ì al petto.
Questo primo spettacolo compito ,
Enea por gli altri una nianura elegge
Che di teatro in guisa a*ogn' intorno
Ha selve e colli , ed un gran circo avanti , 420
Ove in un palco alteramente estrutto 888
Tra molti mila collocossi in mezzo.
Qui prima al corso i corridori invita
Con preziosi premj , e i premj espone.
E de^ Teucri e de'Sicoli mostrarsi 425
I più famosi. Appresentossi in prima
Eurìalo con Niso. Un giovinetto
Di singoiar bellezza Eurjtalo era:
E Niso un di lui fido e casto amante.
Dopo questi Dioro, Era costui *3^
Del Icgnaggio di Priamo un rampollo,
Giovine generoso: e Salio e Patro
Vennero appresso: d'Acarnania Tuno,
D' Arcadia 1 altro e del Tcgeo paese :
E due Siciliani Elimo e Pànope , 435
Ambedue cacciatori , ambi seguaci
Del vecchio Aceste ; e con questi altri assai
D* oscura nominanza. A cui nel mezzo
Stando il gran padre Enea , cosi ragiona :
Nissun da me di questa schiera eletta *40
Andrà senza miei doni , e parHnento t^^
Una coppia di dardi avrà ciascuno
mìj:\o quinto 137
Di riliiconto acciaro, ed una d* oro
E d' ar-^ciifo commosso a T arabesca
Isoli più vista bipenne. I principali 445
Tre vincitori i primi preij'i avranno,
E lian tutti d' oliva incoronatL
E *1 primiero de' tre d' un buon destriero
Sarà provvisto ben guarnito e bollo.
L* altro avrà d' un' Amazzone un turcasso 450
Pien di tracie saetto , e un arco d' osso ,
Ed un bel cinto , a cui sono ambi appesi ,
Ch' han di gemme il fermaglio e d* or la fibbia.
Il terzo d' un' argolica celata
Se ne vada contento j o sarà questa. 455
Ciò detto ; e presi i luoghi , e 'l segno dato
S* avventar da la sbarra : e quasi un nembo
L' un da V altro dispersi , insieme tutti
Volar , mirando al une. Il primo avanti
Si tragge NLso , e di gran lunga avanti; 460
Che va di vento e di saetta in evulsa. ais
Prossimo a lui , ma pro^ifiio d un tratto
Molto lontano, è Balio. À 'Salio, Eurlalo:
Eurìalo ha di poco Elimo addietro :
Ad Elimo, Dioro appresso tanto 465
Che già sopra gli anela e già l' incalza ;
E se l corso durava, anco Tarobbo
O prevenuto o pareggiato almeno.
Eran presso a la meta , ed eran lassi ;
guanrlo ne V erba pria di sangue intrisa 470
e gli uccisi giuvenchi il piò fermando
Sinistramente e sdrucciolando a terra
Cadde Niso infelice , e '1 volto impresso
Nel sacro loto, si che gramo e sozzo
Ne surse poi. Ma del suo amore intanto 475
Non obbliossi : che sorgendo , intoppo 3S4
Si fece a Salio; oi)de con esso avvolto
Stramazzò ne l' arena ; e mentre ei giacque ,
Eurialo del danno e del favore
S'avanzò de l'amico, e de le grida, 480
Con che gli dier le genti animo e forza:
Ond'ei fu'l primo, el Elimo il secondo;
Dioro il terzo. E tal fin ebbe il corso.
Ma di rumor se n' empie e di tenzone
n Circo tutto; e Salio anzi al cospetto 485
Do' Giudici 0 de' Padri or si protesta
Or detesta or esclama ; e del tradito
Suo valor si rammSrca , e ragion chiede.
In difesa d' Eurlalo a riacoatro
188 ENEfM^
È il favor de la gente , e quel decoro 490
Suo dolce lagrimare , e queir invitta
Forza ch'ha la virtù con beltà mista.
Grida Dloro anch' egli, e lui sovviene
E se stesso difende : poich' il terzo
Esser non può quando sia Salio il primo. 495
Enea cosi decise: Aggiate voi, 347
Generosi garzoni, i pregi vostri;
E nulla in ciò do V ordine si muti :
Ch' io supplirò con degna ammenda al caso ,
Ond* ha fortuna indegnamente afflitto 500
L'amico mio. Ciò detto, una gran pelle
Presenta a Salio d'un Icon getulo,
Gh' ha il tergo irto di velli, e l'unghie d'oro.
£ gui Niso, 0 Signor (disse), di tanto
Guiderdonate i perditori, e tale 505
Di chi cade pietà vi prende ; ed io ss»
Di pietà non son degno nò di pregio,
Io che son di fortuna a Salio eguale,
E di valore a tutti gli altri avanti ?
E ciò dicendo , sanguinoso il volto 610
E livido mostrossi e lordo tutto.
Rise il buon padre Enea ; poscia un pregiato
E degno scudo , eh' a le porte appeso
Era già di Nettuno , ed ei riscosso
L'avea da' Greci, con mirabil arte 515
Dal saggio Didimàone construtto.
Venir tosto si fece , e Niso armonne.
Finiti i corsi e dispensati i doni ,
Or ( disse Enea) qual sia che vaglia ed osi
Di forxa e d'ardimento, al cesto invito. 520
Chiunque accetta, col suo braccio in alto
Si mostri accinto. E ciò dicendo , in mezzo
Propon due pregi: al vincitore un toro
Di bende il tergo adorno e d'x)r lo corna;
Un elmo ed un cimiero ed una spada 625
Per conforto del vinto. Incontanente
Uscio Darete poderoso in campo,
E con gran plauso si mostrò del volgo.
Bra Darete un che di forze estreme
I Fu solo ardito a star con Pari a fronte, 630
I E che a la tomba del famoso Ettorre sto
In su r arena il gran Bute distese :
E fu Bute un atleta, anzi un colosso
Di corpo immane , che in B()^rizia nato
D* Amico si vantava esser discoso. 535
Per tal da tutti avuto , e ^ comparso
LICRO QUINTO 13&
In su la lizza , altero ed orgoglioso
Squassò la testa : e i grandi omeri ignudo
Le muscolose braccia e'I corpo tutto
Brandi più volto , e meaò colpi a V aura. 540
Gercossi un pari a lui, nò m tra tanti »77
Chi rispondesse , o che di cesto armato
S' appresentasse. Ond*ei lieto e sicuro,
Come d'ogni tenzon libero fosso,
Al toro avvicinossi, e'I destro corno 545
Con la sinistra sua 5IÌ prese, e disse:
Signor, poiché non e cni meco ardisca
Di star a prova , a che più bado ? e quanto
Badar più deggio ? Or di che '1 pregio è mio ;
Perch'io meco l'adduca. A ciò fremendo 550
Assentirono i Teucri; e già co' gridi
De r onor lo facean degno e del dono :
Quando verso d'Entello il vecchio Aceate,
Si com' egli era in un cespuglio a canto ,
Si volse: e rampognando. Ah (disse), Entello, 555
Tu sei pur fra gli eroi de' nostri tempi
Il più noto e '1 più forte ; e come sotèi
Ch' un si gradito pregio or ti si tolga
Senza contesa? Adunque è stato in vano
Fin qui da noi rammemorato e colto 560
Erice , in ciò nostro maestro e Dio ?
Ov* è la fama tua che ancor si spande
Per la Trinacria tutta ? Ove son tante
Appese a i palchi tue famose spoglie?
llispose Entello : Né desio d' onoro , 565
Né vaghezza di gloria unqua, signore, W4
Mi lasciar mai, né mai viltà mi prese;
Ma r incarco de gli anni , il fredoo sangue ,
E la scemata mia destrezza e forza
Mi ritraggono addietro. Io quando avessi 570
0 men quei giorni , 0 non men quei vigore ,
Onde costui di se tanto presume,
Già per diletto mio seco a le mani
Sarei venuto, e non dal premio indotto:
Che premio non ne chero. E pur qui sono 575
Disse , e sorgendo , due gran cesti e gravi 4M
Dittò nel campo, e quelli stessi, ond'era
Solito a le sue pu^jne Erice armarsi.
Stupir tutti a quell'armi che di sette
Dorsi di sette buoi, di grave piombo ' 580
E di rigido ferro eran conserti.
Stupi Darete in prima , e ricusolle
A viso aperto : onde d' Ancbiso il figlio
140 BNEIBB
Le prese avanti, e i lor volumi e'I pondo
Stava mirando; quando il vecchio Entello 585
Così soggiunse : Òr che dirla costui
So visto avesse 1 cesti e V armi stesse ,
D' Ercole invitto, e V infelice pu^na ,
Onde in su questo lito Erice calide ?
D' Erice tuo fratello eran quest' armi. 590
Vedi che sono ancor di sangue infette
E d' umane cervella. Il grande Alcide
Con queste Erice assalse : e con guest' io
M' esercitai , mentre le forze e gli anni
Eran più verdi, e non canuti i crini 505
Ma poscia che Darete or le rifiuta, «le
Se piace a te , se mei consente Aceste
Per cui son q^ui, di ciò, Trojano ardito.
Non vo* che ti sgomenti. Io mi rimetto ,
E cedo a queste; e tu cedi a le tue. COO
Combattiam con altr* armi e Siam del pari
Cosi detto spogliossi ; e si com' era
De le braccia, de gli omeri e del collo
E di tutte le membra e d'ossa immane,
Quasi un pilastro in su l'arena stette. 605
AUor Enea fece due costi addurre
D' ugual peso e grandezza ; ed egualmente
Ne furo armati In prima su le punte
De' pie l'un centra l'altro si levare:
Brandir le braccia : ritirarsi in dietro 610
Con le teste alte : in guardia si posaro 428
Or questi or quelli : al line ambi ristretti
Mischiar le mani, ed a ferir si diero.
Era giovine l' uno , agile e destro
In su le gambe: era membruto e vasto 615
L'altro; ma fiacco in su' ginocchi e lento j
E per lentezza (il fiato ansio acotendo
Le gravi membra e l' affannata lena )
Palpitando anelava. In molte guise
In van pria si tentare, e molte volte 620
S' avvisar , s' accennare e s' investirò.
A le piene percosse un suon s' udia
De' cavi fianchi , un rintonar di petti ,
Un crosciar di mascelle orrendo e fiero.
Cadeau le pugna a nembi , e ver le tempie
Miravan la più parte ; e s' eran vote ,
Rombi facean per l' aria e fischj e vento.
Stava Entello fondato: e quasi immoto
Poco de la persona, assai do gli occhi
Si valea per suo sche^^mo. A cui Darete 630
625
r.TTì^o orrxro 141
Girava intorno , qual chi rocca oppugna , 439
Quantunque indarno, cho per ogni via
Con ogni arte la stringe e la combatte.
Alzò la destra Entello, ed in un colpo
Tutto s* abbandonò contro Darete ; 635
Ed ei, che lo previde, accorto e presto
Con un salto schivoUo: onde ne Taura
Percosse a vóto , e dal suo pondo stesso
E da l'impeto tratto a terra cadde.
Tal un alto, ramoso, antico pino 640
Carco de* gravi suoi pomi si svelle
D' un cavo greppo , e con la sua ruìua
D*Ida una parte, 0 d* Erimanto ingombra.
Allor gridò , gioì , temè la gente ,
Siccom' eran de' Sicoli e de Teucri 645
Gli animi e i voti a i duo compa^ aflbttL
Le grida al ciel ne giro. Aceste il primo
Corse per sollevare il vecchio amico.
Ma né dal caso ritardato Entello,
Né da tema sorpreso , in un baleno 630
Risurse e più spedito e più feroce; 453
Che Tira, la vergogna e la memoria
Del passato valor forza gli accrebbe.
Tornò sopra a Darete, e per lo campo
Tutto a forza di colpi orrendi e spessi 655
Lo mise in volta or con la destra in dito.
Or con la manca , senza posa mai
Dargli, né spazio di fuggirlo almeno.
Non con si folta grandine percuote
Oscuro nembo de' villaggi i tetti, 660
Come con infiniti colpi e fieri
Sopra Darete riversossi Entello.
Allor il padre Enea, l'un ritogliendo
Da maggior ira e l' altro da stanchezza
E da periglio, entrò nel mezzo; e prima 665
Fermato Entello, a consolar Darete
Si rivolse dicendo : E che follia
Ti spinge a ciò? Non vedi a cui contrasti?
Non senti e le sue forze e i Numi avversi?
Cedi a Dio , cedi. E cosi detto impose 670
Fine a l'assalto. I suoi fidi compagni 4«7
Così com'era afflitto, infranto e lasso,
Col capo spenzolato, e con la bocca
Che sangue insieme vomitava e denti,
Lo portare a le navi; e fu lor dato 675
L' elmo , il cimiero e la promessa spada.
Himase al vincitor la palma e'I toro,
Di che lieto e superbo, O de la Dea
(Disse) famoso uglio, e voi Trojani,
Quinci vedete qua! ne' miei verd* anni 680
Fu la mia possa, e da qual morte aggiate 475
Liberato Darete. E ciò dicendo ,
Recossi anzi al giovenco , e'I duro cesto
Gli vibrò fra le corna. Al fiero colpo
S' aperse il teschio , si schiacciaron T ossa , 685
Schài?ò*l cervello: e'I bue tremante e chino
Si scosso, barcollo, morto cado.
Ed ei soggiunse : Erico , a te quest' alma
Più (tema di morire offrisco in vece
Di miella di Darete; e vincitore 690
QuiU cesto appendo, e qui l'arte ripongo.
Immantinente Enea 1* altra contesa
Propon de l'arco, e i suoi premj dichiara.
Ma l' albero condur pria de la nave
Fa di Sorgeste, e ne l'arena il pianta: 695
Suwi una fune , e ne la funo appende
Una viva colomba, e per^bersaglio
La pon de le saette e de gli arcieri.
Fèrsi i più chiari avanti, e i nomi loro
Del fondo si cavar d'un ehno a sorte. 700
Uscio primiero Ippocoonte , il figlio
D' Irtaco generoso , a cui con lieto
Grido la gente applauso. A lui secondo
Fu Mommo che pur dianzi il pregio ottenne
Del naval corso ; e Mommo , si com' era 705
Di verde oliva incoronato, apparve. 492
Apparve Eurizio il terzo; ed era questi
Minor, ma ben di te degno fratello,
Pandaro glorioso, che de* Teucri
Rompesti i patti, e saettasti in mezzo 710
A r oste greca il gran campione argivo.
Ultimo si restò de 1* elmo in fondo
Il vecchio Aceste, che sì vecchio anch' egli
Ardi di porsi a giovenil contrasto.
Tesero gli archi, e trasser le quadrella 715
Da le faretre. A tutti gli altri avanti
D' Irtaco il figlio a saettare accinto
Col suon del nervo e del pennuto strale
L'aura percosse, e si dritto fendella
Che l'albero investi. Tremonne il legno, 720
Spaventossi l'augello; e d'alte grida 504
Risonò '1 campo e la riviera tutta.
Mommo vien dopo, e pon la mira, e scocca;
E '1 misero fj:a' piò colpisce appunto
LIBRO QUIKTO 143
In sn la corda, e ne recide il nodo. 725
Libera la colomba a volo alzossi ,
E per lo ciei veloce a fuggir diossi.
Eiirizio allor, ch'avea già l'arco teso
E la cocca in sul nervo, ai suo fratello
Votossi, e trasse; e ne le nubi stesse 730
(Si come lieta se ne giva e sciolta)
La feri sì che con lo strale a terra
Cadde trafitta, e lasciò Talma in cielo.
Sol vi restava Aceste , a cui la palma
Era già tolta : ond* ei scoccò ne T alto 735
Lo strale a voto, e la destrezza e l'arte
Mostrò nel gesto e nel sonar de V arco.
Quinci subitamente un mostro apparve
Di meraviglia e di portento orrendo,
Come 8i vide , e come interpretato 740
Fu poi da formidabili inrìovmi. «3
Che la saetta in su le nubi accesa
Quanto volò, tanto di fiamma un solco
Si trasse dietro, infìn ch'ella nel foco,
E*l foco in aura dilesuossi e sparve. 745
Tal sovente dal ciel divelta cade
Notturna stella, e trascorrendo lascia
Dopo sé lungo e luminoso il crine.
A jpiesto augurio attoniti i Sicani
E i Teucri tutti, umilemente a terra 750
Gittàrsi, ed a gli Dii pace chiederò.
Solo Enea per sinistro e per infausto
Non l'ebbe; e'I vecchio Aceste, che giojoso
Era di ciò, giojosamcnte accolse,
E molti doni appresentogli, e disse: 755
Prendi, padre, da me questi che scevri 63«
Da gli altri onori a te destina il cielo
Con questi auspicj , e questa coppa in prima, .
Un de' più cari a me paterni arredi,
. E caro e prezioso al padre mio , 760
E per l'intaglio e per la rimembranza
Del buon re Cisso che fra gli altri doni
Questo in Tracia gli die pegno e ricordo
De r amor suo. Cosi dicendo, il fronte
Gli ornò di verde alloro , e dichiaroUo 7C5
Vincitor primo. Nò di ciò sentissi
Il buon Éurizio olFeso, ancor ch'ei solo
Fosse de la colomba il feritore.
Di lui fu poscia il guiderdon secondo
Chi recise la corda ottenne il terzo; 770
E rultira'obbc chi cunlisso il Ic^no,
Hi tìttvùt
««■
3J
Non era ancor questa contesa alfine,
Quando in disparte EpitMe chiamando
Un che di Julo era custode e guida ;
Va (gli disse a T orecchio) e fa, che Ascanio 775
Si spinga avanti, se le schiere in punto
Ha ae* lanciulli , e eh' arme^gi;indo onori
La memoria de V avo. Impone intanto
Che la gente s'apparti, e l circo tutto
Quanto e largo si sgombri e quant'ò lungo.
Già si mettono in via; già noi cospetto 552
Vengon de'pxlri i pargoletti eroi
Su frenati ncstrier lucenti e vaghi.
Solo a veder gli abbiglianienti e i gesti
Ne sta di Troja e di Sicilia il volgo 785
Maraviglioso , e ne gioisco e freme.
Parte ha di loro una ghirlanda in testa,
E sotto accolto e raccorciato il crine ;
Parte ha l'arco e'I turcasso, e d'oro un fregio
Che da le spalle attraversando il petto 790
Sen va di serpe attorcigliato in guisa. ^ 558
Eran tutti in tre schiere ; avean tre duci ,
E ciascun duce conducea di loro
Tre volte quattro , e 'n tre luoghi spartiti
Pacean pomposa ed ordinata mostra. 795
L' una de le tre schiere avea per capo
Priamo novello, di Polito il figlio,
E di cui nomo avea nipote illustre :
Grand' acquisto d' Italia. Il suo destriero
Era nato di Tracia, d'un mantello 80»
Vario , balzan d' un pie , stellato in fronte.
Ati fu l'altro, onde i Latini han dato
Nome a l' Attia famiglia : un fanciul caro
Al garzonetto Julo. Julo il terzo ,
Ma di bellezza e di valore il primo, 800
Cavalcava un corsier che Soriano 570
Era di razza, e da la bolla Dido
L' avea per un ricordo e per un pegno
De r amor suo. Gli altri fancuilli tutti
Eran d' Aceste in su' cavalli assisi. 81;
Con gran letìzia , e con gran plauso i Teucri
Gli ricover, come che timi letti
Fossero in prima ; e le sembianze in loro
Avvisare e'I valor de' padri stessi.
Poscia che passeggiando al circo intorno 5
Girarsi in lenta e graziosa mostra, ^ &77
Si disposero al corso : 0 mentre accolti
Se no stavano a ciò schierati in fila
LIBRO QUINTO 145
Da r un de' capi , Epitide da 1* altro
Die lor col suon de la sua sferza il cenno. 820
Corsero a tre per tre, pari, e discanti
L' una schiera da T altra , e rivolgendo
Tornar di dardi e di saette armati
Indi a cacciarsi, a rincontrarsi, a porsi
In varie assise, ad imo, ad uno, a molti, 825
A tutti insieme , a far volte , rivolte ,
E giri e mischie in più modi si diero :
Or fuggendo . or seguendo : or come infesti
Or come amici. In (quante guise a zufh.
Si viene in campo ; in quante si discorre 830
Per le molte intricate e cieche strade
Del Labirinto che si dice in Greta
Esser costrutto ; in tante s* aggirare ,
Si confusero insieme , e si spartirò
De' Teucri i fisli ; e tali anco i delfini 835
Per r Ionio scherzando , o por V Egeo
Fan ^avolte e scorribande e tresche.
Questi tornìamenti e queste giostre
Rinnovò poscia Ascamo , allor eh' eresse
Alba la lunga : appreser^li i Latini ; 349
Gli mantenner gh Albani ; e d' Alba a Roma «ov
Pur trasportati , e vi son oggi ; e come
E Fuso e Roma e i giuochi derivati
Son da Trojani , hanno or di Troja il nome»
Questi eran fìno a qui del. santo vecchio 845
Celebrati al sepolcro onori e ludi ;
Allor che la fortuna a i Teucri infida
Un nuovo storpio a gli infelici ordio.
Che mentre erano in ciò parte occupati,
E tutti intesi, la saturnia Giuno 850
Da l'antico odio spinta, 0 de' lor danni
Non ancor sazia, Iri coi venti in jprima
Venir si fece; e poiché instrutta rebbe
Di ciò eh' er' uopo , a la troiana armata
Le commise eh' andasse. Ella veloce 856
Infra mille suoi lucidi colori
Occulta ed invisibile calessi.
Vide sul lite una gran gente accolta
Da Tun de' lati; il porto abbandonato
Da l'altro, e vóti e senza ^ardia i legnL 800
Vide poi che da gli uomini in disparte eit
Stavan le donne d' Ilio, il morto Anchlse
Piangendo anch' esse : e ne' lor pianti il mare
Mirando, 0 (dlcean tutte) ancor di t^to,
E con tanti perigli e tanti affanni 885
146 ENBIDB
X\!>^
k
No resta a naviga rio, e siam già vinte
f Da la stanchezza ! in ciò desio mostrando
; Di ricetto e di posa, e tema e tedio
Di rimbarcarsi Ella , che a nuocer luogo
E tempo vide accomodato ed atto, B70
Deposto de la Dea V abito e '1 volto ,
Tra lor si mise, e Beróe si fece :
Una vecchia d' aspetto e d' anni grave ,
Che del tracio Doriclo era già moglie,
Di famiglia, di nome e di figliuoli 875
Matrona illustre, e taf sembrando disse :
O meschinelle, a cui per man de* Greci
Non fti sotto Dio di morir concesso ,
Gente infelice, a che strazio, a che scempio
La fortuna vi serba! Ecco già volge 880
n settim* anno, da che Troja cadde, 6S5
Che 1 mar, la {erra, il ciel, gli uomini, i sassi
Avete incontro; e pur Lazio seguite
Che vi fugge d* avanti ? Or che vi toglie
Di qui fermarvi? Non fur questi liti 885
D*un già frate d*Enea? Non son d'Aceste
Ospite nostro'? E perchè gui non s'erge
La città che dal ciel ne si destina?
O patria ! o da' nemici invan ritolti
Santi numi Penati ! Invano adunque 890
Aspetterem de la novella Troja «32
Le desiate mura ? e non Ha mai
Che più Xanto veggiamo, 0 Simoenta ? ,
Su, figlie; mano al foco: e queste infauste
Navi ardete con me : eh* io da Cassandra 895
Di cosi far son ammonita in sogno.
,u^ Ella con un'ardente face in mano
^v— Questa notte m'apparve, e m'era avviso
D' esser com* or son vosco, e eh' ella volta
Ver noi, prendete, ne dicesse, e Troja 900
Cercate qui; che qui posar v' è dato.
Or questa è nostra patria, e questo è '1 tempo
Di compir l' opra che '1 prodigio accenna.
Più non s' indugi Ecco Nettuno stesso
Con questi quattro a lui sacrati altari 905
Nèjdà l'occaslon, l'animo e'I foco.
ardente
Confuse ne restaro e stupefatte ^10
Le donne d' Ilio ; e Pirgo una di loro , Wi
Ch' era d' anni maggiore, e fu di molti
LIBRO QUINTO ^ 147
Figli del ^an re Priamo nutrice ,
Donne ( disse )^ non è, non è costei
Né Trpiana, ne BerOe, né moglie 916
Fu di Doriclo : è Dea. Notate i segni :
Com' arde ne la vista, e quali spira
Ne r andar, ne la voce e nel sembiante
Celesti onori. Io pur testé mi parto
Da Beroe , che di corpo egra languendo 920
Stassi , e sdegnando cne a guest* atto sola
Nosco nop intervenga. E ^qui si tacque.
Le madri paventose e dubbie in prima
Con gli occhi biechi rimirar le navi,
Sospese le meschine infra V amore 925
Di godersi la terra , e la speranza 655
Che perdean de' reami , a cui chiamate
£ran dal Fato. Intanto alto in su V ali
La Dea levossi : e tra le opache nubi
Per entro al suo grand' arco ascese , e sparve. 9i0
Allor dal mostro spaventate , e spinte
Da cieca furia , s' avventar fidando :
E di faci e di fronde e di virgulti
Spogliare altre gli altari, altre infocare
I legni si che in un momento appresi 935
I banchi , i remi e l' impeciate poppe
Mandar fiamme e scintille e ftimo al cielo.
Portò di questo incendio Eumelo avviso
Là 've al sepolcro era la gente accolta,
E de l'incendio stesso un atro nembo 940
Ne die fumando e scintillando indicio.
Ascanio il primo ( siccom' era avanti
Duce del corso ) al mar si spinse in guisa
Che i suoi maestri impalUdlr per tema,'
E richiamando lo seguirò in vano. 945
Giunto che fu , che furor ( disse ) è questo ?
Dove , dove ne gite ? e che tentate ,
Misere cittadine ? Ah ! che non questi
De' Greci i legni , o gli steccati sono.
Voi di voi stesse ìe speranze ardete. 950
Io sono il vostro Ascanio. E qui 1* elmetto «7t
Onde a la giostra era comparso armato,
Gittossi a pie. Corsevi intanto Enea :
Vi corsero de' Teucri e de' Sicani
Le schiere tutte. Allor per tema sparse 955
Le donne per lo lite e per le selve
Se ne fuggirò ; ed appiattarsi ovunque
Ebber di rupi , o di spelonche incontro ;
Chò peqtite del fallo odi&r la luce ,
143 ENEIDE
Cangiar pensieri , e con r amor de' suoi geo
Iri dei petto disgombrarsi e Giuno. ers
Ma non però T indomito furore
Cessò del foco : che la secca stoppa ,
E r unta pece , e gli aridi fomenti
L' avean un dentro a le giunture appreso : 965
Onde nel molle , ancor vivo , esalava
Un lento fumo, e penetrava i fondi
Si eh' ogni forza , ogni argomento umano ,
E 1 mare stesso , che da tante genti
Sopra gli si versava , erano in vano. 970
Squarciossi Enea da gli omeri la veste
Ch' avea lugubre ; 0 da^Celcsti aita
Chiedendo , ai ciel volse le palme , e disse :
Onnipotente Giove , se de' Teucri
Ancor non t' è senza riservo in ira 975
La gente tutta , e se ( qual sei ) pietoso
Min a gli umani alfanni , a tanto incendio
Ritogli , padre , i male addotti le^ni ;
Ritogli a morto queste poche atllitte
Reliquie de' Troiani ; 0 quel che resta 980
Tu col tuo proprio telo , e di tua mano 691
( Se tale è il merto mio ) folgora- e spegni.
Ciò disse appena , che da torbidi austri ,
E da nera tempesta il cielo involto
In disusata piogjjia si converse. 985
Tremare i campi , si crollare i monti
Al suon de' tuoni: a cataratte aperto
Traboccar da le nubi i nembi e i iìumi.
Cosi sotto dal mar, sovra dal cielo
Le già quasi arse navi in mezzo accolte 900
Fnit)n da l'acque: onde le fiamme in prima,
Poscia il vapor s' estinse : e tutte spente ,
Se non se quattro , si salvare al line.
Di si fero accidente Enea turbato ,
Molli e gravi pensier tra se volgendo, 995
Stnva intra due , se per suo novo seggio
(l'osto il fato in non cale) ei s'eleggesse
ho la Sicilia i campi, 0 pur di lun^^o
Cercasse Italia. In ciò Naute , un vecchione
ClTera (mei-cò di Pallade e de gli anni) 1000.
T>i molta esperienza e di gran seimo, 7oi
C) '.osse ira di Dio , che lo movesse ,
0 pur ch'era cosi nel ciel prescritto,
In cotal guisa a suo conforto disse :
Magnanimo signor, comunque il fato i005
^Q tragga | 0 M ritragga , e che che sia |
/' •;• ^^
*
LIBRO QUINTO 149
Vincasi col soffrire ogni fortuna.
Aceste è qui , eh* è del dardanio seme
E di stirpe celeste un ramo anch* egli
Prendi lui per compagno al tuo consiglio, 1010
E con lui ti confedera e t* aduna,
Che in grado prenderaiio ; e tu de' tuoi
Ciò che t* avanza per gli adusti legni ,
O fastidito è di si lungo esigilo ,
0 che langua , o che tema , o che sia manco 1015
Per etate , o per sesso , a lui si lasci
Ch* è pur Trojano ; ed ei lor patria assegni
Che dal nome di lui si nomi Acesta.
S* accese al detto del suo vecchio amico
H trojan duce; e trapassando d*uno 1020
In un altro pensiero, era già notte, 750
Quando l' immago del suo padre Anchise
Veder gli parve , che dal ciel discesa
In tal ^isa dicesse: O figlio amato
Vie più de la mia vita infin eh* io vissi, 1025
Figlio che segno sei de le fortime,
E del fato di Troja : io qui mandato
Son dal gran Giove , eho dal eicl pietoso
Ti mirò dianzi, e i tuoi legni ritolse
Da 1* orribile incendio. Attendi ai detto 1030
Del vecchio Naute , e ne 1* Italia adduci 72s
(Si come ei fedelmente ti consiglia)
De la tua gioventù soli i più scelti ,
1 più sani , i più forti e i più famosi :
Gh* ivi aspra gente e ruviaa e feroce 1035
Domar convienti. Ma convienti in prima
Per via d'Averne ne l'inferno addurti,
E meco ritrovarti , ov' ora io sono ,
Figlio , non già nel Tartaro , 0 fra V ombre
De le perdute genti , ma felice 1040
Tra i felici e tra* pii per quegli ameni
Elisj campi mi diporto e godo.
A questi lochi , allor che molto sangue
Avrai di negre pecorelle sparso ,
Ti condurrà la vergine Sibilla , 1045
Ivi conto saratti il tuo legnagg^o »
E'I tuo seggio &tale: é qui ti lascio;
Già che varcato è de la notte il mezzo ,
E del nimico sol dietro anelando-
I veloci destrier venir mi sento. i050
E ciò dicendo allontanossi , e sparve. ''S»
Dove, padre, ne vai, dove t'ascondi?
Dicendo Knoa , chi fuggi ? 0 chi U toglìA
Aceste non recusa; e già descritti
I nomi de le madri , e de gì' infermi .
E de le f,'enti che mcsticro, i cura
Avean più di riposo , che di lodo.
Essi ppchi , ma Rceiti, e guemer tutti
Rivolti a risarcir gli adusti legni
Rinnovaron le sarte , i remi , i banchi ,
E ciò che'l foco avea corroso ed arso.
Enea de la città lo mura intanto
Insolca, e i lochi assegna; e parto Troja,
E parte Ilio ne chiama , o ro n' appella
n Buon trojano Acoste. Ei lieto il carco
Ne prende : indice i! foro , elegge i padri ,
Ode , giuiiica , e manda. Allora in cuna
De r ericino giogo il gran delubro
Surso a Venere idalia : e i sacerdoti
Gli 8' addissero in prima. AUor s'aggiunse
Al tumulo d' Anctuse il sacro bosco.
Avea già nove di fatti solenni
Sacrifìci e conviti; e'i mare e i venti
Eran placidi e queti. Austro sovente
Spirando in alto i lor legni invitava :
Quando un pianto dii-otto per lo lito
Levossi, un condolersi, un abbracciarsi
Che tutto '1 di durò , tutta la notte.
Le meschinelle donne, e ouegU stessi.
Cui dianzi spaventosa era la faccia
£1 '1 nome intollerabile del mare .
LIBRO QUINTO 151
Cinto il capo d'oliva, una gran tazza 775
In man si reca , e di leneo liquore ,
E di viscere sacre il mare asperge^
Sorgea da poppa H vento , e le sals' onde
Ne gian solcando i remiganti a gara»; 1105
Quando del figlio Giterea gelosa
Nettuno assalse , e seco guerclossi
In cotal guisa ! La grav' ira e V odio
Di Giuno insaziabile m* inchina
Ad ogni priego ; poscia che nò *1 tempo
Né la pietà, nò Giove, nè'l destino
ino
Acquetar non la ponno. E non le basta
D' aver già Troja desolata ed arsa,
Che le reliquie , il nome e V osda e '1 cenere
Ne perse^mta ancora. Ella ne sappia, 1115
Ella ne dica la cagione. Io chiamo 788
Te per mio testimon de V improvvisa
^ Micidlal tempesta che pur dianzi
Per mezzo de Teolide procelle
Mosse lor centra (tua mercede) in t'ano. 1120
Or ha r iniqua per le mani stesse
De le teucre matrone i teucri legni
Dati si bruttamente al foco in ^reda.
Perchè i meschini, arse le navi loro,
Sian di lasciare i lor compagni astretti 1125
Per le terre straniere. Or quel che resta,
E eh' a te chieffgio, è eh* ima volta al fine
Tocchin del Tenro e di Laurento i campi,
Se però quel eh* io chieggio è che dal cielo 1130
Al mio figlio si debba, e se quel seggio 798
Ne dan le Parche e 1 Fato. A lei de T onde
Rispose il domatore : Ogni fidanza
Prender puoi Citerea ne' regni miei,
Onde tu pria nascesti. E non son pochi 1135
Ancor teco i miei merti; che più volte
Ho per Enea l' ira e '1 furore estinto
E del mare e del cielo. Ed anco in terra
Non ebb' io ( Xanto e Simoenta il sanno )
De la salute sua cura minore, 1140
Allor eh' Achille a le trojane schiere
Sì parve amaro, che fin sotto al muro
Le cacciò d' Ilio, e tal di lor fé' strage ,
Che ne gir gonfi e sanguinosi i fiumi;
E Xanto de' cadaveri impedito 1145
Sboccò ne' campi, e devio dal mare.
Era (juel giorno Enea d* Achilli^ a fronte,
Né Diiy né forzo avea eh' a lui del pari
stessero ìiiL-ontro, Io fui che no la nuho
Allor l'accolsi: io che dì maa nel trassi,
Quando più d'atterrar avea desio
Quelle mura odiose e disleali.
Che pur de le mie mani eran Mtura.
Or ti conforta, che ver luì son io
Qual fui mai sempre, e come agogni, il porto
Attingerà sicuramente; e'I lago e
"Vedrà d' Averne, e de' suoi tutti nn solo
Gli mancherà. Sol un convien che pera
Per condur gli altri suoi lieti e sicuri.
Poiché di Cìterea la mente rfueta
Ebbe de l'onde il patire; i suoi cavalli
Giunti insieme e frenati, a lente briglie
Sovra de l'alto suo ceruleo carro
Abbandonossi, e lievemente scorso
Per lo mar tutto. S'adcguaron l'onde:
Si dileguar le nubi: ovunque apparve, s
Tutto sgombroRsi, del suo corso al suono,
Ch' avea di torho il ciel, di gonfio il mare.
Cingenn Nettuno allor da la man destra
Torme di pistri e di balene immani ,
Di Glauco il vecchio coro, e d'Ino il Aglio,
E i veloci Tritoni, e tutto insieme
Lo stuol di Forco. Da sinistra intorno
Gli era Teli, Melite e Panopea,
Spio, Nisca, Gimodoce e Talia.
Qui per r amara dipartenza afflitto
Il padre Enea rasserenossi in parte,
E ciò che a navigar facea mostiero
Gioiosamente a" suoi C3mpagni impose
Tirar l'antenne, inalberar le vele.
Sciolsero, ammainar, calaro, alzaro ,
Fèr le marinaresche lor bisogne
Tutti in un tempo: ed in un tempo insieme
Drizzar lo prore al mar, le poppo al vento.
Innanzi a tulli con più legni in frotta
Ola Palinuro il provido nocchiero,
E gli altri dietro lui di mano in mano.
Era l'umida notte a mezxo il cerchio
Del eie! salita, e già languidi e stanchi
Su i duri legni i naviganti agiati
Prendean quiete; quando ecco da l'alte g
Stelle placido e lieve il Sonno sceso
Si fece quanto avea d'aere intorno
Sereno e queto: e te, buon Palinuro,
Senza tua colpa, insidioso aasalae ,
LIBRO QUI^•TO 153
Portando a gli occhi tuoi tenebre eterne.
Ei di Forbante marinaro esperto
Presa la forma, come noto, appresso
In su la poppa gli si pose, e disse :
Tu vedi , Paiinuro : il mar ne porta 1200
Con le stesse onde , e 'l vento ugual ne spira.
Temp'è che posi ornai: china la testa-
E ftira gli occhi a la fatica un poco ;
Poscia eh' io son qui teco , e per te veglio.
Cui Paiinuro , già gravato il ciglio , 1205
Cosi rispose : Ah tu non credi adunque 847
Cb' io conosca del mar le perfid' onde ,
E '1 làlso aspetto? A tale infido mostro
Ch' io fidi il mio signore e i legni suoi ?
Ch'ai fallace sereno , a i venti instabili 1210
Presti fede io , che son da lor deluso
Già tante volte ? E ciò dicendo , avea
Le man ferme al timon , gli occhi a le stelle.
Il Sonno allora di leteo liquore ,
E di stiido veleno un ramo asperso 1215
Sovra gli scosse , e r una tempia e 1* altra
Gli spruzzò si che gli occhi ancor rubelli
Gli strinse , gli gravò , gli chiuse al fine.
Appena avean le prime gocce infusa
La lor virtù , che '1 Duon nocchier disteso 1220
Ne giacque ; e *l Dio col suo mentito corpo
Sopra gli si recò , pinse e sconfìsse
Un gheron de la poppa , e lui con esso
E col temon precipitò nel mare.
Né gli valse a gridar cadendo aita ;
Che Tun crual pesce, e T altro qual augello, eoo
Questi ne r onda , e quei ne V aura sparve.
Né r armata ne gio però men ratta ,
Né men sicura ; che Nettuno stesso ,
Come promesso avea , la resse e spinse.
Era delle Sirene omai solcando
Giunta a gli scogli , perigliosi un tempo
A' naviganti : onde di teschi e d* ossa
D' umana gente si vedean da lungo
Biancheggiar tutti. Or sol , di canti in vece, 1233
Se n'ode un roco suon di sassi e d'onde.
Era ( dico ) qui giunta , allor eh' Enea
Al vacillar del suo legno s' accorse :
1225
Che di ^ida era scemo e di temone :
Ond' egli stesso in fin che '1 giorno apparve 1240
Se ne pose al governo, e '1 caso indegno
Del caro amico in tal guisa ne pianse :
' SHBIDB
Troppo al sereno, v troppo a ìa bonaccia
Credesti , Palinurc. Or ne 1' arena
Dal mar gittato in qualche strano lito
Ignudo e sconosciuto giacerai ,
Né chi t' onori avrai , uè chi ti copra.
vitrm DKL Limo QDuno
LIBRO SESTO
^l^GOMBNTO
Sorto a Omna, Enea va neirantro della Sibilla; e celebrato secondo lì
rito un sacrLflcio nel tempio di Febo, dall* intasata Sibilla apprende gli
imminenti pericoli e i casi della vicina guerra, 1-97. Seguono le istruzioni
rr Impetrare licenza di scendere in Inferno, 96-155. Trovato sul lido
cadavere di Mlseno, lo bruciano e gli dan sepoltura ai piedi del vicin
monte, che ne prende il nome di Miseno, 156-235. Quinci, edito il ra-
moscello d*oro e sacrificate le vittime. Enea guidato dalla Sibilla, per le
grotte fl*Àvemo discende ali* Inferno, di cui si descrive V ingresso, 236-336.
Palinuro errante intomo alla Palude Stigia, perchè il suo corpo è privo
di sepoltura, desidera traghettare insieme con loro ; ma la Sibilla lo vieta,
e lui consola con la speranza di un cenotaflo e di esequie , 337-383. Pas-
sata la Stige e assopito Cerbero con focacce medicate, Ènea trascorre per
le sedi d^* infanti e dei condannati e morti a torto ; e di là giunge ai
violenti contro sé per insofferenza d* amore, e fra <iuesti parla a Dido-
ne, che sdegnosa non gli risponde, ma gli siHoglie dinanzi, 384-476. Pas-
sando oltre, scorge Delfobo fra le ombre dei valorosi in arme, tutto mal-
concio da molte perite, e da lui gli è narrato il misero modo della sua
morte, 477-584. Lasciatosi quindi a sinistra il Tartaro, e 'Capute dalla Si-
billa le pene dei malfattori, 585-627, va alla reggia di Plutone, e sulla soglia
di essa configge il ramoscello d*oro, 628-436. Dopo ciò perviene alle sedi
de* beati, e laMuseolo conduce al cospetto del padre, 637-678. Allora An-i
chise spiega ad Enea Torigine, la purgazione e rultima sorte dolle anime, '
679-755; gli racconta dei re d* Alba e di Roma, e ricordati alcuni nomi
d*illustri Romani, viene alle lodi di Giulio Cesare e d' Augusto, 756-859 ; e
finisce levando a cielo Marcello, figlio di Ottavia, rapito ixcrbo da niortp,
860-888. Enea uscito alFaria perla porta d*avorio, rivede i compagni ed
arriva a eaeta, 889-901.
Cosi piangendo disse ; e navigando
Di Gnma in ver Teubolca riviera
Si spinse a tutto corso, onde ben tosto
Vi furon sopra , e v' approdaro al fine.
Volser le prue, gittàr 1 ancore ; e i legni,
Si come stero un dopo T altro in fila ,
Di lungo tratto ricovrir la riva.
Lieta la gioventù nel lito esperio
Gittossi : ed in un tempo al vitto intesi ,
Chi qua chi là si diero a picchiar selci , 10
A tagliar boschi, a cercar fiumi e fonti.
Intanto Enea verso la rocca ascese ,
Ove in alto sorgea di Febo il tempio,
E là dov* era la spelonca immane
<
150 ENEIDE
I
De r orrenda Sibilla , a cui fu dato 15
Dal gran Delio profeta animo e mente
D* aprir T occulte e le future cose.
Avea di Trivia già varcato il bosco,
Quando avanti di marmo ornato e d'oro
Il bel tempio si vide. È fama antica 20
Che Dedalo, di Greta allor fuggendo i4
Gh' ebbe ardimento di levarsi a volo
Con più felici e con più destre penne
Che 1 suo tìglio non mosse , il freddo polo
^ Vide più presso; e per sentier non dato 25
A r uman seme , a questo monte al fine
Del calcidico seno il corso volse.
Qui giunto e fermo a te, Febo, de Tali
L' ordigno appese , e '1 tuo gran tempio eresse ,
Ne le cui porte era da Tun de' lati 30
D' AndrogGo la morte , e quella pena
Ghe di Gecrope i figli a dar costrinse
Sette lor corpi a 1' empio mostro ogni anno :
Miserabil tributo ! e v' era V urna,
Onde a sorte eran tratti. Eravi Greta 35
Da r altro lato , alto dal mar levata ,
Gh' avea del tauro istoriata intorno »
E di Pasife il bestiale amore ,
E la bestia di lor nata biforme , .
Di si nefando ardor memoria infame. 40 w
Eravi r intricato Laberinto : to ^
Eravi il filo, onde gl'intrighi suoi
E le sue cieche vie Dedalo stesso ,
Per pietà eh' ebbe a la regina , aperse. i
E tu, se'l pianto del tuo padre e 1 duolo 45
Noi contendea, saresti, Icaro, a parte
Di si nobil lavoro. Ma due volte "
Tentò ritrarti in oro; ed altrettante
Si r abborri che Y opera e lo stile
Di man gli cadde. Era con gli altri Enea 50
Tutto a mirar sospeso, quando Acate ss
Tornò , eh' era precorso , e seco addusse
Delfobe di Glauco , una ministra
Di Diana e d' Apollo. Ella rivolta
Al frigio duce , Non è tempo ( disse ) 85
Ch' a ciò si badi. Or è d' oflrir mestiero
Sette non domi ancor giovenchi , e sette
Negre pecore elette. E ciò spedito
Tosto , come s' impose , ejla nel tempio
Seco i Teucri condusse. E da T un canto fiO
Do r eubolca rupe un antro immenso
'*«t '
LIBRO SESTO 157
Che nel monte penetra. Hawi d'intorno
Cento vie , cento porte ; e cento voci
K escono insieme allor che la Sibilla
Le sue risposte intuona. Era a la soglia 65
n padre Enea , quando , Ora è '1 tempo (disse
La Vergine ) : df , di' ; chiedi tue sorti :
Ecco lo Dio eh' è già comparso e spira.
Ciò dicendo , de l'antro in su la bocca
In più volti cangiossi e 'n più colori ; 70
Scompigliossi le chiome ; aprissi il petto ;
Le batte '1 fianco, e *1 cor di rabbia 1' arso.
Parve in vista maggior : maggior il tuono
Fu che d' umana voce ; e poiché '1 ISume
Più le fu presso , A che badi , soggiunse , 75
Figlio d' Anchise ? Se non di* , non s' apro 6i
Questa di Febo attonita cortina.
E qui si tacerne. Orror per 1' ossa e gelo
Corse allor de' Trojani , e '1 teucro duce
Infln da 1* imo petto orò , dicendo : 80
Febo , la cui pietà mai sempre a Troja
Fu propizia e benigna , onde di Pari
Già reggesti la man , drizzasti il telo
Contro al corpo d' Achille ; io dal tuo lume
Scorto fin qui tanto di mare ho corso, 85
Tante terre ho girate , a tanti rischi
Mi son esposto ; insino a le remote
Massile genti , insin dentro a le Sirti
Son penetrato ; ed or , pur tua mercede ,
Di questa fuggitiva Itaha il lito 90
Ecco ho già tocco , e ci son giunto al fino. ei
Ah che questo sia il fine, e qui rimanga
L'infortunio di Troja! È tempo omaì,
Dii tutti e Dee , cui la dàrdania gente
Unqua fece onta , che pcrrlono e pace 95
Le concediate. E tu , Vergine santa
Del futuro presaga , or ne dimostra
Il seggio e 1 regno che ne danno i fati
( Se pur ne '1 danno ) ove i Trojani afflitti ,
Ove di Tro^a i tra variati Numi ,
E i dispersi Penati alberghi e posi ;
Ch' allor di saldo marmo a Trivia , a Febo
Ergerò tempj , e del suo nome i ludi
Consacrerogli , e i di fosti e solenni.
Ed ancor tu nel nostro regno avrai 105
Sacri luoghi reposti , ove serbati 7i
Per lumi e specchi a le futiu'e genti
Da venerandi a ciò patrizj eletti
100
ENEIDE
Saranno i dotti e ì vaticinj tuoi.
Quel che prima ti chieggio è che 1 tuoi carmi 110
S' odan per la tua lingua , e non clic in foglie
Sian da te scritti , onde ludibrio poi
Sian di rapidi venti. E più non disse.
Ella già presa, ma non doma ancora
Dal febeo nume, per di sotto trarsi 115 **
A si gran salma , quasi poltra e fiera ^
Scapestrata giumenta , per la grotta •
Imperversando e mugolando andava. S
Ma com* più si scotea ,, più dal ffran Dio
Era affrettata, e le rabbiose labbia 120
E l'efferato core al sMo mistcrio
Più mansueto e più vinto rendea.
Eran da lor già de la erotta aperte
Le cento porte , allor cn' ella gridando
Così manaò la sua risposta a V aura : 125
Compiti son del mar tutti i pericoli ; ss
Restan quei de la terra , che terribili
Saran veracemente e formidabili.
Verranno i Teucri al regno di Lavinio :
Di ciò t'affido. Ma ben tosto d'esservi 130
Si pentiranno. Guerre , guerre orribili
Sorger ne veggio , e pien di sangue il Tevere.
Sarawi un altro Xanto , un altro Simoi ,
Altri Greci, altro Achille che progenie
Ancor egli è di Dea. Giuno implacabile 135
Allor più ti sarà , che supplichevole
Andrai d' Italia a quai non terre , o popoli
D' aita mendicando e di sussidii ?
E fian di tanto mal di nuovo ori^e
D' esterna moglie esterne sponsalizie. 140
Ma'l tuo cor non paventi, anzi con l'animo
Supera le fatiche e gì' infortunii ;
Che tua salute ancor da terra argolica
( Quel che men credi ) avrà lume e principio.
Questi intricati e spaventosi detti 145
Dal più reposto loco alto mugghiando, os
La cuipea profetessa empiea lo speco
D' orribil tuoni : e come il suo furore
Era da Febo raffrenato o spinto ,
0 dal suo raggio avea barbaglio o lume , 150
Così miste le tenebre col vero
Sciogliea la lingua, e disgombrava il petto.
Poiché la fùria e la rabbiosa bocca
Quetossi , Enea ricominciando disse :
Vergine , a me nulla 0i mostra ornai 155
1
LIBRO SESTO 159
Faccici né di fatica né d' affanno , i04
Che mi sia nuova, o non pensata in prima.
Tutto ho previsto , tutto ho presentito ,
Che da te m' è predetto ; e tutto io sono
A soffrir preparato. Or sol ti chieggo 160
( Poscia cne qui si dice esser V intrata
De' regni inferni , e d' Acheronte il lago )
Che per te quinci nel cospetto io venga
Del mio diletto padre ; e tu la porta ,
Tu'l sentier me ne mostra, e tu mi guida. 165
Io lui dal foco e da miir armi infeste
Tratto ho di mezzo a le nimiche schiere
Su queste spalle ; ed ei scorta e compagno
Del mio viaggio e del mio esigilo, meco
I perigli, i disagi e le tempeste 170
Del mar, del cielo e de l'età soflElpendo,
Veglio, debile e stanco ha me seguito;
Ed egli stesso m* ha nel sonno imposto
Che a te ne venga, e per tuo mezzo a lui
Mi riconduca. Abbi pietà , ti priego , 175
E del padre e del figlio; ed ambi insieme ii
Come puoi ( che puoi tutto) , or ne congiungi:
Ch' Ecate non inoarno a (meste selve
T' ha d' Averne preposta. Il tracio Orfeo
( Sola mercè de la sonora cetra ) 180
Scender potewi , e richiamarne in vita
L' amata donna. Ne potè Polluce
Ritrarre il frate , ed a vicenda seco
Vita e morte cangiando irvi e redirvi
Tante fiate. Andovvi Teseo ; andowi 185
n grande Alcide ; ed ancor io dal cielo
Traggo principio , e son da Giove anch' io.
Cosi pre&;ando avea le braccia avvinte
Al sacro altare , allor che la Sibilla
A dir riprese : Enea germe del cielo , 190
Lo scender ne T Averne è cosa agevole; i25
Che notte e di ne sta V entrata aperta : ^^^z,^
Ma tornar poscia e riveder le stelle, |l ^^
Qui la fatica e (jui V opra consiste.
Questo a pochi e concesso , ed a quei pochi 195
Gh* a Dio son cari , o per uman valore
Se ne poggiano al cielo. A questi è dato
Qome a' Celesti II loco tutto in mezzo
E da selve intricato , e da negre acque
De r infornai Cocito intorno è cinto. 200
Ma se tanto disio, se tanto amore
T' invoglia di veder due volte Stige
V»^\».
£lfEn)9
E due volte l'abisso, e sofirir osi
Un cosi grave affanno ; odi che prima
Oprar convientL È ne la selva opaca
Tra valli oscure e dense ombre riposto
E ne r arbore stesso un lento ramo
Con foglie d' oro , il cui tronco è sacrato
A Giuno inferna; e chi seco divelto
Questo non porta , ne' secreti regni
Penetrar di Plutone unqua non potè.
Ciò la bella Pròserpina comanda,
Che per suo dono u chiede; e svelto l'uno
Tosto r altro risorge , e parimente
Ha la sua verga e le sue chiome d' oro.
Entra nel bosco, e con le luci in alto
Lo cerca, il trova, e di tua man lo sterpa;
Ch'agevolmente sterperassi, quando
Lo ti consenta il fato. In altra guisa
Né con man nò con ferro né con altra
Umana forza mai Ila che si schianti,
O che si tronchi Oltre di ciò nel lito
(Mentre qui badi e la risposta attendi )
Giace, lasso! d'un tuo, cne tu non sai,
Disanimato e non sepolto un corpo
Che tutti rende i tuoi legni funesti.
A c[uesto procurar seggio e sepolcro
Pria converratti. Or per sua purga in prima
Negre pecore adduci , e 'n cotal guisa
Vedrai gli elisj campi e i stigj regni ,
Cui vedere a' mortali anzi a la morte
Non è concesso. E qui la bocca chiuse.
Enea gli occhi abbassando afflitto e mesto
De r antro uscio , tra se stesso volgendo
L'oscure profezie. Giva con lui
Il fido Acato, e con lui parimente
Traea pensieri e passi. Erano entrambi
Ragionando in pensar di qual amico.
Di qual corpo insepolto ella parlasse ,
Che coprir si dovesse; allor che giunti
Nel secco lito in su l' arena steso
Vi'^ler Miscno indegnamente estinto;
Miseno il figlio d' Eolo , che araldo
Era supremo, e col suo fiato solo
Possente a suscitar Marte e Bellona.
Era costui del grand' Ettor compagno ,
E de' più segnalati intomo a lui
Combattendo or la tromba ed or la lancia
Adoperala ; e poi che 1 Aero Achilia
205
210
215
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220
225
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154
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LIBRO SESTO .161
Ettore ancise, come ardito e fido 250
Seguì Tarme d' Enea; che non fti punto iti
Inferiore a lui. Stava sul mare
Sonando il folle con Tritone a gara,
Quando da lui , eh' aschio sentinnò e sdégno ,
TSe creder dessi ) insidiosamente 255
Tratto giù da lo scoglio, ov* era assiso ,
Fu ne r onde sommerso. Al corpo intornb
Convocati ^ià tutti, amaro pianto
Ed alte strida insieme ne gittaro ;
E più de gli altri Enea. Poscia seguendo t6Q
Quel eh* era lor da la Sibilla imposto, «70
Gli apprestaron 1* esequie. Entrar nel bosco
Di fere antico albergo; ed elei ed orni
E frassini atterrando, alzar gli ^tari,
Poser la tomba, fabbricar la pira , «65
E la spinsero al cielo. Il frigio duce
Fra le sue schiere di bipenne armato
A par de gli altri, e più di tutti ardente
Di propria mano adoperando, a V opra
Esortava i compagni; e fra se stesso 270
Pensoso, inverso u bosco il guardo intèso,
Cosi pregava : Oh se quel ramo d' oro
Ne si scoprisse in questa selva intanto,
Come n' ha la Sibilla ( oimè ) pur troppo
Di te, Miseno, annunziato il vero! 275
Ciò disse appena, ed ecco da traverso
Due colombe venir dal ciel volando,
Ch' avanti a lui sul verde si posàro.
Conobbe il magno eroe le messaggere
De la sua madre, e lieto orando. O ( disse ) 280
Siatemi guide voi materni augelli, 193
S' a ciò sentier si trova ; ite per V aura
Drizzando il nostro corso, ov è de l'ombra
Del prezioso arbusto il bosco opaco.
E tu, madre benigna, in si dubbióso 285
Passo, del lume tuo ne porgi aita. •
E ciò detto fermossi. Elle pascendo.
Andando, saltellando, a scosse, a volo
* Quanto rocchio scorgea dì mano in mano
Giunser ove d'Averne era la bocca: 290
E '1 tetro alito suo schivando, in alto
Ratte r ali spiegare, e dal ciel puro
Al desiato loco m giù rivolte
Si posar sopra a la gemella pianta.
Indi tra frondi e frondi il color d' oro , 295
Che diverso dal verde uscia raggiando $ so4
J>ai'Sneid9 U
162 KKKIDA
305
Di tremulo splendor V aura percosse.
Come ne* boschi al brumai tempo suole
Di vischio un cesto in altrui scorza nato
Spiegar verdi le frondi e gialli i pomi, 300
E con le sue radici a i non suoi rami
Abbarbicarsi intorno ; cosi 'I bronco
Era de V oro avviticchiato a T eleo ,
Ond' era surto, e così lievi al vento
Crepitando movea V aurate foglie.
Tosto che *1 vide Enea di piglio dielli,
E disioso, ancor che duro e valido
Gli sembrasse, a la fin lo svelse, e seco
A l'indovina Vergine lo trasse.
Non s' intermise di Miseno in tanto 310
Condur V esequie al suo cenere estremo.
E primamente la gran pira estrutta.
Di pingui tede e di squarciati roveri
V alzar cataste : di funeste frondi
D*atri cipressi ornAr la fronte e i lati, 315
E piantar ne la cima armi e trofei. tiò
Parte di loro al fuoco, e parte a V acque ,
E parte intorno al freddo corpo intenti ,
Chi lo spogliò, chi lo lavò, chi l'unse.
Poiché fu pianto, in una ricca bara 320
Lo collocare, e di purpuree vesti
De' suoi più noti e più graditi arnesi
OHI feron fregi e mostre e monti intorno.
Altri (pietoso e tristo ministero)
n gran feretro a gli omeri addossarsi; 3^5
Altri, com'è de' più stretti congiunti
Antica usanza , vòlti i volti indietro
Tenner le faci , e dier foco a la pira j
E gran copia d' incenso e di liquori
E di cibi e di vasi ancor con essi , ^^0
Sì come è V uso antico , entro gittàrvL
Poiché cessar le fiamme , e' ncenerissi
n rogo e '1 corpo , le relinuie e 1* ossa
Furon da Gorineo tra le faville
Ricerche e scelte , e di vin puro asperse ; 335
Poi di sua mano acconciamente in una
Di dorato metallo urna riposte.
Lo stesso Gorineo tre volte intorno
Con un rampollo di felice oliva
Spruzzando di chiar' onda i suoi compagni ,
Li purgò tutti , e' 1 vale ultimo disse.
Oltre a ciò léce Enea per suo sepolcro
Ergere un' alta e sontuosa molo ,
340
229
V.VrXO SESTO *■ -"' 163
E r armi e' 1 remo e la sonora tuba
Al monte appeso , che d' Aerio il nome 345
Fino allor ebbe , ed or da lui nomato
Miseno è detto, e si dirà mai sempre.
Ciò finito , a finir quel che gli impose
La profetessa, incontanente mosse.
Era un' atra spelonca , la cui bocca 350
Fin nel baratro aperta , ampia vora^o
Facea di rozza e di scheggiosa roccia.
Da negro lago era difesa intorno ,
E da selve ricinta annose e folte.
Uscia de la sua bocca a V aura un fiato , - 3">5
Anzi ana peste , a cui volar di sopra 2 io
Con la vita a gli uccelli era intercletto :
Onde da' Greci poi si disse Avemo.
Qui pria quattro giovenchi Enea condotti
Di negro tergo , la Sibilla in fronte 300
Riversò lor di vin le tazze intere ;
E da ciascun di mezzo le due coma
Di setole ma^^giori il ciuflb svelto ,
Die per saggio primiero al santo foco ,
Ecate ad alta voce in ciò chiamando, 305
De r Èrebo e del cicl Nume possente. 257
Parte di lor con le coltella in mano
Le vittime svenando , e parte in vasi
Stava il sangue accogliendo. Egli a la Notte
Che de le Furie è madre , ed a la Terra 370
Ch'è sua sorella, con la propria spada
Di negro vello un' agna , ed una vacca
Storila a te, Proserpina, percosse.
Poscia a r imjierador do' regni inferni
Notturni altari ergendo , i tauri interi 575
Sopra a le fiamme impose , e di pingue olio
Le bollenti lor viscere conspcrse.
Ed ecco a 1' apparir del primo sole
Mugghiò la terra, si crollare i monti,
Si sgominar le selve , urlar le furie 5?»0
Al venir de la Dea. Via , via profani ,
Gridò la profetessa ; itene lunge
Dal bosco tutto : e tu meco te n' entra ,
E la tua spada impugna. Or d' uopo , Enea ,
Fa d' animo e di cor costante e fermo. 383
Ciò disse ; e da furor spinta , con lui ,
Ch'adeguava i suoi passi arditamente y _
Si mise dentro a le scerete cose./ 2^^"^
, O Dii , che sopra l' alme impLMio avete ,
0 tacit' ombre , o Fieuetoato , o Cao , 390
►
i04 -. fiNBIDB
0 ne la notte e nel silenzio eterno tos
Luoghi sepolti e bui , con pace vostra
Siami (ii rivelar lecito a' vivi
Quel eh' ho de' morti udito. Ivan per entro
Le cieche §^otte, per gli oscuri e voti 395
Regni di Dite ; e sol d' errori e d' ombre
Avean rincontri. Come chi per selve
Fa notturno viaggio, allor che scema
La nuova luna e da le nubi involta,
E la grand' ombra del terrestre globo 400
Priva di luce e di color le cose.
Nel primo entrar del doloroso regno
Stanno il Pianto , l' Angoscia e le voraci
Cure e i pallidi Morbi e '1 duro Affanno
Con la doDil Vecchiezza. Ewi la Tema , 405
Ewi la Fame : una eh' è freno al bene ; t75
L' altra stimolo al male : orrendi tutti
E spaventosi asnettl Hawi il Disagio,
La Povertà , la Morte , e de la Morte
Parente il Sonno. Hawi de' cor non sani 410
Le non sincere Gioje. Hawi la Guerra
De le genti omicida , e de le Furie
1 ferrati covili , il Furor folle ,
L'empia Discordia che di serpi ha'l crine,
E di sangue mai sempre il volto intriso. 415
Nel mezzo erge le braccia annose al cielo
Un olmo opaco e grande , ove si dice
Che s' annidano i Sogni , e eh' ogni fronda
V ha la sua vana immago e'I suo fantasma.
Molte oltre a ciò vi son di varie fere 420
Mostruose apparenze. In su le porte t85
I biformi Centauri , e le biformi
Due Scille : Briareo di cento doppj :
La Chimera di tre, che con tre bocche
II foco avventa : il gran serpe di Lema 425
Con sette testo : e con tre corpi umani
Erilo e Gè rione ; e con Medusa
Le Gorgoni sorelle ; e l' empie Arpie
Che son vergini insieme , augelli e cagne.
Qui preso Enea da subita paura 430
Strinse la spada , e la sua punta volse . ««o
Incontro a 1 ombre ; e se non eh' ombre e vite
Vote de' corpi e nude forme e lievi
Conoscer ne le fé' la saggia guida ,
Avrebbe impeto fatto, e vanamente 439
In vane cose ar.lir mostro e valore.
Quinci presor la via là' ve si varca
LIBRO SES^O iCÒ
Il tartareo Acheronte. Un fìume è questo
Fangoso e torbo , e fa gorgo e vorago ,
Che bolle e frange, e, col suo negro loto HO
Si devolve in Gocito. È guarUano
E passeggioro a questa riva imposto
f Caron Demonio spaventoso e sozzo ,
j A cui lunga dal mento , incolta ed irta
Pende canuta barba. Ha gli occhi accesi 445
Come di bragia. Ha con un groppo al collo
Appeso un lordo ammanto , o con un palo ,
Cne gli fa remo , e con la vela reggo
L' amimicato legno , onde tragitta
Su l'altra riva ognor la gente morta. 450
Vecchio è d'aspetto e d'anni^ ma di forzo,
Come Dio , vigoroso e verde e sempre.
A questa riva d'ogn' intorno ognora
D' ogni età , d' ogni sesso e d' ogni grado
A schiere si traean 1' anime spente, 455
£ de* figli anco innanzi a' padri estinti sos
Non tante foglie ne 1' estremo autunno
Per le selve cader , non tanti augelli
Si veggon d'alto mar calarsi a terra,
Quando il freddo li caccia a i liti aprichi, 460
Quanti eran questi. I primi avanti orando
Chiedean passaggio , e con le sporte mani
Mostravano il disio de V altra npa.
Ma'l severo nocchiero or questi or quelli
Scegliendo o rifiutando , una gran parte 465
Lungo tenea dal porto e da l' arena.
Enea la moltitudine e' 1 tumulto
Maravigliando, Ond'è, Vergine (disse),
Questo concorso al fiume? e qua! disio
Mena quest' alme ? e oual grazia , o divieto 470
Fa che queste dan volta, e quelle approdano ? 8i9
A ciò la profetessa brevemente
Cosi rispose : Enea , stirpe divina
Veracemente (che di ciò n' accerta
n qui vederti) là Gocito stagna; 475
Quinci va Stige , la palude e' 1 nume
Per cui di spergiurar fino a gli Dei
Del cielo è formidabile e tremendo.
Questi è Caronte il suo tristo nocc^iliero:
Quella turba che passa , è de' e^polti : 480
Questa che torna , è de' m.^schinf estinti
Che nò tomba , ne lagrime , nò polve
Ebber morendo. A lor non ò concesso
7rajettar queste ripe e questo fiume ,
i6ft ENCIBE
Se pria Y ossa non han seg^o e coverchio. 485
Erran cent'anni vagolando intorno
A qpiesti liti , e' 1 desiato stagno
Visitando sovente , infin eh' al passo
Non sono ammessi. Enea di ciò pensando,
Mosso a pietà de la lor sorte iniqua , 490
Permessi; ed ecco incontro gli si fanno zz%
Mesti , d' esequie privi e di sepolcro
Leucaspi , e' I conduttor de' Licii Oronte ,
Ambi Trojani, ambi dal vento insieme
Co i Licii tutti , e con l' intera nave 495
Nel mar sommersi Appresso, Palinuro
Il gran nocchier de la troiana armata,
Che dianzi nel tornar di Libia , il cielo
E le stelle mirando , in mar fu tratto.
A costui si rivolse ; e poiché V ebbe 500
Per entro ima grand' ombra appena scorto,
Così prima gli disse : 0 Palinuro ,
E qual fu de gli Dei eh' a noi ti tolse.
Ed a r onde ti diede ? Or lo mi conta :
Che deluso da Febo unqua non ftii , 505
Se non se In te. Febo predisse pure s
Che tu nosco del mar securo e salvo
Italia attingeresti Ah dunque un Dio,
E Dio del vero in tal guisa ne froda?
Rispose Palinuro: Inclito Duce, 510
Né r oracol d* Apollo ha te deluso ,
Né r ira ha me di Dio nel mar sommerso ;
Che' 1 temone , ond' io mai non mi divelsi
Per tua salute , ancor per man ritenni
Allor eh' in mar io caddi Io giuro , Enea , 5i5
Per r onde irate , che di me non tanto ,
Quanto del tuo periglio ebbi timore ,
Che non la nave tua del mio governo
Spogliata e del suo freno ai mar ^à gonfio
Restasse in preda. Austro tre notti intere 520
Con la sua correnzia per V ampio mare
Mi trasse a forza. 11 quarto giorno appena
Discoverta l' Italia , a poco a poco
M' accostava a la terra ; e giunto ornai
Così com' era ancor di veste grave , 525
E stanco e molle con l' adunche mani 859
M' aggrappava a la ripa , e salvo fora ;
Se non cne ignara e fera gente incontro,
Ctem'a preda marina, mi si fece,
E corforro m' ancise. Or lungo a i liti 530
Vasscne il corpo mio ludibrio a' yenti 1
LIBRO SESTO 167
E scherzo a' flutti. Ed io , signoro invitto ,
Per la superna luco , per queir aura ,
Ondo si vive , per tuo padre Anchise ,
Per lo speranze del tuo figlio Julo, 535
Priegoti a sovvenirmi: o che di terra
Mi copra ( come puoi ) cercando il corpo
Per la spiaggia di Velia, o in altra guisa,
S' altra no ti sovviene , o ti si mostra
Da la tua diva Madre ; che non senza 540
Nume divino un tal passa^J^gio imprendL j67
Porgimi la tua destra , e tcco trammi
Oltre a queir acque, perchè morto almeno
Pace trovi e riposo. Avea ciò detto,
Quando cosi la Vergine rispose : 545
Ah Palinuro, e qual dira follia
A ciò t'invoglia? ^on sepolto adunque
L' acque di Stigc , e la severa foce
Trajettar de V Eumenidi presumi ?
Tu di qui trarti a 1' altra riva intendi 550
Senza commiato? Indarno, indarno speri
quelle
Vicine al luogo , ove il tuo corpo giace , 555
Da pestilenza e da prodigi astrette
Lo raccorranno , e con solenne rito
Gli faran sacrificj , esequie e tomba ;
E da te per innanzi avrà quel loco
Di Palinuro eternamente il nome. 500
Lieto d' un tanto onore , e consolato
Da tale annunzio il travagliato spirto
Restò contento ed appagato in parte.
Indi il cammln seguendo , a la riviera
S' approssimare ; e il passeggier da lunga » 565
Poiché senza far motto entro a la selva M4
Passar gli vide e indirizzarsi al vado ,
O là, ferma costi (disse gridando),
Qoal che tu sei , eh' al nostro fiume armato
Ten vai si baldanzoso , e di costinci , 570
Di' chi sei, miei che cerchi, e perchò vieni:
Che notte solamente e sonno ed ombro
Han qui ricetto , e non le genti vive ,
Cui di varcare al mio legno non lece.
E s' Ercole e Teseo e Piritoo 676
Già v' accettai , scorno e dolore io n^ebU ;
Che r un d* essi il tartareo custode
Incatenowi , e , di sotto anco al seggio
1
r
i
168 smnm
t
Del proprio re, tremante a Taiira il trasse;
E gli aUri infln dal maritale albergo 580
Rapir di Dite la regina osaro.
filila di queste insidie ( gli rispose
La profetessa ) a macchinar si viene*
Stanne sicuro; e <niest*arme a difesa
Si portan solamente , e non ad onta. 585
Spaventi il can trifauce a suo dilotto
Le pallid' ombre : eternamente latri
Ne r antro suo : col suo marito e zio
SI stia casta Proscrpina mai sempre,
Che di nulla ce'n cale. Enea trojano 590
È questi di pietà famoso e d' armi ,
Che per disio del padre infino al fondo
De r Èrebo discende ; e se V esempio
Di tanta carità non ti commove,
Questo almen riconoscL E fuor del sen 505
D'oro il tronco traendo, altro non disse.
Ei rimirando il venerabil dono
De la verga fatai già di gran tempo
Non veduto da lui, r orgoglio e r ira
Tosto depose , e la sma negra cimba 600
A lor rivolse , e ne la ripa stette. 4 io
Indi i banchi sgombrando e'I legno tutto,
V anime , che già dentro erano assise ,
Con subito scompiglio uscir ne fece,
E 'i grand' Enea v* accolse. Allor ben d' altro
Parve , che d' ombre carco ; e si com' era
Mal contesto é scommesso, cigolando
Chinossi al peso, e più d'una fìssura
A la palude aperse. Al fin pur salvi
Ne r altra ripa , tra le canne e i giunchi 610
Sul palustre suo limo ambi gli espose.
Giunti che furo , il gran Cerbero udirò
Abbajar con tre gole , e '1 bujo regno
Intonar tutto; inm in un antro immenso
Sei vider pria giacer disteso avanti , 615
Poi sorger , digrignar ^ rabido farsi , 4i8
Con tre colli arrufifarsi, e mille serpi
Squassarsi intomo. Allor la saggia maga,
Tratta di mele e d' incantate biade
Una tal soporifera mistura, 620
La gittò dentro a le bramose canne.
Egh ingordo , famelico e rabbioso
Tre bocche aprendo per tre gole al ventro
Trangu^ando mandcula , e con sei lumi
Chiusi dal sonno , anzi col corpo tutto 025
605
i
libuo sèsto -^- Itó
Giacque ne Y antro abbandonato e vinto.
Cerbero addormentato, occupa Enea
D' Èrebo il passo, e ratto s'allontana
Dal fiumQ , cui chi varca unqua non ziode.
Sentono al primo entrar voci e vagiti 630
Di pargoletti infanti che dal latte a%ò
E (fa le culle acerbamente svolti
Vider ne' primi di f ultima sera.
Varcano appresso i condannati e morti
Senza lor colpa, e non senza compenso 633
Di ^udizio e di sorti. Han cmelle genti
Cosi disposti e divisati i locni.
Sta Minos ne l'entrata, e l'urna avanti
Tien de' lor nomi , e le lor vite esamina
E le lor colpe; e quale è questa o quella» 640
Tal le dà sito , e le rauna e parte.
Passan di mano in mano a quei che feri
Incontro a se , la luce in odio avendo
E r alme a vile , anzi al prescritto giorno
Si son da loro indegnamente ancisL 645
Ma quanto ora vorrebbono i meschini
Esser di sopra , e povertà vivendo
SofEHre , e de la vita ogni disagio I
Ma '1 fiato il niega , e nove volte intoma
Stige odiosa li ristringe e faccia. 650
Quinci non lungo si distende un' ampia 48o
Campagna che del Pianto è nominata.
Per cui fra chiusi colli e fra solinghe
Selve di mirti, occulte se ne vanno
L'alme, ch'ha feramente arse e consunte 655
Fiamma d' amor eh' ancor ne' morti è viva.
Qui vider Fedra e Procri ed Eriflle
Infida moglie e sfortunata madre ,
Di cui fu parricida il proprio figlio;
Vider Laodamia , Pasiie , Evadne , 660
E Gen&o con esse, che di donna
In uomo, e d' uomo al fin can^ossi in donna.
Era con queste la fenicia Dino,
Che di piaga recente il petto aperta
Per la ^an selva spaziando andava. 665
Tosto cne le fu presso. Enea la scorge
Per entro a l'ombre, qual chi vede o crede
Veder tal volta infra le nubi e'I chiaro
La nova luna allor che i primi giorni
Del giovinetto mese appena spunta ; ^0
E di dolcezza intenento il core 451
Dolcemente miroUa e piaiuse e dlsset
170 ENEIDE
Dunque, Dirlo infelice, e' fa pur vera
Queir empia che di le novella udii,
Che col Jferro Unisti i ^àorni tuoi? 675
Ah ch'io cagion ne fui! Ma per le stelle,
Per gli superni Dei , per quanta fede
Ha qua giù , se pur v* ha , donna , ti giuro
Che mal mio grado dal tuo lito sciolsi.
Fato, fato celeste, imperio espresso C80
Fu del ^ran Giove, e quella stessa forza, 46 1
Che da r eterea luce a questi orrori
De la profonda notte or mi conduce,
Che da te mi divelse; e mai creduto
Ciò di me non avrei, che '1 partir mio 685
Caglon ti fosse ond' a morir ne gissi.
Ma ferma il passo, e le mie luci appaga
De la tua vista. Ah perchè fuggi ? e cui ?
Quest' è r ultima volta, oimè .'che '1 fato
Mi dà eh' io ti favelli , e teco io sia. 690
Cosi dicendo e lagrimando intanto
Placar tentava , o raddolcir queir alma ,
Ch' una sol volta disdegnosa e torva
Lo rimirò; poscia con gli occhi in terra,
£ con gli omeri volta , a i detti suoi 605
Stette qual'alpe a l'aura, o scoglio a Tonde.
Al fin mentre dicea, come nimica
Gli si tolse davanti, e ne la selva
Al suo caro Sichèo, cu| fiamma uguale
E par cura accendea, si ricondusse. 700
Né però men dolente, o men pietoso 474
Restonne il teucro duce ; anzi quant' oltre
Potè con gli occhi, e lungo spazio poi
Col pianto e co i sospiri accompagnoUa,
Poscia tornando al suo fatai viaggio 705
Giunse là 've accampata era in disparte
Gente di ferro e di valore armata.
Qui '1 gran Tidèo. qui '1 gran figlio di Marte
Partenopeo , qui del famoso Adrasto
La palhd' ombra incontro gli si fece. 710
Quinci de' suoi più nobili Trojani
Un gran drappello avanti gli comparvo.
Pianse a veder quei gloriosi eroi
Tanto di sopra disiati e pianti ,
Come Glauco, Tersiloco. Medonte, 715
I tre figli d' Antenore • il sacrato 488
A Cerere ministro Polìbete,
E *1 chiaro Idèo con l' armi anco e col carrOt
Fatto gli avean coetor obi da man destra,
libuo SBSto 171
Chi da sinistra una corona intorno. 720
Né d' averlo veduto eran contenti ,
Che ciascun desiava essergli appresso,
Ragionar, passeggiar, far seco indugio,
E spiar come e d onde e perchè venne.
Ma de gli Argivi e le falangi e i duci, 725
Quand' effii apparve e che tra lor ne V ombre
I lampi folgorar de Y armi sue,
Da gran timor furo assaliti ; e parte
Volser le terga, come già fuggendo
Verso le navi, e parto alzar le voci 730
Che per tema sembrar languide e fioche.
DelfoDO di Priamo il gran figlio
Vide ancor qui, che crudelmente anciso
In disonesta e miserabil ^isa
Avea le man , gli orecchi , il naso e *1 volto 735
Lacerato, mcischiato e monco tutto. 49«
Per temenza il meschino e per vergogna
D' esser veduto , con le tronche braccia
Un si brutto spettacolo celando ,
Indarno si facea schermo e riparo; 740
Che alfin lo riconobbe, e con T usata
Domestichezza incontro gli si fece
Cosi dicendo : Poderoso eroe ,
Gran germoglio di Teucro , e chi sì crudo
Fu mai, chi tanto osò, cui si permise 745
Che facesse di te strazio si fiero?
1/ La notte cha se^ V orribil caso
De la nostra ruma, io di te seppi
Che assaliti i nemici , e di lor fatta
Strage che memorabile fia sempre.
Tra le caterve de' lor corpi estmti
Stanco via più che vinto al fin cadestL
Ed allor io di Reto in su la riva
A r ombra tua con le mie mani un voto
Sepolcro eressi, e te gridai tre volte; 755
E 1 nome e V armi tue riserba ancora 60«
n loco stesso. Io te, dolce signore.
Ne veder, né coprir di patria terra
Avanti al mio partir mai non poteL
Delfobo rispose: Ogni pietoso 760
Ogni onorato officio. Enea mio caro,
Ha r amor tuo ver me compito a pieno.
Ma r empio fato mio , 1* empia e malvagia
Argiva donna a tal m* ha qui condotto {
E tal di 8Ò lasciò memoria al mondo. 765
S^n ti ricorda (e ricordar iòn dei)
750
■ I
172 fiNfilDfi
Di gneir ultima notte che si lieta
Mostrossi in pria , poi ne si volse in pianto ,
Quando il fatai cavallo il salto fece
Sopra le nostre mura, e '1 yontrc pieno 770
D' armate schiere ne votò fin dentro
A r alta rocca. Allora ella di Bacco
Fingendo il coro, e con le frigie donne
Scorrendo in tresca, una gran face in mano
Si prese, e die con essa il cerjno a' Greci. 775
Io dentro alla mia camera (infelice !) 510
Mi ritrovai sol quella notte ; e stanco
Di tante che n* avóa con tanti affanni
Vegghiate avanti,' un tal prendea riposo
Che a morte più qho a sonno era simile» 780
Fece la buòna mogUe ogni arme in tanto
Sgombrar di casa, e la mia Ma spada
Mi sottrasse dal capo. Indi, la porta
Aperse, e Menelao dentro v'accolse,
Cosi sperando un prezioso dono 785
Fare al marito , e de* suoi f^li antichi 526
Riportar venia. Che più dico ? Basta
Gir entrar là.'vMo dormici: e con essi era
l^er consultore Ulisse. Q Dii » se giusto
E '1 priego mio , ricompensate voi 790
Di quest'opere i Greci. E tu che vivo
Se' qui, dimmi a rincontro il caso 0 '1 fato
O r errore ó '1 precetto de gli Dei ,
O qual altra fortuna t' ha condotto ,
Ove il sol mai non entra, e biyo è sempre. 795
Cosi tra lor parlando e rispondendo ,
Avea già '1 sol del suo cerchio diurno
Varcato il mezzQ , e V avria forse intero ;
Se non che la Sibilla rampognando
Cosi li fé' del breve tempo accorti : 800
Enea , già notte fistssi , e noi piangendo
Gonsumiam l' ore. Ecco slam giunti al loco ,
Dove la strada in due sentier si parte.
Questo a man dritta a la città ne porta
Del gran Plutone , e quindi a i campi Elisi;
Quest'altro a la sinistra a l'empio abisso
Ne guida, ov' hanno i rei supplizio eterno*
Il fielio a ciò di Priamo soggiunse:
Non ti crucciare , 0 del gran Delio amica t
Gh' or or da voi mi tolgo, e mi ritiro 810
Ne le tenebre mie. Tu nostro onore 545
Yatten felice , già che scorto sei
Pa miglior &tO) e meglio te a* aTrengat
805
LIBnO SESTO 173
Tanto sol disse, e sparve. Enea si volse
Prima a sinistra , e sotto un' alta rupe 815
Vide un' ampia città che tre gironi
A vea di mura , ed un di fiume intorno :
Ed era il fiume il negro Flegetonte
Ch' al Tartaro con suono e con rapina
L' onde seco traea , le fiamme e i sassL 820
Vede nel primo incontro una gran porta
Gh* ha la soglia, i pilastri e le colonne
D' un tal diamante , che le forze umane ,
Né de gli stessi Dei romper noi ponno.
Quinci si spicca una gran torre m alto 825
Tutta di ferro. A guardia de l'entrata 554
La notte e '1 giorno vigilando assisa
Sta la fiera Tesifone succinta ,
Gol hraccio ignudo , insanguinata e torva.
Quinci di lai , di pianti e ai percosse 830
E di strider di ferri e di catene
Cotale un suono udissi, che spavento
Enea sentinne ; e rattenuto il passo ^
Dimmi, Vergine (disse) , e che delitti
Son qui puniti? e che pianti son questi? 835
Ed ella : Inclito sire , a nessun lece ,
Ghe huono e giusto sia, di portar oltre
Da quella soglia scellerata il piede.
Ma me di ciò che dentro vi s accoglie
Écate instrusse allor eh' a i sacri boschi 840
Mi prepose d' Averne : e d' ogni pena 501
E d* ogni colpa e d' ogni loco appieno ,
Quando seco vi fui , notizia diemmi
Questo è di Radamanto il tristo regno ,
Là dov* egli ode , esamina , condanna 845
E discopre i peccati che di sopra
Son da le genti 0 vanamente ascosi
In vita, 0 non purgati anzi a la morte:
Né pria di Radamanto esce il precetto,
Ghe Tesifone è presta ad eseguirlo. 850
Ella con V una man la sferza impugna ,
Ne l'altra ha serpi; ed ambe intorno arrosta,
E grida e fere e de le sue sorelle
Le mostruose ed empie schiere tutte
Al ministerio de' tormenti invita. 855
Apronsi l' esecrate orrende porte
Stridendo intanto. Tu , che quinci vedi
Ghe faccia è quella che di fuor le guarda ,
Pensa qual a veder sia dentro un'idra
Aucor più fiera aprir cinquanta ingorde 860
BNBIBfi
Rabbiose bocche, n Tartaro vien dopo , sra
Una Torago che due volte tanto
fa di profondo , quanto in su guardando
da la terra al cielo : e qui ne 1* imo
Suo baratro dal fùlmine trafitti 805
Son gli antichi Titani al ciel rubelli.
Qui vidi ambi d'Alòo gli orrendi figli
Che scinder con le mani il cielo osaro,
E tor lo scettro del suo regno a Giove.
Vidivi r orgoglioso Salmoneo 870
Di sua temerità pagare il fio :
Che temerario veramente ed empio
Fu di voler , quale il Tonante in cielo ,
Tonar qua giuso e folgorare a prova.
Questi su quattro suoi giunti destrieri , 875
La man di face armato , alteramente
Per la Grecia scorrendo, e fin per mezzo
D' Elide , ov' è di Giove il maggior tempio ,
Di Giove stesso il nume , e de gli Dei
S' attribuiva i sacrosanti onori. 880
Folle, che con le fiaccole e co' bronzi, oso
E con lo scalpitar de* suoi ronzoni
I tuoni , i nembi e i folgori imitava
Ch' imitar non si ponno : e ben fu degno
Ch' ei provasse per man del Padre eterno 885
D' altro ftilmine il colpo e d' altro vampo
Che di tede e di fumo , e degno ancora
Che nel baratro andasse. Bravi Tizio,
Quei de la terra smisurato alunno ,
Che tien disteso di campagna guanto 890
Un gioffo in nove giorm ara di buoi. 5M
Questi ha sopra un famelico avoltore
Che con T adunco rostro al cor d* intorno
Gli picchia e rode ; e perchè sempre il pasca ,
Non mai lo scema si che'l pasto eterno, 895
Ed etema non sia la pena sua;
Che fatto a chi lo scempia esca e ricetto ,
Del suo proprio martir s'avanza e cresci^
E perchè sempre langua , unqua non more.
De*^Lapiti a che parlo ? d' Issione , 900
Di Piritòo , e di quegli altri tutti ,
Cui sopra al capo un'atra selce pende
Che gravo e ramosa ad ora ad ora
Sembra che caggia ? Hawi la mensa d' oro
Con preziosi cibi in regia guisa 905
Apparecchiati e proibiti insieme :
Cne la Fame , infornai fUria maggiore »
LIBRO SS8T0 175
Gli siede a canto ; e com* più* 1 gusto incende
Di Ini , più dal gustarne indietro il traggo ,
E sor^e , e la sua face estolle e Rrida. 910
Quei che son vissi a i lor fratelli amari : «07
Quei eh* han battuti i padri ; quei che frodo
Hanno ordito a* clienti ; i ricchi avari ,
E scarsi a* suoi , di cui la turba è grande ;
Gli uccisi in adulterio ; i violenti j 615
Gr infidi j i traditori in onesto abisso
Han tutti i lor ridotti e le lor pene.
E che pena e che forma e che fortuna
Di ciascun sia , non é d' uopo eh' io dica :
Ma chi sassi rivolgono , e chi volti 920
Son da le ruote , ed altri in altra guisa
Son tormentatL In im petron confitto
Vi siede, e sederawi eternamente
Teseo infelice ; e Flegia infelicissimo
Va tra V ombre gridando ad alta voce : 925
Imparate d,a me voi che mirate e io
La pena mia. Non violate il giusto.
Riverite gli DeL Tra guesti tali
E chi vendè la patria; chi la pose
Al giogo de' tiranni ; chi per prezzo 930
Fece leggi e disfece ; chi da stupro .
E di figlia macchiato , o di sirocchia :
Tutti, che brutte ed empie scelleranze
Hanno osato , o commesso ; e cento lingue
E cento bocche e voci anco di ferro 935
Non basterian per divisare i nomi
E le forme de' vizj e de le pene
Ch' entro vi sono. Poi che la Sibilla
Ebbe ciò detto, Via (soggiunse), attendi
A l'impreso viaggio, e studia il passo; 940
Che già le mura da' ciclopi cstrutte
Mi veggio avanti : e sotto a quel grand' apco
La sacra porta che' 1 tuo dono aspetta.
Cosi mossi ambidue lo spazio tutto,
Ch' era nel mezzo , per sentiero opaco 945
Tosto varcando , anzi a la porta furo. ess
Licontanente Enea l'intrata occupa;
Di viva acqua si spruzza ; e '1 sacro ramo
A la regina de 1* inferno afil^ge.
Ciò fatto , a i luoghi di letizia pieni , 950
A r amene verdure , a le giojose
Contrade de' felici .e de' beati
Giunsero al fine. E questa una campagna
Con im aer più largo , e con la terra
Che di un Inrnc iì porpora è vestita , .
Ed ha '1 flao sole o lo niiu stelle anch' Alla.
Qui so no stan lo fortunate genti ,
Parto in su' prnti , e parte In su r arfida
Scorrendo , IntteSiìianilo , e vari giuocU
Di piacevo! contesa esercitando.
Parte in musiche , in feste , in balli , In suoni
Se ne van diportando, ed han con essi
Il tracio Orfeo ch'in lungo abito e sacro
Or con le dita, ed or col plettro ebunloj
Sette nervi diversi insieme uniti,
Trajge del muto legno umani accentL 8
Qui di Teucro l' antica e bella raiEa
Facea soggiorno, quei famosi eroi
Che in quei tempi migliori al mondo tanS,
Eo, Assaraco, Dardano , quei ptiml
De la gran Troja fondatori e rej^L
Yeggon da lungo le vane arme e i carH
A lor d' intorno , e l' aste in terra fisse,
E gli sciolti destrier por la campagna
Vagar pascendo : che 'l diletto antico
E de r armi e do' carri e de' cavalli
Gli segue anco sotterra. Indi altri altrOTB
Scorgono , che da destra e da sinistra
Gonvivamio e cantando , sopra 1' orba
Si stanno assisi , ed han dì lauri intomo
Un odoralo bosco, oniio il Po sorge
Sopra la terra, e spazioso Inonda.
E questi eran color che combattendo
Non nir di sangue a la lor patria avari;
E quei che sacerdoti erano m vita
Castamente vissuti, e quei veraci, A
E quei pii eh' han di qua parlato o scritto
Cose degne di Febo , e gì' inventori
De l'arti, ond' è gentile il mondo e bello;
E quei che ben oprando han tra* mortali
Fatto di fama e di memoria acquisto.
Cui tutti , in segno di celeste onore ,
Candida benda il fronte orna e colora.
A questi , eh' a la vergine Sibilla
Fér cerchio intomo, ed a Museo tra loro,
Che da gli omeri in su gli altri avanzava,
Diss' olla : Almo felici , e tu buon vate ,
Ditene in qual contrada, e'n qual magiooa
Qui tra VOI si riposa il grande Anchise:
Che lui cerchiamo , e sol per lui Tarcatl
D' Èrebo i fliimi e te caveioe avemo. O'
LIBRO SESTrt 177
A cui Musco COSÌ breve risposo :
Nullo è di noi che in alcun luogo alloggi
Como in suo proprio ; e tutti o per le sacre
Opache selve , o per V amene rive 1005
De' chiari fiumi , o per gli erbosi prati
Tra rivi e fonti i nostri alberghi avemo.
Ma se di ciò vi cale , itene meco
Sovr' a quel giogo ; e quindi agevolmente
Il sentier ne vedrete. In ciò si mosse lOiO
Come lor guida , e sopra al colle asceso
Mostrò lor d' alto i luminosi campi ,
Additò '1 calle , od inviolli al piano.
Era per avventura in una valle
Anchise , che da p \i?gi era ricinta , 1015
E di verde coverta. Ivi in disparte
De* suoi nipoti avea l'anime accolte
Gh' a la vita di sopra cran chiamato ,
E facendo di lor rassegna e mostra
Gli annoverava; esaminava i fati, 1020
Lo fortune , il valor di mano in mano , est
Gli ordini e i tempi loro. Enea comparve
Sul campo intanto : a cui tosto che *1 vide
Lieto Anchise awentossi , e con leìbraccia
In atto d' accoglienza , 0 figlio (disse 1025
Dolcemente piangendo), io pur ti veggio.
Pur sci venuto , na pur la tua pietade
Superati i disagi e la durezza
Di si strano viaggio. Ecco m' è dato
Di voflor , figlio , il tuo bramato aspetto , lOW
E sentirti e parlarti. Io di ciò punto «8©
Non era in rorse , e sol pensava al quando ,
Contando i giorni. Oh dopo quanti affanni.
Dopo quanti perigli , e quanti storpi
E di mare e di terra io ti riveggio ! 1035
E quanto ebbi timor che di Gartago
Venisse al corso tuo sinistro intoppo !
Ed egli a lui : La sconsolata immago ,
Ghe m' è , padre , di te sovente apparsa ,
Per te, per te veder (lua giù m' ha tratto : 1040
E di sopra fin qui salvo a la riva
Del mar tirreno il mio navile è sorto.
Or dammi, padre mio, dammi ch'io giunga
La mia con la tua destra, e grazia fammi
Gho di vederti e di parlarti io ^oda. 1045
Mentre cosi dicea, dì largo pianto «98
Rigava il volto, e distendea le palme;
E Ire volte abbracciandolo, altrettante
Dell'Eneide U
178 ENEIDE
I
(Come vento stringesse , o fumo , o sogno)
Se ne tornò con le man vote al petto. 1050
Intanto Enea per entro a la gran vallo
Vide scevra da r altre una foresta ,
I cui rami sonar da lungo udiva.
A piò di questa era di Lete il rio
Ch ai dilettosi e fortunati campi 1055
Corre davanti; e piene avea le ripe
Di genti innumerabili , eh' intorno
A caterve aliando , ivano in guisa
Che fan le pecchie a' chiari giorni estivi ,
Quando di fiore in fior, di giglio in giglio lOGO
Si van posando , e per V apriche piagge
Dolcemente ronzando. Enea, che nulla
Di ciò sapea , di subito stupore
Fu sovraggiunto , e la cagion spiando .
O , disse , padre , che riviera è quella ? 10C5
E che gente e che mischia e che bisbiglio? 711
L' anime (gli rispose) a cui dovuti
Sono altri corpi, a questo fiume accolta
Beon dimenticanze e lunghi obblii
De r altra vita ; e questi 10 desiava 1070
Che tu vedessi , e che da me n' udissi
I nomi e i gesti , onde contezza appieno
Del nostro sangue, e piena gioja avessi
De r acquisto d' Italia. O padre , adunque
(Soggiunse Enea) creder si dee che Talme, 1075
Òhe son qui scarche e libere e felici ,
Cerchin di nuovo a la terrena salma ,
Di nuovo a la prigion tornar de' corpi ?
E qual , misere loro ! empio desire
Del lume di lassù tanto lo invoglia ? IO8O
Figlio (rispose Anchise) acciò sospeso
Più non vacilli in questo dubbio, ascolta
(E in tal guisa per ordine gli narra).
Primieramente il ciel, la terra c'I mare,
L! aer , la luna , il sol, cpianto è nascosto, 1085
Quanto appare e quanf e , muove , nudrisce
E regge un che ve dentro 0 spirto 0 mente
O anima che sia de V universo ;
Che sparsa per lo tutto e per le parti
Di si gran mole , di se V empie , e seco 1000
Si volge , si rimescola e s' unisce. 727
Quinci r uman legnaggio , i bruti , 1 pesci ,
E ciò che vola, e ciò che serpe, han vita,
E dal foco e dal ciel vigore e seme
Traggon , se non se ^anto' il pondo e '1 gelo 1095
LIBRO SESTO 179
De' gravi corpi , e le caduche membra
Le fan terrene e tarde. E quinci ancora
Awien che tema e speme e duolo e gioja
Vivendo le conturba, e che rinchiuse
Nel tenebroso carcere e ne l'ombra HOO
Dei mortai velo, a le bellezze eterne 734
Non ergon gii occhi. Ed oltre a ciò, morendo,
Perchè sian fuor de la terrena vesta,
Non del tutto si spoglian le meschine
De le sue macchie; chè'l corporeo lezzo m^
Si r ha per lungo suo contagio infette ,
Che scevre anco dal corpo , in nuova guisa
Le tien contanimate , impure e sozze.
Perciò di purga han d'uopo, e per purgarle
Son de l'antiche colpe in vari modi 1110
Punite e travagliate : altre ne 1' aura
Sospese al vento , altre ne 1' acqua immerse ,
Ed altre al foco rafTlnate ed arse :
Che quale è di ciascuna il gonio e '1 fallo ,
Tale e'I castigo. Indi a venir n'è dato 1115
Nò gli ampi elisj campi ; e poche siamo , 743
Cui si lieto soggiorno si destini.
Qui stiamo infin che *1 tempo a ciò prescritto
D'ogni immondizia ne forbisca e terga,
Si eh' a nitida fiamma, a semplice aura, 1120
A puro eterio senso ne riduca.
guest' alme tutte, poiché di mill'anni
an volto il giro, alfìn son qui chiamate
Di Lete al fiume , e 'n quella riva fanno ,
Qual tu vedi colà, turba e concorso. 1125
Dio le vi chiama , acciò eh' ivi deposto
Ogni riconlo, men de' corpi schive,
E più vaji^ho di vita un' altra volta
Tomin di sopra a riveder le stello.
Ciò detto, Anchise a quelle genti in mezzo 1130
Condusse 11 fighe e la Sibilla insieme;
E prese un colle , ove le schiere tutte ,
Siccome ne venian di mano in mano,
Avea d' incontro , e le scor^ea nel volto.
Or qui ti mostrerò, soggiunse Anchise, 1135
Quanta sarà ne' secoli futuri
La gloria nostra ; ciuanti e quai nepoti
De la dardania prole a nascer hanno;
E quante del mio sanjjue anime illustri
Sorgeranno in Italia. Indi a te conte 1140
Le tue fortune e i tuoi fati saranno. 759
Vedi colà quel giovinetto ardito
180 SNEIDE
Che su quell' asta pura il braccio appoggia?
Quegli a la luce è destinato in prima,
Primo che di Lavinia in Lazio avrai 1145
Figlio postumo a te già d'anni grave,
Gh* al nn da lei fuor de le selve addutto
Re sarà d' Alba e de gli albani regi
Autore e padre ; e Silvii dal suo nome
Fian tutti i nostri che da lui discesi 1150
Ivi poscia gran tempo imperio avranno.
Proca è quei dopo lui, gloria e splendore
1155
Non sarà men di te pietoso e forte.
Mira che gioventù, mira che forze
Mostran solo a vederli. Ajppo costoro
Quei che son là di quercia inghirlandati, 1160
Di Gabi, di Nomento e di Fidene 7««
Parte propagheranti il picciol regno ;
Parte su' monti il tempio ti porranno
D' Inùo , e la terra che da lui dirassi ,
E Gollazia e Pomezia e Boia e Gora; 1165
Che questi nomi allor quei luoghi avranno
Ch' or ne son senza. In compagnia de V avo
Romolo se ne vien di Marte il figlio ,
Di Roma il padre. Al mondo Ilia darallo
De la stirpe d'Assaraco un rampollo. 1170
VedU colà , eh' ha in su la testa un elmo 778
Con due cimieri, e tal, che il padre stesso
Già par eh' in cielo e nel suo seggio il ponga.
Questi , figlio , sarà quel grand' eroe ,
Onde i suoi primi gloriosi auspicj 1175
Avrà r inclita Roma : quella Roma
Ghe sette monti entro al suo cerchio accolti
Tanto si stenderà , che fia con 1' armi
Uguale al mondo e con le menti al cielo ;
Roma di così prodi e chiari figli 1180
Madre felice. Tal di Berecinto
La maggior madre infra i leoni assisa
E di torri altamente incoronata
Va per la Friijia , gloriosa e lieta
Ghe tanti ha figli in ciel , ncpoti in seno , 1185
Tutti , che Dii già sono , o Dii si fanno.
Or qui , figliuolo , ambe le luci affisa
A mirar la tua gente e i tuoi Romani,
Cesare è qui , qui la progenie ò tutta
LIBRO SESTO i8i
Del grande Julo^ a cui già s'apre il cielo. 1190
Questi, questi è colui che tante volte 790
T' è già promesso , il gran Cesare Augusto ,
Di divo padre fij^lio , e divo anch' egli.
Per lui risorgerà quel secol d' oro ,
Quel del vecchio Saturno antico regno, 1195
Che fé *1 Lazio si hello e '1 mondo tutto.
Questi oltre a i Garamanti ed oltre a gl'Indi
Impererà fin dove il sole e 1* anno
Non giunge , e più non va se non s' arretra :
Trapassera di la dal maui'O Atlante 1200
Che con gli omeri suoi folce le stelle.
Al venir di costui , sol de la voce
Che ne danno i profeti, i caspii regni,
La meotica terra , e quanto inonda
Il sette volte geminato Nilo , 1205
Tremar già veggio , e star pensoso 0 mesto. 800
Tanto del mondo il glorioso Alcide
Non corse mai , se hen ile' Cereniti ,
Di Lema e d' Erimanto i mostii ancise ;
Né tanto ne domò chi domò gì' Indi , 12iD
E nel trionfo suo di viti e pampini
A le tigri di Nisa il giogo impose.
E sarà poi che'l valor nostro manchi
Di gloria , e tu di speme e d' ardimento
Di far d' Ausonia il desiato acquisto ? 1215
Ma chi fla questi che da lungi scorgo
Si venerando , il crin cinto d' olivo ,
Con quelle hende e con quei sacri arredi?
A la chioma , a la barba irta e canuta
Mi sembra , ed ò di Roma il santo rege , 1220
Che dal picciolo Curi a grande impero «10
Sarà da lei chiamato, e sarà il primo
Che cerimonie introdurrawi e leggi.
A lui Tulio vien dopo il forte e saggio ,
Ch'a i dismessi trionfi rivocando 1225
La gente già per lunga pace imbelle.
La tornerà di neghittosa e mite
Un' altra volta armigera e guerriera.
Anco è quell'altro che lo segue appresso 9
Che d' onor troppo e del favor del volgo 1230
Di già si mostra ambizioso e vago.
Or vedi là ( se di vederli agogni )
Anco i Tarquinj regi, e quel superbo
Yendicator ae la superbia loro
Bruto Gonsol primiero , e miei suoi fasci 1235
E quelle accette ond' ei paure crudele , sis
1240
i82 smsiDB
Do la patria buon figlio , i figli suoi
Pc5r r altrui bella libertade ancido.
Infortunato lui ! che che dopoi
Da la posterità se ne favelle.
Vince il pubblico amore , e '1 ^an desio
D* umana lode in lui V atfetto mterno
De la natura e del suo sangue stesso.
Mira poco in disparte i Decj, i Drusi,
Il severo Torquato e '1 buon Camillo ; 1245
L*uno che tien già la secure in mano,
E r altro , che da' Galli ne riporta
I I»erduti vessillL I due, che vedi
Si risplender ne V armi , e che rinchiusi
In questa notte sembrano a la vista 1250
Gii di pari e d' accordo , oh se alla vita
Veogon di sopra , quanta guerra e quale ,
Con che strage di genti e con che forze ,
Pai'an tra loro ! Il suocero da V alpi
E (la r occaso , il genero da l' orto ^^^
VeiTà r un centra T altro. Ah figli , ah figli ,
Non cosi rio, non così fiero abuso •
D' armar voi contr' a voi , contr' a le viscere
, De la gran patria vostra. E tu che traggi
Dal ciel legnaggio , tu mio sangue astienti 1260
Da tanta ferità; perdona il primo , sji
E gitta r armi in terra. Ecco chi vince
Corinto e '1 popol ffreco, e'n Campidoglio
Trionfando ne saghe. Ecco chi d'Argo
E di Micena ancor le torri abbatte, 12(55
E chi Pirro debella el seme estingue
Del bellicoso Achille. Alta vendetta
Che ben de gli avi ricompensa i danni,
E '1 tempio violato di Minerva.
Dtive lass'io te, gran Catone, e Cosso? uio
E i Gracchi , e i due gran folgori di guerra i^ 1 1
Ambedue Sciploni , ambi Africani ,
Strage Tun dì Cartago, e l'altro esizio?
Dov(5 Fabrizio il povero, e potente
Con la sua povertà ? Dove errano ,
Ch' () di bifolco al grande imperio assunto t
Dove restano i Fabj ? Eccone un solo
Massimo veramente , che (K)n arto
l(UTà il nemico trancjuillapdo a bada.
Abbinsi gli altri de l'altre arti il vanto; 128Q
Avvivino i colori e i bronzi e i marmi;
Muovano con la lingua i tribunali:
Mostrin con l' astrolabio e col quadrante
i275
. .-■ * \-*
LIBAO SESTO IS
o
Meglio del cicl le stelle e 1 moti loro :
Che ciò meglio sapran forse di voi. 12S5
Ma voi , Romani miei , reggete il mondo
Con r imperio e con Tarmi, e V arti vostre
Sion Tesser giusti in pace, invitti in guerra;
Perdonare a' soggetti, accor gli umili,
Debellar i superbi. In questa guisa 129C
Parlava il santo veglio, ed essi attenti 853
Stavan con maraviglia ad ascoltarlo;
Quando soggiunse : Ecco di qua Marcello.
Mira come se n* entra adorno e carco
D'opime spoglie, e quanto a gli altri avanza. litO
Quest' è quel generoso , eh* a grand' uopo
Vien di Roma a domare i Peni, i Gain,
E del gallico duce i fregi e Tarmi
La terza volta al gran Quirino appende.
Qui vide Enea clT un giovinetto a pari IJ'jO
Gli si traea , eh* era d' arnesi e d* armi ,
E via più di beltà vago e lucente;
Se non che poco lieta avea la fronte,
E chino il VISO. Onde rivolto al padre,
E chi (disse) ò costui che Taceompagna? l'.ì'o
Saria de' figli, 0 do' nipoti alcuuo
Del gran nostro legnaggio? E che bisbiglio
E che mischia ha d'intorno? 0 quale e quanta
Di già mi sembra ! Ma gli veggio al capo
D'atra notte girar di sopra un nembo. l^ìlO
Anchise lagrimando gli rispose: s;/
Amaro desiderio il cor ti tocca •
A voler, figlio, un gran danno, un gran lutto
Udir de' tuoi. Questi a la luce appena
Verrà, che ne fìa tolto. O Dii superni! 1313
Troppo par ravvi la romana stirpe
Possente allor che in sul fiorir preciso
Ne ila sì vago e si gentile arbusto.
O che duolo , o che pianto , 0 che funebre
Pompa ne vijlrà Roma 0 '1 Marzio campo! h-wJ
Qual, Tiberino padre, a la tua riva
Nuova se n'ergerà funesta mole!
Germe non sorgerà del seme d'Ilio
Più di questo gra lito , nò che tanto
De' latini avi suoi la speme estolla: 1325
Né la terra di Romolo avrà mai
Figlio, onde più si pregi e niù si vanti,
O pietà non più vista! ò fedo antica!^
O virtù senza pari ! E qual no T armi
Sarà ? Chi sosterrà T incontro suo 1390
iS4
ENEIDE
Pedone, o cavalier, ch'armato in giostra,
O pur nel campo il suo nemico assalga ?
Miserabil fanciullo ! Cosi morte
Te non vincesse , come invitto fora
n tuo valore, e come tu, Marcello,
Non men de l'altro eroica virtute,
E più splendore e più fortuna avresti.
Datemi a piene mani , ond' io di gigli
E di purpurei fiori un nembo sparga;
Che se ben contro al già fisso aestmo
M' adopro in vano, almen con questi doni
L' ombra d' un tanto mio nipote onori.
Dopo ciò detto , per gli aerei campi
Vagando, a parto a parte e l'ombre e
Gli mostrò , r invaghì , tutto d' amore
De la futura gloria il cor gli accese.
Indi le guerre e lo fortune sue
D'Italia, di Laurento e di Latino
La figlia, il regno, i popoli e io stato
Tutto gli rivelo. D' ogni suo affanno
(Come a fuggir , come a soffrir 1' avesse )
Gli die lume e compenso. Escono i sogni
D' inferno per due porte ; una è di corno ,
L'altra è a' avorio. Manda il corno i veri.
L' avorio i falsi ; e per 1' ebuma Anchise
Diede ( quando lor die commiato al fine )
A la Sibilla ed al suo figlio uscita.
Enea verso le navi a' suoi compagni
jPece ritomo. Indi sciogliendo dritto
Limgo la riva il suo corso riprese ;
E giunto , ov* oggi è di Gaeta il porto •
L' afferrò , gìttò P ancore e fermossi.
1
1335
883
1340
i lochi
1345
i
1350
1355 i
1360
1362
90)1
FINI DSL LIBaO SISTO»
i
LIBRO SETTIMO.
^RQOMBNTO
Cteieta è così detta dal nome deUa nutrice di Enea che ivi ta sepolta, 1-4.
Da Gaeta Teroe vedendo 1 lidi della dimora di Circe, col vento in popj^
imbocca nel Tevere, e vogando contr* acqua, approda neiragro Lau-
rente, 5-86. Invocata di nuovo la Musa, il poeta narra quale fosse in quel
tempo lo stato del Lazio, e da quali prodigi fosse stato anche quivi an-
nunziato Tarrivo dei Troiani, 37-106. Enea si accorge esser venuto il ter-
'accampa,
coglie favorevolmente gli ambasciatori, e concedendo più che non gli si
chieda, offre in isposa ad Enea la sua figlia Lavinia, 160-285. Ma Giunone
irritata al prosperi successi dei Troiani, evoca dall* inferno la Furia Aletto
per disturbare la pace, 286-340. Aletto infonde le sue furie prima in Amata,
moglie di Latino, poscia in Turno^a cui era già stata promessa in matri-
monio Lavinia, 841-474 ; e finalmente con sue frodi mette lite fra la gio-
ventù troiana e i contadini del Lazio, 475-510. Essa stessa dairalto di un
luogo dà flato alla tromba di guerra; onde ne nasce un combattimento.
Riportati i morti in citta, Turno ed Amata eccitano il re Latino a prender
le armi, e vendicare T ingiuria. 511-590. Ma poiché Latino, memore dei
Fati e della giurata alleanza, resiste co«:tantemente ; Giunone stessa apre
le porte della Guerra, 591-622. «e Allor l*Ausonla tutta, ch*era dianzi paci-
fica e quieta, s*accese in ogni piiru*. » — Lunga e stupenda rassegna delle
genti e dei capitani d'Italia, 623-817.
Ed ancor tu , d' Enea fida nudrice
Gajeta, a i nostri liti eterna fama
Desti morendo; ed essi anco a te diero
Spde onorata , se d* onoro a* morti
E d' aver T ossa consecrato e '1 nome 5
Ne la famosa Esperia. Ebbe Gajeta
Dal suo pietoso ^unno esequie e lutto
E sepoltura alteramente eretta.
Indi , già fatto il mar tranq^uillo e gueto ,
Spiegar le vele a* venti , e i venti al corso iO
Bì*an secondi ; e *n sul calar del sole
La luna , che sorgea lucente e piena ,
Chiare V onde facea tremolo e crespe.
Uscir del porto ; e pria raserò i liti
Ove Circe del sol la ricca figlia 15
Gode felice, e ùiai sempre cantando ii
rf^
180 ENSIDB
Soavemente al periglioso varco
De le sue selve i peregrini invita :
E da la reggia , ove tessendo sta?si
Le ricche tele, con T arguto suono 20
Che fan le spuole e i pettini e i lelari,
E co* fuochi de' cedri e de' ginepri
Porge lunge la notte indicio e lume.
Quinci la verso il di, lontano udissi
Ruggir lioni , urlar lupi , adirarsi , 25
E fremere e ^ru^nirc orsi e cignali,
Ch' eran uomini m prima: e'n qii'ìstc forme
Da lei con erbe e con malie cani;iati
Giacean di ferri e di ferrate sbarre
Ne le sue stalle incatenati e chiusi. 30
E perchè ciò non av\'enisse ai Teucri
Che buoni erano e pii, da cotal porto
E da sijiaggia si ria Nettuno stesso
Spinse i lor legni , e die lor vento e fuga,
Tal che fuor d' ogni rischio li condusse. 33
Già rosseggiava d' Oriente il balzo ,
E nel suo carro d* ostro ornata e iV oro
L'Aurora si traea de Tonde fuori;
Quando subitamente ogni aura, ogni alito
Cessò del vento , e ne fu *1 mare in calma 40
Si eh* a forza ne gian de' remi appena. 27
Qui la terra mirando il padre Enea
Vede un' ampia foresta e dentro un fiume
Rapido, vorticoso e quieto insieme,
Che per l' amena selva , e per la bionda 45
Sua molta arena si devolve al mare.
Questo era il Tebro , il tanto desiato ,
D tanto cerco suo Tebro fatale:
A le cui ripe , a le cui selve intorno ,
E di sopra volando ivan le schiere 50
Di più canori suoi palustri augelli.
Allor, Via (dice a' suoi) volgete il corso,
Itene a riva. E tutti in un momento
Rivolti e giunti, de 1' opaco fiume
Preser la foce , e lietamente entrare. 55
Porgimi, Erato , aita a dir quai regi , 86
Quai tempi , e quale stato avesse allora
L* antico Lazio , quando prima i Teucri
Con quest* armata a' suoi liti approdaro.
Ch' io dirò da principio le cagioni 60
K gli accidenti , onde con essi a V arme
Si venne in pria: dirò battaglie orrende,
Dirò stragi (f eserciti, e duelli
i^V»wi
«Q«
LIBRO SETTIMO 137
De' regi stessi, e la Toscana ttitta,
E tutta anco 1' Esperia in arme accolta. 65
Tu d' Elicona Dv)a, tu ciò mi detta;
Ch* altr' ordine di cose, altro lavoro,
E maggior opra or lisce. Era signore ,
Quando ciò fu, «li Lazio il re Latino,
XJn re che veglio e placido gran tempo 70
Avea'l suo regno amministrato in pace. 4d
Questi naccpie di Fauno e di Marica
Ninfa di Lattrento , e Fauno a Pico
Era figliuolo , e Pico a te , Saturno ,
Del suo regio legniggio ultimo autore. 75
Non avoa questo re stirpe virile,
Com* era il suo destino ; e quella eh' ebhe ,
Gli fti nel fior de' suoi veni' anni ancisa.
Sola d* un sangue tal , d' un tanto regno
Restava una sua figlia unica erede , 80
Che già d'anni matura, e di bellezza
Più a ogni altra famosa «ra da molti
Eroi del Lazio e de T Ausonia tutta
Desiata e ricerca. Avanti a gli altri
La chiedea Turno , un giovme il più bello , 85
n più possente, e di più chiara stirpe 56
Che gli altri tutti; e più ch* a gli altri a lui,
Anzi a lui sol la sua regina madre
Con mirabile affetto era inchinata.
Ma che sua sposa fosse , avverso fato , 90
Vari portenti e spaventosi augurj
Facean contesa. Era un cortile in mezzo
A le stanze reali , ove un gran lauro
Già di gran tempo consecrato e colto
Con molta riverenza era serbato. 95
Si dicea che Latino esso re stesso
Nel designare i suoi primi edifizj »
Là 've trovollo , di sua mano a Febo
L' avea dicato ; e eh' indi il nome diede
A' suoi Laurent! A (mesto lauro in cima 100
Maravigliosamente di lontano
Romoreggiando a la sua vetta intorno
Venne d^ api una nugola a posarsi;
E con r ah e co' piò T una con 1' altra ,
E tutte insieme aggraticciate e strette 105
Stier d'uva in guisa a le sue frondi appese.
Ciò l'indovino interpretando. Io veggo
(Disse ) venir da lungo un duce estemo ,
Ed una gente che d' un loco uscita
In un loco medesmo si rauna, iiO
IBd
BNBIDK
Ed altamente ivi s' alloga e regna. ù§
Stando un giorno , oltre a ciò , Lavinia virgo
Sacrificando col suo padre a canto,
Ed a r aitar caste faccUe offrendo ,
Parve (nefanda vista!) che dal foco 115
Fossero i lunghi suoi capelli appresi ,
E che stridendo non pur 1* oro ardesse
De le sue trecce , ma il suo regio arnese
E la corona stessa che di ^emme
Era fregiata. Indi con roggio vampo , 120
Con nero fumo e con volumi attorti 7«
S* avventasse d' intomo , e V alta reggia
Tutta di fiamme empiesse : orrendo mostro ,
E di gran maraviglia a chiunque il vide.
Gli àuguri ne dicean che fama illustre 125
E gran fortuna a lei si portendea ;
Ma ruina a lo stato , e guerra a* popoli.
A questi mostri attonito e confuso
n re tosto a T Oracolo di Fauno
Suo genitor ne V alta Albunea selva 130
Per consiglio ricorse. E questa selva
Immensa , opaca , ova mai sempre suona
Un sacro fonte , onde mai sempre esala
Una tetra vorago. Il Lazio tutto
E tutta Italia in o^ni dubbio caso 135
Quindi certezza , aita e' ndrizzo attende.
E r Oracolo è tale. Il sacerdote
Nel profondo silenzio de la notte
Si fa de 1* immolate pecorelle
Sotto un covile , ove s' adagia e dorme. 140
Nel sonno con mirabili apparenze
Si vede intomo i simolacri e 1* ombre
Di ciò eh' ivi si chiede ; e varie voci
Ne sente , e con gli Dei parla e con gì* Inferi.
In questa guisa il re Latino stesso 145
Al vaticinio del suo padre intento »«
Cento pecore ancide , e i velli e i terghi
Nel suol ne stendo , e vi s'involve e corca.
Ed ecco un' alta repentina voce
Che de la selva uscendo intuona e dice: 150
Invan , figlio , procuri , invan V immagini
Che tua figlia s'ammogli a sposo ausonio.
Vane e nullo saran le sponsalizie
Ch* or le precari. Di lontano un genero
Venir ti veggio, per cui sopra a l'etera
Salirà '1 nostro nome ; e i nostri posteri 98
Ne vetiran so»^o i piò quanto l* Oceano
155
^»^^—<IB^I^. ■
LIBRO SETTIMO 180
D* ambi i lati circonda , e '1 sole illumina.
Questa risposta e questi avvertimenti,
Perchè di notte e di secreta parte 160
Fosser da Fauno usciti , il re non tenne
In se stesso celati , anzi la fama
Per le terre d* Ausonia gli spargea ,
Quando la frigia armata al Tebro aggiunse.
Enea col figlio e co' suoi primi duci 165
A r ombra d' un grande albero in disparte
Da gli altri a prender cibo insieme unissi. /
Eran su Y erba agiati ; e come avviso
Creder si dee che del gran Giove fosse ,
Avean poche vivande ; e quelle poche 170
Gran forme di focacce e di farrate
In vece avean di tavole e di quadre ,
E la terra mcdesma e i solchi suoi
Ai pomi agresti eran fiscelle e nappi.
Altro per avventura allor non v' era 175
Di che cibarsi. Onde finiti i cibi ,
Volser per fame a quei lor deschi i denti ,
E motteggiando allora, O (disse Julo)
Fino a le mense ancor ne divoriamo ?
E rise e tacque. A questa voce Enea , 180
Sì come a fin de le fatiche loro , ai
Avvertì primamente , e stupefatto
Del suo m istorio , subito inchinando
Disse : O da' fati a me promessa terra ,
Io te devoto adoro : e voi ringrazio 185
Santi numi di Troja , amiche e fide
Scorte de gli error miei. Questa è la patria ,
Quest' è r albergo nostro , e questo è '1 segno
Che '1 mio padre lasciommi (or mi ricordo
De gli occulti miei fati). Allor (dicendo) 190
Che sarai, figlio , in peregrina terra i«4
Da fame a manducar le mense astretto,
Fia *1 tuo riposo : allor fonda gli alberghi ,
Allor le mura. Or questa è quella fame,
Ultimo rischio ad ultimar prescritto , 195
Tutti i nostri altri perigliosi affanni.
Or via, dimane a 1 apparir del sole
Per diversi sentier lungi dal porto
Tutti giojosamente investighiamo
Che paese sia questo , da che gente 200
Sia colto , e dove sian le terre loro.
Ora a Giove si bea; faccinsi preci
Al padre Anchise ; e sian le mense tutte
Di vin piene e di tazze. E ciò dicendo ,
192 KNEIDB
Non per forza o per leggi, ma per uso
E per natura; e del buon vecchio Dio 300
Seguitiam V orme e de' suoi tempi d' oro.
Io mi ricordo (ancor che miesta fama
Sia per molt* anni ornai deoile e scura)
Che per vanto soleano i vecchi Aurunci
Dir che Bardano vostro in queste parti 305
Ebbe il suo nascimento ; e quinci m Ida
Passò di Frigia , e ne la tracia Samo
Ch'or Samotracia è detta. Da' Tirreni,
E da Corito uscio Dardano vostro
Ch'or fatto è Dio, e tra' colesti in cielo 310
D' oro ha la sua maglon , di stelle il seggio » •
E qua giù tra' mortali altari e voti.
Avea ciò detto , quando a' detti suoi
H saggio Ilionèo cosi rispose :
Alto signor , di Fauno egregio figlio , 315
Non tempesta di mar , non venti avversi ,
Non di stelle , o di liti , o di nocchieri
Error qui n' bave , od ignoranza addotti.
Noi di nostro voler, di nostro avviso
Ci Siam venuti , discacciati e privi S20
D'un regno de' maggiori e de più chiari, «i7
Ch* unqua vedesse d' oriente il sole.
Da Dardano e da Giove il suo legnaggio
Ha quella gente , e quel trojano Enea
Gh' a te ne manda. La tempesta , i Fati , 325
E la mina che ne* campi iaei
Venne di Grecia , onde T Europa e l' Asia
E '1 mondo tutto sottosopra andonne,
Cui non è conta ? Chi si lungo è posto
Da noi , che non l'udisse ? o che da l' acque 330
De r estremo Oceano , o che dal foco *25
De la torrida zona sia diviso
Da la nostra notizia ? n nostro affanno
Tal fece intorno a se diluvio e moto,
Che scosse , e l allagò la terra tutta. 335
Da indi in qua dispersi e vagabondi
Per tanti mari , un sol picciol ridotto
A gli Dei nostri , un lito che n' accolga
Non da nemici , un poco d' acqua e a' aura
(Lassi!) qiiel ch'ogtf uom'ha, cercando andiamo. 340
Non disutili (credo) e non indegni
Sarem del regno vostro: a voi non lieve
Ne verrà fama; e d'un tal morto tanto
Vi sarem grati, che 1' ausonia terra
Non mai si pentirà d* aver i figli 345
j
Mir.D .<i:ttimo IW
De la misera Troja in grembo accolti. «54
10 ti giuro, 8i|fnor, por lo fatiche,
Per gli fati d' Enoa , per la possente
Sua destra (già per fede e per valore
Famosa al monrlo) che da molte genti 350
Molte iìate (e ciò vii non ti sembri ,
Che da noi stessi a te ci proferiamo
E ti preghiamo) siam pregati noi ,
-E per compagni desiati e cerchi.
Ma da i Fati , signor , e da gli Dei 355
Siam qui mandati. Dardano qui nacque,
Qua Febo ne richiama. Fobo stesso,
E quel di Dolo è ch'a i Tirreni, al Tcbro,
Al fonte di N umico a voi e** invia.
Queste oltre a ciò poche reliquie , o segni 360
De r antlata fortuna e del suo amore
11 re nostro ti manda, che dal foco
Son de la patria ricovrate appena.
Con questa coppa il suo gran padre Anchise
Sacriucava. Questo regno in testa, 305
Quando era in soglio, il gran Priamo avea:
Questo è lo scettro: questa è la tiara,
Sacro suo portamento; e queste vi>sti
Son de le nonne d* Ilio opre e fatiche.
Al dir d' Il'ionòo stava Latino 37i
Fisso col volto a terra immoto e saldo , U9
Come in astratto , e solo avea le luci
De (jli occhi intese a rimirar, non tanto
Il dipint' ostro e gli altri regj arnesi,
Quanto in pensar do la diletta lìglia
Il maritaggio, e *1 vaticinio uscito
Dal vecchio Fauno. E 'n se stesso raccolto.
Questi è certo (dicea) quei che da' Fati
Si denunzia venir di stran paese
Genero a me , sposo a Lavinia mia , 380
Del mio regno partecipe e consorte.
Questi è da cui verrà T egregia stirpo
Che col valor farassi e con le forze
Soggetto e tributario il mondo tutto.
Ed al fin lieto, O (disse) eterni Dei,
Secondate voi stessi i vostri augiirj ,
E i pensier miei. Da me , Trojani , avrete
Tutto che desiate; e i vostri doni
Gradisco e pregio; e mentre re Latino
Sarà, sarete voi nel regno suo
Cortosi^mente accolti; e '1 seggio e i campi
E ivà) eh* è d* uopo , comò a Troja foste ,
J>€lVSneide 13
375
33S
300
104 SNBmi
In co^ aTrete. Or s' ei tanto desia ,
L' amistà nostra e *1 nostro ospizio, vegna
Egli in persona , e non abborra on^ai 395
n nostro amico aspetto. Arra e certezza les
Ne fla di pace il convenir con lui ,
E di lui stesso aver la fede in pegno.
Pa r altra parte a mio nome ^fi dite
Quel eh* io dirowi. Io senza più mi trovo 400
Una mia figlia. A questa il mio paterno
Oracolo , e del ciel molti prodigi
Vietan eh' io dia marito altro eh* esterno.
D* estema parte (tal d' Italia è '1 fato)
Un genero dal ciel mi si promette , 405
Per la cui stirpe il mio nome e' 1 mio sangue
Ergerassi a le stelle. Or se del vero
Punto è *1 mio cor presago , egli è quel desso ,
Gred' io , che '1 fato accenna , e '1 credo e 1 bramo.
Ciò detto , de' trecento , che mai sempre . 410
A' suoi presepj avea , nitidi e pronti %74
Destrier di fazione e di rispetto ,
Per gli cento orator cento n' elegge ,
Gh' avean le lor coverte e i lor girelli ,
Le pettiere e le briglie in varie guise 415
D* ostro e di seta ricamati e d' oro ,
£ d' or le ghiere, e d' or le borchie e i freni.
Al trojan duce assente un carro invia
Gon due corsier eh' eran di quei del Sole
Generosi bastardi , e vampa e foco 420
Sbruffavan per le nari Al Sol suo padre
La razza ne furò la scaltra Girce
Allor eh' a l' incantate sue giumente
Eto e Pireo furtivamente impose.
Tali in su tai cavalli alteramente 425
Tornando i Teucri al teucro duce, allegre
Portar novelle e parentela e pace.
Ed ecco che di Grecia uscendo e d' Argo
L' empia moglie di Giove , alto da terra
Sospesa , infin dal sicolo Pachino 430
Vide i legni trojani , e vide Enea «so
Gon ^ltti i suoi , che lieto e fuor del mare
E secm' de la terra incominciava
D' alzar gli alberghi , e di fondar le mura
Già d' un altr' Ilio. E punta il cor di doglia 435
Squassando il capo , Ah (disse) a me pur troppo
Nimica razza ! ah troppo a* fati miei
Fati de' Frigj avversi ! E forse estinti
Fui- ne' campi sigei ? Forse potuti
LIBRO SETTIMO - 105
Si 8on prender già presi , ed arder arsi ? 440
Per mezzo de le scnìere e de gr incendj 119
Usai trovata la via. Stanca ila dunque
Questa mia deità , quando ancor sazia
Non è de r odio ? e già s* è resa , quando
Ha fin qui nulla oprato ? E che mi giova 44^
Che sian del re^o , e de la patria in bando ?
Che mi vai eh' 10 mi sia con tutto il mare
A loro opposta ? Ah ! che del mar già tutte ,
E del ciel centra lor le forze ho logre.
E che le Sirti , e che Scilla e Gariddi 450
A me con lor son valse ? Ecco han del Tebro
La desiata foce } e non han tema
Del mar più , ne di me. Marte poteo
Disfar la gente de' Latiti immane ;
Potè Diana aver da Giove in preda 455
Del suo disegno i Galidonj antichi,
Quando de' Galidonj e de* Lapiti
Ver le pene era il fallo 0 mulo , 0 leve.
Ed io consorte del gran Giove e suora ,
Misera , incontro a lor che non ho mosso ? . 460
Che di me non ho fatto ? E pur son vinta.
Enea , Enea mi vince. Ah se con lui
n mio nume non può , perchè d' ognuno ,
Chiunque sia , non ogni aita imploro ?
4G5
SIS
Se muover centra lui non posso il cielo,
Muoverò 1* Acheronte. Oh non per questo
Il fato si distorna; ed ei non meno
Di Latino otterrà la figlia e' 1 regno.
Che più ? Lo tratterrò : gli darò Joriga :
Porro (s' altro non posso) in tanto affare 470
Gara, indugio e scompiglio : a strage, a morte, 815
Ad ogni strazio condurrò le genti
De r un rege e de V altro ; e questi avanzi
Faran primieramente i lor sugge tti
De la lor amistà. Con questo m prima 475
Si sian suocero e genero. Del sangue
De' Troiani e de' Rutoli dotata
N' andrai , regia donzella , al tuo marito •
£ del tuo maritaggio e del tuo letto
Auspice fia Bellona in voce mia. 480
Cotal non partorì di face pregna
Ecuba a Troja incendio , qusìl Ciprigna
Avrà con questo suo novello Pari
Partorito altro foco, altra mina
A qucst' altr* Ilio. Ciò dicendo in terra 485
Discese h-ata , e da T iuTorno grolle wa
i^t^ BNBIDH
A se chiainò la nequitosa Aletto.
De le tre dire Furie una è costei,
Cui son r ire , i dannaggi , i tradimenti ,
Le guerre , le discordie , le ruine , • 490
Ogni empio ofTlcio , ogni mal' opra a core.
E tale un mostro in tanti e cosi fieri
Sembianti si trasmuta , e de' serpenti
Si tetra copia le germoglia intorno ,
Che Pluto e le tartaree sorelle 495
Sue stesse in odio ed in fastidio l'hanno.
Giunon le parla , e via più co' suoi detti
In tal guisa 1' accende : 0 de la Notte
Possente figlia , io per mio proprio afletto ,
Per onor del mio nume , per salvezza 500 -
De la mia fama un tuo servijjio agogno.
Adoprati per me, che mal mio grado
Questo trojano Enea del re Latino
Genero non divenga, e nel suo regno
Con gran mio pregiudicio non s' annidi. 505
Tu puoi , volendo , armar V un centra T altro 334
I concordi fratelli ; odj e zizzanie
Seminar tra' congiunti ; e per le case
Con murarti noccndo, in mille guise
Infra' mortali indur morti e ruine. 510
Scuoti il fecondo petto, e le sue forze
Tutt' a guest' opra accampa. Inferma , annulla
Questa lor pace ; infiamma i cori a 1' armi :
Arme ognun brami , ognun le gridi e prenda.
Di serpi, e di gorgonCi veneni 515
Guarnissi Aletto ; e per lo Lazio in prima
Scorrendo , e per Laurento e per la corte ,
De la regina Amata entro la soglia
Insidiosamente si nascose.
Era allor la regina , come donna , 520
E come madre , dal materno alFctto ,
Da lo scorno de' Teucri , dal disturbo
De le nozze di Turno in molte guise
Afflitta e conturbata; quando Aletto 1
Per rivolg.jrla in furia, e co* suoi mostri 525 I
Sossopra rivoltar la reggia tutta ,
De' suoi ctTulei crini un ^ngue in seno
Le avventò si che l'entrò poscia al core.
Ei primamente infra la gonna e'I petto
Strisciando , e non mordendo , a poco a poco 530
Col suo vipereo fiato un non sentito sso .
Furor le spira. Or le si fa monQe
Altorcigliato al collo 5 or lunga benda
LIBRO SETTIMO 19?
Le pende da le tempie ; or quasi un nastro
L'annoda il crine. Al fin lubrico errando , 635
Per ogni membro lo s' avvolge e serpe.
Ma fin che prima andò languido e molle
Soli i sensi occupando il suo veleno,
Finché il suo foco penetrando a V ossa
Non avea tutto ancor l'animo acceso, fiO
Ella donnescamente lagrimando
Sovra la figlia e sovra le sue nozze
Con tal quoto rammarco si dolca :
Adunque si darà Lavinia mia
A Troiani? a banditi? E tu suo padre, r;i3
Tu cosi la collòchi ? E non t' incresce 86o
Di lei , di te , di sua madre infelice ?
Ch' al primo vento eh' a' suoi legni spiri ,
T)i cosi caro pegno orba rimasa
(Come dir si potrà) da questo infido 550
Fuggitivo ladrone abbandonata
Del mar vedrolla e de* corsari in preda ?
O non cosi di Sparta anco rapita
Fu la figlia di Leda ? E chi rapilla
Non fu Trojano anch' egli ? Ah dov'è, sire, 555
Quella tua santa inviolabil fede ?
Quella cura de' tuoi ? guclla promessa
Che 8* è fatta da te già tante volte
Al nostro Turno? Se d'esterna ffonte
genero ne si dee; se fisso e saldo 500
È ciò nel tuo pensiero; se di Fauno so?
Tuo padre il vaticinio a ciò ti stringe;
Io credo eh* ogni terra , eh' al tuo scettro
Non è soggetta, sia straniera a noi.
Cosi ragion mi detta, e cosi penso 5C5
Che r Oracolo intenda. Oltre che Turno
ÌSe la sua prima origine si mira)
*er suoi progenitori Inaco , Acrisie j
E per patria na Micene. A (juesto duro
Stava nel suo proposito Latino 570
Ognor più duro. E la regina intanto
Più dal veleno era del serpe infolta,
E ^à tutta compresa , e da gran mostri
Agitata , sospinta e forsennata ,
Senza ritegno a correre, a scagliarsi, 57S
A gridar fra le genti , e fuor d' ogni uso stt
A tempestar per la città si diede.
Qual per gli atri! scorrendo e per le sale
Infra la turba de* fanciulli a y(uo
Va sferzato paleo eh' a saltit a scossa, 580
r
193 ENEIDB " \
Ed a suoli di guinzagli roteando '^
E ronzando s' aggira e si travolve ,
Quando con meraviglia e con diletto
Gli va lo stuol de' semplicetti intorno,
È kIl dan co' flabelli animo e forza : 565
Tal per mezzo del Lazio e de' feroci
Suoi popoli vacando insana andava
La regina infelice. E ouel che poscia
Fu d' ardire e di scandalo maggiore ,
Di Bacco simulando il nume e' 1 coro 590
Per tor la figlia ai Teucri , e le sue nozze
Distornare , o 'ndugiare , a* monti ascesa
Ne le selve Y ascose : o Bacco , o Libero;
Gridando ; Eùoè : questa mia vergine
Solo a te si convien, solo a te serbasi, 595
Ecco per te nel tuo coro s' esercita ,
Per te prende i tuoi tirsi , a te s' impampina,
A te la chioma sua nodrisce e dedica.
Divolgasi di ciò la fama intanto
Fra le donne di Lazio , e tutte insieme 600
Da furor tratte , e d* uno ardore ^accese 39S
Saltan fuor de gli alberghi a la foresta.
Ed altre ignudo i colli e sciolte i crini ,
D'irsute pelli involte, e d'aste armate,
Di tralci avviticchiate e di corimbi, - 605
Orrende voci e tremoli ululati
Mandano a 1* aura. E la regina in mezzo
A tutte r altre una facella m mano
Prende di pino ardente, e l'imeneo
De la figlia e di Turno imita e canta; 610
E con gli occhi di sangue e d' ira infetti aos
Al cielo ad or ad or la voce alzando,
Uditemi (dicea) madri di Lazio ,
Quante ne siete in o^ loco , uditemi
Se può pie tate in voi , se può la grazia 615
De la misera Amata , e la miseria
Di lei , eh' ad ogni madre è d' infortunio t
Disvelatevi tutte e scapigliatevi;
Eùoè , a questo sacrificio
Ne venite con me , meco ululatene. 620 |
Cosi da Bacco e da le fùrie spinta
Mq già per selve e per deserti alpestd
La regina infelice ; quando Aletto ,
Ch* assai già disturbato avea il consi^O
Di re Latino e la sua reggia tutta t ^^
Ratto su le fosc' ali a V aura alsoi8l{
E là 've già d' Acrisio il seggio poso
IIBRO bETllxMO «0^
V avara figlia ivi dal vento esposta ,
A r orgoglioso Turno si rivolse.
Ardea fu quella terra allor nomata,
E d' Ardea il nome insino ad or le resta , 411 1
Ma non già la fortima. In questo loco \
Entro al suo gran palagio a mezza notte
Prendea Turno riposo ; allor eh' Aletto
Vi giunse , e' 1 torvo suo maligno aspetto 035
Con ciò eh* avea di furia , in senil forma
Cangiando, raffgruppossi , incanutissi,
E di bende e d'olivo il crin velossi :
Calibe in tutto fessi , una vecchiona
Ch* era sacerdotessa e guardiana 040
Del tempio di Giunone : e' n cotal guisa
Si pose a lui davanti , e cosi disse :
Turno, adunque avrai tu sofferte indamo
Tante fatiche , e questi Frigi avranno
La tua sposa e' 1 tuo regno ? Il re la figlia , 645
E la dote , eh' a te per gli tuoi merti ,
Per lo sparso tuo sangue era dovuta,
E eia da lui promessa , or ti ritoglie ;
E de r una e de 1* altro erede e sposo
Passi un esterno. 0 va cosi deluso , 650
E per ingrati la persona e 1* alma 04
Inutilmente a tanti rischj esponi.
Va , fa strage de' Toschi. Va , difendi
I tuoi Latini , e' n pace li mantieni.
Questo mi manda apertamente a dirti 666
La gran saturnia Gmno. Arma, arma i tuoi;
Preparati a la guerra; esci in campagna;
Assali i Fri^ , e snidagli dal fiume .
Gh' han di ^à preso, e i lor navilj incendi.
Dal ciel ti si comanda. E se Latino 600
A le promission non corrisponde ,
Se Turno non accetta e non gradisce
Kè per suo difensor, né per suo genero,
Provi qual sia ne 1' armi, e quel ch'importi
Averlo per nimico. Al cui parlare 665
U giovine con beffe e con rampogne
Cosi rispose : lo non son , vecchia . ancora
Come te fuor de* sensi: e ben sentita
Ho la nuova de' Teucri, e me ne cale
Più che non credi. Non però ne temo 670
Quel che tu ne vaneggi ; e non m* ha Giono 4M
(Penso) iti tanto dispregio e 'n tale obbliOt
Ma tu da gli anni rimbambita e scema
Entri folle \xk wnfder d'armi e dt itatti
\
200 SNEtDB
I
Ch* a te non tocca. Quel eh' ò tiio nìo^liero , C75
Governa i templi , atteinli a i simolacri ,
E di pace pensar lascia e di {juerra
A chi di guerreggiar la cura e data.
Furia a la Furia questo dire accrebbe ,
Si che d* ira avvampando , ella il suo volto GoO
Riprese e rincagnossi: ed ei ne gli occhi 415
Stupido ne rimase , e tremò tutto :
Con tanti serpi s'arruffò V Erinne,
Con tanti ne fischiò , tale una faccia
Le si scoverse. Indi le bieche luci 085
Di foco accesa, la viperea sferza
Gli girò sopra ; e si com* era immoto
Per lo stupore, ed a i)iù dire inteso.
Lo risospinse ; e i suoi detti e i suoi scherni
Cosi rabbiosamente improverògli: 690
Or vedrai ben se rimbambita e scema
Sono entrata in pensier d' armi e di stati ,
Ch'a me non tocchi; e se soii vecchia e folle.
Guardami , 0 riconoscimi : eh' a questo
Son dal Tartaro uscita. E guerra e morto 005
Meco ne porto. E ciò detto, awentògli
Tale una face e con tal fumo un foco,
Che fé* tenebre a gli occhi , e fiamme al core.
Lo spavento del giovine fu tale ,
Che rotto il sonno , di sudor bagnato 700
Si trovò per angoscia il corpo tutto.
E stordito sor^jendo , arme d* intorno
Cercossi, armi gridò, d'ira s'accese,
D' empio disio , di scellerata insania
Di scorapiffli e di guerra. In quella guisa 705
Che con alto boUor risuona e gonfia 402
Un gran caldar , quand* ha di verghe a* fianchi
Chi gli ministra ojjnor foco maggioro,
Quando T onda più ferve , e gorgogliando
Più rompe , più si volve e spuma e versa , 710
E '1 suo negro vapore a l' aura esala.
Cosi Turno commosso a muover gli altri
Si volge incontanente ; e de' suoi primi ,
Altri al re manda con la rotta pace ,
Ad altri 1' apparecchio impon de l'arme, 715
Onde Italia difenda, onde i Trojani
Sian d' Italia cacciati ; ed ei si vanta
Contra de* Teucri ó centra de' Latini
Aver forze a bastanza. E ciò commesso «
E ne* suol voti 1 suoi Numi Invocati , 720
I Rutoli Infra loro a gara armando 47 1
LIBRO SETTIMO 201
S* esortavan V un V altro ; o tutti insiemo
Eran tratti da lui, chi por lui stesso
(Che giovin era amabile e gcnt'lc),
Chi per la nobiltà de' suoi maggiori, 725
E chi per la virtute , o per le prove
Di lui viste altre volte in altre guerre.
Mentre oosì de' suoi Turno dispone
Gli animi e Tarmi, in altra porte Aletto
Sen vola a' Teucri ; e con nuov' arte apposta 73.
In su la riva un loco , ove in campagna
Correndo e'nsidiando il bello Julo
Se^uìa le fere fuggitive in caccia.
Qui di subita rabbia i cani accese
La virgo di Oocito , e per la traccia 735
Li mise tutti;. onde scoprirò un cervo
Che fu poi di tumulto, di rottura
Di guerra , e d* ogni m<il prima cagione.
Questo era un cervo mansueto e vago,
Già grande e di gran corna, che divelto 7'0
Da la sua madre , era nel gregge addotto *88
Di Tirro e de' suoi figli : ed era Tirro
Il custode maggior de' regj armenti
E de' regi poderi ; ed egli stesso
L' avea nudrito e fatto umile e manso. 745
Silvia , una giovinetta sua figliuola
L' avea per suo trastullo \ e con gran cura
Di fior 1 inghirlandava , il pettinava ,
Lo lavava sovente. Era a la mensa
A lor d'intorno; e da lor tutti amava 750
Esser pasciuto e vezzeggiato e tocco. 490
Errava per le selve a suo diletto ,
E da se stesso poi la sera a casa ,
Come a proprio covil, se ne tornava.
Quel di per avventura di lontano 755
Lungo il fiume venia tra V ombro e Tonde,
Da la sete schermendosi e dal caldo;
Quando d' Ascanio T arrabbiate cagno
Gli s' avventare : ed esso a farsi inteso
D' un tale onore e di tal preda acquisto , 760
Diede a T arco di iiigUo , e saettollo.
La Furia stessa gli drizzò la mano ,
E spinse il dardo si eh' a pieno il colse
Ne T un de* fianchi , e penetrògli a T epa.
Perito , insanguinato , e con lo strale 7d5
n meschinello ne le coste infisso ,
Al consueto albergo entro a i presepj
M ogghiando e lamentando si ntrasao ;
hù% ENEIDE
►
Gh*un lamentarsi, un dimandar aita
D' uomo in guisa più tosto , che di fera , T70
Erano i mugghj , onde la casa empiea.
Silvia lo vide in prima , e col suo pianto ,
Gol batter de le mani, e con le strida
Mosse i villani a far turba e tumulto.
Sta questa peste per le macchie ascosa T75
Di topi in guisa a razzolar la terra 505
In ogni tempo , si che d* ogni lato
N'usciron d improvviso, altri con pali
E con forche e con bronchi aguzzi al foco ;
Altri con mazze noderose e gravi; 780
E tutti con queir armi eh' a ciascuno
Pecer l' ira e la fretta. Era por sorte
Tirro in quel punto ad una quercia intorno,
E per forza di cogni e di bipenne
L' avea tronca e squarciata : onde affannoso 785
Di sudor pieno fieramente ansando
Con la stessa eh' avea secure in mano
Corse a le grida , e le masnade accolse,
L* infornai Dea , eh' a la veletta stava
Di tutto che seguia, veJuto il tempo 790
Accomodato al suo ponsier malvagio, su
Tosto nel maggior colmo se ne salse
De la capanna , e con un corno a bocca
Sonò de 1* armi il pastorale accento.
La spaventosa voce che n' uscio 795
Dal Tartaro spiccossi. E pria le selve
Ne tremar tutte ; indi di mano in mano
Di Nemo udilla e di Diana il lago.
Udilla de la Nera il bianco fiume,
B di Velino i fonti , e tal l' udirò , 800
Che ne strinser le madri i figli in seno.
A quella voce , e verso quella parte
Onde sentissi , i contadini armati ,
Comunque ebber tra via d' armi rincontro ,
Subitamente insieme s' adunare. 805
Da r altro lato i giovani trojani
Al soccorso d* Ascanio in campo uscirò ,
Spiegar le schiere, misersi in battaglia,
vennero a V armi , si che non più zufEei
Sembrava di villaoi ; e non più pali 810
Avean per armi , ma forbiti ferri
Serrati insieme , che dal sol percossi
Per le campagne e fin sotto a le nubi
Ne mandavano i lampi In quella guisa
Che lieve al primo vento U mar r inoreepa , 815
i
LIBRO SETTIMO 203
Poscia biancheggia, ondeggia e gonfia e frange, 5«8
E cresce in tanto , che da l' imo fondo
Sorge fino a le stelle. Aimone il primo
Figlio di Tirro primamente cadde
In questa pugna. Ebbe di strale un colpo 820
In su la strozza , che la via col' sangue
Gli chiuse e de la voce e do la vita.
Caddero intorno a lui molt*altri corpi
Di buona gente. Cadde tra* migliori ,
Mentre Tarmi detesta, e per la pace 825
Or con questi, or con rjuelli si travaglia, 586
Galeso il vecchio , il più giusto e 1 più ricco
De la contrada. Cinque gre^^gi avea
Con cinque armenti; e con ben cento aratri
Coltivava e i)ascca V ausonia terra. 830
Mentre cosi ne' campi si combatte
Con egual marte , Aletto già compita
La sua promessa, poich' a V armi , al sangue
Ed a le stragi era la guerra addotti
Usci del Lazio , e balaanzosa a Taura 835
Levossi, ed a Giunon suparba disse:
Eccoti r arme e la discordia in campo,
E la guerra già rotta. Or di' eh' amici ,
Di' che confederati , e che parenti
Si sieno omai ; poiché d'ausonio san^e 840
Già sono i Teucri aspersi. Io , se più vuoi ,
Più farò. Di rumori e di sospetti
Empierò questi popoli vicini;
Condurrogli in ajuto; andrò per tutto
Destando amor di guerra: andrò spargendo 845
Per le campagne orror , furore ed armL 550
Assai (Giuno rispose) hai di terrore
E di frode commesso : ha già la guerra
Le sue cagioni ; hanno (comunque in prima
La sorte le si regga) ambe le parti 850
Le genti in campo, e l'armi in mano; e Farmi
Son già di sangue tinte ; e '1 sangue è fresco.
Or queste sponsaUzie e queste nozze
Comincino a godersi il re Latino.
E questo di Ciprigna egregio flgho. 855
Tu , perchè non consente il pacfre etemo
Ch' in (][uesta eterea luce e sopra terra
Cosi licenziosa te ne vada,
Torna a' tuoi chiostri ; ed io , s* altro In ciò resta
Da finir, finirò. Ciò disse appena 800
La figlia di Saturno , che d* Aletto Beo
Fischiar le serni , e dispiegarsi Y ali
204 EN&IDS
Inver Oocito. È de V Italia in mezzo
E de' suoi monti una famosa valle,
Che d'Arasanto si dice. Ha quinci e quindi 865
Oscure selve , e tra le selve un fiume
Che per gran sassi rumoreggia e cade,
K si rode le ripe e le scoscende
Che fa spelonca orribile e vorago ,
Onde spira Acheronte, e Dite esala. 870
In questa buca T odioso nume
De la crudele e spaventosa Erinne
Gittossi , e^ dismorbò Taura di sopra.
Non i)erò Giuno di condur la guerra
Rimansi intanto. Ed ecco dal conllitto 875
Venir ne la città la rozza turba
De* contadini, e riportare i corpi
Del giovinetto Aimone e di Galeso ,
Cosi com* eran sanguinosi e sozzi.
Gli mostrano: ne gridano: n'implorano 880
Da gli Dei , da Latino e da le genti
Testimonio, pietà, sdegno e vendetta.
Evvi Turno presente , che con ossi
Tumultuanrk) esclama, e'I fattf» aggrava,
E detosta e rimprovera e spaventa. 885
Questi, questi (dicendo) son chiamati S78
A regnar no V Ausonia, a i Priuj , a i Frigj
Dà Lo tino il suo sangue, e Ttu* 'O escluile.
Sopravvengono intanto i furXf-si
Che con le nonne attonite scori^jndo 890
Gian <'on Amata per le selve in tresca:
Che grande era d Amata in tutlu il regno
lia stima e '1 nome : e d' ogni p,irte accolti
Tutli r-ontra gli annunzi, contri i fati
L'armi chiedeu'loe la non giusta guerra, 895
Van di Latino a la magione int.»rno. 684
Egli di rupe in guisa immoto stassi ,
Di ru[)e che nel mar fondata e salda
Kc per venti si crolla, nò per «nule
Che le fremano intorno, e gli suoi scogli 900
Son di spuma coverti e d' alga in vano.
Ma poiché superar non puote il cieco
Lor malvagio consiglio, e che le cose
Givan di Turno e di Giunone a voto.
Molto pria con gli Dei , con lo van' aure 905
Si protestò; poscia. Dal fato (disse)
Son vinto , e la tempesta mi trasporta.
Ma voi per questo sacrilegio vostro
Il fio ne pagnareto. E tu ira gli altri ,
Turno, tu pria n'avrai supplicio e morte; 910
E pre^ e voti a tompo ne farai,
Ch a tempo non saranno. Io (juanto a me
Già de' miei giorni e de la mia quiete
Son quasi in porto; e da voi sol m'è tolto
Morir felicemente. E qui si tacque, 915
E '1 governo depose , e ritirossi.
, Era in Lazio un costume che venuto
E poi di mano in man di Lazio in Alba,
E d'Alba in Roma eh' or del mondo è capo;
Che nel mover de l'armi ai Octi, a gl'Indi, 920
A gli Arabi, a gì' Ircani, a qual sia gente 004
Ch* elle sian mosse , si com' ora a' Parti
Per ricovrar le mal perdute insegne ,
S' apron le porte de la guerra in prima.
Queste son due, che per la riverenza, 925
Per la religione e per la tema
Del fiero Marte orribili e tremende
Sono a le genti; e con ben cento sbarre
Di rovere , di ferro e di metallo
Stan sempre chiuse: e lor custode è Giano. 930
Ma quando per consiglio e per decreto e 10
De'Pairi si determina e s'approva
Che si guerreggi ; il Consolo, egli stesso,
Si come è l' uso , in abito e con pompa
Ch' ha da' Gabini origine e da' regi , 935
Solennemente le disferra e l' apre
Ed egli stesso al suon de le catene
E de la rugginosa orrida soglia
La guerra intuorii: guerra dopo lui
Grida la gioventù: guerra e battaglia 940
Suonan le trombe; ed è la guerra inditta.
In questa guisa era Latino astretto
D'annunziarla a i Teucri; a lui quest' atto
D' aprir le triste 0 spaventose porte
Si dovea come a rege. Ma'l buon padre 945
Schivo di si nelVnido ministero
S' astenne di toc^wrle , e gli occhi indietro 1
Volse por non vo lerle , e si nascose.
Ma per torre n^oii indugio, im' altra volta
Ella stc^^sa regiii.i de' Celesti 950
Dal cicl discese . e di sua propria mano ««0
Spinse, disgangiii»-rò, ruppe e sconfìsso
De le sbarrate porte ogni ritegno
Si che l'aperse. Allor l'Ausonia tutta,
Ch' era dianzi paoiflca e quieta, 955
S' accese in ogni parte. E qua pedoni ,
200 ENEIDB
Là cavalieri; a la campagna ognuno ,
Ognuno a Tarme , a maneggiar destrieri
A fornirsi di scudi , a provar elmi ,
A far chi con la cote , e chi con Y unto 960
Ciascuno i ferri suoi lucidi e tersL 6t7
Altri s* addestra a sventolar T insegne ,
Altri a spiegar le schiere , e con diletto
S' ode annitrir cavalli e sonar tube.
Cinque grosse città con mille incudi 065
A fabbricare, a risarcir si danno
D* ogni sorte armi. La possente Atina,
Ardea V antica , Tivoli il superbo ,
E Crustumerio , e la torrita Antenna.
Qui si vede cavar elmi e celate ; 970
Là torcere e covrir targhe e pavesi;
Per tutto riforbire , aguzzar ferri ,
Amiestar maglie, rinterzar corazze;
E per fregiar più nobili armature ,
Tirar lame d* acciar , fila d* argento. 975
O^i bosco fa lance , ogni fucina
Disfa vomeri e marre , e spiedi e spade
Si forman da 1 bidenti e da le falci.
Suonan le trombe , dassi il contrassegno ,
Gridasi a V armi : e chi cavalli accoppia , 930
E chi prende elmo, e chi picca, e cni scudo.
Questi ha la piastra , e qnei la maglia indosso ,
E la sua fida spada ognuno a canto.
Or m* aprite Elicona , e di concorto
Meco il canto movete , alme sorelle , 985
A dir guai regi e guai genti e qual armi 641
Militassero allora, e di che forze
E di CTuanto valore era in que' tempi
La milizia d'Italia. A voi conviensi
Di raccontarlo , a cui conto e ricordo 990
De le cose e de* tempi è dato eterno.
A noi per tanti secou rimasa
K è di picciola fama un' aura a pena.
Il primo , che le genti a questa guerra
Ponesse in campo, fU Mczenzio il aero 995
Del ciel dispregiatore e de gli Dei. 04S
D' Etruria era signore , e di Tirreni
Conducea molte squadro. Avea suo Aglio
Lauso con esso , un ffiovine il più bello ,
Da Turno in fuori , cne l' Ausonia avesse. looo
Oran cavaliere, egregio cacciatore
Fino allor si mostrava : e mille armati
Avea la schiera sua , che seco uscita
à
LIBRO BBTTIMO 20T
Faor d* Agillinft , ne r esigilo ancora
Indarno lo seguia ; degno che fosse 1005
Ne r imperio del padre. A questi dopo
Segae Aventino de 1* inyitto Alcide
Leggiadro figlio. Questi col suo carro
Di palme adomo , e co' yittorìosi
Suoi corridori in campò appresentossL 1010
Avea nel suo cimiero e nel suo scudo
In memoria del padre un* idra cinta
Da cento serpi D' Ercole , e di Rea
Sacerdotessa ascosamente nato
Nel bosco d' Aventino era costui ; 1015
Che con la madre il poderoso Iddio
Quivi si mescolò , quando di Spagna ,
Estinto Gerlone, a 1 campi venne
Di Laùrento , e nel Tirreno fiume
Lavò d'Ibero il conquistato armento. 1020
Eran di mazzafrusti , di spuntoni , ms
Di chiavarìne , e di savelli spiedi
Armate le sue schiere. Ed egli a piedi
D*un cuoio di loon velluto ed irto
Yestia gli omeri e *1 dorso, e del suo ceffi), 1025
Che quasi digrignando ignudi e bianchi
Mostrava i denti e l'una e l' altra gota.
Si copria '1 capo. E con tal fiera mostra
D* Ercole in guisa a corte si condusse.
Vennero appresso i due fratelli argivì 1030
Gatìllo e Gora , e di Tiburte il t^rzo n9
Guidar le genti , che da lui nomate
Fur tiburtine. Da i lor colli entrambi
Calando avanti a l' ordinate schiere
Due centauri sembravano a vederli , 1085
Che giù correndo da' nevosi gioghi
D' Omole e d' Otri , risonando fansi
Dar la via da' virgulti e da le selve.
Gécolo di Preneste il fondatore
Gomparve anch' egli : un re che da bambino 1040
Fu tra l'agresti belve appo d'un foco
Trovato esposto ; onde dì foco nato
Si credè poscia , e di Vulcano figlio!
Avea costui di rustici d'intorno
Una gran compagnia , eh' eran de V alta 1045
Preneste , de' sassosi emici monti ,
De la Gabina Giuno e d' Amene
E d' Amasene e de la ricca Anagni
Abitanti e cultori. E come gli altri , ^ >
Non erano in su' carri , o oraste armatTf 1050
208 BNBIDB
0 di scudi coverti. Una gran parte
Eran frombolatori, e spargean ghiande
Di grave piombo , e parte avean due dardi
Ne la sinistra, e cappelletti in testa
D'orridi lupi; il manco piò discalzo, 1055
n destro 0 d* uosa , 0 di corteccia involto. 689
Messapo venne poscia de' cavalli
n domatore , e di Nettuno il figlio ,
Contro al ferro fatato e contro al foco.
Questi subitamente armando spinse lOGO
Le ^enti sue per lun<ja pace imbcUi.
Deviò da le nozze i Fescennini,
Da le lei^gi i Palisci : armò Soratte :
Armò Flavinio; e tutti che d'intorno
Ha di Gimini e la montagna e'I lago, inc5
E di Capcna i boschi. Ivan del pan
In ordinanza , e del suo re cantando ,
Come soglion talor da la pastura
Tornarsi in ver le rive a cicl sereno
1 bianchi cigni , e le distese gole 1070
Disnodar gorgheggiando , e far di tutti 099
Tale una melodia che di Caistro
Ne suona il fiume e d' Asia la palude.
Né pur un si movea di tanta schiera
Da la sua fila, in ciò lo stuol sembrando 1 175
Dtì' rochi augelli allor che di passaggio
Vi(Mi d'alto mare, e come intera nube
A torra unitamente se ne cala.
Ecco li poi venir Chiuso il Sabino ,
Di quel vero sabino antico sangue, lo^c
Ch' avea gran gente , e la sua gente tutta
Pareggiava sol egli. Il nomo suo
Fece Claudia nomare e la famiglia
E la tribù romana allor che Roma
Diessi a' Sabini in parte. Era con lui l >
La schiera d'Amiterno 0 de' Quinti
Di quegli antichi. Era vi '1 ponol tutto
D' Ereto, di Mutisca, dì Nomonto
E di Velino ; e quei , che d;i T alpestra
Tetrica, da Severo, da Ca<?p:5ria , 1 '>)
Da Fonili, e d'Imolla eran voiuti; 7ì;ì
Quei, che bcvoan del Fàbari e del Tebro;
Che da la fredda Norcia eran mandati;
Le squadro do gli Ortini, il Lazio tutto,
E tutti al fin , che nel calarsi al maro ìouò
Bagna d'ambe le sponde Allibi inrnlice.
Tanti flutti non fa di Libia il golfo
;.:n:;o i^inTr.r:> ' 5>r»ft
Oti'inlo calo Ori «a lu l' oii'le il verno;
?s*ò tante si)i«^]io hanno dal solo ailiiste
I.a stato 0 «r Krmo o de la Licia i campì, ilOO
Quante cran ji:onti. Arme sonare e scudi 7»i
S' udian per tutto , e tutta al suon do* piedi
Trepidar si ve- Ica V ausonia terra.
Quindi ne vien T Agamennonio auriga
Aleso, del trojan nome nimico; iiùS
Che di mille feroci nazioni
In aita di Turno un gran miscuglio
Dietro al suo cnrro avea di montanarL
Parte de' pampinosi a Bacco amici
Massici colli, e pnrte de gli Auruaci, IHO
De' Se licini liti , di Volturno ,
Di Cale , de' Saticoli , e de^^jli Osci.
Questi per arme avean mazze o lanciotti
Irti di molte punte, e di soatto
Scudisci al braccio, onde erano i lor colpi 1115
Traendo e ritraendo, in molti modi
Continuati , e doppi. E pur con essi
Avcano e per ferire e per coprirsi
Tar!-iio ne la sinistra, e storte al fianco.
, No tu senza il tuo nome a questa impresa, 1120
Ebaio, te n"* andrai, del gran Telone
E de la bella Ninfa di Sebeto
Figlio onorato. Di costui si dice
Che non contento del paterno regno,
Capri al vecchio lasciando e i Teleboi, 1125
Fé' d' esterni paesi ampio conquisto , 786
E fu re de' Sarrasti e do le genti
Che Sarno irrida. Insignorissi appresso
Di Batulo, di Rufra, di Celenne
E de' campi fruttiferi d' Avella. II90
Mezze picche avean questi a la tedesca
Per avventarle , e per celate in capo
Suveri scortecciati, e di metallo
Brocchieri a la sinistra , e stocchi a lato.
Calò di Nersa e de' suoi monti alpestri 1135
TJfente , un condottier eh* era in quei tempi
Di molta fama e fortunato in arme.
Equicoli avea seco la più parte,
Orrida gente, per le selve avvezza
Cacciar le fere, adoperar la marra, 1140
Arar con V armi indosso , e tutti insiemo W
Viver di cacciagioni e di rapine.
De la gente marrubia un sacerdote
Venne fra gli alt*:! ; sacerdote insieme ^
DtirSneidf U
1
2J0 ENFJDE
X
E capitan di genti ardito e forte. 1145
Umbrorie era il suo nome ; Archippo il rege
Che lo mandava. Di felice oliva
Avea il cimiero e V elmo intorno avvolto.
Era gran ciurmatore, e con gF incanti
E col tatto ogni serpe addormentava: 1150
De gì* idri , de le vipere , e de gli aspi
Placava V ira , raddolciva il tosco ,
E risanava i morsi. E non per tanto
Potò nò con incanti , nò con erbe
De* marsi monti risanare il colpo 1155
De la dardania spada: onde il meschino
Ne fu da le foreste de TAngizia,
Dal cristallino Fucino e da gli altri
Laghi d* intorno desiato o pianto.
Mandò la madre Aricia a questa guerra 1160
Virbio, del casto Ippolito un figliuolo 762
Gentile e bello; e da le selve il trasse
D' Egeria , ove d' Imeto in su la riva
Più colta e più placabile è Diana.
Che per fama d Ippolito si dice, 1165
^H> Poscia che fu per froda e per disdegno
De rìniffua madrigna al padre in ira;
E che gli spaventati suoi cavalli
Strazio e scempio ne fóro , egli di nuovo
Per virtù d*erbe e per pietà, che n'ebbe HTO
La casta Dea, fu rivocato in vita. 769
Sdegnossi il padre eterno , eh' un mortale
Fosse a morte ritolto ; e V inventore
Di cotal arte , che d' Apollo nacque ,
Fulminando mandò ne regni bui. il'75
Ippolito da Trivia in parte occulta
Scevro da tutti a cura fu mandato
D' Egeria Ninfa , e ne la selva ascoso ,
Là 've solingo , e col cangiato nome
Di Virbio, sconosciuto i giorni mena 1180
D' un' altra vita. E quinci è che dal tempio
E da le selve a Trivia consecrate
I cavalli han divieto : che , lor colpa ,
Fu' 1 suo carro e' 1 suo corpo al niarin mostro ,
E poscia a morte indegnamente esposto. Ii85
II nglio , che pur Virbio era nomato ,
Non men di lui feroce , i suoi destrieri
Esercitava; e'n su'l paterno carro
Arditamente a questa guerra uscio.
Turno infra* primi , di persona e d* armi 1 100
Riguardevole e fiero, e sopra tutti 783
A.
LIBRO SETTIMO 211
Con tiitto '1 capo , in campo appresentossi.
Un elmo avca con tre cimieri m testa,
E suv\i una Chimera che con tante
Bocche foco anelava, quante appena 1195
Non apria Mongihello ; e con più fremito
Spargoa lo fiamme, come più crudele
Kra ia zufTa, e più di sangue avea.
Lo scudo era d' acciajo , e d' oro intorno
Tutto commesso , e d' or nel mezzo un' Io 1200
Era scolpita , che già 1 manto e '1 ceffo ,
Le setole e le corna avea di bue ;
Memorabil soggetto! Bravi appresso
Argo che la guardava : eravi il padre
Inaco che chiamandola versava 1205
Non mcn de gli occhi, che de l'urna un fiume. 7»«
Dopo Turno venia di fanti un nembo,
Una ordinanza, una campagna piena
Tutta di scudL Eran le genti sue
Argivi, Aurunci^ Rutuli, Sicani 1210
E Sacrani e Labici che dipinti
Portan gli scudi. Avea del Tiberino ,
Avca del sacro lite di Numico
E de' rutoli colli e del Circeo ,
D' Ansuro a Giove sacro , di Feronia 1215
Diletta a Giuno , de la paludosa
Sàtura e del gelato e scemo Ufento '
Gran turba e di villani e d' aratori.
L' ultima a la rassegna vien Camilla
Ch* era di volsca gente una donzella , 1220
Non di conocchia , o di ricami esperta ,
Ma d' armi e di cavalli , e benché virgo ,
Di cavalieri e di caterve armate
Gran condottiera, e ne le guerre avvezza.
Era fiera in battaglia e lieve al corso 1225
Tanto che quasi un vento sopra 1' erba
Correndo j non avrebbe anco de' fiori
Tocco , ne de 1' ariste il sommo appena.
Non avrebbe per l' ondo e per li flutti
Del gonfio mar non che le piante immerse, 1230
Ma né pur tinte. Per veder costei su
Uscian do' tetti , empiean le strade e i campi
Le genti tutte : e i giovani e le donno
Stavan con meraviglia e con diletto
Mirando e vagheggiando quale andava, 1235
E qual sembrava ; come regiamente
D'ostro ornato avea'l tergo, o'I capo d'oro;
E con che disprezzata leggiadria
212
EVKIDK
Portava un pasloral nodoso mirto
Con picciol leiTO in punta ; e con cho grazia
Se ne già d' arco e di faretra armata. 1241
817
FINE DEI. LIBRO SETTIMO
<É
LIBRO OTTAVO.
Argomento
Alzato il segnale di guerra sulla ròcca di Laurento. Teserclto Italiano si
raduna Intorno a Turno. Venulo è mandato ad Argirippa o Arpl per invi-
tire Diomede alla comune lega, additandogli il comune p(^ricolo, 1-I7. A
auestc gravi minaccia £nea, vedendosi mal difeso per lo scarso niunoro
e* fuoL a consiglio di Tiberino va, su pel fiume e p<n* quel luo^^hi dove
poi fu labbricata Roma e dove allora regnava Evandro, al monte hdaiino
m una ciità chiamata Pallanieo, 18-100. Evandro benignamente riceve Luca
•che gli domanda soccorso. 101-183. Lo fa assistere ai sacrificil di Ercole
che allora stava celebrando, glio ne spiega Torigine, che fu TucclsLonc di
Caco, 184-267 ; glie ne dimostra il rito, e gli addila i luoghi più famosi per
a nelle imprese di Ercole, 268-389. Intanto Vulcano allattato dalle carezze
i Venere si prepara a fabbricare le armi per Enea. Si descrive la sua ef-
flcina, S80-4&4. Il giorno di poi Evandro, chiamato Enea in disparte, gli
dspone come sia volere dei Fati che i Tirreni prestino soccorso ai Troiani,
4S5-510. Venere dal cielo mostra ad Enea le armi e 1 segni della vicina
? aerra: onde egli con cerimonie si dispone a partire i>er andare fra 1
usci ; e il yecciìlo Evandro commosso dice un amaro addìo airunico Aglio
Fallante, che parte capitano di quattrocento de* suol cavalieri, 520-596.
In un bosco vicino al campo dei Tirreni, Venere porta le divine armi al
figlio, che ne ammira la stupenda bellezza, 597-625, e massime dello scudo.
In cui sono scolpite le future glorie di Soma e di Cesare ▲ugtt8to,626-8;ii.
Poscia che di Laurento in su la rocca
Fé* Turno inalberar di guerra il segno,
E che ^erra sonar le roche trombe;
Spinti 1 carri e i destrieri , e 1* armi scosse
Di Marte al tempio; incontanente i cuori
Si turliàr tutti, e tutto '1 Lazio insieme
Con subito tumulto si restrinse.
Fremessi, congiurossi, rassettossi
Ognun ne V arme. I tre gran condottieri
Messapo ,Ufente , e V empio de* celesti 10
Dispregiator Mezenzio uscirò in prima. e
Accolsero i sussidj : armar gli agresti :
Spogliar d* a^icoltor le ville e i campi.
In Arpi a Diomede si destina
Venulo ambasciatore : e gli s* impone iS
Che soccorso gli chiegga. e che gli esponga
Quanto ciò de r Italia e del suo stato
Tomi a erand* uopo : con che gente Enea ,
Con quale armata v* ha già posto il piede »
214 ■....^^^' ENEIDE
E formo il seggio, e reintegrato il culto
A i suoi vinti Penati: come aspira
A questo regno, e come anco per fato
E per retaggio del dardanio seme
Lo si promette. Che perciò da molti
E già seguito , e eh* ogni giorno avanza
E ai forze e di nome. Indi soggiunga:
Quel che '1 duce de' Teucri in ciò disegni ,
E che miri q che tenti (se fortuna
Gli va seconda) a te via più eh' a Turno
Esser può manifesto , e cn' a Latino.
Questi andamenti e queste trame allora
Gorrean per Lazio, e lo scaltrito eroe
Le sapea tutte : onde in un mare entrato
Di gran pensieri , or la sua mente a questo ,
Or a qutì rivolgendo in varie parti ,
D' ogm cosa avea tema a speme e cura. 20
I Cosi di chiaro umor pieno un gran vaso
ÌDal sol percosso un tremolo splendore
! Vibra ondeggiando , e rinfrangendo a volo
: Manda i suoi raggi , e le parete e i palchi
! E r aura d' ogni intorno empie di luce.
Era la notte , e già per ogni parte
Del mondo ogni animai d' aria e di terra
Altamente giacca nel sonno immerso ,
Allor che '1 padre Enea cosi com' era
Dal pensier de la guerra in ripa al Tebro xs
Già stanco e travagliato, addormentossi
Ed ecco Tiberino il dio del loco
Veder gli parve, un che già vecchio al volto
Ser^rava. Avea di pioppe ombra d' intorno :
Di sottil velo e trasparente in dosso
Ceruleo ammanto , e i crini e '1 fronte avvolto
D' ombrosa canna. E de V ameno fiumo
Placido uscendo, a consolar lo prese
In cotal guisa : Enea stirpe divina ,
Che Troja da' nemici ne riporti
E la ravvivi e la conservi eterna ;
O da me , da' Laurenti e da' Latini
Già tanto tempo a tanta speme atteso ,
Questa è la casa tua : questo è secura-
-mente^ (non t' arrestare) il fatai seggio
Che t* è promesso. Le minacce 0 '1 grido
Non temer de la guerra. Ogni odio , ogn' ira
Gessar già de' Celesti. E perchè '1 sonno
Credenza non ti scemi, ecco a la riva
Sei già del fiume , u' sotto a l' elee accolta
LiiiiiO OTTAVO , .^ùy 215
sta la candida troja con quei trenta
Candidi Agli a le sue poppe intorno.
Questo fla dunque il segno e *1 tempo e '1 loco
Da fermar la tua sede. E questo è 1 fino 70
De' tuoi travagli: onde il tuo figlio Ascanio 46
Dopo trentanni il memorabil regno
Fonderà d* Alba, che cosi nomata
Fia dal candore e dal felice incontro
Di (juesta fera. E tutto adempirassi , 75
Ch'io ti predico, 0 t' è predetto avantL
Or brevemente quel ch*^oprar convietiti
Per uscir glorioso e vincito:re
Di questa guerra , ascolta. E di mii lunge
Non molto Evandro , un re che ne T Arcadia 80
E qua venuto ; e sopra a questi monti
Ha degli Arcadi suoi locato il seggio, '
Il loco da Fallante suo bisavo
E stato Pallantèo da lui nomato:
Ed essi, perchè snn nel Lazio esterni, 85
Son nemici a' Latini, ed han con loro 55
Perpetua guerra. A te fa di mcstiero
Con lor confederarti, e per compagni
A questa impresa avergli. Io fra le ripe
Mie stesse incontro a l'acqua a la magione 00
D' Evandro agevolmente condurrottL
Destati, de la Dea pregiato figlio;
E come pria cader vedrai le stelle,
Porgi solennemente a la gran Giuno
Preghiere e voti , e supplicando vinci 05
De r inimica Dea l' ira e l' orgoglio ;
Ed a me , poi che vincitor sarai ,
Paga il dovuto onore. Io sono il Tebro
Cerco da te , che , qual tu vedi , ondoso
Rado oneste mie rive, e fendo i campi 100
De la fertile Ausonia, al ciel amico
Sovr'ogni fiume. Quel, che qui m' è dato^
E '1 mio seggio maggiore ; e fia che poscia
Sovr'ogni altra cittade il capto estolla.
Cosi disse, e tufibssi. Enea dal sonno 105
Si scosse ; il giorno aprissi: ed ei col sole 60
Sorgendo insieme , al suo nascente raggio
Si volse umile ; e con lo cave palme
De l'onda si spnizzò del fiume, e disse:
Ninfe laurenti, Ninfe, ond'hannp 1 fiumi
L' umore e 'l corso ; e tu con 1* onde tue t
Padre Tebro sacrato , al vostro Enea
Date ricetto , e da' perìgli ornai
\
HO
iiò rneids
im,mtS in
Lo liberate. E io da qual sia fonte ,
Che sgorghi , in qual sii riva , in qfual sii fbCd 11
Ì Poiché tanta di me pietà ti stringe)
tempre t' onorerò , sempre di doni
Ti sarò largo. O de Y esperid* onde
Superbo regnatore , amico e mite
He sia il tuo nume , e i tuoi detti non vani* 12
Cosi dicendo , de' suoi legni elegge
X due migliori , e gli correda e gli arma
Di tutto punto. Ed ecco d' improvviso
(Mirabil mosiro !) de la selva uscita
Tina candida scrofa, col suo parto IS
Di candor pari, sopra l'erba verde
Ne la riva accosciata gli si mostra.
Tosto il pietoso Eroe col gregge tutto
A r aitar la condusse : e polche sacra
l'ebbe al gran nume tuo, massima Gilmo, i:
A te r uccise, n Tebro quella notte
Quanto fli lun§a, di turbato e gonfio
Ch' egli era , si rendè tranquillo e queto ,
Si che senza rumore e quasi in dietro
Tornando , come stagno , o come piana 1^
Palude adeguò V onde , e tolse a' remi ss
Ogni contesa. Accelerando adunque
n cammin preso , i ben unti e spalmati
Lor legni se ne vanno incontro al fiume
Com'a seconda; si che l'ondo stesso 1'
Stavan meravigliose, e i boschi intorno
Non soliti a veder l' armi e gli scudi,
E i dipinti navilj che da lunge
Facean novella e peregrina mostra.
Se ne van notte e giorno remigando 1-
Di tutta forza , e i seni e le rivolte
Varcan di mano in mano , ora a l' aperto ,
Or tra le macchie occulti, e via volando
Segan l' onde e le selve. Era il sol giunto
A mezzo il giorno, quando incominciaro 1(
Da lun^e a discovrir la rocca e '1 cerchio 97
E i rari allor del poverello Evandro
Umili alberghi, eh' ora al cielo adegua
La romana potenza. Immantinente
Volser le prore a terra, ed appressarsi li
Là "ve per avventura il re quel giorno
Solennemente in un sacrato bosco
Avanti a la città stava onorando
H grande Alcide. Avea Fallante seco
Suo figlio f e del suo povero Senato , 1(
LlDilO OTTAVO 2J7
170
E de* suoi primi giovani un drappello ,
Che d' incensi , di vittimo e di fumo
Di caldo sangue empiean i' are e gli altarL
Tosto che di lontan vider le gaggio ,
E per entro de' boschi occulte e chete 165
Gir navi esterne , insospettiti in prima
Si levar da le mense. Ma Fallante
Arditamente , Non movete (disse) ,
Seguite il sacrificio. E tosto a Tarmi
Dato di piglio, incontro a lor si spinse.
Giunto , gridò da T argine : O compagni ,
Qua! fin v' adduce , o qual v' intrica errore
Per cosi torta e disusata via ?
Ov' andate? chi siete? onde venite?
Che ne recate voi ? La pace o Tarmi? 175
Enea di su la poppa un ramo alisaiido ii4
Di pacifera oliva , Amici (disse)
Vi siamo , e slam Trojani , e coi Latini
Vostri nimici inimicizia avomo.
Questi superbamente il nostro esigilo 180
Perseguitando, ne fan guerra ed onta.
Ricorremo ad Evandro. A lui porgete
Da nostra parte , che de' Teucri alcuni
Son qui venuti condottieri eletti
Por sussidj impetrarne , e lega d* arme. 185
Stupì primieramente a si gran nome
Fallante , indi ver lui rivolto umile ,
Signor, qual che tu sii, scendi, e tu stesso
Parla (disse) al mio padre , e nosco alloggia.
E lo prese per mano , ed abbracciollo-* 190
Lasciato il nume e ne la selva entrati, is^
Enea dinanzi al re comparve e disse :
Signor , che di bontà sovr' o^ni Greco ,
E di fortuna sovr' a me ten vai
Tanto, che supplichevole, e co' rami 195
Di benda avvolti a tua magion ne vengo :,
Io, perchè sia Trojano, e tu di Troja
Per nazion nimico e per legnaggio
A gli Atridi congiunto , or non pavento
Venirti avanti: che '1 mio puro affetto, 200
Gli oracoli divini, il sangue antico
De' maggior nostri , il tuo famoso grido ,
E '1 fato e '1 mio voler m' han teco unito.
Dardano de' Trojani il primo autore
Nacque d'Elettra, come i Greci han detto j 205
E d'Elettra fu padre il grande Atlante
Che con gli omeri suoi folce le stelle.
2VÌ ENEIDE
Vostro progenitor Mercurio fiio,
Che nel gelido monte di Giliene
Do la candida Maja al mondo nacque: 210
E Maja ancor (se questa fama è vera) 138
Venne d'Atlante, e da lo stesso Atlante
Che fa con le sue spalle al elei sostegno.
Cosi d' un fonte lo tuo sangue e '1 mio
Traggon principio. E quinci è che securo 215
Senza opra di messaggi e senza scritti.
Pria ch'io ti tenti, e pria che tu m'affidi,
Posto ho me stesso e la mia vita a rischio ,
E supplichevolmente a la tua casa
Ne son venuto. I Rutuli eh' infesti 220
Sono anco a le, se de l' Italia fuori 1 45
Gacceran noi, già de l'Italia tutta
L'imperio si promettono, e di quanto
Bagna Tun mare e l'altro. Or la tua fede
Mi porgi, e la mia prendi: eh' ancor noi 225
Siamo usi a guerra, e cor ne' petti avemo.
Il re, mentre eh' Enea parIan(ìo stette,
Il volto e gli occhi e la persona tutta
Gli andò squadrando; e nrevemente al fine
Così risposa : Valoroso eroe, 230
Come lieto io t'accolgo, e come certo
Raffigurar mi sembra il volto e i gesti
E la favella di quel grande Anchise
Tuo genitore! Io mi ricordo quando
Priamo per riveder la sua sorella 235
Esione e '1 suo regno, in un passaggio
Che perciò fé' da Troia a Salamina,
Tocco d'Arcadia i gelidi confini.
De le prime lanugini fiorito
Era il mio mento a pena allor ch'io vidi 2-10
Quei gran duci di Troja, e de' Trojani ico
Lo stesso re. Con molto mio diletto
Gli mirai, gli ammirai, notai di tutti
Gli abiti e le fattezze, e sopra tutti
Leggiadro, riguardevole ed altero 245
Sembrommi Anchise. Un desiderio ardente
Mi prese allor d' offrirmi, e d' esser conto
A quel signore. Il visitai, gli porsi
La destra, ospite il fei, nel mio Feneo
Meco l'addussi. Ond'ei poscia partendo, 250
Un arco, una faretra e molti strali
Di Licia presentommi, e d'oro appresso
Una ricca intcssuta sopravvesta
Con due freni indorati eh' ancor oggi
-■ — ]
LIBRO OTTAVO 210
Son di Fallante mio : si che già ferma 1^55
È tra noi (niella fede e quella lega
Ch' or ne cbiedete. E non fla il sol dimano
Dal balcon d' Oriente uscito a pena,
Che le mie genti e i miei sussidj avrete.
Intanto a questa festa, che solenne 2C0
Facciamo ogni anno, e tralasciar non lece,
(Già che siete venuti amici nostri)
Nosco restate, e come di compagni
Queste mense onorate. Avea ciò detto,
Allor che nuovi cibi e nuove tazze 265
Ripor vi fece, e lor tutti nel prato 175
A seder pose ; e sopra tutti Enea
(Di villoso leon distoso un tergo)
Seco al suo desco ed al suo seggio accolse.
Per man de' sacerdoti e de' ministri 270
Del sacrificio, d'arrostite carni
De' tori, di vin puro, di focacce^
Gran piatti, gran canestri e gran tazzoni
N' andare a torno; e co' suoi Teucri tutti
Enea fu de le viscere pasciuto 275
Del saginato a Dio devoto bue.
Tolte le mense, e '1 desiderio estinto
De le vivande, a ragionar rivolti
Evandro incominciò: Trojano amico,
Questo convito e questo sacrifìcio 280
Cosi solenne, e questo a tanto nume isa
Sacrato altare, instituiti e posti
Non sono a caso: che del vero culto
E de gli antichi Dei notizia avemo.
Per memoria, per merito e per voto 285
D'un gran periglio sua mercè scampato,
Son questi onori a questo Dio dovuta
Mira colà quella scoscesa rupe,
E quei rotti macigni, e di quel colle
Queir alpestra ruina, e quel deserto 290
Ivi era già remota e dentro al monte i9«
Cavata una spelonca, ov' unqua il sole
Non penetrava. Abitatore xm ladro
N' era. Caco chiamato, un mostro orrendo
Mezzo fera e mezz* uomo, e d' uman sangue 295
Avido si, che '1 suol n' avea mai sempre
Tepido. ISe grommavan le pareti,
Ne pendevano i teschi intorno affissi,
Di pallor, di squallor luridi e marci.
Vulcano era suo padre : e de' suoi fochi 300
Per la bocca spulando atri vapori.
Oia d'un colosso e d'una torre in guisa.
Centra si diro mostro, dopo molli
Dannagyi o molte morn, il tempo al fine
Ne diede e questo Dio soccorso e scampa
Egli dì Spa^'ua vincitor ne venne
In queste parti, de le spoglie altero
Di Gorlone, in cui tre volte estinse
In tre corpi una vita, e ne condusso
Tal qui d'Ibero uà copioso armento,
Ch' avea pieo questo fiume e questa valle.
Caco ladron feroce e furioso,
D'ogni misfatto e d'ogni scelleranza
Ardito e frodolento osecutoro,
Quattro tori involonno o quattro vacche,
Ch'eran fior de l'armento, E perchè l'orme
Indizio non ne dessero, a rovescio
Per la coda gli trasse: e ne la grotta
Oli condusse, e cològli. Eran l'impronte
Dc'lor piò volto al campo, e verso l'antro
Sogno non si vedea eh' a la spelonca
Il cercator drizzasse. Avea già molti
Giorni d'Anfitrion tenuto il figlio
Qui le suo mandre, o ben pasciuto o grasso
Era il suo armento; si che nel partire
Tutte queste toro sto e questi colli
Di querimonie e di muggiti empierò.
Mugghiò da l'altro canto, o'I vasto speco
Da lunge rintonar fece una vacca
Do le rinchiuse: onde schernita e vana
Restò di Caco la custodia e'I furto.
Ch'udilla Alcide, e d'ira e di flirore
In un subito acceso, a la sua mazza,
Ch'era di quercia noderosa e grave,
Dio di piglio, e correndo al monte ascese.
Quel dì da' nostri primamente Caco
Temer fa visto. Si smarrì ne gli occhi.
Si mise in fuga, e fa la fuga un volo:
Tal gli aggiunse un timor le penne a' piedi.
Tosto che ne la grotta si rinchiuse.
Allentò le catene, e dì quel monte
Una gran falda a la sua bocca oppose ;
Gh'a la bocca de l'antro un sasso immane
Avea con ferri e con paterni ordigni
Di cateratta accomodato, in guisa
Con puntelli per entro o stanche e sbarre.
Ecco Tirinzio arriva, e comò e spinto
Da la sua furia, va per tutto in volta
1 :-■
LIHKO OTTAVO 231
Fremendo, ora a i vestigi, ora ai muggiti,
Ora a T entrata de la grotta intento. 350
E portato da l'impeto, tre volte
Scorse de TAventmo ogni pendice;
Tre volte al sasso de la soglia intorno
Si mise indarno; e tre volte alTanuato
Ritornò ne la valle a riposarsi. 355
Era de la spelonca al dorso in cima
Di selce d' ogn' intorno dirupata
Un cucuzzolo altissimo ed alpestre,
Gh' a i nidi d*avoltoi e di tali altri
Augelli di rapina e di carogna 360
Era opportuno albergo. A questo intorno 235
Aliìn si mise; e siccom*era al fiume
Da sinistra inchinato, egli a rincontro
Lo spinse da la destra, lo divelse.
Gol calce de la mazza a leva il pose, 365
E gli die volta. A quel fracasso n cielo
Rintonò tutto, si crollar le ripe,
E '1 fiume impaurito si ritrasse.
Allor di Caco fu lo speco aperto:
Scoprissi la sua reggia, e le sue dentro 370
Ombrose e formidabili caverne.
Come chi de la terra il globo aprisse
A viva forza, e de T inferno il centro
Discovrisse in un tempo, e che di sopra
De l'abisso vedesse quelle oscure 375
Dal cielo abbominate orride bolge;
Vedesse Pluto a l'improvviso lume
Restar del sole attonito e confuso :
Cotal Caco da subito splendore
Ne la sua tomba abbarbagliato e chiuso 38A
Digrignar qual mastino Ercole vide; «48
E non più tosto il vide, che di sopra
Sassi, travi, tronconi, ogni arme addosso
Folgorando avventogli. Ei che nò fuga
Avea né schermo al suo periglio altronde, 385
Da le sue fauci (meraviglia a dirlo!)
Vapori e nubi a vomitar si diede
Di fumo, di caligine e di vampa,
Tal che miste le tenebre col foco
Togliean la vista a gli occhi e '1 lume a l'antro. 390
Non però si contenne il forte Alcide,
Che d'un salto in quel baratro gittossi
Per lo spiraglio, e là 'v'era del fuma
La nebbia e l' ondeggiar più denso, 0 '1 foco
Più roggio, a lui che '1 vaporava indarno, 395
222 ENEIDE
S'addusse, e lo ghermì; gli fece un nodo «59
De le sue braccia, e si la gola e '1 fianco
Gli strinse, che scoppiar gli fece il petto,
E schizzar gli occhi; e '1 foco el fiato e l'alma
In un tempo gli estinse. Indi la bocca 400
Apri de T antro, e la frodata preda,
E del suo frodatore il sozzo corjjo
' Fuor per un piò ne trasse : a cui d'intorno
Corser le genti a meravigUa ingorde
Di veder gli occhi biechi, il volto atroce, 405
L'ispido petto, e l'ammorzato foco.
Da indi in qua questo dì santo ogni anno
Da* nostri è lietamente celebrato,
E ne sono i Potizj i primi autori,
E i Pinaij ministri. Allor quest'ara, 410
Che massima si disse e che mai sempre
Massima ne sarà, fu consecrata
In questo bosco. Or via dunque, figliuoli.
Per celebrar tant* onorata festa,
Co i rami in fronte e con le tazze in mano 415
Il comun Dio chiamate, e lietamente 874
L'un con l'altro invitatevi, e beete.
Ciò detto, il divisato erculeo pioppo
Tessero altri in gliiriande, altri in festoni.
Altri i Maj ne piantare. E di già pieno 420
Di sacrato liquore il gran catino.
Tutti a mensa {fiojosi s* adagiaro,
E spargendo e beèndo, a i santi numi
Porser preghiere e voti. Espero intanto
Era a 1 occidental Hto vicino 425
Già per tuffarsi, quando i sacerdoti
Un' altra volta, e *l buon Potizio avanti
Con pelli indosso e con facelle in mano,
Com'è costume, a convivar tornare,
E le seconde mense e l'are sante 430
Di grati doni e di gran piatti empierò. 283
I Salj intorno a i luminosi altari
Givano in tresca, e di populea fronde
Gingean le tempie. I vecchi da Tun coro
Le prodezze cantavano e le lodi 43o
Del grande Alcide. I giovani da l'altro
N'atteggiavano i fatti: come prima
Pancini da la matrigna insidiato
I due serpenti strangolasse in culla:
Come al suolo adeguasse Ecalia e Trojan 440
Città famose: còme superasse
Mill* altre insuperabili fatiche
ì
LIBRO OTTAVO 2L*3
Sotto al dui'O tiranno, e contro a i fati
De l'empia Dea. Tu sei (cliccan cantando)
Invitto Iddio, che de le nubi i figli 4-15
Kilèo e Folo uccidi; tu clie*l mostro
Domi di Creta: tu che vinci il fiero
Nemèo Leone: te gr inferni laghi,
Te r inferno custode ebbe in orrore
Ne r orrendo suo stesso e diro speco, 450
Là 've tra'l sangue e le corrose membra
Ha de la morta gente il suo covile.
Cosa non è si spaventosa al mondo,
Che te spaventi, non lo stesso armato
Incontr' al elei Tifeo; né miei di Lorna 455
Con tanti e tanti capi orribil angue aoo
Senza avviso ti vide 0 senza ardire.
A te, vera di Giove inclita prole.
Umilmente inchiniamo, a te del cielo
Nuovo aggiunto ornamento. E tu benigno 4C0
Mira i cor nostri e i sacrificj tuoi.
Cosi pregando e celebrando, in versi
Cantavan le sue prove. E sopra tutto
Dicean di Caco, e de la sua spelonca
E de' suoi fochi; e i boschi e 1 colli intomo 4G5
Rispondean rintonando. Eran finiti 305
I sacrilìcj, quando il vecchio Evandro
Mosse per la ciltadc: e seco a pari
Da l'un de' lati Enea, da l'altro il figho
Avea, cui s' appoggiava ; e ragionand.o 470
Di varie cose, agevolava il calle.
Enea, meravigliando, in ogni parte
Volgea le luci, desioso e lieto
Di veder quel paese, e di saperne
I siti, i luoghi e le memorie antiche. 473
Di che spiando, il primo fondatore
De la romana rocca in cotal guisa
A dir gli cominciò : Questi contorni
Eran pria selve; e gli abitanti loro
Eran qui nati, ed eran Fauni e Ninfe, 480
E genti che di roveri e di tronchi
Nate né di costumi, né di culto,
Né di tori accoppiar, né di por viti,
Né d' altr' arti 0 d* acquisto, o di risparmio
Avean notizia 0 cura: e'I vitto loro 485
Era di cacciagion, d'erbe e di pomi;
E la lor vita, aspra, innocente 0 pura.
Saturno il primo fu che in q[ueste parti
Venne, dal ciel cacciato, 0 vi s' ascoso.
i
224 KNICIDti
E quelle rozzo genti, che disperse 400
Eran per questi monti, insieme accolse, 321
E die lor leggi; onde il paese poi
Da le latebre sue Lazio nomossi.
Dicon che sotto il suo placido impero
Con giustizia, con pace e con amore 495
Si visse un secol d oro, in fin che poscia
L' età, degenerando, a beco a poco
Si fé' d' altro colore e cr altra lega.
Quinci di guerreggiar venne il furore,
L'ingordigia d'avere, e le mischianze 500
De l'altre genti. L'assalir gli Ausonj j
L' inondar i Sicani : onde più volte
Suesta, che pria Saturnia era nomata,
a con la signoria cangiato il nome,
E co' signori. E quinci e che da Tebro, 505
Che ne fu re terribile ed immane, 330
Tebro fu detto questo fiume ancora,
Gh'Albula si dicpa ne' tempi antichi.
Ed ancor me de. la mia patria in bando
Dopo molti perigli e molti affanni 510
Del mar sofferti, ha qui l' onnijìotente
Fortuna e l' invincibil mio destino
Portato al fine: e oui posar mi fero
Gli oracoli tremendi e spaventosi
Di Garmenta mia madre, e Febo stesso 515
Che mia madre inspirava. E fin qui detto
Si spinse avanti; e quell'ara mostrògli,
E quella porta che fu poi di Roma,
Carmental detta, onore e ricordanza
De la Ninfa indovina eh' anzi a tutti 520
Del Pallantèo predisse, e de' Romani
La futura grandezza. Indi seguendo
Un gran bosco gli mostra, ove l' Asilo
Romolo contraffece ; e '1 Lupercale,
Che quale era in Arcadia a Pan Liceo, 525
Sotto una fredda rupe era dicato. 344
Poscia de l' Argileto gli dimostra
La sacra selva ; e d' Argo ospite il caso
Gli conta, e se ne purga e se ne scusa.
A la Tarpeja rupe, al Campidoglio 53*.
Poscia l'addusse; al Campidoglio or d'oro,
Che di spini in qiiel tempo era coverto.
Un ermo colle da i vicini agresti
Per la relig'ion del loco stesso
Insino allor temuto e riverito : 535
Ch' a veder sol quel sasso e quella selva 340
libuo ottavo 225
545
550
Si paventava. E qui soggiunse Evandro :
In questo bosco, e là *vo questo monte
E più frondoso, un Dio (non si sa quale)
Ma certo abita un Dio. Questo mio genti 540
D' Arcadia han ferina fede aver veduto
Qui Giove stesso balenar sovente,
E far di nembi accolta. Oltre a ciò vedi
Qui su quelle mine e quei vestigi
Di quei due cerchi antichi. Una di queste
Citta fondò Saturno, e l'altra Giano,
Che Saturnia e Gianicolo fur dette.
In cotal guisa ragionando Evandro,
Se ne gian verso il suo picciolo ostello.
E ne l'andar, là'v* or di Roma è il foro,
Ov' è quella più florida contrada
De le Carine, ad ogni passo intorno
Udian greggi belar, mugghiare armenti.
Giunti che furo, in questo umile albergo
Alloggiò (disse) il vnicitore Alcide. 555
Questa fu la sua reggia. E tu v' alloggia,
E tu'l gradisci, e le delizie e gli agi
Spregiando, imita in ciò Tirinzio e Dio,
Ef del tugurio mio meco t' appaga.
Cosi dicendo, il grand' ospite accolse 500
Ne l'angusta magione; e collocollo w«
Là dove era di frondi e d' irta pelle
Di libic' orsa attappezzato un seggio*
Venne la notte, e le fosc' ali stese
Avea di già sovra la terra; guando 565
Venere còme madre, e non in vano
Del suo tìglio gelosa, il gran tumulto
Veggonilo e le minacce de' Laurenti,
Con Vulcan suo marito si ristrinse
Con gran dolcezza; e nel suo letto d'oro, 570
Amor spirando, in tal guisa gli disse:
Caro consorte, infinchè i regi arrivi
Furo a' danni di Troja, che per iato
Cader dovea, nullo da te soccorso
Volli, 0 da l'arte tua : né ti richiesi 675
D' ai-mi allor, nò di macchine, nò d* altro tra
Per iscampo de' miseri Trojani.
Le man, r ingegno tuo, le tue fatiche
Oprar non volli imlarno, ancor che molto
Con Priamo e co' figli obbligo avessi, 880
E molto mi premesse il duro afEanno
D' Enea mio figlio. Or per imperio espresso
E de' Fati e 'di Giove egli nel Lazio
J>eir Eneide 15
Ì6 ENEIDB
E tra* Ruttili è fermo. A te, mio sposo,
Ricorro, a te, mio venerando nume; 58 5
E madre per un figlio arme ti chieggio;
Quel che da te di Nereo la figlia,
E di Titon ÌBt moglie hanno impetrato.
Jiiira in quant'uopo io le ti chieggio, e quanti
E che popoli sono, a mia ruina 590
E de' miei, congregati; e qual fan d'armi
A porte chiuse orribile appareccliio.
Stava a questa richiesta in sé Vulcano
Ritroso anzi che no; quando Ciprigna
Con la tiepida neve e col viv* ostro 595
De le sue nraccia al collo gli si avvinse,
E strinselo e baciollo. In un momento
La consueta fiamma gli s' apprese,
E por r ossa gli corse a le midolle,
E per le vene al core: in quella guisa 600
Che di corrusca nube esce repente soo
TJna lucida lista, e lampeggiando
E serpendo, il ciel tutto empie di foco.
Senti la scaltra, che sapea la forza
Di sua beltà, che l' avea preso e vinto ; 605
E de l'inganno si compiacque e rise.
E '1 buon marito, che d' etèrno amore
Avea il cor punto, le si volse, e disse:
A che si lungo esordio ? Ov* è, consorte.
Ver me la tua fidanza? Io fin d'allora, 610
Se t' era grado, avrei d' arme provisti 3©6
I Teucri tuoi : né '1 padre onnipotente,
Né i Fati ci vietavano che Troia
Non si tenesse, e Priamo non fosse
Restato ancor per diece altr'anni in vita. 615
Ed or, s' a guerra t' apparecchi, e questo
È tuo consiglio, quel che l'arte puoto
O di ferro o di liouido metallo.
Quanto i mantici han fiato, e forza il foco.
Io ti prometto. E tu con questi preghi 62v')
Cessa di rivocar la possa in forse
Del tuo volere, e '1 mio desir eh' è sempre
Di far le voglie tue paghe e contente.
Cosi dicendo, disioso in braccio
La si recò ; gioXnne, e poscia in grembo 625
Di lei placidamente addljrmentossi. 405
Finito il primo sonno, e de la notte
Già corso il mezzo, come femminella
Che col ftiso, 0 con l'ago, o con la spuola
La sua vita sostenta e de' suoi figli; 630
LIBRO OTTAVO 227
Che la notte a^giifn^endo al suo lavoro,
E dal suo focolar pria che dal sole
Procacciandosi '1 lume, a la conocchia,
A r aspo, a V arcolajo esercitando
Sta le povere ancelle, onde mantenga 0:J3
Il casto letto e i pargoletti suoi :
Tale, in tal tempo, e con tal cura a l'opra
Sui^se il gran fabbro, e la fucina aperse.
Giace tra la Sicania da Tun canto,
E Lipari da T altro un' isoletta Ci )
Gh* alpestra ed alta esce de 1' onde, e Aima. 4io
Ha sotto una spelonca, e grotte intomo,
Che di feri Ciclopi antri e fUcine
Son da' lor fochi affumicati e rosi.
Il picchiar de l' incudi e de' martelli 645
Ch^entro si sente , lo strider de' ferri ,
Il fremere e '1 bollir de le sue fiamme
E de le sue fornaci , d' Etna in guisa
Intonar s' ode ed anelar si vede.
Questa è la casa , ove crua giù s' adopra C50,
Vulcano , onde da lui volcania è detta :
E qui per 1* armi fabbricar discese
Del grand' Enea. Stavan ne l' antro allora
Sterope e Brente e Piracmone ignudi
A rinfrescar 1* aspre saette a Giove. 655
Ed una allor n' avean parte polita ,
Parte abbozzata, con tre ra^gi attorti
Di grandinoso nembo , tre di nube
Pregna di pioggia, tre d'acceso foco,
E tre di vento impetuoso e fiero. ' 600
I tuoni v' aggiungevano e i baleni , 43o
E di fiamme e di Hiria e di spavento
Un cotal misto. Altrove erano intorno
Di Marte al carro, e le veloci ruote
Accozzavano insieme , ond* egli armato 6C3
Le genti e le città scuote e commove.
Lo scudo, la corazza e V elmo e Pasta
Avean da 1' altra parte incominciati
De r armigera Palla , e di commesso
Le fregiavano a gara. Erano i fregi 679
Nel petto de la Dea gnim»i di serpjl
Che d' oro avean le sca^e , e cento intrichi
Facean guizzando di Medusa intomo
Al fiero teschio , che cosi com' era
Disanimato e tronco , le sue luci 675
Volgea d'intorno minacciose e torve. 489
Tosto che giunse , Via (disse a' Ciclopi)
*>.2^ ENEIDB
Sgombratevi davanti ogni lavoro,
E qui meco a guarnir d'armo attendete
Un gran campione. E s'unqua fu mestiero 680
D* arte , di sperienza e di prestezza ,
È questa volta. Or v'accingete a l'opra
Senz' altro indugio. E fu ciò detto a pena ,
Che divise le veci e i magisteri,
A fondere , a bollire . a martellare C85
Clii qua cbi là si diede. Il bronzo e 1' oro
Corrono a rivi: s' ammassiccia il ferro,
Si raftlna l'acciajo; e tempre e leghe
In più guise si fan d' ogni metallo.
Di sette falde in sette doppi unite 690
Ricotte al foco e ribattute e salde
Si forma un saldo e smisurato scudo,
Da poter solo incontro a 1* armi tutto
Star de' Latini. Il fremito del vento
Che spira da' gran mantici , e le strida 695
Che ne' laghi attuITati, e su l'incudi 45»
Battuti fanno i ferri, in un sol tuono
Ne r antro uniti , di tenore in guisa
Corrispondono a' colpi de' Ciclopi ,
Ch' al moto de le braccia or alte or basse 700
Con le tanaglie e co' martelli a tempo
Fan conserto , armonia , numero e metro.
Mentre in Eolia era a quest' opra intento
Di Lenno il padre , ecco , sorgendo il sole ,
Surse al cantar de' mattutini augelh 705
Il vecchio Evandro : e fuori uscio vestito
Di giubba con le guiggie a' piedi avvolte ,
Com' è tirrena usanza. Avea dal destro
Omero a la Tegèa nel manco lato
Una sua greca scimitarra appesa. 710
Avea da la sinistra di pantera
Una picchiata pelle che d' un tergo
Gli si volgea su l' altro : e da la rocca
Scenden<lo, gli venian due cani avanti,
Come custodi, 1 suoi passi, osservando. 715
In questa guisa il generoso eroe, 4di
Come quei che tenea memoria e cura
Di comph" quanto avea la sera avanti
Ragionato e promesso, a le scerete
Stanze del padre Enea si ricondusse. 720
Enea da l'altra parte assai per tempo
S' era levato ; e solo in compagnia
L' un seco avea Fallante, e r altro Acato.
Poscia che rincontrati e 'nsieme accolti
LIBR,/ OTTAVO 22d
Si saluta ro, alfin tra loro assisi 725
A ragionar si dicro. E prima Evandro
Cosi parlò: Signor, cui vivo, in vita
Dir SI può che sia Troja, e che del tutto
Kon sia caduta e vinta ; in questa guerra
Quel che poss' io per tuo sussidio è poco 730
A tanto affare. Il mio paese ò chiuso
Quinci dal tosco fiume, e quindi ha Tarmi
Che gli suonan de* Rutuli cr intorno
Fin su le porte. Avviso e pensier mio
E per confederati e per compagni 733
Darti una gente numerosa e grande
Con molti regni. In tal qui tempo a punto
Sei capitato, e tal felice incontro
Ti porge amica e non pensata sorte.
E non lungo di qui, su questi monti 740
D' Etruria, una famosa e nobil terra 478
Gh'è sopra un sasso anticamente ostruita.
Agillina si dice, ove lor seggio
Posero (ò ^ià gran tempo) i bellicosi
E chiari Lidi; e floridi e felici 745
Vi fur gran tempo ancora. Or sotto al giogo
Son di Mezenzio capitati al flne.
A che di lui contar le scelleranzo ?
A che la ferità? Dio le riservi
Per suo castigo e de' seguaci suoi. 750
Questo crudele insino a corpi morti 484
Mescolava co' vivi (odi tormento) ,
Che giunte mani a mani e bocca a bocca,
In così miserando abbracciamento
Gli facea di putredine e di lezzo 755
Vivi di lun^a morto al fin morire.
I cittadini afflitti e disperati,
E fatti ^er paura al fin securi,
Tesero insidie a lui, fecero strage
De' suoi, posero assedio, avventar foco 76f
A le sue case. Ei de le mani uscito
De gli uccisori, ebbe rifugio a Turno
Ch' or r accoglie e '1 difende. Onde commossa
E per giusta cagione in furia volta
L' Etruria tutta mcontro al suo tiranno 765
Grida che muoja; e già con l'armi in mano
A morte lo persegue. A questa gente
Di molte mila condottiero e capo
Aggiimgerotti. E già d'armate navi
Ben pieni i liti ; ognun fteme, ognun chiede 770
Che 8i spieghili r insegne. Un vecchio solo
230 ENEIDE
Aruspice e ^ndovino è, che sospesi
Gli tiene infiiio a qui, Gente meonia,
Ì Dicendo) fior di gente antica e nobile,
Jenchè giusto dolor contro a Mezenzio 775
E degn*u*a v'incenda, incontro a Lazio 501
Non movete voi già; eh* a nessun Itala
Domar d* Italia una tal gente è lecito,
S'esterno duce a tant'uopo non prendesi*
Cosi parato, e per timor confuso 780
Del vaticinio stassi il campo etrusco.
E ^ià Tarconte stesso a questa impresa
M' mvita, e già mandato a presentarmi
Ha la sedia e lo scettro e 1 altre insegne
Del tosco regno, perch' io re ne sia, 785
Ed a Toste ne vada. Ma la tarda 507
E fredda mia vecchiezza, e le mio forzo
Debili, smunte e diseguali al peso
Fan eh' io riliuti. Esorterei Fallante
Mio figlio a questo impero, se nvn fosse 790
Che nato di Sabella, Italo anch'agli
È per materna razza. Or questo iacarco
Da gli anni, da la gente, dal destino.
Dal tuo stesso valore a te si deve.
E tu'l prendi. Signor, ch'abile e forte 705
Sei più d'ogni Trojan, d'ogni Latino
A sostenerlo. Ed io Fallante mio.
La mia speranza e'I mio sommo conforto
Manderò teco; che'l mestier de l'arme,
Che le fatiche del gravoso Marte 800
Ne la tua scuola a tollerare impari; 5ia
E te da* suoi prim* anni, e i gesti tuoi
Meravigliando ad imitar s' avvezzi.
Dugento cavalieri il nervo e '1 fiore
De' miei d'Arcadia spedirò con lui, 805
E dugento altri il mio Fallante stesso
In suo nome daratti. Avea ciò detto
Evandro a pena, che d'Anchise il figlio
E '1 fido Acate ster co' volti a terra
Chinati. E da pensier gravi e molesti 810
Foran oppressi, se dal ciel sereno
La madre Giterea segno non dava,
Siccome die. Che tal per l' aria un lume
Vibrossi d'improvviso e con tal suono.
Che parve di repente il mondo tutto 815
Come scoppiando e minando ardesse ;
Ed in un tempo di tirrene tubo
Squillar ne l'aura alto concento udissi
^
libuo ottavo . - 23Ì
Alzaron gli occhi ; e la seconda volta,
E la terza iterar sentirò il tuono ; 820
E vider là 've il cielo era più scarco htr
E più tranquillo, una dorata nube,
E d'armi un nembo, che tra lor i>orco886
Scintillando facean fremiti e lampL
Stupiron gli altri. Ma *1 trojano eroe 825
Che 1 cenno riconobbe e la promessa
De la diva sua madre, Ospite (disse)
Di saver non ti caglia quel chMmporti
Questo prodigio : basta ch'ammomto
Son io dal cielo ; e questo è '1 segno e 1 tempo 830
Che la mia genitrice mi predisse :
Che quandunque di guerra incontro avessi
Allora ella dal ciel presta sarebbe
Con r armi di Vulcano a darmi aita.
Oh quanta di voi strage mi prometto, 835
Infelici Laurenti ! e qual castigo,
Turno, da me n'avrai! quant'armi, guanti
Corpi volgere al mar, Tebro, ti veggio I
Via, patto e guerra mi si rompa omaL •
Cosi detto, dal soglio alto levossi : 840
E con Evandro e co' suoi Teucri in prima S4i
D* Ercole visitando i santi altari.
Il sopito carbon del ffiomo avanti
Lieto desta e raccenae ; i Lari inchina;
I pargoletti suoi Penati adora, 845
E di più scelte agnello il sangue ofiMsce.
Indi torna a le navi, e de' compagni
Patte due parti, la più forte elegge ■ >jf
Per seco a'idurre a preparar la ^erra. ' . '
L' altra a seconda per lo fiume invia , 850
Che pianamente e senz' alcun contrasto Bio
Si rivolga ad Ascanio , e dia novelle
De le cose e del padre. A quei^che seco
In Etruria adducea , tosto previsti
Furo i cavalli. A lui venne in disparte 855
Da tutti gli altri un palafreno eletto
Di pelle di Icon tutto coverto
Che i velli avea di seta e 1* ugna d' oro»
Per la piccola terra in un momento
Si sparge il grido , eh' a i tirreni Utìl 860-
Ne va lo stuol de' cavalieri- in fretta.
Le madri paventose a i tempj intomo
Rinovellano i voti ; e già per tema
Più vicino il periglio , e ^ù V aspetto
Sembra di Marte atroce. Evandro il flgUo 865
232 ENEIM
marna
Nel dipartir teiìeramente abbraccia ;
Né divelto da lui, nò sazio ancora
Di lagrimar eli dice : 0 so da Giove
Mi fosse , flj^Tio , di tornar concesso
Ora in quegli anni o'n quelle forze, ond'io 870
Sotto Preneste il primo incontro fei sei
Co' miei nemici , e vincitore i monti
Arsi de* scudi , allor eh' Erilo stesso ,
Lo stesso re con questo mani ancisi,
A cui nascendo avea Feronia madre 875
Date tre vite e tre corpi , e tre volte
(Meraviglia a contarlo !) era mestiero
Combatterlo e domarlo; ed io tre volte
Lo combattei, lo vinsi, e lo spogliai
D'armi e di vita: se tal, dico, io fossi 880
Mai non sarei da te , figlio , diviso ;
Mai non fora Mezenzio oso d' opporsi
A questa barba: né per tal vicino
Vedova resterebbe or la mia terra
Di tanti cittadini. 0 Dii superni , 885
O de' superni Dii nume maggiore,
Pifttà d' un re servo e devoto a voi ,
E d' un padre che padre è sol d' un figlio
Unicamente amato. E se da' Fati,
Se da voi m' é Fallante preservato , 890
E s'io vivo or per rivederlo mai, 575
Questa mia vita preservate ancora
Con quanti unqua soflrir potessi affanni.
Ma se Fortuna ad infortunio il traggo,
Gh' io dir non oso; or or, prego, rompete 895
Questa misera vita, or eh' e la tema.
Or eh* é la speme del futuro incerta ;
E che te , figlio mio , mio sol diletto
E da me desiato in braccio io tengo,
Anzi eh' altra novella me ne venga 900
Gh' el cor pria che gli orecchi mi percuota.
Cosi *1 padre ne V ultima partita
Disse al suo figlio ; e da r ambascia vinto
Fu da' sergenti riportato a braccio.
A la campagna i cavalieri intanto 905
Erano usciti. Enea col fido Acato ,
E co* suoi primi era nel primo stuolo.
Fallante in mezzo risplendea ne l'armi
Commesse d' oro , rispleodea ne 1' ostro
Che r arme avean per sopravvesta intorno ; 910
Ma via più risplendea ne' suoi sembianti 588
Ch' cran di fioro e di leggiadro insieme.
I
-- -e
LIBRO OTTAVO Ì3Ì
Tale è quando Lucifero, il più caro
Lume (li Gitorea, da l'Oceano
Quasi da T onde ri forbito estolle 015
Il sacro volto , e 1' aura fosca inalba.
Stan le timide madri in su lo mura
Pallide attentamente rimirando
Quanto puon luni^e il polveroso nembo
De r armate caterve , e i lustri e i lampi 920
Che facean V armi tra i virgulti e i dumi 508
Lungo le vie. Va- per la schiera il grido
Che si cavalchi : e lo s([uadron già mosso
Al calpitar de la ferrata torma
Fa/1 campo risonar tremante e trito. 925
E di Cere vicino, appo il gelato
Suo fiume, un sacro tosco antico e grande
D* ombrosi abeti , che da cavi colli
Intorno è cinto, v^enerabil molto
E di gran hui^e. E fama che i Pelasgi 080
Primi del Lazio occupatori esterni
A Silvan dio de' campi e de gli armenti
Gonsecràr questa selva, e con solenne
Rito gli dedicar la festa e '1 giorno.
Quinci poco lontano era Tarconte • 935
Co' Tirreni accampato ; e qui del campo
Giunti a la vista, là 've un alto colle
Lo scopria tutto , Enea co* primi suoi
Fermossi , ove i cavalli e i corpi loro
Già stanchi ebbero al fin posa e ristoro. 940
Era Venere in ciel candida e bella co?
Sovr' un etereo nembo apparsa intanto
Gon r armi di Vulcano ; e visto il figlio
Gh' oltre al gelido rio per erma valle
Sen già da gli altri solitario e scevro, 945
Apertamente gli s' offerse , e disse :
Eccoti '1 don che da me , figlio . attendi
Di man del mio consorte. Or francamente
Gli orgogliosi Laurenti e' 1 fiero Turno
Sfida a battaglia, e gli combatti e vinci. 950
E ciò detto, r abbraccia.. Indi gli addita ^
D'armi quasi un trofeo , ch'appo una quercia
Dianzi da lei deposte , incontro a eli occhi
Facean barbaglio , e 'ncontro al sol più soli.
D'un tanto dono Enea, d'un tale onore ©55
Lieto, e non sazio di voderio, il mira,
L* ammira e *1 tratta. Or Y elmo in man si prende f
E Torribil cimier contempla e T foco
Che d* ogni parte avventa ; or vibra il brando \
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2?A uìsKirm
Fatale ; or ponsi la corazza avanti 9G0
Di lino acciaio o di ^Tavoso pondo, 62i
Che di sani^niii^na luce e di colori
Divorsamonte accesi era splcnfleiUo:
Qual sembra di lontan cerulea nube
Arder col sole e variar col moro. 9^5
Brandisce V asta; gli stinier va.:,^lieggia
Nitidi e lievi , che fregiati e fusi
Son di fin oro 0 di forbito elettro.
Maravigliando al fin sopra lo scudo
Si ferma, e Tindicibile artificio, 970
Ond' era intesto , e V argomento esplora.
In questo di commesso e di rilievo
Avea fatto de' foctl il ^an maestro
ÌGome do' vaticinj e dol futuro
Presago anch' egli) con mirabil arto 975
Le battaglie , i trionfi e i fatti egregi
D' Italia , de' Romani e do la stirpo
Che poi scese da lui. Dal figlio Ascanio
Incominciando , i discendonti tutti
E le guerre che fór di mano in mano. 980
V avea del Tebro in su la verde riva 629
Finta la marzial nudrice lupa
In un antro accosciata , e i due ge«s?^lli
Che da le poppo di sì flora madre
Lascivetti penaoan, senza paura 985
Seco scherzando. Ed ella umile e blanda
Stava col collo in giro or l' uno or 1' altro
Con la lingua forbendo e con la coda.
Vera poco lontan Roma novella
Con una pompa , e con un circo avanti 990
Pien di tumulto , ov' era un' insolente
Rapina di donzelle , un darsi a l' arme
Infra Romolo e Tazio, e Rom? e Curi.
E poscia infra gli stessi regi armati
Di Giove anzi a V altare un tener tazze 995
Invece d' armi in mano , iin ferir d' ambe 640
Le parti un porco , e lar connubi e pace.
Ne di qui lungo erano a qriattro a quattro
Giunti a due carri otto destner feroci.
Che guai Tulio imponea (stato non fossi 1000
Tu si mendace e traditore , Albano)
In due parti traean di Mezio il corpo;
E si cera' era tratto , i brani e '1 sangue
No mostravan le sieni, i carri e*l suolo.
T era oltre a ciò Forsenna il tosco rege 1005
Gh* imperiosamente da V esiglio
LIBRO OTTAVO 235
.^ivocava i Tarquinj , e 'n duro assedio
Ne tcnoa Ronia , che del giogo schiva
S'avventava nel ferro. Avea nel volto
Scolpito questo re sdegno e minacce, lOiO
E meraviglia , che sol Code osasse
Tener il ponte ; e Clelia una donzella
Varcar il Tebro , e scior la patria e lei
In cima de lo scudo il Campidoglio
Era formato , e la Tarpeja nipe , 1015
E Manlio che del tempio e do la rocc^
Stava a difesa : e la romulea roggia
Che *1 comignolo avea di stoppia ancora.
Ti*a' portici dorati iva d* argento
L' ah sbattendo e schiamazzando un' oca 1020
Ch' apria de' Galli il periglioso agguato. 655
E i Galli per le macchie e per le balze
De r erta ripa, da la buja notte
Difesi , quatti quatti erano in cima
Già de la rocca ascesi. Avean le chiome, 1025
Avean le barbe d' oro: aveano i sai eso
Di lucid' ostri divisati a liste ,
E d' or monili a i bianchi colli avvolti»
Di forti alpini dardi avea ciascuno
Da la destra una coppia , e ne' pavesi 1030
Stavan co i corpi rannicchiati e chiusi.
Quinci de' Sali e de' Luperci ignudi
E de' greggi de' Flamini scolpito
V avea le tresche e i cantici e i triputJJ ,
Ed essi tutti 0 co i lor fiocchi in testa, 1035
O con gli anelli, o con le tibie in mano;
Cui le sacre carrette ivano appresso
Co i santi simolacri e con gli arredi
Che traean per le vie le madri in pompa.
E più lungo nel fondo era la bocca 1040
De la tartarea tomba , e del gran Dite
La reg^a aperta : ov* anco eran le pene
E i castighi de gli empj. E quivi appeso
Stavi tu , scellerato Caldina ,
Sopra d'un ruinoso acuto scoglio 1045
A gli spaventi de le furie esposto.
E scevri eran da questi i fortxmati »
Luoghi de' buoni , a cui '1 buon Cato è duce*!
Gonfiava in mezzo una marina d' oro '
Con la spuma d' argento . e con delfìni 1050
D' argentino color , che con lo code 67«
* Givan guizzando , e con le schiene in arco
Gli aurati flutti a loco a loco aprendo.
236 ENEIDE
%
E i liti e *1 mare e 1 promontorio tutto
Si vedea di Leucato a razzia pugna 1055
Star preparati ; e d' una parte Augusto
Sovra d* un* alta poppa aver d'intorno
Europa, Italia, Koma e i suoi Quiriti,
E *1 senato e i Penati e i grandi Iddii.
Di tre stelle il suo volto era lucente. lOGO
Due ne Iacea con gli occhi, ed una sempre eso
Del divo padre ne portava in fronte.
Ne r altro corno A grippa era con lui
Del mafittimo stuolo invitto duce
Ch'altero, e '1 capo alteramente adorno 10G5
De la rostrata sua naval corona,
I venti e i numi avea fausti e secondL
Da r altra parte vincitori Antonio
Di vèr r aurora e di vèr V onde rubre
Barbari ajuti, esterne nazioni 1070
E diverse armi dal Gatajo al Nilo
Tutto avea seco V Oriento addotto :
E la zingara moglie era con lui ,
Milizia infame. Ambe le parti mosse
Se ne glan per urtarsi, e d' ambe il mare 1075
Scisso da' remi e da' stridenti rostri
Lacero si vedea , spumoso e gonfio.
Prendean de l'alto i legni in tanta altezza
Che Gicladi con Gicladi divelle
Parean nel mar gir a' ncontrarsi, o'n terra 1080
Monti con monti: di. si fatte moli 692
Avventavan le genti e foco e ferro,
Onde il mar tutto era sanguigno e roggio.
Stava qual Isi la regina in mezzo
Col patrio Bistro; e co' suoi cenni U moto 1085
Dava a la pugna; e non vedea (meschina!)
Quai due colubri le venian da ter^o.
L* abbajatore Anubi e i mostri tutti ,
Ch' eran suoi dii , centra Nettuno e centra
Venere e Palla armati eran con lei. 1090
E Marte in mezzo che nel campo d' oro
Di ferro era scolpito , or questi or quelli
A la zuflTa infiammava : e 1' empie Furie
Co' lor serpenti, la Discordia pazza
Col suo squarciato ammanto, con la sferza 1095
Di sangue tinta la crudel Bellona 702
Sgominavan le genti; e l'Azzio Apollo
Saettava di sopra; a gli cui strali
L* Egitto, gr Indi e gli Arabi e i Sabei
Davan le spaUc. E già chip;narc i venti, iico
Ili: -r. r,TT.VVO 237
Scioglier le funi , inalberar le velo
Si vedea la regina a fuggir volta.
Già del pallor de la futura morte,
Ond' era dal gran fabbro il volto aspersa,
In abbandono a Tonde, e della Puglia 1105
Ne giva al vento. Avea d'incontro il Nilo
Un vasto corpo , che smarrito e mesto
A' venti aperto il seno e steso il manto
I latebrosi suoi ridotti offriva.
Cesare v' era alfìn che trionfando 1110
Tre volte in Roma entrava j e per trecento
Gran tempj a' nostri dii voti immortali
Si vedean consecrati. Eran le strade
Piene tutte di plauso , di letizia
E di feste e di giochi. Ad ogni tempio 1115
Concorso di matrone : ad orni altare
Vittime , incensi e fiori. Egli di Febo
Anzi al delubro in maestaae assiso
Riconoscea de' popoli i tributi ,
E la candida soglia e le superbe 1120
Sue porto ne fregiava. Iva fa pompa "«i
De le genti da lui domate intanto
Varie di gonne, d'iliomi e d'armL
Qui di Nomadi e d' Afri era una schiera
In abito discinta; ivi un drappello 1123
Di Lelegi, di Cari e di Gelom
Con archi e strali. Infin da i liti estremi.
I Merini condotti erano al giogo
E gr indomiti Dai. Con meno orgoglio
Giva r Eufrate : ambe le corna fiacche 1133
Portava il Reno : disdegnoso il ponte
Nel dorso si scotea l' armonio Arasse.
A tal , da tanta madre avuto dono ,
E d* un tanto maestro , Enea mirando ,
Benché il velame del futuro occulte 1185
Gli tenesse le cose, ardire e spome
Prese e gioja a vederle ; e de' nepoti
La gloria e 1 fati a gli omeri s' impose. 1133
7Si
FINB DBL LIB&O OTTAVO.
LIBRO NONO.
A
RGOMBNTO
Neirassenza di Enea, Turno istigato da Giunone per mezzo d* Iride, ac-
costa l'esercito agli accampamenti dei Troiani, cne si tengono eniro la
fossa e le mura. 1-46. Sdegnato 6he nessuno venga in campo, tenta d* in-
cendiare le navi troiane, 47-76. Xa la Madre Idea nel cui bosco furono ta-
gliati i legni di quelle navi, ottiene da Giove di poterle salvare dalle damme
e convertirle in ninfe marine, 77-125. Turno vuol persuadere che quesio por-
tento sia contro ai Troiani, perchè così Giove toghe loro ogni mezzo di fuga :
onde investe sempre più strettamente la città, 126-167. Mentile i coiuloKieri
troiani sono a consulta per trovar modo di sjpedire un messo ad Knea che
lo istruisca del pericolo de' suoi, Niso ed Éurialo, due giovani ionicis-
Fimi.si offrono a questo rischio, 168-246. Applauditi da Alete e da A^canio,
e accompagnati dai preconi e voti di tutti, i due giovani escono e fanno
strage delle sentinelle sepolte nel vino e nel sonno; e indossano le loro
spoglie, 246-366. Ma nd ritirarsi, scoperti al raggio della luna dui cava-
lieri latini, corrono ad una vicina selva, dove Eurialo sopraggiunto, a mal-
grado delle preghiere- di Niso che si offre a morte in luogo dell' amico, è
trucidato da Volscente. Niso, dopo aver vendicata valorosamente la morte
di p:urialo, trafitto anch'esso da cento punte, cade sul cadavere dil caro
compagno, 867-449. Le loro teste portate in cima a due picche sono rico-
nosciute dai Troiani che amaramente se ne addolorano, e la madr-» d'Eu-
rialo mette disperati lamenti, 450-502. Turno intanto muove ali* assalto
con tutte le forze: grande strage da ambe le parti. Primo fiitto di Asciiuio
In guerra: Apollo però gli ordina di ritrarsi dalla zuffa, 503-608. laudare
e Bizia troppo fidando nella propria forza, aprono la porta doli i città
troiana, e Turno con molti nemici irrompe in mezzo ai Trolaià e ne
mena ampia strage, 664-777; finalmente sopraffatto dal numero, a i^oco a
poco è costretto dfretrocedere verso quella pai*te della citià che è h; j^nata
dal fiume, e getiauduvlsi a nuoto, ritorna salvò ai compagni, 778-ijia.
Mentre cosi da' suoi scevro e lontano
Enea fa d* armi e di sussidi acquisto ;
Giuno di concitar la furia e Tira
Di Turno unqua non resta. Erasi Turno
Col pensier de la guerra al sacro bosco 5
Di Pilunno suo padre allor ridotto ,
Che mandata da lei di Tatlmante
Gli fli la figlia in cotal ^isa a dire :
Ecco, quel che tu mai chiedere a lingua,
O 'mpetrar da gli Dei , Turno, potessi , 10
Per so Toccasion ti porge e*l tempo.
Enea , mentre da gli altri implora aita ,
Lo sue mura, i suoi legni e le sue genti
Lascia ora a te (se tu *1 conosci) in preda.
L1U!\0 NONO
2J1)
YÀ co i migliori al palatino Evandro 15
iSo n' è passato , e quindi è ne V estremo o
Penetrato d' Etruria. Ora è nel campo
Do' Toschi , e favvi indugio , ed arma avesti.
E tu qui badi, or che di carri e d'armi
E di prestezza è d' uopo ? E che non prendi 20
I SUOI steccati , che son or di tanto
Per r assenza di lui turbati e scemi ?
Poscia che cosi disse, alto su Tali
La Dea levossi ; e tra V opache nubi
Per entro al suo grand' arco ascese , o sparve. 23
Turno che la conobbe , ambo a le stelle
Alza le palme; e nel ftiggir con gli occhi
Seguilla e con la voce. Iri , dicendo ,
Lume e fregio del cielo, e chi ti spiega
Or da le mini? E chi qua giù ti manda? 30
Ond' è r aer si chiaro e si tranquillo
Così repente ? Io veggio aprirsi il cielo ,
Vagar le stelle. O qual tu de* colesti
Sii , ch'a r armi m' inviti ; io lieto accetto
Un tanto augurio , e lo gradisco e '1 seguo. 35
Così dicendo , al fiume si rivolse ; si
N'attinse; se ne sparse; e preci e voti
Molte fiate al ciel porse e riporse.
Eran già le sue genti a la campagna ,
E de' cavalli il condottier Mcssapo 40
Di ricca sopravvesta ornato e d* oro
Movea davanti. I giovani di Tirro
Tenean 1* ultime squadre , e Turno in mezzo
Con tutto il capo a tutta la battaglia
Sopravanzando, armato cavalcava 45
Per r ordinanza. In cotal guisa i campi
Primieramente inonda ii Gange , o '1 Nilo
Con sette fiumi; in li ristretto e quoto
Correndo , entro al suo letto si raccoglie.
Qui d'improviso d' un oscuro nembo 50
Di polve il ciel ravvilupparsi i Teucri 83
Scorgon da lungo , e 'ntorbidarsi i campi.
Caico il primo da 1' avversa mole
Gridando, 0 (disse) cittadini, un gruppo
Ver noi di polverio ne l'aura ondeggia.
Ognuno a 1' armi , o^uno a la muraglia ;
Ecco i nemici. Di ciò corre il grido
Per tutta la città: chiuggon le porte:
Empion le mura. Tale avea partendo
Dato il sagace Enea precetto e norma : 60
Ch' in caso di rottura a campo aperto
5«i
W* t'.v»
BNKDB ^ '
Senza lui non b' ardisse o spiegar schiere ,
0 far conflitto ; e solo a la difusa
S'attendesse del cerchio. Ira e vergogna
Oli animava a ia zulTa ; editto e tema
Oh ritenca del duce. Ond'cntrQ armati
Ne le torri , in su' merli e no' ripari
Aspetlaro i nemici. A lento passo
Proccdea 1' ordinanza ; e Turno a volo
Con venti eletti cavalieri avanti
Si spinse, e d'improvìso appresentoesi. 4!
Cavalcava di Tracia un gran corsiero
Di bianche macctiio il vario ter^o asperso.
E '1 suo dorato e luminoso elmetto
X)' alto cimior copria cresta vermiglia.
Qui fermo. Chi di voi, giovani (disse).
Meco sarà centra i nimici il prime ?
E quel ch'era di pugna inizio e segno.
L'asta a l'aura avventando, alteramente
Trascorse il campo, ed in^'aggiò battagha.
Con alte grida e con orribil voci b:
Fremendo lo seguirò i suoi compagni,
Non senza meraviglia che sì vili
Fossero i Teucri a non osar del pari
Uscirgli a fronte, non mostrarsi in campo,
Ferir da lungo , e di muraglia armarsi,
Turno di qua di là turbato o Acro
Si spinge, e scorre il piano, o cerchia il muro,
E d'entrar s'argomenta ov' anche è chiuso.
Come rabbioso ed atTamato lupo
Al pieno ovile insidiando, freme
La notte, al vento ed a ia pioggia esposto;
Quando sotto lo madri 1 pui-i agnelli
Bclan socuri, ed ei la lame e l' ira
Incontro a lor che gli son lungo, accoglie:
Cosi gli occhi di foco 0 '1 cor di sdegno
n Rutulo inllammato, anelo e fiero
Va de' nimici ajjli steccati inlonio.
Ogni loco, ogni astuzia, ogni'Sunliero
Investigando, onde o co' suoi vi salga,
0 lor ne sbuchi, o ne gli tiri al piano. 6"
Al fin l'armata assaglie, eh" a' ripari
Da l'un canto congiuJita, entro un canale
D'ondo e d'argini cinUi era niscosta.
Qui foco esclama, e foco di sua mano
Con UH ardonto pino a' suoi seguaci
Dispensa , e lor con la presenza accende :
Onde (Oslo 0 lo tici o i Iciiiii appresi,
lAlilìO NONO iUi
Fumo, fìainmo, favillo o vampi o mibl
E volumi (li pcco al ciel n' aiidaro. 110
Muso, flitcuo or voi qual iiumo allora
Scampò do* Teucri i legni, o corno un tanto
De la novella Troja incendio ostinso.
Fama di tempo in tempo o prisca fedo
I^* avvera il fatto, o voi conto no 4 fate. 115
Bicon che quando a navigar costretto 79
Enea primieramente i suoi navilj
A formar cominciò nel bosco ideo;
D'Ida, di Berecintoo de gli Dei
La madre, al sommo Giove orando, disse, 120
Figlio, che sei per me de l'universo
Monarca eterno , a me tua cara madre
Fa quel, eh' io chieggio e tu mi dovi, onore.
E nel Gargare giogo un bosco in cima
Da me diletto , ed al mio numo additto 125
Già di gran tempo. Era d' abeti e d' aceri
E di pini e di peci ombroso e denso.
Ma quando de r armata ebbe uopo in prima
Il giovino troiano, al magistero
Volentier de' suoi legni il concedei i30
Quinci uscir le sue navi; e come figlie
Di quella selva , a me son sacre e care
Si cu' or ne temo; e del timor che n' aggio
Priego che m' assicuri j e '1 priego mio
Questo possa appo a te, che tanto puoi, i35
Che né da corso mai , nò da fortuna
Sian di venti, o di flutti e di tempeste
Squassate , o vinte ; e lor vaglia eoe nate
Son ne' miei monti. A cui Giove risposo :
Madre , a che stringi i fati ? E qual per cui 140
Cerchi tu privilegio ? A mortai cosa w
Farò dono immortale ? E mortai uomo
Non sarà sottoposto a' rischi umani ?
Ed a qual de gli Dei tanto è permesso ?
Più tosto allor che saran giunte al fino , 145
E che in porto saranno , a quelle tutte
Che scampate da T onde il teucro duce
Avran ne' campi di Laurento esposto ,
Terrò la mortai «forma , e Dee faroUe,
Che qual di Nereo e Doto e Galatea «50
Fendan co' netti e con le braccia il mare.
Cosi detto, u torrente e la vorago
E la squallida ripa e V atra pece
D' Acheronte giurando , abbassò *1 ciglio ;
E fé' tutto tremar col cenno il mondo. 155
fuol dì , quest' era il Ano io
ulo a i Teucri legni :
ièa contra l' oltraggio
3 gli sottrasse al foco.
nusitata luce
;e. Indi un gran nembo
.' lo ciol trascorse
L\ ed una voce udissi
araviglia e di spavento
1 V altro. O mici Troiani,
vi caglia a' mici navilj
;o; ne perciò nel campo
io. Arderà Turno II maro
icro a me dilette navi.
ivi, itene sciolto ; e Dee
■e. Io genitrice vostra
lo. A questa voce in quanto
i , 8' allentar le funi
i ; e di delfini in guisa
tuffare. Indi sorgendo
tre! ) quante a riva in prima li
, tanto di donzelle
lo mar sereni aspetti.
insi 1 Rutuli ; e Messapo
Ili attonito fennossi.
rin roco mugghiando
■issi. Nò perciò' di Turno
;ia; anzi via più feroce,
,ando e riprendendo. Ah (disse)
ìì Inrontro a i Teucri stessi
i prodigi ; e loro ha Giove
:o esausti. 11 ferro e 'I fuoco
de' Rutuli: han del maro
la ftiga ogni speranza,
3 ìnflno a qui bob privi ;
per noi : tante sOn genti J:
me. Nò tem' io de' vanti
aticinj e de' lor fati
no. Assai do' fati , assai
1 Venere adempito ,
Lazio. E 'ncontro a i Fati loro
liei , che tor del Lazio io deggia,
ido questi scellerati
mne usurpatori e drudi:
gli Atrìdi , e non sola Argo
e sdegno. Oh basta eh' una volta
Sì, Be lot bastasse
LIBRO N NO 243
D' aver in ciò sol una volta errato.
Nuovo error, nuova pena. Or non aranno
Ornai quest'infelici in odio affatto 205
Le donne tutte, a tal digià condotti ,
Che non han de la vitaaltra fìdanz a ,
Che questo poco e debile steccato
Che da lor ne divide ? E tanto a pena
Son lunge dal morir , (manto s' indugia 210
A varcar questa fossa. In ciò riposto hs
Han la speme e V ardire. O non han visto
Le mura anco di Troja, che costrutte
Fur per man di Nettuno, a terra sparse
E 'n cenere converse ? Ma chi meco j?I5
Di voi, guerrieri eletti , è che s* accinga
D' assalir (juesto mura e queste genti
Già di paura offese ? A me lor contra
D' uopo non son nò T armi di Vulcano ,
Nò mille navi. E vengane pur tutta 220
L' Etruria insieme. E non furtivamente, i48
E non di notte , come fanno i vili ,
Il Palladio involando e de la rocca
I custodi uccidendo , assalirògli ;
Nò del cavallo ne T oscuro ventre 225
Mi appiatterò. Di giorno apertamente
D* armi e di foco cingerògli in guisa
Gh' altro lor sembri che garzoni e cerno
Aver di Greci e di Pelasgi intorno.
Di cui r assedio infìno al decim' anno 230
Ettor sostenne. Or poscia che del giorno
S' è buona parte insino a qui passata
Felicemente, il resto che n' avanza
Attendete a posarvi , a ristorarvi ,
A disporvi a l'assalto: e ne sperato £35
Lieto successo. Indi a Messane incarco
Si dà, che sentinelle e guardie e fochi
Disponga anzi a le porte e 'ntorno al muro.
Ei sette e sette capitani egregi
Rutuli tutti a quest' impresa elesse , 240
Con cento che n'avea ciascuno appresso lei
Di purpurei cimieri ornati e d' oro.
Questi , le mute variando e l' ore ,
Scorrevan a vicenda ; e' ntorno a' fochi
Desti in su 1' erba , infra le tazze e 1* urne 245
Traean la notte in {gozzoviglie e' n giochi.
Stavano i Teucri il campo rimirando
Da la muraglia ì e per timore armati
Visitavan le porte , e 'n su' ripari
Oli
ENEIDE
Facoan bcrlescho e sicrratoie e ponti. 250
Era Meramo lor sopra e '1 buon Sorgeste ,
Che fur dal padre Enea nel suo partire
A guerreggiar ( se guerra si rompesse )
Per conduttieri o per maestri eletti.
Già sullo mura , ovunque o da periglio , 255
O da la vece eran disposti, ognuno
Tenea il suo luogo. Un de' più fieri in arme
Niso d' Irtaco il figlio ad una porta
Era proposto. Da le cacce d' Ida
Venne costui mandato al trojan duce , 260
Gran feritor di dardo e di saette. 177
Burlalo era seco, un giovinetto
Il più bello, il più gajo e 1 più leggiadro
Che nel campo trojano arme vestisse ;
Ch' a pena avea la rugiadosa guancia 265
Del primo fior di gioventù te aspersa.
Era tra questi due solo un amore
Ed un volere; e nel mestier de Y armi
L' un sempre era con r altro : ed ambi insieme
Stavano allor vegghiando a la difesa 270
Di quella porta. Disse Niso in prima:
Eurlalo , io non so se dio mi sforza
A seguir quel ch'io penso, 0 se'l pensiero
Stesso di noi fassi a noi forza e dio.
Un desiderio ardente il cor m' invoglia 275
D' uscire a campo , e far centra i nemici
Un qualche degno e memorabil fatto:
Si di star pigro e neghittoso abborro.
Tu vedi là come securi ed ebbri
E sonnacchiosi i Rutuli si stanno 280
Con rari fochi e gran silenzio intomo. 188
L' occasione è bella, ed io son fermo
Di perla in uso : or in qual modo , ascolta.
Ascanio , i consiglieri e '1 pepol tutto ,
Per richiamare Enea, per avvisarlo , 285
E per avvisi riportar da lui ,
Gercan messaggi. Io, quando a te promesso
Premio ne sia ( eh' a me la fama sola
Basta del fatto), di poter m' affido
Lungo a quel colle investigar sentiero , 290
Onde a Pallanto a ritrovarlo io vada 195
Securamente. Burlalo a tal dire
Stupissi in prima ; indi d' amore acceso
Di tanta lode, al suo diletto amico
Cosi rispose : Adunque ne l' impreso 295
Di momento e d' onore io da te , Niso
LIDllO NONO 24S
Son così rifiutato ? E te poss' io
Lassar si solo a sì gran rischio andare ?
A me non die questa creanza Ofellc
Mio tenitore , il cui valor raostrossi 300
Ne gii affanni di Troja , e nel terrore
De r argolica guerra. Ed io tal saggio
Non t* ho dato di me , teco seguendo
Il duro fato e la fortuna avversa
Del magnanimo Enea. Questo mio coro 305
E spregiatore , è spregiatore anch* egli
Di questa vita ; e degnamente spesa
La tiene allor che gloria se ne merchi,
E quel che cerchi ed a me nieghi , onore.
Soggiunse Niso : Altro di te concetto 310
Non ebhi io mai, né tal sei tu eh* io deggia £07
Averlo in altra guisa. Cosi Giove
Vittorioso mi ti renda e lieto
Da questa impresa , o qual altro sia nume
Che propizio e benigno ne si mostri. 315
Ma se per caso, o per destino avverso
(Come sovente in cfuesti rischi avviene)
Io vi perissi ; il mio contento in questo
È che tu viva : si perchè di vita
Son più degni i tuoi giorni , e sì perch' io 320
Aggia chi dopo me , se non con 1 arme ,
Almen con V oro il mio corpo ricovre ,
E lo ricopra. E s' ancor ciò m' è tolto ,
Alfìn sia chi d' esequie e di sepolcro
Lontan m* onori. Oltre di ciò cagione 325
Esser non deggio a tua madre infelice
D' un dolor tanto ; a tua madre che sola
Di tante donne ha di seguirti osato ,
I comodi spregiando e la quiete
De la città d* Aceste. A ciò di nuovo 330
EurXalo rispose : Indarno adduci »18
Sì vane scuse; ed io già fermo e saldo
Nel proposito mio pensier non muto.
Affrettiamci a l' impresa. E così detto ,
Destò le sentinelle , e le ripose 335
In vece loro ; e V uno e V altro insieme
Se ne partirò , e ne la reggia andare.
1/^ Tutti gli altri animali avean dormendo
' Sovra la terra oblio , tregua e riposo •
Da le fatiche e dagli affanni loro. 340
I teucri condottieri e gli altri eletti ,
Che de la guerra avean V imperio e' 1 carco ,
S* erano e do la guerra e de la somma
■«PW-aaiiBMHJ^MI^H
240
ENEIDE
Di tutto *1 regno a consigliar ristretti :
E nel mezzo del campo altri a gli scudi,
Altri a r aste appoggiati , avean consulta
Di che far si dovesse , e chi per messo
Ad Enea si mandasse. I due compagni
D' essere ammessi e' ncontanente uditi
Pecer ^an ressa, e di portar sembiauic
Cosa di gran momento , e di gran danno ,
Se s' indugiasse. A questa fretta il primo
Si fece Ascanio avanti ; e volto a Niso
Comandò che dicesse. Egli altamente
Parlando incominciò : Trojani , udito
Discretamente; e quel che si propone
E si dice da noi, non misurato
Da gli anni nostri. I Rutuli sepolti
Se ne stan da la crapula e dal sonno ^
E noi stessi appostato avemo un loco
Da quella porta che riguarda al mare ,
Atto a le nostre insidie , ove la strada
Più larga in due si parte. Intorno al campo
Sono i fochi interrotti : il fumo oscuro
Sorge a le stelle. Se da voi n* è dato
D' usar questa fortuna , e quest' onore
Ne si fa di mandarne al nostro duce ;
Al Pallantèo n' andremo , e ne vedrete
Assai tosto tornar carchi di Spoglie
De gli avversari nostri , e tutti aspersi
Del sangue loro. E non fla che la strada
Ne gabbi : che più volte qui d' intorno
Cacciando avemo e tutta questa valle
E tutto il fiume attraversato e scorso.
Qui d' anni grave e di pensier maturo
Alete al ciel rivolto . O |)atrii Dii !
(Disse esclamando) il cui nume fu sempre
Propizio a Troja , pur del tutto spenta
Non volete che f'i mercè di voi:
Poscia che questo ardire e questi cori
Ne' petti a' nostri giovani ponete.
E stringendo le man , gli omeri e' 1 collo
Or de 1 uno or de l'altro, ambi onorava,
Di dolcezza piangendo. E qual (dicea)
Qual , generosi figli , a voi darassi^
J5i voi degna mercede ? Iddio , eh' è primo
De gli uomini e supremo guiderdone ,
E la vostra virtù premio a se stessa
Sia primamente. Enea poscia userawi
Sua largitate, e questo giovinetto
315
2:u
3G0
305
210
370
380
335
252
390
LITJUO NONO ?i7
Che d' un tal vostro merlo avrà mai sempre
Dolce ricordo. Anzi io (soggiunse Julo)
Che senza il padre mio la mia salute
Veggio in periglio, per gli dei Penati,
Per la casa d' Assaraco , jjer quanto • 895
Dovete al sacro e venerabil nume
De la gran Vesta (ogni fortuna mia
Ponendo, ogni mio affare in grembo a voi)
Vi prego a rivocare il padre mio.
Fate cn' io lo riveggia ; e nulla poi 400
Sarà, di eh' io più tema. E già vi dono $6$
Due gran vasi d' argento , che scolpiti
Sono a figure ; un oe' più ricchi arnesi
Che del sacco d*Arisha in preda avesse
n padre mio : due tripodi : due d' oro 405
Maggior talenti , ed un tazzone antico
De la sidonia Dido. E se n' è dato *
Tener d' Italia il desiato regno ,
E che preda sortirne unqua mi tocchi,
Quello stesso dcstricr, quelle stesse armi 410
Guarnite d'oro, onde va Turno altero,
E quel suo scudo , e quel cimier sanguigno
Sottrarrò da la sorte : e di già , Niso ,
Gli ti consegno ; e ti prometto in nome
Del padre mio , che largiratti ancora 415
Dodici fra min* altri eletti corpi
Di bellissime donne , e dodici altri
Di giovani prigioni , e l' armi loro
Con essi insieme , e di Latino stesso
La regia villa. Or te , mio venerando 420 *.
Fanciullo , abbraccio , a gli cui giorni 1 miei
Van più vicini. Io te con tutto il coro
Accetto per compagno e per fratello
In ogni caso ; e nulla o gloria o gioja
Procurerommi in pace unqua od m guerra, 425
Che non sii meco d'ogni mio pensiero, sto
E d'ogni ben partecipe e consorte;
E ne le tue parole e ne' tuoi fatti
Somma speme avrò sempre e somma fede»
Furialo rispose: O fera, o mite 433
Che fortuna mi sia, non sarà mai
Gh' io discordi da me ; mai non uguale
Lo mio cor non vedrassi a questa impresa.
Ma sopra a gli altri tuoi promessi dom
Questo solo bram' io. La madre mia 435
Che dal ceppo di Priamo è discésa, Mi
E che per me seguire ha la mosduna
-■ .. - Alfl
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248 ENlilIDE
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Non pur di Troja abbandonato il nido,
Ma 1 ricovro d' Aceste, e la sua vita
Stessa (a tanti per me r ha rischi esposta) 440
Di questo mio periglio, miai che e' sia,
! Nulla ha notizia: ed io da lei mi parto
> Senza eh* io la saluti, e che la veggia.
Per questa man, per questa notte io giuro,
Signor, che né vederla, né la pietà 445
Soffrir de le sue lagrime non posso.
Tu questa derelitta poverella
Consola, te ne priego, e la sovvieni
In vece mia. Se tu di ciò m' affidi.
Andrò con questa speme ad ogni rischio 450
Con più baldanza. Si commosser tutti
A tal parole, e lagrimaro i Teucri ;.
E più di tutti Ascanio, a cui sovvenne
De la pietà eh* ebbe suo padre al padre ;
E disse al giovinetto: Io mi ti lego 455
Per fede a tutto ciò che la grandezza
Di questa impresa e *1 tuo valor richiede.
E perchè nùa sia la tua madre, il nome
Sol di Greùsa, e nuli* altro le manca.
Né di picciolo merto è eh' un tal ficlio 460
N* aggia prodotto ; segua che che sfa • «os
Di questo fatto. Ed io per lo mio capo
Ti giuro, jper lo qual solea pur dianzi
Giurar mio padre, eh* a la madre tua,
A tutta la tua stirpe si daranno 465
I doni stessi che serbar mi giova
Por a te nel felice tuo ritorno.
Cosi disse piangendo; e la sua spada,
Che di man di Licàone guarnito
Avea d* avorio il fodro, e V elsa d' oro, 470
Distaccossi dal flancOt ^ ^^i ne cinse. 305
Memmo al tergo di Niso un tergo impose
Di villoso leone ; e *1 fido Alete
Gli scambiò V elmo. Cosi tosto armati
8e n' uscir de la reggia ; e i primi tutti 475
Giovani e vecchi in vece d' onoranza
PiQO a la porta con preconj e voti
Gli accompagnare, n giovinetto Jiìlo
Con viril cura e con pensier maturi
Imianzi agli anni, ragionando in mezzo
Giva d' entrambi: ed or l'uno ed or V altro
^ Molto avvertendo, molte cose a dire
I Mandava al padre : le quai tutte al vento
' Furon commesse, e dissipate a r aura.
480
i.i!5r'> NONO 2^9
Escono al fine. E già varcato il fosso, 486
Da le notturne tenebro coverti
Si metton per la via che li conduce
Al campo de' nemici, anzi a la morte.
Ma non morranno, che macello e strage
Faran di molti in prima. Ovunque vanno 400
Veggion corpi di genti, che sepolti ^
Son (lai sonno e dal vino. I carri voti ^.t ^^^ -'^^^
Con ruote e briglie intomo, uomini ed otri
E tazze e scudi in un miscuglio avvolti*
Disse d' Irtaco il figlio : Or qui bisogna, 4Q5
Eurìalo, aver core, oprar le mani, 8i9
E conoscere il tempo, n cammin nostro
E per di qua. Tu qui ti ferma, e l' occhio
Gira per tutto, che non sia da terso
Chi n'impedisca; ed io tosto col ferro 500' .'
Sgombrerò '1 passo, e t' aprirò '1 sentiero.
Ciò cheto disse. Indi Rannete assalse,
n superbo Rannete che per sorte
Entro una sua trabacca avanti a lui
In su* tappeti a grand* agio dormia, 605
E russava altamente. Era costui U5
A re Turno patissimo, ed anch' egli
Rege e 'ndovmo : ma non seppe il fidle
Indovinar quel eh' a lui stesso avvenne.
Tre suoi famigli, che dormendo appresso 519
Giacean fira V armi rovesciati a caso,
Tutti in un mucchio uccìse, ed un valletto
Gh' era di Remo, e sotto i suoi cavaUi
Lo stesso auriga. A costui trasse un colpo
Che gli mandò giù ciondoloni il collo : 615
Indi al jpadron di netto lo riciso
Si, che 1 sangue spicciando d' ogni vena,
La terra, lo stramazzo e '1 desco intrise.
Tamiro estinse dopo questi e Lamo
E '1 giovine Serrano, un bel garzone 520
Era costui, gran giocatore, e^n gioco
Insinosdlora avea sempre veglisi.
Febee lui per lo suo vizio stesso,
So giocato, e perduto ancora avesse
Tutta la notte ! Era a veder tra loro 525
n fiero Niso, guai da fame spinto
Non pasciuto leone un pieno ovile
Imbelle e per timor già muto assaglie,
Che d' ungnie armato, e sanguinoso il dente
Traendo e divorando ancide e rugge.
Né fé' strage minor da V aUro canto
530
S41
^m
MM
M
250
ENEIDE
540
545
550
Burlalo, eh* acceso e furioso
Tra molta plebe molti senza nome,
E quasi senza vita a morte trasse ;
Si dal sonno eran vinti : e de' nomati 535
Uccise Ebeso, Fado, Abari e Reto.
Questo Reto era desto: onde veggendo
Con la morte de gli altri il suo periglio,
Per la paura appo d* un' urna ascoso
Quatto e cpieto si stava. Indi sorgendo
Gli fu' 1 giovine sopra, e '1 ferro tutto 8 le
Entro al petto gì' immerse, e con gran parto
De la sua vita indietro lo ritrasse;
Si che tra '1 vino e *1 sangue, ond' era involta,
Gli usci 1* alma di purpura vestita.
Con questa occislon di buja notte
E di furtivo agguato il buon garzone
Fervidamente instava. E già rivolto
S' era contro a la schiera di Messapo,
Là've'l foco vedoa del tutto estinto,
E là 've i suoi cavalli a la campagna
Pascean legati ; allor che Niso il vide
Che da V occislon e da l' ardore
Trasportar si lasciava. E brevemente.
Non più (gli disse), che'l nimico sole
Ne sor^e incontra. Assai di sangue ostile
Fin qm s' è sparso : assai di largo avemo.
Molt' armi, molt' argenti e molt' arnesi
Lasciare in dietro. I guarnimenti soli
Del cavai di Rannete e le sue borchie
Eurlalo si preso, con un cinto
Bollato d' oro, un prezioso dono
Che Gedico, un ricchissimo tiranno
A Remolo Tiburte ospite assente
Fece in quel tempo. Remolo al nipote
Lo lasciò per retaggio : e questi in guerra zez
Ne fu poscia da* Rutuli spogliato :
Quinci gli ebbe Rannete, e quinci preda
Fur d' Eurlalo al fine. Egli gravonne
I forti omeri indarno. Appresso in capo
S' adattò di Messapo un lucid' elmo 3C4
D' alto cimiero adorno : e *n questa guisa
Se ne partian vittoriosi e salvL
Intanto di Laurcnto eran le schiere
Uscite a campo , e i lor cavalli avanti
Precorrean T ordinanza , ed al re Turno
Ne portavano avviso. Eran trecento
Tutti di scudi armati; e capo e guida
555
5C0
565
570
MB 110 NONO 251
N'era Volscente. Già vicini al campo
Scorgcan le mura; quando fuor di strada 580
Videro da man manca i due compagni
Tener sentiero obliquo. Era un barlume
Là 'v' era Y ombra ; e là 'v' era la luna
A gli avversi suoi raggi la celata
Del mal accorto Eurlalo rifulse. 585
Di cotal vista insospetti Volscente , .».-.•
E ^dò da la squadra : O là fermate.
Chi viva? A che venite? Ove n'andate?
Chi siete voi ? La lor risposta incontro
Fu sol di porsi in fuga , e prevalersi 500
De la selva e del bujo. I cavalieri ira
Ratto chi qua chi là corsero a' passi.
Circondarono il bosco; ad ogni uscita
Posero assedio. Era la selva un' ampia
Macchia d* elei e 3i pruni orrida e folta , 595
Gh' avea rari i sentieri , occulti e strettL
E gy intrighi de' rami e de la preda
Ghiera pur grave, e'I dubbio de la strada
Tenean sovente Burlalo impedito.
Niso disciolto 0 lieve , e del compagno 600
Non s' accorgendo eh' era in dietro assai.
Oltre si spinse. E già fuor de' nemici
Era ne' campi che dal nome d' Alba
Si son poi detti Albani Alior le razze
E le stalle v' avea de' suoi cavalli (K)5
n re Latino. E qui poscia eh' un poco S38
Ebbe il suo caro amico indarno atteso,
Gridando , Ah (disse) Eurlalo infelice ,
U' sei rimase ? U' più (lasso !) ti trovo
Per questo labirinto? È tosto in dietro 610
Rivolto , per le vie , per l' orme stesse >*
Di tornar ricercando , si rimbosca.
Erra pria lungamente , e nulla sente :
Poscia sente di trombe e di cavalli
E di voci un tumulto $ e* vede appresso 615
Eurlalo fì-a mezzo a quelle genti ,
Qual cacciato leone. É già oal loco
E da la notte oppresso si travaglia ,
E si difende il poverello in vano.
Che farà ? Con che forze, -e con qual anni 620
Pia che lo scampi ? Awenterassi in mezzo
De' nemici a morir morte onorata?
Gosi risolve : e prestamente un dardo
S' adatta in mano ; e volto in ver la Luna
Gh' allora alto splendea , cosi la prega: 625
?52 ENEIDE
Tu » Dea , tu de la notte eterno lume , 403
Tu regina de' boschi , in tanto rischio
Ne porgi aita. E s* Irtaco mio padre
Per me de le sue cacce , io de le mie
Il dritto un^a t'offrimmo ; e se t* apposi , 630
E se t'affìssi mai teschio né spoglia
Di fera belva, or mi concedi ch^io
Questa gente scompigli , e la mia mano
Reggi e i miei colpi E ciò dicendo, il dardo
Vibrò di tutta forza. Egli volando 635
Fendè la notte, e giunse òro a rincontro
Era Sulmone e V investi nel tergo
Là 've pendea la targa ; e '1 ferro e 1* asta
Passògu al petto , e gli trafisse il core.
Cadde freddo il meschino; e con un caldo 640
Fiume di sangue, che g\i uscio davanti, 4i4
Fini la vita^ e col singhiozzo il fiato.
Guardansi l'uno a 1 altro; e tutti insieme
Miran d'intorno di stupor confusi
E di timor d'insidie. E Niso intanto 645
Via più si studia j ed ecco un altro fiero
Colpo, eh* avea di già librato , e dritto
Di sopra gli si spicca da V orecchio,
E per r aura ronzando in ima tempia
Si conficca diTago, e passa a l'altra. 650
Volscente acceso d' ira , non vegffendo
Con chi sfogarla, al giovine rivolto,
Tu me ne pagherai per ambi il fio ,
Disse, e strmse la spada, e ver lui corse.
Niso a tal vista spaventato , 0 fUori 655
Uscito de l'agguato e di se stesso
(Che soffHr non poteo tanto dolore)
Me me (gridò) me ^ Rutuli , uccidete.
Io son che '1 fòcl : 10 son che questa frode
Ho prima ordito. In me T armi volgete; 660
Che nulla ha contro a voi questo meschino
Osato , né potuto. Io Io vi giuro
Per lo ciel che n' è conscio e per le stelle.
Questo tanto di mal solo ha commesso ,
Che troppo amato ha l' infelice amico. 665
Mentre cosi dicea, Volscente il colpo 430
Oià con gran forza sninto, il bianco petto
Del giovine trafisse. É già morendo
Eurlalo cadea, di sangue asperso
Le belle membra , e rovesciato il collo 670
Qual reciso dal vomere languisce
Purpureo flore , 0 di rugiada pregno
Linrio NONO t53
Papavero eh' a terra il capo inchina.
In mezzo de lo stuol Niso si scaglia
Solo a Volscente, solo contra lui 675
Pon la sua mira. I cavalier che intorno 439
Stavano a sua difesa , or quinci or quindi
Lo tenevano a dietro. Ed ei pur sempre
Addosso a lui la sua fulminea spada
Rotava a cerco. E si fé' largo in tanto . 680
Gh' al fin lo giunse ; e mentre che gridava ,
Gacciògli il ferro ne la strozza, e spinse.
Cosi non morse , che si vide avanti
Morto il nimico. Indi da cento lance
Trafitto addosso a lui, per cui moriva, 685
Gittossi ; e sopra lui contento giacqxie.
Fortunati ambidue ! Se i versi mici
Tanto han di forza, nò per morte mai,
Nò per tempo sarà che' 1 valor vostro
Glorioso non sia, finché la stirpe 690
D' Enea possederà del Campidoglio
L'immoDil sasso, e finche impero e lingua
Avrà r invitta e fortunata Roma.
I Rutuli con r armi e con le spoglie
De i duo compagni uccisi, il morto corpo 695
Al campo ne portar del duce loro :
Lagrimosa vittoria! E jion meno anco
Fu nel campo di lagrime e di lutto ,
AUor che di Rannete e di Serrano
E di Numa la strage si scbverse, 700
E di tanf altri eh' eran morti in prima. 454
Corse ognuno a veder ; che parte spenti ,
Parte eran mezzi vivi ; e caldo e pieno
E spumante di san^e era anco il suolo
Ove giacean quegV infelici estinti. 705
Riconohber tra lor le spoglie e V elmo
E '1 cimier di Messapo , e i guamimenti
Che con tanto sudor ricoverati
S' erano a pena. Era vermiglio e rancio
Fatto già de la notte il nero ammanto 710
Lasciando di Titon 1' Aurora il letto;
E comparso era il sole , e discoverto
Già'l mondo tutto ; allor che Turno armato
A r arme , a V ordinanza , a la battaglia
Concitò *1 campo ; e diede ordine e loco 715
Ciascuno a* suoL Vendetta , ira e desio 468
D* assalir , di combatter , di far sangue
Vedeansi in tutti. A due grand' aste in cima
Gonflccarou le toste (orribil mostra l)
Ch' ancor sangue gocciando oran pur iropp
■Cosi lunge da' misori compagni
RafBgurati a le fattezze conte./' ■"
^iegò la fama le suo penne intanto,
E la trista novella in ogni parto
Sparso per la città, si eh' a gli orocchl
Do la madre d'Euiìalo pervenne.
Corse subitamente un gel per 1' ossa
A la meschina; o de le man le uscirò
Le sue tele e 1 suoi fili. Indi rapita
Dal duolo e da la furia , forsennata
E scapigliata ne la strada uscio;
E por mezzo de 1' armi e da lo genti
Correndo , e mugolando senza tema
Di periglio 0 di hiasmo , andò gridando ,
E (fi questi lamenti il cielo empiendo :
Ahi cosi concio. Eurialo, mi forni?
Eurialo sei tu? Tu sei'l mio figlio,
Cb" eri la mia speranza e '1 mio ripoBO
Wa l'estremo giornate di mia vita?
Ahi come cosi sola mi lasciasti.
Crudele ? E come a cosi gran periglio
N" andasti , anzi a la morto , che tua raad
Non ti parlasse , oima ! l' ultima volta .
Né che pur ti vedesse ? Ah ! eh' or ti veg
In perenna terra esca di cani ,
D' avoltoi e di corvi, "'' ■" '"" madre,
■ - __= _ ^ I Hunln
LIBRO NONO -^^- 255
I E seguiratti dopo morte ancora ?
■ In me, Rutuli, m me tutti volgete
' I vostri ferri, se pur regna in voi
Pietade alcuna. A me la morte date 770
Pria eh' a nuli' altro. 0 tu. Padre celeste, 494
Miserere di me. Tu col tuo telo
Mi trabocca nel Tartaro e m' ancidi,
Poiché romper non posso in altra guisa
Questa crudele e disperata vita. jf^ 775
Da questo pianto una mestizia, un duolo
Nacque ne' Teucri, e tale anco ne V armi
Un languore, un timore, una desidia,
Che grami , addolorati e di già vinti
Sembravan tutti. Onde Attore ed Ideo , 730
Con quel di lei togliendo il pianto altrui ,
Per consiglio del saggio Ilioneo ,
E per compassion del buono lùlo
Che molto amaramente ne piangea.
Tosto a braccia prendendola , ambedue 785
La portare a V albergo. Ed ecco intanto 502
Sqiullar s' ode da lungo un suon di trombe ,
Un dare a V arme , ed un gridar di ^enti
Tal , che ne tuona e ne rimugghia il cielo.
E veggonsi in un tempo i Volsci tutti 790
Sotto pavesi consertati e stretti
In guisa di testuggine appressarsi ,
Empier le fosse , dirupare il vallo,
E tentar la salita , e por le scale
Là dove la muraglia era di sopra 795
Con minor guardia , e là 've raro il cerchio
Tralucea de la gente. Incontro a loro
I Teucri i sassi , i travi ed ogni telo
Awentaron dal muro ; e con le picche
Risospingendo , come il lungo assedio 800
Insegnò lor di Troja , a la difesa
Si fermar de* ripari ; e le pareti
E i pilastri e le torri addosso a loro
E sopra a la testuggine gittando ,
Gli scudi dissiparono e le ffenti , 805
Si che più di combattere al coverto
Non si curaro. Ma d' ogni arme un nembo
Lanciando a la scoperta , i bastioni
Ofiendean de' Troiani. E d' una parte
Mezenzio , formidabile a vedere , 810
Se *n già con un gran pino acceso in mano 621
Lo steccato infocando. Iva da l'altro
II fler Messapo di Nettuno il figlio
.jr<
2f>fi ENEIDE
Domator de* corsieri ; e scisso il vallo ,
Scalo, scale gridava , e per lo muro 815
Rampicando saliva. Or qui m* è d' uopo , 5t4
Calliope , il tuo canto a dir le provo ,
A dir r occiSlon che di sua mano
• Fece Tiu?no in quel dì ; chi , quali , e quanti
A r Orco no mandasse. Ogni successo 820
Spiega di (juesta guerra in queste carte.
Tutto a VOI , Muse , è conto ; e voi la possa
E r arte avete di contarlo altrui.
Era ima torre di sublime altezza
Con bertesche e con ponti un sopra V altro , 825
Loco opportuno. A questa eran d* intorno
Di fuor gr Italiani, e dentro i Teucri;
E quei facean per espugnarla ogni opra j
E questi per tenerla. Avanti a tutti
Si spinse Turno : ed una face ardente 830
Lanciowi da V un fianco , ove s' apprese
Con molta fiamma ; cosi fiero il vento ,
Cosi secchi e disposti erano i legnL
Ardea la torre da quel canto, e dentro
La gente per timor cercava indamo 835
Di ritrarsi dal foco : onde a la parte
Da r incendio remota in un sol mucchio
Si ristrinsero insieme ; e da quel peso
Da quel lato in un subito la torre
Quasi spinta inchinossi , aprissi e cadde. 840
Il ciel ne ritonò ; la gente infranta . 541
Storpiata ^ sfracellata , infra i suoi legni
Da farmi proprie infissa, e fin ne l'aura
Morta e sepolta a terra se ne venne.
Soli due vivi , e per ventura intatti 845
Dal nembo de la polvere » e dal tomo
Uscir nel campo : Elenore fu Y uno f
Lieo fu r altro. Elenore un garzone
Di prima barba, di Licinia serva
E di Meonio re nato di furto , 850
E sotto Troja a militar mandato
Furtivamente. E* si trovò com'era
Pria no la terra lievemente armato
Col brando ignudo , e colla targa al collo
Bianca del tutto, come non dipinta 855
D'alcun suo fatto glorioso ancora. 548
Questi , vistosi in mezzo a tante genti
Di Turno e de' Latini , come fera
Ch' aggia di cacciatori un cerchio intomo ,
Muove contro a gli spiedi » incontr' a l' armi ; 860
LIBRO NONO 257
Mosse là 've più folte eran le schiere ,
E certo di morire a morte corse.
Ma Lieo in su le ^ambe assai più destro
Infida r armi e i nemici a fuggir volto ,
Giunse a le mura , ed aggrappossi in guisa 8C5
Che stcndea già le mani a* suoi compagni.
Quando Turno e co' piedi e con la spada
Lo sopraggiunse j e come vincitore
Rampognando gli disse: E che? pensasti,
Folle , uscirmi di mano ? E le man tosto 870
Gli pose addosso ; e siccome dal muro
Pendea, col muro insieme a terra il trasse.
In quella guisa che gli adunchi ugnoni
Centra una lepre , o centra un bianco cigno
Stende 1' auge! di Giove , o '1 marzio lupo 875
Da le reti rapisce un agnelletto ,
Che dalla madre sia belato invano.
Si rinnovar le grida , e tutti insieme
O le faci avventando , o '1 fosso empiendo ,
Rinforzavan l'assalto. Dioneo 880
Con un pezzo di monte , a cui la pinta 509
Die giù da' merli, sopra al ponte infranse
Lutezio eh' a la porta era col foco.
Ligero uccise Emazlone ; Asila
Uccise Gorinéo , buon feritori , 885
L' uno di dardo , e 1' altro di saette.
Orti^o da Cenéo trafitto giacque ;
Ceneo da Turno : ammazzò Turno ancora
Iti e Promolo e Clonio e Diosippo
E Sagari con Ida ; Ida che in alto 090
Stava d'un torrione a la difesa. 575
Capi ancise Privemo. Avea costui
Pna nel fianco una picciola ferita ,
Anzi una graffiatura , che passando
Fé* r asta di Temilla : e '1 male accorto , 895
Per su porvi la mano , abbandonato
Avea lo scudo ; quando ecco volando
9 una freccia che la mano e '1 fianco
/:*
000
J
Venne
Insieme gli confisse , e via passando
PenetrògU al polmone, n mortai colpo
Sì lo spirar de l' anima gli tolse ,
Che non mai più spirò. Stavasi Arconte ■•
D' Arconte il figlio m su' ripai-i ardito J
Egregiamente armato , e sopra l' arme ^
D' una purpurea cotta era addobbato 905
Di ferrigno color, di drappo ibero;
Un giovine leggiadro che dal padre
JhlVEneide i7
251 e:>eidb
Fu nel bosco di Marte a 1* armi avvezzo
Lungo al Simeto , u* V ara di Palico
Tinta non come pria di san^e umano , 910
Più pingue e più placabile si mostra.
Mezenzio il vide ; e 1* altro armi deposte ,
Prese la fromba , e con tre giri intorno
Se ravvolse a la testa. Indi scoppiando
Allentò '1 piombo , che dal moto acceso 915
Squagliossi, e con gran rombo in una tempia sss
Il garzon percotendo , ne V arena
Morto quanto era lungo lo distese.
Ascanio che fin qui solo a la caccia
Avea r arco adoprato , or primamente 920
Oprollo in guerra, e col primiero colpo
Il feroce Numano a terra steso.
Remolo era costui per soprannome
Chiamato; e poco avanti avea per moglie
Presa di Turno una minor sorella. 925
Ei di questo favor , di questo nuovo
Suo regno insuperbito , altero e gonfio
Stava ne V antiguardia , e con le grida
Si ringrandiva ; e di lontano i Teucri
Schernendo, in cotal guisa alto dicea : 930
Questo è r onor che voi , Frigi , vi fate 507
D' un altro assedio ? Un' altra volta in gabbia
Vi riponete ? E pur col vostro muro ,
E co i vostri ripari or da la morte
Vi riparate ? E voi, voi fate guerra 935
Per usurpare a noi le donne nostre ?
Qual Dio, qual infortunio, qual follia
V' ha condotti in Italia ? E chi pensaste
Di trovar qui ? Quei profumati Atridi ,
0 '1 ben parlante Ulisse ? In una gente 940
Avete dato che da stirpe è dura.
1 nostri figli non son nati a pena,
Che di tunan ne' fiumi A 1' onde , al gelo
Noi gì' induriamo , e gì' incallimo in prima ;
Poscia per le montagne e per le selve 945
Fanciulli se ne van la notte e '1 giorno.
n lor studio è la caccia; e '1 lor diletto
E '1 cavalcare , e '1 trar di firomba e d* arco.
La gioventù ne le fatiche avvezza,
E contenta del poco , 0 col bidente 950
Doma la terra , 0 con 1' aratro i buoi , 007
O col ferro i nemicL n ferro sempre
Avemo per le manL Una sol' asta
Ne fa picca e pungetto. A noi vecchiezza
LIBRO NONO 259
Non toglie ardire, e de le forze ancora 955
Non ci fa , come voi , debili e scemi.
Per canute che sian le nostre teste ,
Veston celate , e nuove prede ogn' ora
Quando da' boschi e guando da' nemici ,
Addur ne giova , e viver di rapina. t'CO
Voi con r ostro e co' fregi e co' ricami, eia
Con le cotte a divisa e con le giubbe
Immanicato e co i fiocchetti in testa
A che valete ? a gir cosi dipinti
E cosi neghittosi ? A fer bsOletti 965
Da donnicciuole. 0 Fri^ji, o Friglesse
Più tosto ! In q^uesta ;^sa si guerreggia ?
Via ne' dindimi monti, ove la piva
Vi chiama e '1 tamburino e 1' zufoletto
E con quei vostri galli, anzi galline 970
Di Berecinto ite saltando in tresca ;
E V armi e '1 ferro , che non fan per voi ,
Lasciate a quei che son prodi e guerrieri.
Non potè tanto orgoglio e tanto oltraggio
Soffrir d' un follo il generoso Jttlo , 975
E teso r arco con la cocca al nervo,
Rimirò '1 cielo , e disse : Onnipotente
Giove , tu r ardir mio , tu la mia mano
Fomenta e reggi Ed io sacri e solenni
Ti I' ' rò doni : io condurrotti a Y ara 980
Un candido giovenco che la fronte «so
Aggia indorata, e de la madre al pari
Erga la testa , e già scherzi e eia cozzi
Con le corna, e co' pie sparga r arena.
Giove , mentre dicea, tonò dal manco 985
Sereno lato; e col suo tuono insieme
Scoccò r arco mortifero di Julo.
Volò r orribil telo , e per le tempie
Di Remolo passando , le trafisse.
Or va, t' insuperbisci ; or va , deridi , • 990
Scempio , r altrui vfrtù. Queste risposte «sì
Mandano i Frigi che son chiusi in gabbia
A i Rutuli signor de la campagna.
Questo sol disse Ascanio ; ed al suo colpo
Le grida i Teucri e gli animi in un tempo 995
Al cielo alzare. Era il crinito Apollo ,
Quando ciò fU , ne la celeste piaggia
Sovra una nube assiso ; e d' alto u campo
Scorgendo de' Trojani e de ^li Ausonj ,
Come vcrlo ogni cosa, visto il colpo 1000
Del vi::cit:)ro aroioro , invcr lui disse ;
1?C0 BNEIDB
Ahi buon fanciullo, in cui virtù s* avanza !
Così vassi a le stelle. Or ben tu mostri ,
Che da gli Dii sei nato , e eh' altri Dii
Nasceranno da te. Tu sei ben degno 1005
Ch' ogni guerra , che 1 fato ancor minacci
A la casa d' Assàraco , s' acqueti
Per tua grandezza , a cui Troja è minoro ,
' Si che già non ti cape. E così detto
Si fendè T aura avanti , e ver la terra 1010
Calessi , trasmutossi, e come fosse
Il vecchio Bute , al giovine accostossi.
Fu Bute in prima del dardanio Anchise
Valletto d' arme e cameriere e paggio ,
E poscia per custode e per compagno 1015
L' ebbe A Scanio dal padre. A questo vecchio 649
Mostrossi Apollo di color , di voce ,
D* andar , di canutezza e d* armatura
Simile in tutto ; ed a T ardente Julo
Fatto vicino , in tal guisa gli disse : 1020
Bastiti aver, d' Enea preclaro figlio ,
Senza alcun rischio tuo Numano ucciso.
Di questa prima lode il grande Apollo
Ti privilegia, e non t'invidia il colpo.
Né '1 parafo de 1' arco. Or da la pugna 1025
RitraggitL E ciò detto , da la vista
De' circostanti si ritrasse anch' egli ,
E sormontando dissipossi e sparve.
Rassembrarono in Bute i Teucri Apollo ,
E riconobber la faretra e l' arco , 1030
Che fuggendo sonar anco s' udirò. oeo
E fèr SI con le preci e col precetto
D' untante Iddio , eh' Ascanio ancor che vago
Fosse di pugna, se ne tolse al fine ;
Ed essi apertamente a ripentaglio 1035
Misero in vece sua le vite loro.
Spargesi un grido per le mura in tanto
Per tutte le difese ; e tutti a gli archi
.. . Tutti a tirar , tutti a lanciar si diero
Jj D' agni sorte arme, e d' ogni parte il suolo 1040
N' era coverto : quando altro conflitto
Cominciossi di scudi e di celate ,
Una mischia di picche , ima battaglia
Che crescea tutta volta, rinforzando
Con quella furia che di pioggia un nembo 1045
Vien da l' occaso allor che d'oriente 668
Fan sorgendo 1 Capretti a noi tempesta :
O quando orrido, e torbe e d' austri cinto
•".^
Lnmo Noxo 261
E 'n grandine converso irato Giovo
J)' alto precipitando si devolvo i050
Sopra la terra , e '1 ciel romf^endo intuona.
Pandaro e Bizia d' Alcanòro Ideo,
E d'ISra salvatica sua moglie
Figli in Ida acquistati , e dMda usciti
L' uno al* altro simile , ed ambidue 1055
A quegli abeti ed a quei monti uguali
Ond' eran nati , avean dal teucro duce
Una porta in custodia. E confidati
Ke le forzo e ne T armi , a bello studio
La lasciarono aperta , ed a* nimici 1060
Fér da le mura un marziale invito. «75
Essi armati di ferro , im da la destra,
L' altro da la sinistra , a due pilastri
Sembianti, anzi a due torri cne nel mezzo
Tengan la porta , con le teste in alto 1065
E co' rag^i de gli elmi i campi intomo
Folgorando, squassavano i cimieri
Fin sovr'a'merli. In cotal guisa nate
Ne le ripe si veggon di Liquezio ,
De r Adice o del Po due cruerce altere 1070
Sorgere al cielo , e sventolarsi a V aura.
Visto r adito aperto , incontanente
Vi si spinsero i ftutulL E Quercente
Ed Equicolo i primi armati e fieri,
L' ardito Omaro e '1 bellicoso Emono 1075
Tutti co' lor compagni impeto fero ;
E tutti 0 far da' Teucri in fuga volti ,
0 ne r entrar di quella porta ancisi
Giunto a gli aninu infesti il sangue sparso,
S' accrebber l' ire : e de' Trojani in tanto 1080
Tale un numero altronde vi concorse , 688
Gbe prender zufik e tener campo osaro.
Turno sfogava il suo furore altrove
Gontra i nemici ; quando un messo avanti
Gli comparve dicendo, che di Troja 1085
Erano usciti, e stavan con le porte ,
Quanto eran larghe , a far strage e macello
De le sue genti. Ei tosto da guel canto
Lasciò r impresa: e contro i due fratelli
A la dardania porta irato accorse. lOM
E primamente Antifate , che primo
Gli venne avanti , un giovine Bastardo
Di Sarpedonte e di tebana madre ,
Gon un colpo di dardo a terra stese.
Golpillo ne lo stomaco > e passògli 1005
/^
èt]Ì ENlilDI?
■^
Olf.i'c al polmone : onde di caldo sangue ,
Quasi d' uu antro , dilagossi un fonte.
Merope, Aiìdno ed Erimanto appresso
Uccise con la spada , un dopo r altro
Come a caso incontrògli. Atterrò Bizia noo
Dopo costoro, ma non già col dardo, to3
E men col brando ; eh' altro colpo er' uopo
A si gran corpo. A costui , mentre infuria ,
Mentre stizza per gli occhi avventa e foco,
Infocato, impiombato e grave un telo iio5
Scaricò di falarica, che m guisa
Di fulmine stridendo e percotendo
Lo giunse si che nò lo scudo avvolto
Di duo bovine terga , né la fida
Lorica di due squame e d'or contesta li io
Non lo sostenne. Barcollando cadde
La smisurata mole, e tal die crollo
Che' 1 terren se ne scosse , e' 1 gran suo scudo
Gli tonò sopra. In tal guisa di Baja
Su retiboica riva il gravo sasso, 1115
Gh' è sopra Tonde a lermar V opre eretto ,
Da r alto ordigno , ov' era dianzi appeso ,
Si spicca e piomba , e fin ne V imo fondo
Ruinando si tuffa , e frange il mare ,
E disperge l'arena: onde ne trema 1120
Prociaa ed Ischia, e' 1 gran Tifèo se n' auge, 715
Cui si duro covile ha Giove imposto.
Qui Marte il suo potere e' 1 suo favore
Volse verso i Latini. Animi e forze
Aggiunse loro , gì' incitò , gli accese ; 1125
E di tema e di fuga e di scompiglio
Die cagione a' TrojanL E già eh' a pugna
S' era venuto , e de la pugna il nume
Era con loro accolti, d'ogni parte
Si ristringono i Rutuli, e fan testa. 1130
Pandaro, poi che'l suo fratello estinto 720
Si vide avanti, e la fortuna avversa,
A la porta con gli omeri appuntossi:
E si com'era poderoso e grande.
Con molta forza la rispinse e chiuse, 1135
Molti esclusi de* suoi cne per la fretta
Bimaser ne le peste, e molti inclusi
Ch' eran nimici : e non s' avvide il folle,
Che de' nimici in quella calca ancora
Era lo stesso re da lui raccolto 1140
A far de' suoi, qual tra le greggi imbelli
Ircana tigre immane. Ei non più tosto
LIBRO NONO 2G3'
Fu dentro, cho raggiò da gli occhi un lume -^
Spaventevole e fiero: e l'armi sue
Fieramente sonare. U suo cimiero il45
No r aura ondeggiò sangue, e dal suo scudo
Uscir folgori e lampi. Incontanente
La sua faccia odiata e '1 suo gran fusto
Raffigurando i Teucri si turbare.
Pandaro allor de la fraterna morte 115Ó
Fervidamente irato, avanti a tutti 785
Gli si fé *ncontro, e disse : E' non è, Turno,
Questa la reggia che t' assegna in dote
La tua regina ; e non hai d* Ardea intomo
Le patrie mura. Ne le forze entrato 1155
Sei de* nimici, onde scampar non puoi
Or via (Turno ghignando gli rispose
Placidamente), via se tanto ardisci,
Meco ti prova ; che ben tostamente
A Priamo dirai eh' in questa Troja, 1160
Come ancor ne la sua, trovossi Achille.
Ciò detto, gli avventò Pandaro un dardo
2)i tutta forza noderoso e grave,
E iji ruvida ancor corteccia involto.
L' au.^a lo prese, e la saturnia Giuno 1165
Deviò 'i colpo si che da la mira
Si torse, ^ ne la porta si conlìsse.
Non 81 ca'drà questa mia spada in fallo,
Disse allor I'^utio : tale è chi la vibra,
E tal fa colpo. JGd a ferire alzato 1170
L' investi ne la fronte, e gli divise 749
Le tempie, le mascelle eì mento ignudo
Ancor di barba, infìn là 've s' appicca
Il collo al petto. Al suon de la percossa,
Al fracasso de l'armi, a la mina, 1175
Che fér cadendo quelle membra immani.
Tremò la terra, e ne fli d' atro sangue
E di cervella aspersa. E^li morendo
Giacque rovescio, e dechinò la testa
Parte a 1* omero destro, e parte al manco. 1180
Al cader di costui tal prose i Teucri
Tema e spavento, che dispersi in ftiga
Sen giro. E s' era il vincitore accorto
D' aprir la porta e di por dentro i suoi,
Fora stato quel giomo e de la guerra 1185
E de' Trojani il line. Ma la fùria
E r arder di combattere e l' insana
Ingordigia di sangue ne '1 distolse.
Opde seguendo, in Falari ed in Olga
'2Q4 SNSIBB
Hfc
S'abbattè prima. A l'uno il petto aperse; 1190
Sgherrcttò V altro". A quei eh erano in fuga
Con r aste di color chi eran caduti.
Feria le terga; e nuova occisione
Gli ponea tuttavia nuov' armi in mano ;
Siccome ancor Giunon nuovo ardimento 1195
Gli dava e nuove forze. Ali tra questi 794
Mandò per terra, e Fèg6a confìsse
-Con lo suo scudo. Uccise in su le mura.
Mentre a* nemici eran di fUori intenti.
Alio ed Alcandro e Pritane e Nomone. 1200
A Linceo, eh* osò di stargli a fronte
E chiamare 1 compagni, con un colpo»
Che di rovescio con gran forza diègii^
Recise il capo, e V avventò con r elmo
Lunge dal busto. Dopo questi ancise 1205
Amico, un cacciator eh* era in campagna 771
Gran distruttor di fere, e gran maestro
D' armar di tosco le saette e '1 ferro :
E Glizio ancise d' EOlo il buon figlio,
E Gretéo de le muse il caro amico 1210
E '1 diletto compagno, che di versi
E di cetre e di numeri e di corde
Era sol vago, e di cantar mai sempre
0 d' armi, 0 di cavalli, 0 di battaghe.
I condottier de' Teucri udita al Une 1215
De' suoi la strage, insieme s' adunaro»
Mommo e Scrosto. E visti i lor compagni
Dispersi, e già'l nimico in salvo addursi,
Gridando, Oh, disse Mommo, ove fuggite ?
Ove n' andate ? E qual ridotto avete 1220
O di mura 0 di sito altro che questo ?
Dunque un sol uomo, e d' ogni parte chiuso
In poter vostro, avrà, miei cittadini,
Senza alcun danno suo fatto di noi
Ke la nostra città si gran macello ? 1225
Tanti de' nostri Rovani sotterra
Avrà mandati ? E noi, noi non avremo
(SI codardi saremo) 0 de la nostra
Infortunata ])atria, 0 de gli antichi
Nostri Penati, 0 del gran nostro Enea 1230
Uè pietà, nò rispetto, nò vergogna ? 78d
Da questo dire accesi e rincorati
81 ristrinsero insieme. E Turno intanto
De la puma allentando inver la parte
Che dal nume era cinta, a poco a dogo 1235
AppressoBffl a la riva: onda i Trojàhi
-.*
LIBRO NONrt 205
Con impeto maggior, con maggior giida
Gli furori sopra. E qual fiero leone
Che da la moltitudine e da V armi
Si vede oppresso, tra fierezza e tema 1240
Torvamente mirando, si ritira;
Che né '1 valor, né V ira gli consente
Volgere il tergo, né de' cacciatori,
Né di spiedi spuntar puote il rincontro :
Cosi Turno dunbioso o di ritrarsi, 1245
O di spingersi avanti, irato e lento, 797
Guardingo e minaccioso se n* andava.
E due volte avventandosi nel mezzo
Si cacciò de' nemici; ed altrettante
Gli ruppe, e salvo in dietro si ritrasse. 1250
Al fine in un drappello insieme accolte
Le teucre genti incontro gli si ffiro.
£ di Saturno non osò la figlia
Di più forza prestargli ; che dal cielo
Giove a la sua sorefla avea mandato 1255
In a fame richiamo, e minacciarle,
Se Turno immantinente da le mura
Non uscia de' Trojan! Or non potendo
Più '1 giovine supplire o con la destra,
€h' era a ferir già stanca, o con lo scudo 1260
Che di dardi e di frecce era coverto ;
L' elmo già spennacchiato, e r armi tutte
Smagliate e fésse, con un nembo addosso
Di sassi per le tempie, e d'aste a' fianchi,
Già da Mommo incalzato, alfin cedette. 1265
E come di sudor colava, ansava, 812
E quasi rifiatar più non potea.
Con tutte l'armi in dosso un salto prese,
E nel Tebro awentossi. Il biondo Tebro
Placido lo raccolse ; e salvo e lieto 1270
E de r occislon purgato e mondo
Su r altra riva a' suoi lo ricondusse. 1272
81S
FINB DBIi LIBRO HOVO.
■-«*■■ •
LIBRO DECIMO
ARGOMENTO
Giove, convocati gli del a concilio, li esorta alla concordia. Venere dopò'
essersi lagnata del pericolo a cui si trovano esposti i Troiani e dell'ociio
implacabile di Giunone, domanda un qualche termine a tante calamità •
ma Giunone rimanda la colpa di tanti mali ai Troiani e a Venere ?it's«a'
1-99; onde Giove non trovando maniera di por fine alle contese, dicliianì
di non voler favorire nessuna delle due parti, e di rimeltersl in tutto al
Fati, 100-117. Intanto i Rutull con tutte le forze assalgono, e i Troiani di-
fendono la cittA. lltì-145. Mentre questo si fa nel Lazio , Enea , ottenuto
in Etrurla quanto desiderava, con sussl<?l di molti popoli alleati ritorna
ai compagni , seguito da un* armata di trenta navi , 146-214. Kel tra-
gitto gif si fanno Incontro le ninfe nate dalle navi arse ; ed una di e«;se
Olmodocea, gli espone lo stato delle cose, 215-257. Enea, giunto in vista
de* suol, fa prender terra agli armali ; quando l Kutull, desistendo dairas-
salto tentano d'Impedire lo sbarco. Grande strage da ambe le parti, 258-361.
Fallante, dopo stupende prove di valore, viene ucciso e spogliato da
Turno, 362-509. Enea per dolore e vendetta del morto amico fa eccidio dei
Rutull. Ascanio, con una sortita, unisce le sue forze a quelle del padre, 510-
605. A questi fatti Giunone commossa, temendo per la vita di Turno, ot-
tiene da Giove la grazia di salvarlo da estremo pericolo, e mostrandoglisi
in forma di fantasma somigliante ad Enea, si lascia Inseguire da lui, e
cosi lo trascina lontano dalla zuffk sopra una nave, 606-688. Mezenzio in-
tanto, per volere di Giove, rinfranca la battaglia atterrando gran numero
di Troiani e di Etruschi, 689-761 ; finché piagato da Enea, è costretto, per
fasciare la ferita, di ritirarsi dalla mischia, protetto dal figlio Lauso,
^62-795: Il quale, mentre cerca di ftir le vendette del padre, e ucciso da
Enea, 798-832. All'annunzio di questa morte, Blezenzlo, cosi ferito, monta
a cavallo, e ritornarti combattimento per vendicare l'uccisione del figlio-
ma cade pure sotto i colpi d'Enea 813-90S.
Aprissi la magion coleste intanto ,
> E del cielo il gran Padre in cima ascese
! Del suo cerchio stellato. Indi mirando
La terra , e do' Trojani e de' Latini
Visto il conflitto, a se de gli altri Dei 5
Chiamò! consiglio. E com'era da l'orto
E da r occaso la sua reggia aperta ,
Ratto tutti adunati , assisi e cheti ,
Disse effli in prima: Cittadini eterni^
Qual v'ha cagione a distornar rivolti 10
Quel eh' è già stabilito ? A che tra voi
Con tanta iniquità tanto contrasto ?
Non s' è da me già proibito e fermo
Che non deggian gliAuFonj incontro a' Teucri
LIBtlO DECIMO ifft
Sorgerò a V armi ? Che discordia è questa 15
Contro al divieto mio ? Qnal ha timore •
A la guerra incitati o questi , o quelli ?
Tempo vi si darà ben degno allora (.
Di guerreggiar (non Y affrettate or voi) *
Che la fera Gartago aprirà l'alpi, 20
Grave a Roma portando esizio e strage.
Allora a gli odj , al sangue , a le rapine
Lar^a vi si darà licenza e campo.
Or lietamente la tenzone e V armi
Fermate ; e sia tra voi concordia e pace» 25
Tal fece ragionando il gran monarca
Breve proposta. Ma non brevemente
Venere in questa guisa gli rispose :
Padre e re de' celesti , e de' mortali
Etema possa (e miai altra maggiore 30
S' implora altronde ?) ecco , tu stesso vedi
L* arroganza de' Rutuli , e quel fasto
Con che Turno cavalca; e vedi il vampo
E la mina che si mena avanti;
Da la sua tracotanza e dal successo ' 35.
Di questa pu^a insuperbito e gonfio. ^ ti
Vedi 1 Teucri infelici , eh' ancor chiusi
Non son securi ; e 'nfiji dentro a le porte
E 'n su' ripari e 'n su le lor difese
l^on combattuti ; e la lor propria, fossa 40
E di lor sangue un lago. Di ciò nulla
n mio figlio non sa : tanto n' è lungo.
Or non na eh' una volta esca d* assedio
Questa misera gente ? Ecco han le mura
De r altra Troja altri nimici attorno ; 45
Altro esercito in campo ; un' altra volta 17
D' Arpi vien Diomede a' danni suoi
Resta , cred' io , eh' un' altra volta ancora
Io sia da lui ferita , e che di nuovo
Sia la tua figlia a mortai ferro esposta. 60
Signor , se centra la tua voglia i Teucri
Son venuti in Italia , è ben ragione
Che sian puniti, e del tuo ajuto indegni
Ma se tratti vi sono , e s' è lor dato
Da gli oracoli tutti e de' celesti
E de' gì' infemi ^ qual può senno 0 forza
A Giove opporsi, e far nuovo destino?
Ch' io non vo' dir de le combuste navi
Su la spiag^a ericina . né de' venti
Che '1 re spmse d' Eolia a tempestarlo,
Nò d' Iri che di (pi Ai già mandata
f'
riMhMik
2C8 EXEIDB
Per darle al foco. Infìn da V Acheronte
Tratte ha le Furie (questa sol mancava
Parte de l'universo non tentata
A loro offesa) ; d' Acheronte , dico , 65
Ha tratta Aletto a suscitar V Italia
Incontr' a loro. Or , Si^jnor mio , non curo
Più d* altro imperio. Io lo sperava allora
Ch'era più fortunata. Imperi e vinca
Or chi t aggrada. E s" anco non è loco 70
Nel mondo, ove a la tua dura consorte 43
Piaccia che sian quest' infelici accolti ,
Per r incendio , Signor , per la mina ,
E per la solitudine ti prego
De la mia Troja, che ritrar mi lasci 75
Salvo da questa guerra Ascanio almeno.
Lasciami , Padre mio , questo nipote
Mantener vivo : e se ne vada Enea
Ramingo ovunque il mare 0 la fortuna
Lo si tramandi. Io lo terrò da 1* armi 80
Remoto ne' miei lochi 0 d' Amatunta ,
O d' Idalio , 0 di Pafo , 0 di Citerà
A menar vita ignobile e privata ,
Pur che sicura. E tu , come a te piace ,
Comanda eh' a V Ausonia il giogo imposto 85
Sia da Cartago , si che più non l' osti 53
In alcun tempo. Or che, Padre, ne giova
Che da V occisloni e da gì' incendi
De la lor patria e da tant' altri rischi
Sian già del mare 0 de la terra usciti ? 90
E che vai che da te sia lor promessa
Da lor tanto ricerca e già trovata
Questa Troja novella , se di nuovo
Gonvien che caggia ? assai meglio sarebbe
Che fosser tra le ceneri e nel guasto , 95
Dove fu l'altra. A Xanto, a Simoenta
Fa, ti prego, Signor, che si radduca
Questa gente infelice , e che ritorni
A passar d' Ilio i guai. Giunone allora
Inmrlata , A che , disse , mi tenti , 100
Perch' io rompa il silenzio , e mostri il duolo
Ch' ho portato nel cor gran tempo ascoso ?
Qual è mai per tua fé stato uomo , 0 Dio
Ch'Enea sforzasse a cercar briga? e farsi
Nemico il re Latino ? Oh 'I fato addotto 105
L' ha ne V Italia. Si , ma da le furie
G* è spinto di Cassandra. E chi gli ha dato
Gonsiglio ? io forse , oh' abbandn;;;^ ^ ^^^^ '
I
l::3 i » :):::j::.:o 2C9
Io , che dia la sua vita in preda a' venti ?
Io, che la cura e '1 carco do la guerra HO
Lasci in man d' un fanciullo ? e che sollevi 7o
I popoli d* Etruria , e V altre genti
Che si stavano in pace ? E quale Dio ,
Qual mia durezza de' lor danni è rea?
Qui che rileva o di Giuno lo sdegno, 115
Q d' Iri il ministero ? Indegna cosa
E certo che da gì' Itali s' infesti
Questa tua nuova Troja. E degno e giusto
Sarà che Turno non si stia sicuro
Ne la sua patria terra ? un tal nipote 120
Di Pilimno eh' è divo , un tanto figlio 75
Di Venilia eh' è Ninfa ? E degna cosa
Ti par che muova Enea la guerra a Lazio ?
Gh' assalga , che soggioghi , che deprede
Le terre altrui ? che V altrui donne usurpi f 125
Ch' in man porti la pace , e che per mare
E per terra armi ? Tu potrai tuo figlio
Scampar da' Greci ; tu riporre in vece
Di Im la nehhia e '1 vento ; tu la forma
Cangiar de le sue navi in altrettante 130
Ninfe di mare ; ed io cosa nefanda
Farò , se porgo a' Rutuli un ajuto ,
Per mmimo che sia ? Non v' e tuo figlio
Presente ; non vi sia : non sa ; non sappia.
Sei regina di Pafo , d' Amatunta , 135
Di Citerà e d' Idalio : e che vai dunque
Provocando con 1' armi una contrada -
Non tua, pregna di guerre? e stuzzicando
Si bellicosa gente? Ed io son quella.
Io , che r afflitte lor fortune agogno 140
Di porre al fondo ? E perchè non più tosto
Chi de' Greci a le man gli pose in prima ?
Chi prima fu cagion eh' a guerra addusse
L' Europa e V Asia ? Chi commise il furto
Che fu de la rottura il primo seme ? 145
Io condussi 1' adultero pastore 90
A l'impresa di Sparta fio ftd ch'a Farmi,
Io eh' a r amor V accesi ? Allora il tempo
Fu d' aver tema e gelosia de' tuoi ,
Non or che le querele e le rampogne , 150
Che ne fai, sono ingiuste e tarde e vane.
Così Giuno dicea: quando fi^mendo
Gli Dei tutti mostrar che chi con questa
Consentian , chi con guella. In guisa tale
S' odono i primi venti entro una selva 155
270 ENEIDE
■•Mi
171
Monnorar lun^, e non veduti ancora
Porgere a' marinari indizio e tema
Di propinqua tempesta. Allor del cielo
n sommo , eterno , onnipotente Padre
Riprese a dire. Al suo parlar chetossì 16
La celeste magion ; chetarsi i venti , ioi
E r aria e V onde; e sola infino al centro
Tremò la terra. £i disse : Or che gli Auson^j
Confederar co' Teucri ne si toglie ,
E voi tra voi non v* accordate ; udite 16
Quel eh' io vi dico , e i miei detti avvertite»
Quella stessa fortuna e quella speme,
Qual eh' ella sia , che i Rutuli , o i Trojani
Oggi da lor fÌEuransi, io vi prometto
Aver per rata, e non punto inchinarmi
Più da quei che da questi : e sia 1' assedio
De' Teucri o per destmo . o per errore ,
O per folBe risposte. E ciò dico anco
De^RutulL II successo e buono e rio
Fia d' una parte e d' altra qual ciascuna 171
Per se lo stordirà. Giove con ambi
Si starà parimente , e '1 foto in mezzo.
Cosi detto il torrente e la vorago
E la squallida ripa e l' atra piece^
D' Acheronte giurando , abbassò '1 ciglio » 18(
E tremar fé' col cenno il mondo tutto. iis
Finito il ragionar , suso levossi
Del seggio d' oro ; e gli fèr tutti intorno
Corona e compagnia fino a l' albergo.
L' esercito de' Rutuli stringendo 181
L'assedio intanto, in su le norte e'ntomo iis
Facea de la muraglia incendi e stra£;L
E i Teucri assediati , entro a i ripan
E sopra a i torrioni a la difesa
StavaUy miseri! indamo; e senza speme 19<
Di Alga un raro cerchio avean disteso
Su per le mura. Era de' primi Jaso
D' Imbrasio il figlio , e '1 figlio d' Icetono
Detto Timete , e l buon Castore insieme
Col vecchio Tebro , ed ambi dopo questi 19i
Di Sarpedonte i frati : e Chiaro , ed Emo
Onor (u Licia , e di Lirnesso Ammone.
Questi con un gran sasso era venuto
Su la muraglia , che '1 maggior catoUo
Era d' un monte ; ed egli era non punto 90(
Minor del padre Clizio e di Menesto
Suo famoso frateUp. Altri con sassi ,
LIBRO DECIMO
271
Altri con dardi , o chi con lo saetto ,
E chi col foco a guardia eran del n?uro.
In mezzo do le schiere il vago Jula 205
Gran nipote di Dardano e gran cura i3«
De la bella Ciprigna , il volto e '1 capo
Ignudo, risplendea qual chiara gemma
Che in or legata altrui raggi dal petto,
O da la fronte ; o qual da dotta mano 210
In ebano commesso , o in terebinto
Candido avorio a gli occhi s' appresonta,
Sovra al collo di latte il biondo crino
Avea disteso , o d' oro un lento nastro ^
Gli facca sotto e fregio insieme e nodo. 215
Ismaro , e tu fra si famosa gente
Con r arco saettar ferite e tosco
Fosti veduto, generosa pianta
Del meonio paese , ove fecondi
Sono i campi di biade , e i fiumi d* oro. 220
Memmo v* era ancor egli , a cui la fuga
Dianzi di Turno avea gloria acquistata »
Ond' era fino al ciel sublime e chiaro.
Eravi Capi , onde poi Capua il nome
E l'origine ha presa. Avean costoro 225
Tra lor diviso il carico e '1 periglio 4*5
Di si dura battaglia. E 'n questo mentre
Solcava Enea di mezza notte il maro.
Egli , poiché d' Evandro ebbe lasciato
L* amico albergo , e che nel campo giunse 230
De' Toschi , al tosco re^^e appresentossL
E con lui ristringendosi , il suo nomo ,
Il suo legnaggio , la sua patria , in somma
Chi fosse , che chiedesse , che portasse
Gli espose; e qual Mezenzio appoggio avesse , 235
E r orgoglio di Turno e V apparecchio
E l'incostanza de l'umane cose
Gli pose avanti. A le ragioni ag^unse
Esempi e preci si eh* immantinente ,
Tarconte acconsentì. Strinser la lega , 240
Unir le forze , ed apprestar le genti
In un momento. Di straniero duce
Provvisti i Lidj e già djtl fato sciolti
Salir sovra 1' armata. E pria di tutti
Uscio d' Enoa la capitana avanti. ^5
Questa avea sotto al suo rostro dipinti i
Quai sotto al carro de la madre Ideia,
Duo che '1 legno traean frigi leoni ,
E d' Ida gli pendea di sopra il monte
■ lu— "|M*«
272 BXBIDB
i^«i«p
Amaro suo disio , dolce ricordo 250
Del patrio nido. In su la pop];)a assiso 153
Stava il duce trojano ; e aa sinistra
Avea d* Evandro il figlio che tra via
L' interrogava or del viaggio stesso
E de le stelle , ed or de gli altri suoi 255
O per terra 0 per mar passati affanni.
Apritemi Elicona, alme sorelle,
E cantate con me che gente 0 auanta
D' Etruria Enea seguisse , e di che parte
E con qual' armi e come il mar solcasse. 260
Massico il primo in su la Tigre imposto los
Avftì di mille giovani un drappello ,
Che di Chiusi e di Cosa eran venuti
Con r arco in mano 0 con saette a' fianchi.
Appresso a lui seguendo il torvo Ahanto 265
Sotto r insegna del dorato Apollo
Seicento n' imbarcò di Populonia ,
Trecento d' Elba , in cui ferrigna vena
Abbonda si che n' erano ancor essi
Dal capo a i pie tutti di ferro Armati. 270
Asila il terzo , sacerdote e mago
Che di fibre e di fulmini e d* uccegli
E di stelle era interprete e *ndovino ,
Mille ne conducea , eh' un' ordinanza
Facean tutta di picche ; e tutti a Pisa 275
Eran soggetti , a la novella Pisa 17 0
Che già figlia d' Alfèo , d' Arno ora è sposa.
Asture ardito cavaliere e bello,
E con beli' armi di color diverse ,
Vien dopo questi con trecento appresso 280
Di vari lochi , ma d' un solo amore
Accesi a seguitarlo. Eran mandati
Da Gereto e da i campi di Mignone ,
Da i Pirgi antichi e da V aperte spiagge
De la non salutifera Gravisca. 285
Di te non tacerò , Cigno gentile ,
Di Cupavo dicendo , ancor che poche
Fosser le genti sue. Questi di Cigno
Era figliuolo , onde ne l' elmo avea
De le sue jpenne un candido cimiero 2Q0
In memoria del padre, e de la nuova i87
Forma in eh' ei si cangiò , tua colpa , Amore.
Che de r amor di Faeto^ite acceso ,
Come si dice , mentre che piangendo
Stava la morte sua , mentre eh' a 1' ombra 295
Do lo pioppo f che pria gli eran sorelle ,
LIBRO DECIMO Z7TS
Sfogava con la Musa il suo dolore ;
Fatto cantando già canuto e voglio
In augei si converse, e con la voce
E con r ali da terra al cielo alzossL 800
Il suo figlio co' suoi portava un legno
A cui sotto la prora e sopra 1* onde
Stava un centauro minaccioso e torvo.
Che con le braccia e con un sasso in alto
Sembrava di ferirle, e via correndo 305
Gol petto le facea spumose e bianche.
Ocno poscia venia, del tosco fiume
E di Manto indovina il chiaro figlio ,
Che te , mia patria , eresse , e che del nome
De la gran madre sua Mantua ti disse; 310
Manina d'alto legnaggio; illustre e ricca, «Jo
E non d' un sangue. Tre le genti sono ,
E de le tre ciascuna a quattro impera.
Di cui tutte ella è capo, e tutte insieme
Son con lo forze de V Etruria unite. 315
Quinci ne fur contra Mezcnzio armati
Cinquecento altri; e Mincio un figlio altero
Del gran Benaco fii.che gli condusse
Di verdi canne inghirlandato il fidente.
Giva il superbo Aulete con un legno 386
Di cento travi il mar solcando in guisa
Che spumante il facea, sonoro e crespo.
Premca le spalle d* un Tritone immane ,
Che con la cava sua cerulea conca
Tremar si facea V acqua e i liti intomo. 326
Dal mezzo in su , la fronte ispido e '1 mento
Sembra d' umana forma ; e '1 ventre in pesce
Oli si ristringe ^ e col ferino petto
Fende il mar si che rumoreggia e spuma.
Da onesti eletti eroi , con queste genti 330
Eran r onde tirrene allor solcate tit
In sussidio di Troja. E già dal cielo
Caduto il giorno , era de V erta in cima \
La vaga luna; quando il frigio duce
Or al timone , or a la vela intento 335
Co' suoi pcnsier vegliava. Ed ecco avanti
Nuotando gli si fa di Ninfe un coro,
Di lui prima compagne, e quelle stesse
Che, già sue navi, da Cibele in Ninfe
Furon converse , e Dee fatte del mare. 340
Tante in frotta ne gian per Y onde a nuoto
Quante eran navi in prima. E di lontano
Riconosciuto il re, danzando in cerchio
Dell'Eneide IS
271 Kc::-:,::
Gli SI sU'li.^jTO intorno. Una fra l'altre
La più ili Lutto accorta parlatricc 345
Cimodocèa , la sua nave seguendo ,
Con la destra a la poppa , e con la manca
Tacita remigando, il capo e '1 dorso
Solo a galla tenendo , d' improvviso
Cosi gli disse : Enea stirpe divina , 350
Vegli tu ? Veglia : il fune allenta , e *1 seno
Apri a le vele tue* De la tua classe
Noi fummo i legni e de la selva Idea,
E siamo or Ninfe. I Rutuli col foco
N' hanno e col ferro dipartite e spinte 355
Da' tuoi nostro mal grado. Or te cercando
Siam qui venute. Per pietà di noi
La Berecinzia madre in ffucsta forma
N' ha del mar fatte abitatrici e Dee.
Ma '1 tuo fanciullo lulo in mezzo a V armi 3G0
Si sta cinto di fossa e di muraglia
Da' feroci Latini assediato.
I tuoi cavalli e gli Arcadi e gli Etrusci
Unitamente han di già proso il loco
Comandato da te. Turno disogna 3C5
Co' suoi d' attraversarli, e porsi in mozzo
Tra '1 campo e loro. Or via naviga, approda ;
Sorgi tu pria che '1 sole, e sii tu '1 primo
Ad ordinar le tue genti a battaglia.
Prendi ì' invitto e luminoso scudo 370
Da Vulcan fabbricato, e d'or commesso: 212
Che diman (se mi credi) alta e famosa
Farai tu strage de' nemici tuoi.
Ciò disse, e come esperta al legno in poppa
Tal dio pinta al partir, che più veloce 375
Corso che daMo 0 strai che 'l vento adegui.
Dietro gli altri affrettar si che stupore
N' cl)br) d' Anchisc il ri:;lio. E rincorato
Da si t'elico annunzio, ni cielo orando
Divotamonto si rivolse , e disse : 380
Alma Dea de gli Dei gran genitrice ,
Di Dindimo regina che di torri
Vai coronata e'n su leoni assisa,
Te por mia duco a questa pugna invoco.
Tu rondi quo^^to nn^iirio 0 questo giorno, 385
Ti priego, a i Frigi tuoi propizio 0 lieto.
Questo sol disse ; e luminoso intanto
Si fece il mondo. Ei primamente impose
Che rotto al soi^no siio ciascun no gisse,
Gh' ognun s' armasse, ognuno a la battaglia 300
LI BUG DECIMO _^,,>'275
Si disponesse. E già venuto a vista ik59
De' Rutuli e de' Teucri , alto levossi
In su la poppa ; s' imbracciò Io scudo ,
E lo vibro si eh* ambedue raggiando
Empiè di luce e di baleni i campL
Di su le mura la dardania gente
Giojosa inflno al ciel le grida alzaro.
E sopraggiunta la speranza a V ira
A trar di nuovo e saettar si diero
Con un rumor, guai sotto l' atre nubi 400
Nel dar segno di nembi e nel fuggirli te^
Fan le strimonie gru schiamazzo e rombo.
Mentre ciò Turno e gli altri ausocj duci
Stavan meravigliando, ecco a la riva
Si fa pien d' armi e di navilj il mare. 405
lùica di cima al capo e de la cresta
Del fin elmo spargea lampi e scintille
IV ardente fiamma ; e ^ran lustri e gran fochi
Raggiava de lo scudo il colmo e V oro :
Come ne la serena umida notte 410
La lugubre e mortifera cometa
Sembra che sangue avventi; o'I Sirio cane.
Quando ncasccndo a' miseri mortali
Ardore e sete e pestilenza apporta,
E col funesto lume il ciel contrista. 415
Non men por questo ha Turno ardire e speme
D' occupar prima il lito , e da la terra
Ributtare 1 uemici. Egli animando
E riprendendo la sua gente, avanti
Si spinge a lutti, e gridd: Ecco adempito 420
Vostro ma^j-gior disio. Più non vi sono
Le mura in mozzo. In voi , ne le man vostre
La pu^na e Marte e la vittoria ò Jiosta.
Or qui de ia suo donna, de' suoi hgli.
De la sua casa si rammenli ognuno: 425
Ognun davanti si proponga i latti t8i
E le lodi de' padri. Andiam noi jffima
A rincontrargli , infin che l' onda e 1 moto
Ce gli rende del mar non fermi ancora.
Via , eh 'agli arditi è la Fortuna aroica, 430
Detto così , va divisando come
Parte ior centra ne conduca , e parte
A l'assedi») ne lasci. Intanto Enea
Per (lisbarcare i suoi , le scafo e i ponti
Avea già presti. E di Ior molti attenti 435
Al ritorno de 'flutti con un salto
Si lanciarono in socco ; e chi co 'remi ,
1 ■
276 ENEIDE
Chi con le travi no V arena uscirò.
Tarconte , poi eh *ebbe la riva tutta
Ben adoccniata, non là dove il vado 440
Disperava del tutto, o dove l'onda «9o
Mormorando frangea, ma dove cheta
E senza intoppo avea corso e ricorso,
Voltò le prore ; e , Via (disse) compagni ,
Via , gente elotta : ite con tutti i remi 445
Di tutta forza, e si pingete i legni
Che si faccian da lor canale e stazzo.
Dividete co 'rostri e con le prore •
Questa nemica terra : in questa terra
Mi gittate una volta; e che che sia 450
Segua poi del navile. A questo pregio
Non curo del suo danno : afferri , e pera.
Al detto di Tarconte alto in su 'remi
Levarsi , e si co 'rostri a 'liti urtaro
Ch 'empier di spuma il mar , di sabbia i campi ; 455
E i legni tutti ne l' asciutto infìssi 3oo
Fermarsi interi. Ma non già , Tarconte ,
Il legno tuo, che d'una ascosa falda
Ebbe di sasso in approdando intoppo;
Dal cui dorso inchinato , e dal mareggio 460
Lungamente battuto , al fìn del tutto
Aperto e sconquassato , in mezzo a l 'onde
Le genti espose ; e '1 peso e l 'imbarazzo
De l'armi , e gli armamenti infranti e sparsi
Del rotto le^no, e'I flutto che rediva* 465
Le tennero impedite e risospinte.
Turno le schiere sue rapidamente
Al mar condusse , e tutte in ordinanza
Su '1 lito incontro a 'Teucri le dispose.
Dieron le trombe il segno, n Trojan duce 470
Fu che prima assali le torme agresti , sio
E si fé 'con la strage de 'Latini
E con la morte di Terone in prima
Augurio a la vittoria. Era Terone
Un di corpo maggior de gli altri tutti; 475
E tanto ebbe d' ardir che da se stesso
Incontr 'Enea si mosse. Enea col brando
Tal un colpo gli trasse , che lo scudo ,
Benché ferrato, e la corazza e'I fìanco
Foró^li insieme. Indi avventossi a Lica 480
Che da l 'aperte viscere fti tratto
De la già morta madre , e pargoletto ,
Preservato dal ferro , a te fd sacro ,
Febo padre di luce; ed or morendo
LIBRO DECIMO 277
Vittima cadde a Marte. Uccise appresso 48S
Cisso feroce , e Già di corpo immane ,
Ch* ambi di mazze armati ivaa le schiere
De* suoi Teucri atterrando. E lor non valse
Né d' Ercole aver V armi né le braccia
D' erculea forza , né che già Melampo 490
Lor padre in compagnia d' Ercole fosse sso
Allor che de la terra a sof&ir ebbe
I duri affanni. A Faro un dardo trasse
Mentre gridando e millantando incontra
Gli si facea. Colpillo in bocca a punto 495
Si che la chiuse e V acchetò per sempre.
E tu , Gidon , per le sue mani estinto ,
Misero! giaceresti a Clizie appresso
Tuo nuovo amore , a cui de' primi fiori
Eran le guancie colorite a pena; 500
Né più stato saresti esca a gli amori
De' suoi simili , onde mai sempre ardevi ;
Se non che de' fratelli ebbe una schiera
Subitamente addosso. Eran costoro
Sette figli di Forco , e sette dardi 505
Gli avventare in un tempo. Altri de *quali 320
Da r elmo e da lo scudo risospinti ,
Altri ftiron da Venere sbattuti
Si ch *o vani , o leggieri il corpo a pena
Leccar passando. In questa Enea rivolto , 510
Dammi (disse ad Acato) de ^1* intrisi
Nel sangue greco, e sotto Dio provati;
E non fia colpo in fallo. Una grand' asta
Gli porse Acato in prima , ed ei la trasse
Si cne volando ne lo scudo aggiunse 515
Di Mòone , e la piastra ond' era cinto
E la corazza e '1 petto gli trafisse.
Alcanor suo fratello nel cadere ,
Mentre le braccia al tergo gli puntella,
L 'asta nel trapassare , il suo tenore 520
Continuando , insanguinata e calda
La destra gli confisse ; e da le spalle
Pendè del n'alo , infin che l' un già morto 9
E r altro moribondo , a terra stesi
Giacquero entrambi. Numitòre il terzo 525
Da questo sconficcandola e da (juello, »4«
LancioUa incontro Enea. Di ferir lui
Non gii successe , ma del grande Acato
Graffiò la coscia lievemente , e scorse.
Clauso il sabino ardito e poderoso 530
Qui si mostrò con una picca in mano
278 ENETDR
E Driope investì nel primo incontro.
Glie n' appuntò nel gorgozzule , e pinso
Tanto che la parola e *1 fiato e r alma
In un ffli tolse. Ed ci cadde boccone , r/'.ó
E per bocca gittò di san^e un fiume.
Gacciossi avanti, e tre di Tracia appresso
De la gente di Borea , e tre de' figli
D' Idante , alunni d' Ismara e di Troja
In variate guise a terra stese. D :•)
Venne a rincontro Aleso , e de gli Auninci
Un* ordinanza. Di Nettuno il figlio
Messapo i suoi cavalli avanti spinse.
Ed or questi sforzandosi, ed or quelli
Di cacciare 1 nemici , in su V entrata 5 15
Si combattea d' Italia. E guai tra loro 20 .
S 'azzuffano a le volte avversi e pari
Di contesa e di forza in aria i venti ,
Che né lor , né le nugole , né '1 mare
Ceder si vede , e lungamente incerta 550
Si la mischia travaglia , eh' ogni cosa
D'ogni parte tumultua e contrasta:
Tale appunto de' Rutuli e de' Teucri
Era la pugna, e si fiera e si stretta
Che giunte si vedean 1' armi con 1' armi , 555
E le man con le mani , e i pie co' piedi.
D' altra parte ove rapido e torrente
Avea il fiume travolti arbori e sassi,
Da loco malagevole impediti
Gli arcadi cavalieri a pie smontare. 560
E ne 'pedestri assalti ancor non usi ,
Da' Latini incalzati , avean le terga
Già volte a Lazio ; quando (quel che s' usa
In si duri partiti) a lor rivolto
Fallante, or con preghiere, or con rampogne, :j,o
Ah compagni , ah fratelli (iva gridando) 3 s
Dove fuggite ? Per onor di voi ,
Per la memoria di tant' altri vostri
Egregi fatti , per l' egregia fama ,
Per le vittorie del gran duce Evandro, 570
E per la speme che di me concetta 370
A la patema lode emula avete,
Non ponete ne' pie vostra fidanza.
Col ferro aprir la strada ne conviene
Per mezzo di color che là vedete , 575
Che più folti n' incalzano e più feri
Per ^ comanda l' alta patria nostra
Che voi meco n' andiate. E di lor nullo
LIHllO DECIMO 279
585
È che sia Dio : son uomini ancor essi
Come Siam noi ; e noi com' ossi averne 580
n cor , le mani e Y armi. E dove , dove
Vi salverete ? Non vedete il mare
Che v' è davanti , e che la terra manca
Al ftigijàr vostro ? E se por V onde ancora
Fuggiste, alfìn dove n'andrete? a Troja?
E cosi detto , in mezzo de' più densi
E de' più formidabili nemici
Anzi a tutti avvontossi. E Lago il primo
Per sua disavventura gli s* oppose.
Stava costui chinato , e per ferirlo 590
Divelto avca di terra un gran macigno;
Quando lo sopraggiunse , e ne la schiena
Tra costa e costa il suo dardo piantogli j
Si che tirando e dimenando a pena
Ne lo ritrasse. Isbon di Lago amico , 595
Mentr 'egli in ciò s' occupa , ebbe speranza ssi
Di vendicarlo , e 'ncontra gli si mosse.
Ma non gli riusci ; che mentre incauto
Dal dolor trasportato e da lo sdegno
Del suo morto compagno infuriava, 600
Ne la spada del giovine inlìlzossi
Da r un de* fianchi : onde trafitto e smunto
Ne fu di sangue il cor, d'ira il polmone.
Poscia Stenelo uccise; uccise appresso
Anchemolo. Costui fu de Tantica 605
Stirpe di Reto , incestuoso amante
Di sua matrigna. E voi, Laride e Timbro,
Figli di Dauco ambi d' un parto nati
Per le sue man cadeste. Eran costoro
Sì r un del tutto a l' altro somigliante , CIÒ
Che dal padre indistinti e da la madre soi
Facean lor grato errore e dolce inganno.
Sol or Panante (ahi ! troppo duramente)
Vi fé' diversi : eh' a te '1 capo netto ,
Timbro, recise ; a te , Lande , in terra <)15
Manflò la destra. E questa anco raizzando
Te per suo riconobbe , e con le dita
Strinse il tuo ferro , e *1 brancicò più volte.
Gli Arcadi da' conforti e da le prove
Accesi di Panante, e per dolore 620
E per vergogna di furor s 'armaro
Centra i nemici Se^itò Fallante ;
Ed a Retèo eh' era higgondo in volta
Sopra ima biga , nel passargli a canto
Trasse d' un' asta : e tanto Ilo d' indugio 625
280 GNGIDE
Ebbe a la morto sua , eh' ad Ilo indritto
Era quel colpo in prima. Ma Retòo
Vemie di mezzo , e ricevello in vece
D 'altri colpi , che dietro minacciando
Gli venian Teutro e Tiro i duo buon frati, 630
Che gli oran sopra. Traboccò dal carro
Mezzo tra vivo e morto , e calcitrando
De' Rutuli battè Y amica terra.
Come il pastor ne' dolci estivi giorni
A lo spirar de' venti il foco accende 635
In qualche selva : che diversamente 406
Lo spar^^e in prima ; e con diversi incendi
Subito di Vulcan ne va la schiera
Ciò eh' è di mezzo divorando in guisa
Gli 'un sol diventa : ed ei stassi in disparte 040
Del fatto altero , e di veder giojoso
La vincitrice fiamma , e l' arso bosco :
Cosi'l valor de gli Arcadi ristretto
Per soccorrer Fallante insieme unissL
Ma'l bellicoso Aléso incontro a loro 645
Si ristrinse ancor ei con 1' armi sue, 4ii
E Ladone e Demòdoco e Pereto
Uccise in prima. Indi a Strimonio un colpo
Trasse di spada che la destra mano ,
Mentre con un pugnai gli era a la gola , 650
Gli recise di netto. E si d' un sasso
Feri Toante in volto , che gì' infranse
Il teschio tutto , e ne schizzar col sangue
L' ossa e '1 cervello. Era d' Aléso il padre
Mago e 'ndovino ; e del suo figlio il fato 655
Avea previsto : onde gran tempo ascoso
In una selva il tenne. E non per questo
Franse il destino: che già veglio a pena
Chiusi ebbe gli occhi , che le Parche addosso
Gli dier di mano : onde a morir devoto 6G0
Fu per r armi d' Evandro. Incontro a lui
Mosse Panante in cotal guisa orando :
Dà , padre Tebro , a qriesto dardo indrizzo ,
Fortuna e strada ; ond 'io nel petto il pianti
Del duro Aleso : e '1 dardo e le sue spoglie 665
A te fian poscia in questa quercia appese. At2
Udillo il Tebro ; e mentre Aléso aita
Porgendo ad Imaon , lo scudo stende
Per coprir lui , se stesso discoverse
Al colpo di Panante , e morto cadde. 670
Lauso che de la pugna ora gran parte ,
Visto al cader à* un si degno cam.pioiie
i.ìuuo d;:cimo • ^si
Caduta la contesa e T ariliniento -
De le schiere latine , egli in sua vece
Tosto avanti si spinse e rinfrancolle. 075
E prima di sua mano Abante ancise ,
Gh era di q^uella zuffa un duro intoppo,
E de ^nemici il più saldo sostegno.
Or qui strage si fa d' Arcadi insieme ,
E de' Toschi , e di voi , Trojani intatti 680
Ancor da* Greci. E qui d' ambe le parti 430
Tutti con tutti ad affrontar si vanno.
Pari le forze e pari i capitani
Son d' ambi i lati ; e quinci e quindi ardenti
Si ristringono in guisa che gli estremi 685
Fanno ancor calca e 'mpedimento a* prlmL
Da questa parte sta Fallante , e Lauso
Da quella, i suoi ciascuno inanimando.
Spingendo e combattendo. E l'un diverso
Non è molto da T altro né d* etate 690
Né di bellezza; e parimente il fato
A ciascuno ha di lor tolto il ritorno
Ne la sua patria. E non però tra loro
S* affrontar mai ; che '1 re^^nator celeste
Riserbava la morte d* ambedue 695 »
A nemici maggiori. In questo mezzo
La Ninfa, che di Turno era sorella;
Il suo frate awertisce , che soccorso
Procuri a Lauso. Ond' ei tosto col carro
Lo schiere attraversando ; a' suoi compagni 700
Giunto che fu, Via (disse) or non è tempo uo
Che voi più combattiate. Io sol ne vado
Gontra Fallante : a me solo è dovuta
Lo morte sua : cosi il suo padre stosso
V 'intervenisse , e spettator ne fosse. 705
Detto eh* egli ebbe , incontanente i suoi ,
Siccome imposto avea , del campo uscirà
Fallante, visti i Rutuli ritrarsi,
E lui sentendo, che con tanto orgoglio
Lor comandava ; poscia che '1 conobbe 710
Lo squadrò tutto , e stupido fermossi
A veder si gran corpo. Indi feroce
Gli occhi intorno girando , a i detti suoi
Così rispose : Oggi 0 d* opime spoglie ,
O di morte onorata il pregio acguisto. 713
E '1 padre mio ( tal è d' animo invitto 450
• Incontr' ogni fortuna , 0 buona 0 rea
Che sia la mia ) ne porrà '1 core in pace.
Via , che <V altro è mestier che di minacce.
2S3 ENEIDE
E ciò dettò si mosse , e fiero in mezzo 720
Presentossi del campo. Un gel per Y ossa
E per le vene a gli Arcadi ne corse.
E Turno dalla biga con un salto
Lanciossi a terra ; eh' assalirlo a piedi
Prese consiglio. E qual fiero leone 725
Che , veduto nel pian da lungo un toro
Con le corna a battaglia esercitarsi,
Dal monte si dirnpa e rugge e vola :
Tal fu di Turno la sembianza a punto
Nel girgli incontro. Il giovine , che meno 730
Avea di forze , s' avviso di. tempo
Prender vantaggio , e di provare osando
S* aver potesse m alcun modo amica
Almen fortuna; e già eh* a tiro d' asta
S' eran vicini , al ciel rivolto disse : 735
Ercole , se ti fu del padre mio 459
L* ospizio accetto , e la sua mensa a grado ,
Allor che peregrin seco albergasti ;
Dammi, ti priego, a tanta impresa aita
Sì che Turno egli stesso in chiuder gli occhi 740
Veggia e senta morendo , eh' a me tocca
Vincere e spogliar lui d' armi e di vita.
Udillo Alcide , e per pietà che n' ebbe
Nel suo cor so ne dolse e lagrimonne:
Quantunque indamo. E Giove per conforto 745
Del figlio suo, cosi seco ne disse:
Destinato a ciascuno è '1 giorno suo ;
E breve in tutti e lubrica e Aigace
E non mai reparabile sen vola
L' umana vita. Sol per fama è dato 750
A gli uomini , che sian vivaci e chiari 408
Più lungamente. Ma virtute è quella
Che gli fa talL E non per questo alcuno
E che non muoia. E quanti ne morirò
Sotto il grand' Ilio , ch*^eran nati in terra 755
Di voi celesti ? E Sarpedonte è morto
Ch' era mio figlio : e Turno anco morrà ;
E già de la sua vita è giunto al fine.
Cosi disse , e da' rutuli confini
Torse la vista. Allor Pallante trasse 7C0
Con gran forza il suo dardo , e '1 brando strinse
Incontro a Turno. Investi '1 dardo a punto
Jià 've 1 braccial su 1' omero s' affibbia ,
K tra '1 suo groppo e l' orlo de lo scudo
Come strisciando , di ri vasto corpo 7C5
Lievemente afferrò la peUe a pena.
IJBIIO UiiCJMO 2^3
Turno , poiché '1 nodoso e ben ferrato
Suo frassino brandito e bilanciato
Ebbe più volte , Or prova tu ( gli disse )
Se *1 mio va dritto , e se colpisce e fora 77;)
Più del tuo ferro: e trasse. Andò ronzando i.si
Per r aura , e con la punta a punto in mczz j
Si piantò de lo scudo. E tanto piastre
Di metallo e d* acciajo , e tante cuoja
Ond' era cinto , e la corazza e '1 petto 775
Passògli insieme. Il giovine ferito
Tosto fuor si cavò di corpo il telo ;
Ma non gli valse , che con esso il sangue
E la vita n* uscio. Cadde boccone
In su la piaga , e tal dio d' armi un citdio, 780
Che ancor morendo , la nimica terra 488
Trepida ne divenne e sanguinosa.
Turno sopra il cadavere fermossi
Alteramente, e disse: Arcadi, udite,
E per me riportate al vostro Evandro, 785
Che qual di rivedere ha meritato
n suo Fallante , tal glie ne rimando ;
E ^li fo grazia , che d' esequie ancora
E di sepolcro e di qual altro fregio ,
Che conforto gli sia , V orni e V onori ; 790
Ch' assai ben caro infine a qui gli costa
L' amicizia d* Enea. Cosi dicendo ,
Col manco pie calcò V estinto corpo :
E d' oro un cinto ne rapi di pondo ,
D' artificio e di pregio , ove per mano 785
Era del buon Eurizio istoriata'
La fiera notte , e i sanguinosi letti
Di quell' empie fanciulle , in grembo a cui
Fur già tanti in un tempo e irati e sposi
Sotto fò d' Imeneo giovani ancisi. 800
Di questa spoglia altero e baldanzoso
Vassene or Turno. O cieche umane mentii ,
Come siete de* fati e del futuro
Poco avvedute ! E come oltra ogni modo
Ne* felici successi insuperbite! 805
Tempo a Turno verrà eh' ogni gran cosa so»
Ricompreria di non aver pur tocco
Panante : e le sue spoglie e *1 di che V obhe
In odio gli cadranno. Il morto corpo
Nel suo scudo composto i suoi compagni 810
Levar dal campo , e con solenne pompa
E con molti lamenti e molto pianto
Lo riportare al padre. O qual Fallante
2vS4 ENEIDB
830
Tornasti al padre tuo gloria e dolore !
Ch'una stessa giornata, eh* a la guerra 815
Ti diede , a lui ti tolse. Oh pur gran monti 5os
Lasciasti pria di tuoi nemici estmtL
Corse la fama, anzi il verace avviso
A. r orecchie d' Enea d* un danno tale
E d'un tanto periglio, che già volto 820
Era il suo campo in fuga. Incontanente
Si fa col ferro ima spianata intorno ;
Poscia s' apre una via , di te cercando ,
Turno , e 1 tuo rintuzzar cresciuto orgoglio
Per la vittoria di Pallante ucciso. 825
Fallante, Evandro e V accoglienze loro
E le lor mense , ove con tanto amore
Forestier fti raccolto , e la contratta
Già tra loro amistà davanti a gli occhi
Si vedea sen^pre. E per onore a V ombra
De r amico , e per vittima al grand' Orco
Molti giovani avea già destinati
Vivi salificar sopra al suo rogo;
E di già ne facea quattro d' Ufente
Addur ledati, e quattro di Sulmona. 835
E tra via combattendo , incontr' a Mago
Tirò d' un' asta : a cui sotto chinossi
L' astuto a tempo si che sopra al capo
Gli trapassò divincolando il colpo ;
E ratto risorgendo, umilemente 840
Gli abbraccio le ginocchia , e cosi disse : 523
Per tuo padre e tuo figlio , Enea , ti prego ,
A mio padre, a mio figlio mi conserva.
Di gran legnaggìo io sono , e gran tesori
Tengo d' argento sotterrati e a oro 845
In massa e n conio. La vittoria vostra
Solo in me non consiste. Una sol' alma
In cosi grave e grande affor che monta?
Rispose Enea :• Le tue conserve d' oro
E d* argento conserva a' figli tuoi 850
Questi mercati ha Turno primamente 5^2
Tolti fra noi , poi eh* ha Fallante ucciso.
Ed al mio padre ed al mio figlio, in grado
Fia la tua morte. Ciò dicendo , a l' elmo
Le man gli stese; e poiché gli ebbe il collo
Chinato al colpo , insmo a 1* elsa il ferro
Ne la gola gì' immerse. Indi non lungo
Emonide incontrando , un sacerdote
Di Febo e Ai Diana , il fronte adorno
Di sacra benda , e tutto rilucente 860
855
LIBUO DECIMO 285
Di vesti e d* armi, addosso gli si scaglia.
Fugge Emonide, e cade. Enea gli è sopra,
I.o sacrifica a V ombra , e d* ombra il copre.
Poscia de V armi , che '1 meschino a pompa
Portò più eh' a difesa , il buon Seresto 8G5
Lo spoglia, e per trofeo le appende in campo
A te , gran Marte. Ecco di nuovo intanto
eccolo di Vulcan V ardente figlio ,
E *1 Marso Ombron ne la battaglia entrando ,
E rimettendo le lor genti insieme, 870
Spingonsi avanti. Enea da 1* altra parte
Infuriava. Ad Ansure awentossi,
E U manco braccio con la spada in terra
Gittògli e de lo scudo il cerchio intero.
Gran cose avea costui cianciate in prima 875
E concepute ; e d* adempirle ancora 647
S* era promesso. Avea forse anco in cielo
Riposti i suoi pensieri , e s' augurava
Lunga vita e felice. E pur qui cadde.
Poscia Tarquito ardente e d* armi cinto 880
Fulgenti e ricche incontro gli si fece.
Era costui di Fauno montanaro
E de la Ninfa Drlope creato ,
Giovine fiero. Enea paressi avanti
A la sua fiiria , e pinse Y asta in guisa 885
Che lo scudo impedìgli e la corazza.
Allora indarno il misero a pregarlo
Si diede. E mentre a dir molto s* affanna
Per lo suo scampo , ci con un colpo a terra
Gittògli il capo ; e travolgendo il tronco 8^
Tiepido ancor sopra gli stette , e disse : 550
Qui con la tua bravura te ne stai,
Tremendo e formidabile guerriero.
Né di terra tua madre ti ricopra.
Né di tomba t' onori. A i lupi , a i corvi 893
Ti lascio , 0 che la piena in alcun fosso
Ti tragga, 0 che nel fiume, 0 che nel maro
Ai famelici pesci esca ti mandL
Indi muove in un tempo incontro a Lica,
E segue Anteo , che ne le prime schiere 900
Eran di Turno. Assaglie il forte Numa,
Fere il biondo Gamerte. Era Gamerte
Figlio a Volscente , generoso germe
Del magnanimo padre , e de' più ricchi
D' Ausonia tutta : in quel tempo reggea 905
La taciturna Amicla. In quella guisa
Che Bi dice Egeon con cento braccia
E cento mani da cinquanta bocche
Fiamme spirando e da cinquanta petti
Esser già stato col gran Giove a fronte, 910
Quando contra i suoi folgori e i suoi tuoni 567
Con altrettante spa le ed altrettanti
Scudi tonava e folgorava anch' egli:
In quella stessa Enea per tutto '1 campo ,
Poich'una volta il suo ferro fti caldo, 915
Contra tutti vincendo infuriossi.
Ecco Nifòo su quattro corridori
Si vede avanti j e contra gli si spinge
Sì ruinoso , e tal fa lor fremendo
Tema e spavento, che i destrier rivolti 920
Lui dal carro traboccano, e disciolti 573
Sen vanno e vóti imperversando al mare.
Lucalo intanto e Ligeri due frati
Con due giunti cavalli ambi in un tempo
Gli si fan sopra. Ligeri a le briglie 925
Sedea per guida, e Lùcago rotava
La spada a cerco. Enea non sofferendo
La tracotanza, a la ^ià m.ossa biga
Piantossi avanti; e Ligeri gli disse:
Enea, tu non sei già con l5iomede, 930
Né con Achille questa volta a fronte:
Nò son questi i cavalli e '1 carro loro.
Di Lazio è questo , e non de' Frigi il campo.
Qui finir ti convien la guerra e i giorni.
Queste vane minacce e questo vento 935
SofTìava il folle. Enea d' altro risposta
Koa gli die che «le i' asta. E mentre avanti
Spinge i*uno 1 desirieri, e l'altro al colpo
Si st/t chinato e coi pie manco in atto
Di ferir iui, la Sid. lancia a lo scudo 940
Entro sorto di Lùcago, e nel manco 588
Lato ne V ingumaja il colse a punto ,
E giù fiel carro moribondo il trasse.
Indi ancor egli mottcggiollo , e disse:
A te nò paventosi, né restii 945
Son già , Lùcago , stati i tuoi cavallL
Tu da te stesso un si bel salto hai preso
gnor del tuo carro. E ciò detto, a 1 destrieri
iè di piglio. 11 suo frate uscito intanto
Dal carro stesso, umile e disarmato 950
Stcndea le palme in tal guisa pregando:
Deh per lo tuo valore e per coloro
Che ti fér tale , abbi di me , Signore ,
Pietà , che supplicando in don ti chieggio
I.':; . j ì>I::l:(:\io 2>7
Qnc: :,j M!i-o i viia. K seguitando 955
La sua i)j;e.^'iiera, a lui rispose Enea:
Tu non ìiai j^Mà così dianzi abbaiato.
Muori; e moiuado il tuo frate accompagna.
E con qn(;sto parole il ferro spinse,
E j^ii apriU petto, e l'alma ne disciolse. -'^0
Mentre cosi per la campagna Enea eoi
Stra.i^e facendo, e di torrente in guisa
E di tempesta infuriando scorre,
Ascanio e la trojana gioventute
Indarno entro a le mura assediati 905
Saltano in campo. Ed a Giunone intanto
Cosi Giove favella: 0 mia diletta
Sorella e sposa , ecco testé si vede
Com' ha la tua credenza e *1 tuo pensiero
Verace incontro, e come Giterea 970
Sostenta i Teucri suoi. Vedi commessi
Non son nò valorosi, nò guerrieri,
E i cor non hanno a i lor perigli eguali.
A cui Giunon tutta rimessa , Ah ( disse )
Caro consorte, a che mi strazi e pugni, 975
Quando è pur troppo il mio dolor pungente,
E pur troppo tem' io le tue punture ?
Ma se (ui'^l era, e qual esser potrebbe,
Fosse or teco il poter de l'amor mio,
Teco che tanto puoi, da te negato '.''^^
Non mi fora, Signor, ch'oggi il mio Turno
Fosse da la battaglia e da la morte
Per me sottratto e conservato al vecchio
Danno suo padre. Or pera, e col suo sangue.
Che pur è pio, la cupidigia estingua 9.3
De' suoi nemici. E pur anch' egli e nato «i7
Dal nostro sangue: e pur Pilunno è quarto
Padre di lui : da lui pur largamente
Gli aitar molte fiate e i tempj tuoi
Son de' suoi molti doni ornati e carchi. f'^^'J
Cui del ciel brevemente il gran Motore 02j
Così rispose : Se indugiar la morte ,
Ch'è già presente, e prolungare i giorni
AI già caduco giovine t' aggrada
Per alcun tempo, e tu con questo inteso 905
L' accetti , va tu stessa , e da la pugna
Sottrailo e dal destino. A tuo contento
Fin qui mi lece. Ma se in ciò presumi
Ancor più di sua vita, o de la guerra,
Che del tulto si mute o si distorni; 1 '^^
In vau lo speri. A cui Giimo piangendo
288
KNEIDK
Soggiun-se : E che saria , se quel che in voce
Ti gravi a darmi, almen nel tuo secreto
Mi concedessi ? E auesta vita a Turno
Si stabilisse ? già che indegna e cruda 1005
Morte gli s' avvicina , o eh' io del vero
Mi gabDO. Tu che puoi, Signor ^ rivolgi
La mia paura e i tuoi pensieri m meglio.
Poscia che cosi disse , incontanente
Dal ciel discese, e con im nembo avanti loio
E nubi intorno , occulta infra i due campi 633
Sopra terra calessi. Ivi di nebbia,
Di colori e di vento una figura
Formò ( cosa mirabile a vedere ! )
In sembianza d' Enea : d* Enea lo scudo , 1015
La corazza » il cimiero e V armi tutte
Gli finse intorno , e gli die il suono e '1 moto
Propri di lui , ma vani , e senza forze
E senza mente; in quella stessa guisa
Che si dice di notte ir vagabonde 1020
L'ombre de* morti, e che i sopiti sensi
Son da* sogni delusi e da fantasme.
Questa mentita imago anzi a le schiere
Lieta insultando , a Turno s* appresenta ,
Lo provoca e lo sfida. E Turno incontra 1025
Le si spinge e V affronta : e pria da lungo 645
Il suo dardo le avventa , al cui stridore
Volg' ella il terffo e fugge. Ed ei sospinto
Da la vana credenza , e da la folle
Sua speme insuperbito la persegue 1030
Con la spada impugnata : e , Dove , dove
(Dicendo) Enea, ten fuggi? ove abbandoni
La tua sposa novella ? lo di mia mano
De la terra fatale or or t* investo ,
Che tanto per lo mar cercando andavL 1035
E gridando l'incalza, e non s'avvede
Che quel che segue e di ferir agogna.
Non e che nebbia che dal vento è spinta.
Era per sorte in su la riva un sasso
Di molo in guisa; ed un navile a canto 1040
Gli era legato, che la scala e'I ponte
Avea su'l lite, onde ne fu pur dianzi
Osinio il re di Chiusi in terra esposto.
In questo legno , di fuggir mostrando ,
Ricovrossi d^Enea la unta imago , 1045
E vi s' ascose. A cui dietro correndo «56
Turno senza dimora infuriato
n ponto ascese. Era a la prora a pena
LIBRO DKGIMO '^^39
Che Giunon ruppe il fune , e diede al legno
Per lo travolto mare impeto e fuga. lor>a
Intanto Enea , di Turno ricercando ,
A battaglia il chiamava. Ed or di questo
Ed or di quello o di molti anco insieme
Facea strago e scompiglio; e la sua larva ,
Poiché di più colarsi uopo non ebbe , '055
Fuor de la nave uscendo alto levossi,
E con r atra sua nube unissi , e sparvo.
Turno così schernito , e già nel mezzo
Del mar sospinto , indietro rimirando
Come del fatto ignaro , e del suo scampo 1060
Sconoscente e superbo, al ciel gridando
Alzò le palme , e disse : Ah dunque io sono
D' un tanto scorno , onnipotente padre ,
Da te degao tenuto ? A tanta pena
M'hai riservato? Ove son io rapito? 10C5
Onde mi parto? Chi cosi mi caccia? àio
Chi mi rimona ? E ila eh* un' altra volta
Io ritorni a Laurento ? e eh' io riveggia
L'oste più con quest'occhi? E che diranno
I miei seguaci, e quei che m'han nor capo 1070
Di questa guerra , che da me son tutti
(Ahi vitupero ! ) abbandonati a morte ?
E già rotti gli veggio , e già gli sento
Gridar cadendo. 0 me lasso ! che faccio ?
Qual è del mar la più profonda terra 1075
Che mi s'apra e m ingoi? A voi più tosto,
Venti , incresca di me. Voi questo legno
Fiaccate in qualche scoglio , in qualche rupe ,
Gh' io stesso lo vi chieggio : o ne le Sirti
Mi seppellite , ove mai più non giunga 1080
Rutulo che mi veggia , o mi rinfacci «78
Questa vergogna e questa infamia , ond' io
Sono a me consapevole e nimico.
Cosi dicendo, un tanto disonore
In se sdegnando, e di se stesso fuori 1085
Strani , diversi e torbidi pensieri
Si volgea per la mente , o con la spada
Passarsi il petto, o traboccarsi in mezzo.
Si com* era , del mare , e far notando
Prova 0 di ricondursi ond' era tolto , 109Q
O d' affogarsi. E V una e 1' altra via
Tentò tre volte ; e tre volte la Dea
Di lui mossa a pietà ne lo distolse.
Dal turbine e dal mar cacciato intanto
Sì scorso il legno , che del padre Dauiio 1095
290
ENEIDH
A r antica magion per forza il trasse.
Mezenzio in q[uesto mentre che da Y ira
Era spinto di Giove, ardente e fiero
Entrò nella battaglia , e i Teucri assalse
Che già'l campo tenean superbi e lieti.
Da r altro canto le tirrene schiere
Mossero incontro a lui. Centra lui solo
S* unir tutti de' Toschi e gU odj e 1* armi.
Ed egli a tutti opposto alpestre scoglio
Sembrava, che nel mar si si)orga, e i flutti
E i venti minacciar si senta intorno ,
E non punto si crolli. Ognun eh' avanti
O r ardir gli mandava o la fortuna ,
A piò si distendea. Nel primo incontro
Ebro di DoUcào , Làtago e Palmo
Tolse di mezzo. Ebro passò fuor ftiori
Con un colpo di lancia : il volto e*l teschio,
Un gran macigno a Làtago avventando ,
Infranse tutto : ambi i garretti a Palmo ,
Ch' avanti gli fuggia , tronchi di netto ,
Lasciò che rampicando a morir lunge
A suo beli* agio andasse ; ma de V armi
Spogliollo in prima , e la corazza in collo
E r elmo in testa al suo Lauso ne pose.
Uccise dopo questi il frigio Evante;
Poscia Mimante ch'era pari a Pari
Di nascimento , e d' amor seco unito.
D'Amico nacque, e ne la stessa notte
Teana la sua madre in luce il diede ,
Che die Paride al mondo Ecuba pregna
Di fatai fiamma. E pur V un d' essi ucciso
Fu ne la patria , e 1* altro sconosciuto
Qui cadde. Era a veder Mezenzio in campo
Qual orrido , sannuto , irto cignale
In mezzo a' cani allor che da pinoti
Di Vesolo , o da' boschi o da' pantani
Di Laurento è cacciato , ove molt 'anni
ti sia difeso; eh' a le reti aggiunto
ì ferma, arruifa gli omeri, e fremisce
Co 'denti in ^isa che non è chi presso
Osi affrontarlo ; ma co 'dardi solo , *
E con le grida a man salva dintorno
Gli fan tempesta. Cosi contro a lui
Non 8 'arrischiando le nimiche squadre
Stringere i ferri , le minacce e 1' armi
Gli avventavan da lungo: ed ci frc^'oado
Stava intrepido e salto , e con lo sondo
1100
690
11 05
ino
1115
1120
702
1125
iii:o
707
1135
IMO
Liiiuo di:;giHO 291
uo
Sbattea de Y aste il tempestoso nembo.
Di Gòrito venuto a questa guerr^i
Era un greco bantlito, Acron chiamato, li ir>
Novello sposo che non giunto ancora
Con la sua donna a le sue nozze il follo '
Ayca r armi anteposte. E in quella mischia
D**ostro e d' or riguardevole e di penne ,
Sponsali arnesi e doni, ovmicme andava li...»
Per le schiere focea strage e baruffa.
Mezenzio il vide; e qual digiuno e lìero
Leon da fame stimolato, errando
Si sta talor sotto la mandra , e rugge :
Se poi fugace damma, o di ramose Hjrj
Corna gli si discopre un cervo avanti, 720
S'allegra, apre le canne, arruffa il dorso,
Si scaglia , ancide e sbrana ; e *1 ceffo e 1* ugile
D 'atro sangue s' intride : in tal sembiante
Per mezzo de lo stuol Mezenzio altero ijjj
S 'avventa. Acron per terra al primo incontro
Ne va rovescio : e 1* armi e '1 petto infranto ,
Sangue versando, e calcitrancfo spira.
Morto Acrone, ecco Orode che davanti
Gli si toUe. Ei lo segue 5 e non degnando i^j
Ferirlo in fuga, 0 che fuggendo occulto
Gli fosse il leritor, io giunge c'I passa,
L' incontra , io ;UOVoca , a corpo a corpo
Con lui s' azzuifa ; che di forze e d' armi
Più valua che di iiK-to. Al llu l 'atterra , 1 j 70
E l 'asia e 'i ijie sOiJia gì' imprime, 0 dice : 735
Ecco Oi-odc <i ciidato. Una gran parte
Giace de iì; bailcióiia. A questa voce
Lieti aizaiO ^ conipagni al ciel le grida.
Ed ei meiiLiC spulava, 0 (disse a lui) a::,
Qual che tu sii, non lia senza vendetta
La morte mia: nò lungamente altero
N' andrai ; che dietro a me nel campo stesso
Cader convienti. A cui Mezenzio un riso
Tratto con ira , Or sii tu morto intanto 1 1 ;.ì
Ì Rispose) e quel che può, Giove disponga
^oscia di me. Così dicendo , il telo
Gli divelse dal corpo: ed ei le luci
Chiuse al gran bujo ed al perpetuo sonna
Còdice uccise Alcàto. Socratore 1185
Uccise Idaspe. A due la vita tolse 7i7
Rapo ; a Partenio ed al gagliardo Orsone.
Messapo .r.Kih'e^li a duo la morto diede:
A Clonio da cavallo j ad Ericatc ,
20^ BKBIDH
Ch* era pedone , a piede. Agi di Licia 1190
Movendo incontro a lui , fu da Valero
Valoroso e de' suoi degno campione
A terra steso : Atron da Salio anciso ;
E Salio da Nealce che di dardo
Era gran feritore e grande arciero. 1195
D'ambe le parti erano morti, e Marte
Del pari; e parimente i vincitori
E i vinti ora cadendo ora incalzando
Seguian la zuffa ; nò viltà, né fuga
Né di qrua, nò di là vedeasi ancora. 12CJ
L 'ira , la pertinacia e le fatiche
Erano e quinci e quindi ardenti e vane.
E di questi e di quelli avean gli Dei ,
Che dal elei gli vedeaa , pietà e cordoglio.
Stava di aua Ciprigna e di là Giuno 1205
A rimirarli ; e pallida fra mezzo 76o
Di molte mila infuriando andava
La neauitosa Erinni. Una grand' asta
Prese Mezenzio un' altra volta in mano ,
E turbato squassandola, del campo 1210
Piantossi in mezzo, ad Orion simile
Quando co' piò calca di Nereo i flutti ,
E sega r onde , con le spalle sopra
A r onde tutte ; o qual da' monti a l 'aura
Si spicca annoso corro , e '1 capo asconde 1215
Infra le nubi In tal sembianza armato
Stava Mezenzio. Enea tosto che '1 vede
Ratto incontro ^li muove. Ed egli immoto
Di coraggio e di corpo, ad aspettarlo
Sta qua! pilastro in se fondato e saldo. 1220
Poscia eh a tiro d' asta avvicinato
Gli fu d' avanti , O mia destra , o mio dardo ,
(Disse) che Dii mi siete , il vostro nume
A questo colpo imploro : ed a te , Lauso ,
Già di questo ladron le spoglie e l' armi 1225
Per mio trofeo consacro. E cosi detto , 774
Trasse. Stridendo andò per l' aura il telo ;
Ma giunto , e da lo scuao in altra parte
Sbattuto, di lontan percosse Autore
Fra le costole e '1 fianco , Autor d' Alcide 1230
Onorato compagno. Era venuto
D' Argo ad Evandro : e qui cadde il meschino
D' altrui ferita. Nel cader le luci
Al ciel rivolse , e d' Argo il dolce nome
Sospirando , le chiuse. Enea con 1' asta 1235
Ben tosto a lui rispose. E lo suo scudo 787
LIBRO DECIMO 1^3
— -irr ' • ^ — rriiar r
t
Percosse anch' egli , e V interzate piastre
Di ferro e le tre cuoja e le tre falde
Di tela , ond' era cinto , inflno al vivo
Gli passò de la coscia. Ivi fermossi, i840
Che più forza non ebbe. Ma ben tosto
Ricovrò con la spada . e fiero e lieto»
Visto già del nimico il sangue in terra
E '1 terror ne la fronte , a lui si strinse.
Lauso , che in tanto rischio il caro padre 1245
Si vide avanti , amor , tema e dolore
Se no sentì ^ ne sospirò , ne pianse.
E qui , giovine illustre , il caso indegno
De la tua morte e '1 tuo zelo e '1 tuo ùl\0
Non tacerò ; se pur tanta pietate 1250
Pia chi creda de' posteri , e d' un figlio
D' un empio padre. Il padre a si gran colpo
Si trasse in dietro ; che di già ferito »
Benché non gravemente , e da l' intrico
De r asta imbarazzato , era a la pugna 1255
Fatto inutile e tardo. Or mentre cede,
Mentre che de lo scudo il dardo ostile
Di sferrar s'argomenta, il buon ganone
Succede ne la pugna , e del già mosso
Braccio e del brando che stridente e grave 126^
Calava per ferirlo . il mortai colpo 707
Ricevè con lo scudo e io sostenne.
E perch' agio a ritrarsi il padre avesse ^<^
Riparato dal figlio , i suoi compagni
Secondar con le grida; e con un nembo 1265
D' armi , che gli avventar tutti in un tempo f .
Lo ributtare. Enea via più feroce \
Infuriando sotto al gran pavese
Si tenea ricoverto. E qua! , cadendo
Grandine a' nembi , il vlator talora , 1270
Che in sicuro a 1' albergo e già ridotto i
Ogni agricola vede, ogni aratore
Fuggir da la campagna ; o qual d' un greppo
D' una ripa , o d' un antro il zappatore ,
Piovendo , si fa schermo , e '1 sole aspetta 1275
Per compir l' opra : in quella stessa guisa , 107
Tempestato da 1' armi Enea la nube
Sostenea de la pugna : e Lauso intanto
Minacciando garria : Dove ne vai ;
Meschinello , a la morte ? A che pur osi
Più che non puoi? La tua pietà t^ ingannai
E sei giovine e soro, Ei non per questo ,
Folle , meno insultava ; onde più crebbe
1280
1*
«
2P4 KNKinE
U ira del teucro duce. E già la Parca ,
Vota la rocca e non pien anco il fuso, 1285
11 suo nitido filo avea reciso.
Trasse Enea de la spada , e ne lo scudo »
Che liev' era o non pari a tanta forza ,
Lo colpì , lo passò , passògli insieme
La veste che di seta e d' or contesta 1200
Gli avea la stessa madre; e lui por mezzo sia
Trafìsse, e moribondo a terra il trasse.
Ma poscia che di sangue e di pallore
Lo vide asperso e della morte in preda',
Ne ^r increbbe e ne pianse; e di paterna 1- "*
Pietà quasi una imago avanti a gli occhi
Veder gli parve , e 'ntenerito il core
Stese la destra e sollcvollo e disse :
Miserabil fanciullo! e quale aita,
Quale il pietoso Enea può farti onore i » -'^
Degno de le tue lodi e del presagio
Che n' hai dato di te ? L' armi che tanto
Ti son piaciute , a te lascio , e '1 tuo corpo
A la cura de' tuoi , se di ciò cura
Ha pur r empio tuo padre, acciò di tomba i305
E d esequie t onori. E tu , meschino ,
Poiché dal grand' Enea morte ricevi ,
Di morir ti consola. Indi assecura ,
Sollecita , riprende , e de T indugio
Garrisce i suoi compagni; e di sua mano 1310
L 'alza , il sostiene , il terge e de la gora
Del suo sangue lo traggo, ove rovescio
Giace languido il volto e lordo il crine ,
Che di rose eran prima e d' ostro e d' oro.
Stava del Tcbro in su la riva intanto 1315
Lo sfortunato padre, e la ferita 833
Già lavata ne l' onde , afflitto e stanco
S' era con la persona appo d' un tronco
Per posarsi appoggiato ; e Y elmo a canto
Da' rami gli pendoa. L' armi più gravi 1320
Su'l verde prato avean posa con lui.
Stivagli intorno de' più scelti un cerchio
E de' più Mi. Ed egli anelo ed egro ,
Chino il collo al troncone e '1 mento al petto ,
Molto di Lauso interrogava, e molti 2325
Gli mandava or con proci or con precetti,
Ch' al mesto padre omai si ritraesse.
Ma già vinto , già morto e già disteso
Sopra al suo scudo, a braccia riportato
Da' suoi con molto pianto era il moschino. 1330
1
)
Udì Mezenzio il pianto , e di lontano
(Come del mal sovente è l'uom presago)
Morto il figlio conobbe. Onde di polve
Sparso il canuto crine , ambe le mani
Al ciel alzando , al suo corpo accostossi : 1335
Ah mio figlio (dicendo) , ah come tanto 845
Fui di vivere ingordo , che soffrissi
Te di me nato andar per me di morte
A si gran rischio , a tal nimica destra
Succeflendo in mia vece ? Adunque io salvo 1340
Son per le tue ferite ? Adunque io vivo .
Per la tua morte? O miserabil vita!
O sconsolato esigilo ! Or uuesto è T colpo
Ch* al cor m' è giunto. Ed io , mio flgho , io sono
Ch* ho macchiato il tuo nome , ch'ho sommerso 1345
La tua fortuna e'I mio stato felice 85 1
Co' demeriti miei. Dal mio furore
Son dal seggio deposto. Io son che debbo
Ogni grave supplizio ed ogni morte
A la mia patria, al grand' odio de' mici. 1350
E pur son vivo , e gli uomini non fliggo ?
E non fliggo la luce ? Ah fuggiroUa
Pur una volta. E cosi dotto , alzossi
Su la ferita coscia. E benché tardo
l^or la piaga ne fosse e per 1' angoscia , I35i,
Non per questo avvilito , un suo cavallo
Ch'era quanto diletto e quanta speme
Avea ne l' armi , e quel che in ogni guerra
Salvo mai sempre e vincitor lo rese ,
Addur si fece. K poi che addolorato . ' 1360
Se'l vide avanti, in tal guisa gli disse:
Rcbo , noi Siam fin crui vissuti assai ,
Se pur assai di vita na mortai cosa.
O^^gi ò quel di che o vincitori il capo
Riporterem d' Enea con quelle spoglie 13C5
Che son de V armi del mio fìllio infette ,
E che tu del mio duolo e de la morte
Di lui vendicator meco sarai ;
0 che meco (se vano è '1 poter nostro)
Finirai panmente i giorni tuoi: 1370
Che la tua fé , cred' io , la tua fortezza 865
Sdegnoso ti farà d' esser soggetto
A' miei nemici , e di servire altrui
Cosi dicendo , il consueto dorso
Per se mcdcsmo il buon Rcbo gli offerse. 1375
Ed ei r elmo ripreso , il cui cimiero $6?
Era pur di cavallo un* irta coda ,
139C
206 BNKIDH
•^*^^ ^_^ ^
•— — ^ '
StiTTi, come potè, comodamente
Vi s' adagiò. Poscia d' acuU strali
Ambe carche le mani, infra le schiere 1380
LanciossL Amor , vergogna , insania e lutto
E dolore e ftirore e coscienza
Del suo stesso valore accolti m uno
Gli arsero il core e gli avvampare il volto.
Qui tre volte a gran voce Enea sfidando 1385
Chiamò ; che tosto udillo , e baldanzoso ,
Cosi piaccia al gran Padre (gli rispose)
Cosi r inspiri Apollo. Or vien pur via ,
Ì Soggiunse). E ratto incontro gli si mosse.
2d egli : An dispietato ! a che minacci
Già cne morto e '1 mio figlio ? In ciò potevi
Darmi tu morte. Or né la morte io temo ,
Né gli tuoi Dei. Mon più spaventi Io vengo
Di morir desioso : e ouesti doni
Ti porto in prima. EU primo dardo trasse : 1395
Poi r altro e V altro appresso : e via traendo 882
Gli discorrea d' intorno. A i colpi tutti
Resse il dorato scudo. E già tre volte
V un girato il cavallo , e r altro il bosco
Avea de' dardi nel suo scudo infìssi ;
Quando il figlio d' Anchise , impaziente
Di tanto indugio e di sferrar tant* aste ,
Visto '1 suo disvantaggio , a molte cose
Andò pensando. Al fin di guardia uscito
Addosso se gli spinse, e trasse il telo, 1405
Si che del corridore 11 teschio infisse
Jjd mezzo de la fronte. Inalberossi
'A quel colpo il feroce , e calci a Y aura
Traendo , scalpitando , e '1 collo e '1 telo
Sco tendo, s'intricò: cadde con l'asta, 1410
Con r armi , col campione a capo chino 894
Tutti in un mucchio. Andar le grida al cielo
De' Latini e de Teucri. E tosto Enea
Col brando ignudo gli fu sopra e disse :
Or dov' è quel si fiero e si tremendo 1415
Mezenzio ? Ov' è la sua tanta bravura ?
E' 1 Tosco a lui , poiché l' afflitte luci
Al elei rivolse, e seco si ristrinse;
Crudele , a che m' insulti ? A me di biasmo
Non e eh' io muoja. Ne per vincer teco 1420
Venni a battaglia. Il mio Lauso morendo
Fé' con te patto che morissi anch' io.
Solo ti preeo ( se di grazia alcuna
Bop degni I vinti) che '1 mio corpo lasci
MOO
tiBBo Ultimo
Coprir di terra. Io so gli odj immortali
Che mi portano i miei. Dal tiiror loro
Ti supplico a flottrarmi, e col mio figlio
Consentir eh' io mi giaccia. E ciò dicendo ,
La gola per se titesso al ferro offerse ;
E con un fiume che di sangue spai'so
Sopra r anni versò l'anima e '1 uato.
rm ML LmRO DBcnu*
LIBRO UNDECIMO
ykRGOMSNTO
re -^ Iso Uezenzlo, Enea vincitore inalza un trofeo a Marte ; peseta rl-
)>nnda con gran pompa fùnebre il corpo di Fallante alla città di Evandro,
d'^ve lo ricevono con universale cordoglio, 1-99. Intanto ambasciatori la-
tini domandano dodici ffiomi di tregua : i quali essendo concessi, e Troiani
f Latini ricercano i cadaveri de* loro, e rendono ad essi gli ultimi onori,
!(<9'224. Frattanto Yenulo, che sul principio della guerra era stato mandato
diti Latini a Diomede per indurlo a far lega, ritorna dicendo ei^mrgU stati
uogtitl i soccorsi per combattere una genia cara agli Dei, 2a5-29ft. Latino
in assemblea consultando intomo a questa guerra, propone che si man-
dino oratori ad Enea per trattar della pace, 296-885. Ivi Dranoe e Turno,
tier odio inveterato che era fra loro, a vicenda si caricano dHngiurie, 886-444.
Frattanto Enea, diviso l'esercito in due, manda innanzi perle vie aperta
la cavalleria leggera; ed egli per luoghi selvosi e montuosi cerca di riu-
roire verso la parte più elevata di Laurcnto. ▲ tal notizia Tadunanaa si
scioglie, e si provvede alla difesa della città, 445-485. Turno, scoperto per
mezzo degli esploratori il disegno d*Bnea, divide anch*egli Tesercito in
due ; ordinando che la cavalleria guidata da Xessapo e da Camilla si fkcda
incontro alla cavalleria nemica : ed egli coi fkntl si mette in agguato in
certe gole, per dove Enea necessariamente doveva passare, 486-581. —
Marrazlone che fa Diana intomo alla vergine OamiUa. nel raccomandarla
alla ninfa Opi, 588-596. — Soontiro delle due cavallerie e vittoria lunga-
niente indecisa, 697-647. La vergine Camilla, i cui splendidi fitti accre-
pcono per qualche tempo II coraggio nei Latini, è ucci<«a insidiosamente
d:i Arunte, 648-885 ; il quale poco appresso è traflUo da una freccia di
Opi, 686-867. 1 Butuli Sgomentati per la morte di Camilla si danno alla
fuga ; i Troiani si dispongono a dar Tassalto 868-895. Di che Acca, una
aoinpagna di Camilla, recando la notizia a Turno, questi abbandona le
ffi.l? ove si teneva in agguato, e vola in aiuto de* suoi. Enea gli tien dietro ;
• poiché pel sopraggiungere della notte non si può venire alle mani, Tan
•seròH» 6 raltro simette a campo dinanzi a Laureato, 896-815.
Passò la notte intanto, e già dal mare
1 Sorgea T Aurora. Enea miantunque fl tempo^
! L' oTncio e la pietà più lo stringesse
A seppellire i suoi ; quantunque offeso
Da tante morti il cor funesto avesse; 5
Tosto che *1 sole apparve , il voto sciolse
De la vittoria. E sovra un picciol coUe
Tronca de* rami una gian quercia eresse:
De r armi la rinvolse , e de le spoglie
L' adomò di Mezenzio , e per trofeo 10
A te , gran Marte , dedicoUa. In cima
L' elmo vi pose , e 'n su r elmo il cimiero
Ancor di polve e d* atro sangue asperso.
T/ aite d' mtomo attraversata e rotto
LIBRO UNDECIMO 299
Stnvnn qiiai secchi rami; e '1 tronco in meazo 15
Sostcnca la corazza, che smagliata
E da dodici colpi era trafìtta.
Dal manco lato gli pendea lo scudo;
Al dcstr' omero u brando era attaccato.
Che •! fodro avea d* avorio e V else d' oro. 20
Indi i suoi duci e le sue genti accolte^ il
Che liete gli gridar vittoria intorno.
In cotal guisa a confortar si diede:
Compagni , il più s' è fatto. A quel che resta
Nulla temete. Ecco Mezenzio è morto 25
Per le mie mani; e queste che vedete,
L' opime spoglie e le primizie sono
Del superbo tiranno. Ora a le mura
Ce n' andrem di Latino. Ognuno a V armi
S* accinga : ognun s' alfldi , e si prometta 30
Guerra e vittoria. In punto vi mettete:
Che quando da gli augurj ne s' accenno
Di muover campo , e che mestier ne sia
D* inalberar V insegne , indugio alcuno
Non e' impedisca , o '1 dubbio o la paura 35
Non ci ritardi. In questo mezzo a' morti
Diam sepoltura, e quel che lor dovuto
E sol dopo la morte , eterno onoro.
Itone adunque, e quell'anime chiare
Che n' han col proprio sangue e con la vita 40
Questa patria acquistata e jjuesto impero,
D' ultimi doni ornate. E primamente
Al mesto Evandro il figlio si rimandi.
Che di virtù maturo e d' anni acerbo
Così n'ha morte indegnamente estinto. . 45
Ciò detto, lagrimando il passo volse f8
Ver la magione , u* di Fallante il corpo
Dal vecchiarello Accte era guardato.
Era costui già del parrasio Evandro
Donzello d' armi ; e poscia per compagno 60
Fu (ma non già con sì lieta fortuna)
Dato al suo caro alunno. Avea con lui
D'Arcadi suoi vassalli e di Trojani
Una gran turba. Scapigliate e meste
Le donne d' Ilio , si com' era usanza . 55
Gli piangevano intorno : e non fu pnma tB
Enea comparso, che le strida e i pianti
Si rinnovare. Il batter de le mani,
Il suon de' petti , e de T albergo i mugghi
N' andar fino a le stelle. Ei poiché vide 60
Il suo corpo disteso , o 'I Manco volto ,
800 ENEIDE
E r aperta ferita che nel petto
Di man di Turno avea larga e profonda,
Lagrimando proruppe: 0 miserando
Fanciullo, e che mi vai s' amica e destra 65
Mi si mostra fortuna? E che m'ha dato,
Se te m'ha tolto? Or che vincendo ho fatto?
Che regnando farò , se tu non godi
De la vittoria mia , né del mio regno ?
Ah ! non fec' io queste promesse allora 70
Al buon Evandro , eh' a 1' acquisto venni
Di questo impero. E ben temette il saggio,
E ben ne ricordò che duro intoppo ,
E d' aspra gente avremmo. E forse ancora
Il meschino or fa voti e preci e doni 75
Per la nostra salute , e vanamente 50
Vittoria s' impromette. E noi con vana
Pompa gli rijportiam questo infelice
Giovine di già morto , e di già nulla
Più tenuto a' GelestL Ahi sconsolato 80
Padre ! vedrai tu dunque una si cruda
Morte del figlio tuo ? Questo ritomo ,
Questo trionfo (oimà !ì d' ambi aspettavi ?
E da me questa fede? 0 pur, Evandro,
No '1 vedrai già di vergognose piaghe 85
Ferito il tergo ; e non ^li arai tu stesso so
(Se con infamia a te vivo tornasse)
A desiar la morte. Ahi quanto manca
Al sussidio d' Italia , e quanto perdi ,
Mio figlio Julo ! E posto al pianto fine ,
Ordine die che 1 miserabil corpo
Via si togliesse ; e del suo campo tutto
Scelse di mille una pregiata schiera
Che scorta gli facesse e pompa intomo ,
E d' Evandro a le lagrime assistesse, 95
E le sue gli mostrasse : a tanto lutto
Assai debu conforto , e pur dovuto
Al suo misero padre. Altri al suo corpo,
Altri a la bara intenti avean di quercia,
D' arbuto e di tali altri agresti rami 100
Fatto un feretro di virgulti intesto,
E di frondi co|)erto, ove altamente
Del giovinetto il delicato busto
Composto si giacea qual di viola ,
0 di giacinto un languidetto fiore 105
Colto per man di vernne . e serbato
Tra le sue stesse fogUe allor che scemo
Non è del tutto 11 suo natio goVt^^
90
1113 aO UNDEGIMO 3Ó1
Né la sua forma ; e pur da la siia madre
Punto di cibo o di vigor non ave. 110
Enea due preziose vesti intanto, 71
L*una djjsr uno e V altra di scarlatto,
Addur si 'fece : ambe ornamenti e doni
De la sidonia Dido, e da lei stessa
Con dolce sturilo e con mirabil arte ile
Ricamate e distinte. E Tuna-in dosso
Gli pose , e V altra in capo , ultimo onoro
Con che dolente la dorata chioma
Allor velògli , eh* era additta al foco.
De le prede oltre a ciò di Laùrento 12
Gli fan gran parte. Fagli in ordinanza 78
Spiegar Tarmi, i cavalli e l'altre spoglie
Tolte a'nimicì. Gli fa gir ledati
Con le man dietro i destinati a morte
zQ
Per onoranza del funereo ro^o. 123
Portar gli fa davanti a i duci loro
L' armi a i tronchi sospese , e i nomi scritti
De gli uccisi e de' vinti. Il vecchio Acete
Che , si com' era aiUitto e d' anni erravo ,
Gli era appresso condotto, or con Te pugna 130
Si battea '1 petto , ed or con l'uraa u volto
Si lacerava , e tra la polve e '1 fango
Si volgea tutto. Ivano i carri aspersi
Del sangue de' Latini. Iva lu^bre
E d* ornamenti ignudo Eto , il più fido 135
Suo cdval da battaglia , che gemendo
In giiisa umana 8 lagrimando andava.
Seguian le meste squadre 1 Teucri, i Toschi
E gli Arcadi con 1' armi e con l'insegne
Rivolte a terra. Or poi eh' oltre passata 1 10
Con quest' ordine fu la pompa tutta; 04
Enea fermossi , e verso il morto amico
Ad alta voce sospirando disse:
Noi quinci ad altre lagrime chiamati
Dal medesimo fato , alti'e battaglie 145
Imprenderemo. E tu, magno Pallante,
Vattene in pace, e con etema gloria
Godi etemo riposo. Indi partenao
Ver r alte mura , ài campo si ritrasse.
Eran nel campo già co' rami avanti 150
Di pacifera oliva ambasciadori
De la città latina a lui venuti,
Che tregua a' vivi e sepoltura a' morti
Pregando , gli mostrar che più co' vinti
Nò 00* morti è contrasto , e che Latino 155
302 e>:i::ide
Gli era d'ospizio amico, e che chinmato 103
L'avea genero in prima. Il buon Tr(\jano
A le giuste preghiere , a i lor quesiti ,
Che di grazia eran degni, incontanente
Grazioso mostrossi: e da vanta;j:gio 16(
Cosi lor disse : E qual indegna sorte
Centra me, miei Latini, in tanta guerra
Cosi v' intrica ? che "pur vostro amico
Son qui venuto; né venuto ancora
Vi sarei, se da' fati e da gli Dei idi
Mundato io non vi fossi. E non pur pace,
Siccome voi chiedete, io vi concedo
Per color che son morti ; ma co' vivi
Ve l'offro, e la vi chieggo. E la mia guerra
Non è con voi : ma '1 vostro re s' è tolto 17(
Da l'amicizia mia; s'è confidato 113
Più ne r armi di Turno. E Turno ancora
Meglio e più giustamente in ciò farebbe,
S'a questa guerra sol con suo periglio
Ponesse fine. E poiché si dispose 171
Di cacciarmi d'Italia, il suo dovere
Fora stato che meco , e con quest' armi
Difinita r avesse. E saria visse
Cui la sua propria destra, e Dio concesso
Più vita avesse ; e i vostri cittadini i8<
Non sarien morti. Or poiché morti sono ,
Io me ne dol^o , e voi gli seppellite.
Restaro al dir d' Enea stupiai e cheti
I latini oratori, e l'un con l'altro
Si guardarono in volto. Indi il più vecchio, i
Drance nomato , a cui Turno fu sempre
Per sua natura e per sua colpa in ira ,
Rotto il silenzio in tal guisa rispose :
O di fama e più d* arme eccelso e ^an io
Trojano Eroe , qual mai fia nostra lode '
Che'l tuo gran morto agguagli? E di che p: ima iììò
Ti loderemo? ch'io non veggio gnale
In te maggior si mostri , o la giustizia ,
O la gloria do l' armi. A qiiesta tanta
Grazia che tu ne fai , grati saremo :
Rapporto ne faremo; e s'al consiglio
Nostro è fortuna amica , amico ancora
Ti fia Latino. E cerchisi d'altronde
Turno altra lega. A noi co' sassi in collo
Gioverà di trovarne a fondar vosco 2\m
Questa vostra fatai novella Troja.
Poiché Drance ebbe detto , a i detti suoi
LlBilO LSDl'CJMO
Tutti gli altri fremendo acconsentirò,
E per ti odici di commercio e paca
Fu tra r un oste e 1" altro. E senza offesa
Entrambi si mischiare, e per gli monti
E per le selve a lor diletto andaro.
Allor sonare accette , e strider carri
Per tutto udissi. In ogni parto a terra
Ne giro i corri e gli orni e gli alti pini
E gli odorati cedri al ftmebre uso
Svelti, squarciati e tronchi. E già la fama.
Che di Fallante a Pallantèo volata
Dicea pria le suo prove , e vincitore
L' avea gridato, or d' ogni parto grida
Che morto si riporta. In ciò commossa
La città tutta in vedovile aspetto
Di funeste facclle , e d' atri panni
Si vide piena; e ver le porte ognuno
Gli uscirò incontro. Si vedea di lumi
E di genti una Aia che le strade
E i campi in lunga pompa attraversava.
I Frigi e gli altri col suo corpo intanto
Piangendo ne venian da l' altra parte ,
E con pianto incontrarsi. Indi rivolti
Tutti ver la città , non pria fur giunti
Che di pianti di donne e d' ululati
Hisonar d'ognintorno il cielo udissi.
Kè forza , né consiglio , né decoro
Fu eh' Evandro tenesse. Usci nel mezzo
Di tutta gente; e la funerea bara
Fermando , addosso al liglio in abbandono
Si gittò, l'abbracciò, stretto lo tenne
Lunga fiata, e da l'angoscia oppresso
Pria lacrimando , e sospirando tacque.
Poscia la strada al ^ran dolore aperta
Cosi proruppe; 0 mio Pallante, e queste
Fur le promesse tuo, quando partendo
II tuo padre lasciasti? In questa guisa
D'esser jjuardingo e cauto mi dicesti
Ke' perigli di Marte? Ah! ben sapeva.
Ben sapev' io quanto ne I" armi prime
Fosso in cor generoso ardente e dolce
Il desìo de la gloria e de l'onore.
Primizie infauste, infausti fondamenti
De la tua gioventù.! Vane preghiere,
Voti miei non accetti e non intesi
ìi'i ■limi Dio! R;tiilis=ima consorte.
Clic ;]ii):\..;ilu tii-.^isti uu dolor tale,
304 BNBIDB
*— — — i— I I II I .
Quanto sei tu di tua morte felice! 21
Quanto infelice e misero son io, 150
Che vecchio e padre al mio diletto figlio
Sopravvivendo , i miei fati e i miei giorni
Prolungo a mio tormento! Ah! foss'io stesso
Uscito co' Troiani a questa guerra : 21
Ch'io sarei morto; e questa pompa avrebbe
• Me cosi riportato, e non Fallante.
Né per questo di voi, né de la lega,
Né de r osi)izio vostro io mi rammarco ,
Trojan! amici. Era a la mia Vecchiezza 2<
Questa sorte dovuta. E se dovea 105
Cader mio figlio perché tanta strage
Io vedessi de^ Volsci , e perché Lazio
Fosse a' Teucri soggetto, in pace io soffro
Che sia caduto. E più compito onore 2i
Non aresti da me , Fallante mio ,
Di questo che '1 pietoso e magno Enea
E i suoi magni Trojani e i Toschi duci
E tutte insieme le toscane genti
T' han procurato. Con si gran trofei 21
Del tuo valor si chiara mostra han fatto,
E de* vinti da te. Né fora meno
Tra questi il tuo gran tronco , s' a te fosse ,
Turno , stato d' età pari il mio figlio ,
E par de la persona e de le forze 2^
Che no dan gli anni. Ma che più trattengo
! Quest' armi a' Teucri ? Andate , e da mia parte
j Riferite ad Enea , che quel eh* io vivo
! Dopo Fallante , é sol perché V invitta
{ Sua destra (come vede) al figlio mio 2^
I Ed a me deve Tuma E questo solo
, Gli manca per colmar la sua fortima
} E '1 suo gran morto ; che per mio contento
i No '1 curo ; e contentezza altra non deggio
Sperare io più, che di portare io stesso 2i
Questa novella di Fallante a l'ombra. isi
Avea r Aurora col suo lume intanto
n giorno e l' opre e le fatiche insieme
Ricondotte a' mortali. Il padre Enea
E '1 buon Tarconte, ambi, in su'l curvo lito 2i
I cadaveri addotti , a' suoi ciascuno ,
Gom'<6ra l'uso, un' alta pira eresse,
La compose e 1* incese. E mentre il foco
Di fumo e di caligine coverto
Tenea l'aere intorno; in ordinanza 2S
Tre volte armati a piò la circoudaro ,
LIBRO UNDEGIMO 306
E tre volte a cavallo , in mesta guisa
Ululando , piangendo , e V armi e' 1 suolo
Di lagrime spargendo. Infìno al cielo
Penetrar de le genti e de le tube 300
I dolorosi accenti. Altri gridando ì9%
Le pii'e intorno , elmi , corazze e dardi
E ben guarnite spade e freni e ruote
Avventaron nel luco , e de' nomici
Armi d'ogni maniera, arnesi e spoglie; 305
Altri i lor propri doni , e de gli uccisi
Medcsmi vi gittàr l'aste infelici,
E gl'infelici scudi, ond' essi in vano
S' eran difesi. A le catasto intomo
Molti gran buoi, molti setosi porci, 310
Molte fur pecorelle uccise ed arse.
A si mesto spettacolo in su '1 lito
Stavan altri piangendo, altri osservando
Ciascuno i suoi più cari infìn che '1 foco
Gli consumasse. K questi Tossa, e quelli 315
Le ceneri accoiiliondo , il giorno tutto
In si pietoso ofticio trapassare:
INO se ne tolser lìnchò, spenti i fochi,
Non s' acceser lo stelle. In altra parte
I miseri Latini a i corpi loro 320
Fer catasto inlinite. Altri sotterra 208
No seppellirò: altri a le ville intomo,
Ed altri a la città ne trasportaro.
E quei clie senza numero confusi .
Giacean nel campo, senza onore a mucchi 325
Furon combusti: onde i villaggi insieme
E le campagne di funesti incendi
Lncean por tutto. E tre luci, e tre notti
Durar gli afTlitti amici e i dolorosi
Parenti a ricercar le tiepid'ossa, 330
E ne r urne riporlo e ne' sepolcri. tii
Ma la confusione e '1 pianto e '1 duolo
Era ne la città por la più parte,
E ne la roggia a re Latino avanti.
Qui le madri, le ìuiorc, le sorelle 335
E i miseri jìupilli, elio de* padri.
De' figli, do' mariti o de' fratelli
Erano in questa guerra orbi rimasi ,
La guerra ahbominavano, e le nozze
Dctestavan di Turno. Ei da sé stesso , 340
Dicendo, ci che d'Italia al regno aspira,
E le grandezze e i primi onori agogna,
Con r armi e col suo sangue Io s' acquisti ,
Dell'Eneide ^
306
ENEIDE
E non col nostro. In ciò Drance aggravando
Vie più le cose , come a Turno infesto , 345
Attestando dicea che sol con Turno
Volea briga il Troiano, e che sol esso
Era a pugna con lui cerco e chiamato.
Altri d altro parere altre ragioni
Dicean per Turno; e T gran nome d' Amata 350
E '1 suo favore e di lui stesso il merto 223
Con la fama de' suoi tanti trofei
Sostenean la sua causa. Ed ecco intanto
Che cosi si tumultua e si travaglia ,
Mesti sopravvenir gì' imbasciadori 355
Che in Arpi a Diomede avean mandati;
E riportar che le fatiche e i passi
Avean perduti; che ne dono alcuno,
Né promesse , né preci , né ragioni
Furon bastanti ad impetrar soccorso 360
Né da lui , né da' suoi. Gh' era d' altronde
Di mestiero a* Latini avere altr' armi ,
O trattar co' nimici accordo e pace.
Gran cordoglio sentinne , e gran rammarco
Ne fece il re Latino. E ben conobbe 365
Che manifestamente Enea da' Fati
Era portato ; e via più manifesta
Si vedea de gli Dei l' ira davanti
In tanta che de' suoi ne gli occhi avea
Strage recente. Il gran Consiglio adunque, 370
^■^5
oé.
3S0
E de' suoi primi ne la regia corte 234
Chiamar si fece. In un momento piene
Ne fur le strade ; e di già tutti accolti
Ne la gran sala , il re di grado e d' anni
Il primo , a tutti in mezzo , in non sereno
Sembiante comandò che primamente
I Legati che d' Arpi eran tornati,
Fossero uditi ; ed a lor volto disse :
Esponete per ordine il seguito
De la vostra imbasciata, e la risposta
Che ritratta n' avete. A tal precetto
Tacquero tutti; e Venolo sorgendo
Cosi pria cominciò: Noi dopo molti
Superati pericoli e fatiche.
Egregi cittadini, al campo argivo
Ne la Puglia arrivammo; e Diomede
Vedemmo al fine ; e queir invitta destra
Toccammo^ ond'è'l grand' Ilio arso e distrutto.
In Japigia il trovammo a le radici
Del gran monte Gargano , ove fondava 390
oor
;>sò
Ai
LIBRO UNDKCIMO 807
r—
Già vincitore Argiripa, una terra
Che dal patrio Argirippo ha nominata.
Intromessi che fummo , il presentammo ;
Gli esponemmo la patria , il nome e '1 fine
De la nostra imbasciata, e la cagione
Onde a lui venivamo, n tutto udito ,
Cosi benignamente ne rispose:
O fortunate genti , o di Saturno
Felice regno , e de gli antichi Ausoi\}
Famosa terra ! E quale iniqua sorte 400
Da la vostra quiete or vi sottragge ?
Qual consìglio , qual forza vi costringe
Di nemicarvi , e guerreggiar con gente
Che non v' è nota ? Noi quanti già fummo
Gol ferro a violar di Troja i campi 405
ÌNon parlo de gli strazj e de le stragi 955
)i quei che vi rimasero^ che pieni
Ne sono i fossi e i fìumi) , ma quanti anco
N' uscimmo con la vita , in ogm parte
Siani poi giti del mondo tapinando , 410
Con nefandi supplicj e con atroci
Morti pagando il fìo , come d' im grave
E scelerato eccesso. E non ch'altrui,
Priamo stesso a pietà mosso avrebbe
n fiero , che di noi s' è fatto , scempia 415
Di Palla il sa la sfortunata stella;
Sallo il vendicator Gafàreo monte ,
E gli eùboici scogli : il san di Proteo
Le longinque colonne , insino a dove
Dopo quella milizia andò ramingo 420
L* un de' figli d' Atrèo. D' Etna i Ciclopi Wi
Ne vide Uhsse. n suo regno a' suoi servi
Ne lasciò Pirro. Idomenèo cacciato
Ne fu dal patrio segete. Esso re stesso
Gondottier de gli Achivi il piede a pena 425
Nel suo regno ripose , che nel regno ,
Del letto e de la vita anco privato
Fu da la scelerata sua consorte.
Né gli giovò , che doma V Asia e spento
L' uno adultero avesse , che de V altro 430
Scherno e preda rimase. A me T invidia
Ha de gli Dei di più veder disdetto
La mia bella citta di Galidona,
E la mia cara e desiata donna.
Né di ciò sazi, orribili spaventi 435
Mi danno ancora. E pur dianzi in atigeili 9tt
Conversi i miei compagni (o miseranda
30S ENEIDE
Lor pena ! ) vau per V aura e per gli scogli
Di lagrimosi accenti il cielo empiendo.
Questi sono i profitti e le speranze 440
Ch'io fin qui ne ritraggo, da che, folle I
Stringer contro a' Celesti il ferro osai ,
E che di Citerea la destra offesi.
Or eh' io di nuovo una tal pugna imprenda
Testé con voi? no no, ch'io co'Trojani, 445
Dopo Troja espugnata, altra cagione
Non ho di guerra; e de* passati mali
Volentier mi dimentico , e dolore
Ancor ne sento. E criuinto a' doni, andate,
Riportateli vosco, e 1 magno Enea 450
Ne presentate. E solo a me credete
Del valor suo , che fui con esso a fronte
Con r armi in mano ; e so di scudo e d* asta
Qual mi rese buon conto, e quanto vaglia.
Se due tali altri avea la terra Idea, 455
D'Ida fora più tosto ita la gente M^
Ai danni de la Grecia; e'I trojan fato
Piangerebb' ella. Enea sol con Ettorre
Fu la cagion che tanto s' indurasse
La mina di Troja , e che dieci anni 460
Durammo a conqruistarla. Ambedue questi
Eran di cor, di lorze e d'arme eguali;
Ma ben fu di piotate Enea maggiore.
10 vi consiglio che, comunque sia,
Lega seco, amicizia e pace aggiate, 465
E rincontro fuggiate e Tarmi sue.
Questa è la sua risposta; e quinci avete
Ottimo re , qual sia di questa guerra
n suo parere e *1 nostro. A pena uditi
Furo i Lesati , che bisbiglio e fremito 470
Infra i turbati Ausonj udissi, in guisa •
Che di rapido fiume un chiuso gorgo
Mormora allor che fra gli opposti sassi
S' apre la strada , e gorgo§:liando cade ,
E frange e rugghia e le vicine ripe 475
Ne risonan d' intorno. Or poiché un poco S09
Restò '1 tumulto, e gli animi acquetarsi.
Gli Dei prima invocando , un' altra volta
11 re da 1' alto seggio a dir riprese :
Latini miei , lo mio parere e '1 meglio 480
Sarebbe stato , che d' un tanto aflEkre
Si fosse prima consultato , e fermo
n nostro avviso; e non chiamar consiglio ,
Quando il nimico in su le porte avemo.
LlùilO UNDECIMO 309
Una importuna e perigliosa guerra 485
S' è , cittadini , impresa , e per nimica
Tolta una gente, che dal ciel discesa
Da' Celesti e da' Fati è qui mandata ;
Feroce , insuperabile , indefessa ,
Ne Tarmi invitta, che nò vinta ancora 490
Cessa dal ferro. Se speranza alcuna
Ne gli esterni soccorsi e ne V aita
Aveste de gli Etoli, ora del tutto
La deponete ; e sia speme a se stesso
Ciascun per se. Ma noi per noi, che speme 495
E che possanza avemo? Ecco davanti soo
A gli occhi vostri , e fra le vostre mani
Vedete la strettezza e la ruina
In che noi siamo. Nò però ne *ncolpo
Alcun di voi. Tutto '1 valor s' è mostro 500
Che mostrar si potea: con tutto! corpo,
E con quanto ha di forza il nostro regno
S' è combattuto. Or quale in tanto dubbio
Sia la mia mente , udite. È nel mio stato
Vicino al Tebro un territorio antico, 505
Che in ver V occaso per lunghezza attinge siu
Fin dove de' Sicani era il <:onfìne.
Da gli Rutuli è colto e da gli Aurunci,
Che i duri colli e i più deserti paschi
Ne tengon da V un canto. A questo aggiungo 510
Quella piaggia di pini e guella costa
De la montagna. E tutto è mio disegno
Che si ceda a' Trojani , e eh' amicizia ,
Accordo e patti e lega e leggi o^ali
Abbiam con essi. E q;ui , s' a qui fermarsi 515
Sono 0 da' fati o dal desire indotti,
Ferminsi; e i loro alberghi e le lor mura
Fondino a lor diletto. E s' altra parte
Cercano ed altre genti ( se pur ponno
Torsi da noi ) quando di venti navi, 520
0 di più sovvenir ne gli bisogni ,
$u la stessa marina appareccniata
E la materia. Essi de' legni il modo,
E'I numero diranno; e noi le selve.
La maestranza, i ferramenti e tutto 525
Che fia lor di mestiero appresteremo. W9
Con questa offerta io manderei de' primi
De la nostra città cento oratori
Co' rami de la pace , col mandato
Di contrattarla , co' presenti appresso 530
D' avorio e d' oro , e col seggio e col manto
310 BNHIDB j^
Del nostro regno. Consultate or voi ,
Ed a r afflitte e mal condotte cose
D* aita provvedete e di soccorso.
Surse allor Drance , quei che già s' è detto 535
Avversario di Tiu*no. Era costui
Del re^o de' Latini un de' più ricchi
E de* più riputati cittadini ,
Di fozion, di seguito e di lingua
Possente assai ; ne le consulte avuto 540
Di qualche stima ; nel mestier de T armi
Codardo anzi che no. La sua chiarezza
E 1 suo fausto venia da la sua madre
Gh* era d* alto legnaggìo. n padre a pena
Era noto a le genti. Or questi infesto 545
A la gloria di Turno , asperso il core sse
D* amarezza e d' invidia , in questa guisa
n suo fatto aggravando» e l'ire altrui
Irritando parlò: Chiaro, evidente
E necessario , ottimo re , n' è tanto 550
Quel che tu ne consigli, che bisogno
D' altro non ha che di comune assenso.
Ognun vede , ognun sa quel che conviene
Di d dura fortuna; e nullo ardisce
Pur d' aprir bocca. Libertate almeno 555
Di parlax ne si dia. Scemi una volta
Tanta sua tracotanza e tanto orgog[lio
Chi co' suoi male avventurosi auspicj ,
Co' sinistri suoi modi tio pur dirollo.
Benché d' armi e di morte mi minacci ) 560
N'ha qui condotti, e per cui tanti duci, $48
Tanta gente è perita , e tutta in pianto
Questa cittade e questo regno è vòlto ;
Mentre ne la sua fùria, o ne la fuga
Confidando più tosto , il trojan campo 565
Ha d' assalila osato . e fin nel cielo
Posto ha con l' armi sue tema e scompiglio.
Solo un dono, signor, fira tanti doni
Che Cd mandano a' Teucri, un sol n'aggiungi;
Nò consentir che violenza altrui 570
Te '1 proibisca. Dà , buon padre , ancora
Questa tua figlia a genero di degno,
E con si degno maritaggio etema
Fa questa pace. E se 1 terrore è tanto
Che 8' ha di lui, da lui stesso impetriamo 575
Grazia e licenza che la patria sua , 35s
Ghe'l suo re prevaler si possa almeno
Del suo sangue a suo moda E to cagione,
LIBRO UNDECIMO 311
Tu di tanta ruina autore e capo
A che pur tante volte a tanti strazj, 580
A tanti rischi, a manifesta morte
Questi tuoi meschiuelli cittadini
Esponi indarno? E qual'è ne la guerra
Più salute, 0 speranza? A te noi tutti
Pace , Turno , chiederne , e de la pace 585
Quel eh' è sol fermo e 'nviolabil pegno.
Ed io prima di tutti, io cui tu fìngi
Che nimico ti sia ( né tal mi curo
Che tu mi ten^a ) a supplicar ti vcgno
Umilemente. Ahbi pietà de' tuoi : 590
Pon giù la stizza ; e poiché sei cacciato ,
Vattene. Assai di strage, assai di morti
S' è visto ; assai ne son le genti aflditte ,
Vedovi i tetti, e desolati i Campi.
Ma se Toner ti muove, e se concepì 595
Di te tanto in te stesso , e tanto agogni sos
O la donna , o la dote , a che non osi
Contro a chi te ne priva ? A Turno dunque
Regno col nostro sangue e regia moglie
Procureremo ; e noi vili alme , e turba 600
Non sepolta e non pianta , a' cani in preda
Giaceremo in su* campi? Or tu, tu stesso,
Se tanto hai d* ardimento e dì valore
Dal paterno legnaggio , a luì rispondi ,
A Im ti volgi, che ti sfida e chiama. 605
Tìxtno , eh' impetuoso e violento
Era da se , questo parlare udito ,
Alto un gemito trasse , e d' ira acceso
Cosi proruppe : Usanza tua fu sempre ,
Drance, allor che di mani è più bisogno 610
Oprar la lingua , essere in corte il primo , 878
L ultimo in campo. Ma non più parole
In (Tuesto loco , che già pieno troppo
Ne r hai ; pur troppo grandi e troppo gonfie
L'avventi, e senza rischio or che i nemici 615
Son lungo, e buone fosse e buone mura
Ci son di mezzo , e non e' inonda il sangue.
Apri qui bocca ài solito , e rintuona
Con la facondia tua. Tu , che sei Drance ,
Me, che son Turno, imbelle e vile appella; 620
Tu la cui dianzi sanguinosa destra
Pieni i campi di morti , e pieni i colli
Ha di trofei. Ma che non provi ancora
Questa tua gran virtù ? Forse eh' avemo
A ccicar de nomici? Ecco d'intorno 625
312 ENEIDE
Ci sono , e 'n su le porte. Andrem lor contra ?
Che bacU ? Ov* è la tua tanta prodezza ?
Sempre è nel vento , sempre e ne la fuga
De la lingua e de' pie ? Tu mi rinfacci
Ch'io sia cacciato? Tu, vituperoso, « 630
Di dirlo osasti ? E chi meritamente S92
Sarà che '1 dica ? Oh ! non s' è visto il Tebro
Fatto gonfio da me del frigio sangue ?
Non s' è vista la casa e '1 seme tutto
Spento d' Evandro ? e gli Arcadi spogliati 0:>5
D* armi e di vita ? Io non fui già da Pandaro
Cacciato, né da Bizia, né da mille
Che in un dì vincitore a morte io diedi,
Circondato da loro e cinto e chiuso
Da le lor mura. Nulla è ne la guerra CIO
Più salute , 0 speranza. Al teucro duce ,
A te , folle , al tuo capo , a le tue cose
Fa questo annunzio. E non tutto in soqquadro
Por con tanta paura, e tanta stima
Che fai de la prodezza e de lo forze- 645
D'una gente cne già due volte è vinta: 4oi
E non tanto avvilir da V altro canto
L' armi del re Latino. A i Mirmidoni
Son ora , al gran Diomede , al grande Achille
I Teucri formidabili e tremendi ; 650
E dal mar se ne toma per paura
L' Aufìdo indietro. E forse cne non finge
Temer di me , perchè '1 mio fallo aggravi ?
Malvagia astuzia ! Ma non più per nulla
Vo' che ne tema. Un' anima si vile 655
Non ti torrà la mia destra giammai.
Stiesi pur teco , e nel tuo petto alloggi ,
Di lei ien degno albergo. Òr a te vegno ,
Gran padre , e '1 tuo parer discorro , e dico.
Se tu più non t' affidi , e più non credi 660
Ne r armi tue ; s' abbandonati affatto
Siam d' ogni parte ; s' una volta rotti
Siam per sempre perduti , e se fortuna ,
Variando le veci, unqua non cangia;
Signor, pace imploriamo ; e l' armi in terra 665
Gittando, a giunte mani accordo e venia aia
Impetriam da' nemici Ancorché, quando
Oh! del nostro valor punto in noi fosse,
Sopra tutti felice , riposato,
E glorioso spirito sarebbe 670
Chi , per ciò non veder , morto si fosse.
Ma se le nostre forzo ancor àon verdi ,
;.'» i ■.,!»!•:(: IMO '^'3
La nostra gioventù florida, intatta,
Disposta 0 pronta a V armi^ e per sussidio
I popoli d* Italia e lo cittadi 075
Son con noi tutto ; e s' a' nemici ancora
Sanguinosa , dannosa e poco lieta
E questa gloria ; ed han de' morti anch' ossi
La parte loro ; e la tempesta è pari
D' ambe le parti : a che nel primo intoppo 030
Con tanto scorno, a noi stessi mancando, 423
Gittarne a terra? A cho tremare avanti
Che la tromba si senta? A la giornata
II tempo stesso , il variar de' casi ,
L'industria, le vicende, il moto e'I gioco 685
Potria de la fortuna in molte guise ,
Come suol l'altre cose, ancor le nostre
Cangiando risarcire , e porre in saldo.
Non avrem Diomede in nostro ajuto.
Avrem Messapo; avremo il fortunato 690
Tolunnio ; avrem tant* altri incliti duci
Di tant' altre città. Nò di men gloria ,
Nò di minor virtù saranno i nostri
Di Laurento e di Lazio. Avrem Camilla
La gran volsca virago che n' addusse 695
Di cavalieri e di caterve armate
Si bella gente. E se me solo appella
lì nemico a battaglia, e se v'aggrada
Che sol io gli risponda, ed io sol osto
Al ben comune; 10 solamente assumo 700
Sopra me questa impresa. E già non credo 135
Che le mie man sì la vittoria abborra,
Che per tanta, ch'io n' aggio, e speme 0 gioja
Accettar non la dcggia. Andrògli incontro
Con r animo , se fosse anco maggiore 7^.)
Del magno Achille, e come Achille anch' egli
L'armi di Mongibcllo indosso avesse.
Io Turno , io che non punto a qual si fosse
Mai de gli antichi di valor non cedo,
Questa mia vita stessa a voi, Latini, 710
Ed a Latin mio suocero consacro
Solennemente. Enea me solo invita.
L'accetto, il bramo o'I prego, anzi cho Dranco,
S'irà ò Questa di Dio, con la sua morto
La purghi, 0 che la gloria me ne tolga, 71.")
S' è pur gloria e virtute. In cotal guisa
Consultando i Latini, avean tra loro
Dispareri e tenzoni. Usciti a campo
Erano i Teucri intanto. Ed ecco un messo
314 .' BNBIDB
Venir volando^ che la reggia tutta 720
E tutta la citta pose in tumulto , 4^8
Annunciando che dal tosco fiume
Già mosso de' Trojani e de' Tirreni
Se ne venia V esercito in battaglia
In ver Laurento; e che di genti e d'armi 725
Si vedean piene le campagne e i colli
Gli animi incontanente si turbaro ;
Sgomentossene il volgo; a i valorosi
S' acceser l' ire. Trepidando ognuno
Discorrea per le strade : arme fremea 730
La gioventù : dolenti e la^imosi
I padri discordando , e chi per Turno
Sentendo e chi per Drance , avean tra loro
Vari bishiffli. E tutto il corpo insieme
Facea de la città tale un trambusto , 735
E tal ne 1' aura unitamente un suono ,
Qual è se spaventata esce d' xm bosco
Torma di rechi augelli , o qual talora
Da le pescose rive di Padusa
Van per gli stagni schiamazzando a schiere 740
Turbati i cigni. In tale occasione 458
Gridava Turno : Or questo è, Padri, il tempo
Di sedere a consiglio: or consigliate
Agiatamente: aggiate sopra tutto
Cura a la pace or che i nemici armati 745
Ne son già sopra. E cosi detto a pena ,
Saltò fuor de la reggia ; e volto a torno ,
Arma (disse) tu, Voluso, i tuoi Volsci;
E tu, Messapo , i rutuli cavalli
Tu, Gatillo . e tu , Gora , uscite a campo. 750
Va tu con la tua gente a la muraglia 405
Incontanente: e tu dispensa i tuoi
Fra le porte e le torrL Ite voi meco,
Ghe rimanete ; e ciascun armi i suoi*
Per tutta la città si va scorrendo 755
A le mura. A l' insegne , a i capitani
Ognun 8' adduce. I padri irresoluti
Se n' escon dal Gonsislio. n re turbato
Si ritira, e si pente che non aggia
Per se, senza consulta, il frigio duce 760
Per amico e per genero accettato.
Dansi tutti a munire , a cavar fosse ,
Tutti a somministrar chi sassi e travi,
E chi dardi, e chi strali E già la reca
Tromba ne va per la città squillando 765
De la battaglia il sanguinoso accento.
LIBRO UrlDEGlMO Slo
Le matrone , i fanciulli , i vecchi, ognuno
jy ogni età , d' ogni sesso , e d' ogni grado
A r ultimo periglio , al gran bisogno
Corrono a la muraglia. E d' altra parte 770
Da gran cortèo di donne accompagnata 477
Con doni e preci di Minerva al tempio
Va la regina, ed ha Lavinia seco.
La vergine sua figlia, onde venuta
Era tanta ruina : e di ciò mesta 775
Porta i begli occhi lagrimosi e chinL
Soguon le madri , e d' odorati incensi
Vaporando il delubro in flebil voce
Pregano in su la soglia: Armipotente
Tritonia , tu che puoi , la possa e V anni 730
Frangi aJ frigio ladrone , e di tua mano
Anciso in su la porta ne lo stendi
Esso re Tiu*no da la fùria spinto
Ricorre a l' armi ; e di squamoso acciajo
E d'or già tutto orribile e splendente. 785
Cinto di brando , e sol del capo ignudo 488
Lieto mostrossi , e di speranza altero
Di vedere il nemico. E^n quella giùsa
Da la rocca scendea che da' presepi
Sciolto destriero esce ruzzando in campo , 700
O eh' amor di giumente , 0 che vaghezza
Di verde orato , 0 pur desio lo tragga
Del noto uume , che sbuffando fteme ,
E ringhia e drizza il collo e squassa il crine.
A r uscir do la porta ecco davanti 795
GH si £a co' suoi volsci cavalieri
La vergine Camilla. E si com' era
Non men gentil che valorosa e bella ,
Tosto che l' incontrò , con tutti i suoi
Dismontò da cavallo , e ver lui disse : 800
Turno , se degnamente uom forte ardisce^
Io mi rincoro , e ti prometto io sola
Di gire a i cavalier toscani incontro.
Lascia me col mio stuolo assalir jprima
La trojana oste , e che primiera 10 tragga 805
Di questa pugna e de' tuoi rischi un saggia
E tu qui co' pedoni a piò rimanti
A guardia de la terra. A tal proposta
Turno ne la terribile virago
Gli occhi fissando ; O de r Italia (disse) 810
Ornamento e sostegno , e di che lode,
E di che premio al tuo gran morto eguale
Ristorar ti poss' io ? Ma ( poiché cosa
316 L:^•E1I»13
Non è che la pareggi) abbi , famosa
Guerriera j in grado cVio con te comparta 815
Questa fatica. Enea, come dal grido
Avemo e da le spie fin qui ritratto,
Spinte ha le schiere de' cavalli avanti
Per batter la campagna; ed egli altronde
Presa la via del monte , per alpestro e 20
Sentiero a la città di sopra al giogo 514
Yien con V altre sue genti. Il mio disegno
E fargli agguato , e collocarmi appresso
Là 've sopra la foce il doppio bosco
Del curvo monte ambe le strade accoglie. '623
Tu , raunati i tuoi con gli altri tutti
Nostri cavalli,! suoi nel piano assagli
A spiegate bandiere. Il fìer Messapo
Sara con te : saranvi de' Latini ,
Vi saran di Gorace e di Gatillo 830
Le smiadre tutte; e tu con essi il carco
Prendi di comandarle. Indi esortando
Parimente Messapo e gli altri duci
A la lor fazione, egli .a la sua
Tostamente si volse. E tra due branche 835
Del monte una vallèa che d' ambi i lati
Ha folte selve, e luoghi occulti e chiusi
A r insidie de l' armi accomodati.
Ha ne l' imo una semita per mezzo
Angusta, malagevole e scontorta 840
Che d'ognintorno è da le ripe offesa. 525
In cima in su 1' uscita è tra le selve
Ascosa una pianui-a, con ridotti
Acconci a lìtirarsi , ed opportuni
A spingersi 0 dal destro 0 dal sinistro 845
Lato , che si rincontri 0 che s' aspetti
Nemica gente , 0 pur che di gran sassi
Si tempesti di sopra. A questo loco ,
Di cui nen era pratico , m agguato
Turno si pose , e i suoi nemici attese. 850
Diana intanto timorosa e mesta
Favellando con Opi, una del coro
De le sue Ninfe, in tal guisa le disse :
Vedi a che perigliosa e mortai guerra
A morir se ne va la mia Gamilla 855
Ne le nostr' armi ammaestrata in vano.
E pur m* è cara, e sovr' ogni altra io 1* amo.
Ne questo è nuovo, 0 repentino amore.
Fin da lo fasce è mia. Metabo il padre
Di lei fu per invidia e por sovercliia ^00
LIBRO UNDEGIMO 317
Potenza da Priverno antica terra 689
Da' suoi stessi cacciato: e da T insulto,
Che gli feee il suo popolo , fuggendo
Nel suo misero esiglio ebbe in compagna
Questa sola bambina che, mutato 8C5
Di Gasmilla sua madre il nome in parte.
Fu Camilla nomata. Andava il padre
Con essa in braccio per gli monti errando ^
E per le selve, e de' nemici Yolsci v^«.
Sempre d' intorno avca T insidie e V armi. 870
Ecco un giorno assalito con la caccia
Dietro, fuggendo a T Amasene arriva.
Per pioggia questo fiume era cresciuto,
E rapido spumando infino al sommo
Se ne già de le ripe ondoso e gonfio : 875
Tiìì che, per tema de V amato peso
Non s' arrischiando di passarlo a nuoto.
Permessi; e poiché a tutto ebbe pensato,
Con un subito avvisa entro una scorza
Di selvatico suvcro rinchiuse - 880
Ija pargoletta figlia. E poscia in mezzo 554
D' un suo nodoso , inarsicciato e sodo
Telo, ch'aveaper av\'entura in mano,
Legolla acconciamente: e Tasta e lei
Con la sua destra poderosa in alto 885
Librando, a V aura si rivolse, e disse: ^
Alma Latonia virgo, abitatrice
Do le selve e de' monti, io padre stesso
Questa mia sfortunata figlioletta
Per ministra ti dedico e per serva. 8C0
Ecco eh' a te devota, a 1' armi tue
Accomandata, dal nimico in prima
Sol per te la sottraggo. In te sperando
A r aura la commetto ; e tu per tua
Prendila, tene prego, e tua sia semprr». 8Cj
Ciò detto, il braccio in dietro ritraeii lo, sco
Oltre il fiume lanciolla : e '1 fiume e '1 vento
E '1 dardo ne fèr suono e fischio e roKiLo.
Metabo da la turba sovraggiunto
De' suoi nemici a nuoto al fin gittossi 900
E salvo a l'altra riva si condusse.
Ivi d' un verde cespo , ove piantato
Avea Tri via il suo dono, il dardo e lei
Divelse, e via fuggissi ; e più mai poscia
Non fu da tetti , o da cittadi accolto j 905
Che per natia fierezza a legge altrm
If on si fora unqua additto. U tempo tutto
318
BNBIDB
De la sua vita , di pastore in guisa ,
Menò per monti solitari ed ermi ;
E per grotte e per dumi e per orrende 910
Selve e tane di fere ebbe ricetto
Con la fanciulla , a cui fti cibo un tempo
Ferino latte , e Dalia una d* armento
Ancor non doma e pavida giumenta.
Ne le tenere labbra il padre stesso 015
De la fera premea V orride mamme. 579
Né pria tenne de' piò salde le piante ,
Che d* arco , di faretra e di nodosi
Dardi le mani e gli omeri gravoUe.
Non d' or le chiome , o di monile il coUo^ 020
Né men di lunga , o di fregiata gonna
La ricoverse ; ma di tigre un cuojo
Le (Iacea veste intomo, e cuffia in capo.
n fanciullesco suo primo diletto
E '1 primo studio fu lanciar di palo, 025
E trar d' arco e di firomba; e *n fin d* allora 678
Facea strage di ani , d' oche e di dgnL
Molte la desi&r turene madri
Per nuora indamo. Ed ella di me sola
Contenta , intemerata e pura e casta 030
La sua verginità , 1' amor de T armi
Sol ebbe in cale. Or mio fora disio
Che di^questa mtiizia e de la pugna.
Che presa ha co' Trojani e co' Tirreni,
Fosse digiuna; per si cara io V aggio , . 035
E tale or mi saria grata compagna.
Ma poiché acerbo fato la persegue ,
Scendi , Ninfa , dal cielo , e nel paese
Va de* LatinL Ivi al conflitto assisti ,
Che per Lazio e per lei mal s* apparecchia» 040
Prendi quest' arco, e prendi onesta mia
Stessa faretra, e di qui trag^ il telo
Per vendicarmi di qualunque ardito
Sari di violar quesr a me sacra
E devota virago : Italo o Teucro 045
Che sia. Poscia io verrò di nube involta 69f
A provveder che 1 miserabil corpo
Non sia d' armi spogliato , e che raccolta
Sia ne la patria , e seppellito e pianto.
Cosi dicendo , entro un sonoro nembo , 050
Da' mortali occhi non veduta a terra
Lievemente calossL I Teucri intanto »
E i tosclii duci le lor genti avanti
Spingendo , a la città r awldnara
LIBRO UNDKGI.MO 3l9
Piena ci' armi , d' insegne , di cavalli 955
E di schierati fanti e di squadroni '
Si vedea la campagna. Eran per tutto
Gualdane , giramenti , scorribande
Di cavalieri : in secche selve i colli
Parean conversi : ardea la terra e '1 cielo 960
Di ferrimi splendori; d' ogni parte
S' udia fremer cavalli , e squillar trombe.
Incontro a lor da Y altra parte uscirò
n fler Messapo , i cavalier latini .
Gorace col suo frate , e di GamUla 965
La bellicosa banda. Era il concorso 604
Tuttavia de le genti, e de' cavalli
Il fremito maggiore. E già la massa
Ristretta , e già vicine ambe le parti
A tiro d' asta , a fronte si fermaro 970
L' ima de Y altra ; e con le lance in resta ,
Con saette e con dardi incominciaro
Primamente da lungo a salutarsi
Poi di subite grida unito un tuono
Al ciel levossi ; e due contrari neml)l 975
Da la terra sorgendo , armi fioccaro
Di neve in guisa , e coprir d' ombra il sole»
Alfin da ciascun lato i destrier punti
Andar tutti con tutti a rincontrarsL
Era Tirreno al fìero Aconte opposto 98C
Ne la battaglia ; e questi primamente
S' urtare , e per la luria e per la forza
De r urto amne le lancio , ambi i cavalli ,
Ed ambi i corpi infranti , stramazzati »
L'un da T altro disgiunti, guai percossi 985
Da fulmine o da macchine avventati.
Caddero a terra. E pria ne l' aura Aconte
Lasciò la vita. Conturbate e sparse
Le schiere de' Latini , incontanente
Con le targhe rivolte , a tutta briglia 990
Ver le mura spronando , in fuga andaro. 623
Gli seguirò i Trojani ; e prima Asila
Gli assalse, e gli cacciò nn su le porte.
Qui fermi e rincorati alzan lo gridai
Volgon le teste, e si rifan lor sopra, 995
Gh' eran lor centra. Cosi quando questi.
E quando quelli or cacciano . or cacciati
Tornano ; in quella guisa ch*^ a vicenda
n mare or d' alto a riva i flutti increspa^
E ne r ultima arena ondeggia e spuma; 1000
Or da la riva indietro se ne torna^
320 ENBIDB
E le stess' onde, e la commossa ghiara
Sorbendo e voltolando, si ritragge.
Due volte i Toschi i Rutuli incalzare
Fino a le mura; e i Rutuli due volte loos
Risos^insero i Toschi. Al terzo assalto 02.)
Mischiarsi ambe le schiere, e l'im con T altro
Vennero a zuffa. Allor le grida e i mugghi
Si sentir de' cadenti : allor si vide
Il pian tutto di sangue , e tutto d'armi 1010
E d' uomini coverto e di cavalli
Feriti e morti. Orsiloco a rincontro
Di Remolo trovossi; e non osando
Di star seco a le mani, al suo cavallo
Trasse del dardo , e' n su T orecchio il colse. 1015
Del colpo impaziente e per se fiero
Si scosse , s' avventò , col petto in alto
E con le zampe il corridor levossi,
E'n su l'arena il cavalier distese.
Gatillo Jola e'I grande Erminio uccise; 1020
Erminio che di corpo e d' armi e d* animo
Era de' più robusti , de' più chiari
E de' più riguardevoli guerrieri v
De' Toschi tutti. Avea la chioma stessa
Per sua celata ; avea gli omeri ignudi 1025
Di ferro al ferro esposti, e di ferite 643
Ampio bersaglio. In su l' aperte spalle
Catulo il colse; e tremolando il telo
Passògli il petto e raddoppiògli il duolo.
Per tutto si fa sangue ; in ogni parte 1030
Si traggo , si ferisce , si stramazza :
E chi cede, e chi segue. In varie guise
Ne van tutti a morir morte onorata.
In mezzo a tanta occislone , ignuda
Da r un de lati infuriando esulta 1035
La vergine Camilla; ed or di dardo 648
Fulminando , or di lancia, or di secure
Non mai stanca percuote. E qual Diana
Di sonora faretra e d'arco aurato
Gli omeri onusta, ancor che si ritragga , 1040
Saettando, ferite e morti avventa.
D' intorno ha per compagne e per guerriere
D' archi , di mazze e di bipenm armate
Tulla, Tarpea, Larina, ed altre illustri^
Italiche donzelle a suo decoro 1045
Scelte da lei per sue degne ministre
Ne la pace e ne V armi Li lai sembianza
Termoaoonlyd U bellicoso stoolo
LIBRO UNBEGIMO ^ 321
De r Amazoni sue vide in battaglia
Attorneggiare Ippolita, o col carro 1050
Gir di Pcntesilca le schiere aprendo
Con feminei ululati. Or chi fu prima,
Chi poi, cruda virago, e quali e quanti
Quei ch'abbattesti , e che di vita spenti
Mandasti a r Orco ? Eumenio primamente, 1055
Di Clizie il figlio , da costei trafìtto eoe
Fu d* un colpo di lancia in mezzo al petto.
Cadde il meschino , e fé' di sangue un rivo ,
Sopra cui voltolandosi e mordendo
n sanguigno terren, di vita uscio. iqqq
Indi va sopra a Liri e sopra a Pègaso
Quasi in un tempo , a T un mentre > inciampando
Il suo destriero, il fren raccoglie; a l'altro
Mentre a lui , che trabocca , il braccio stende
Per sostenerlo : onde in un g^ruppo entrambi 1CC5
Precipitare. A cui d'Ippòta il figlio 073
Amastro aggiunse : e via seguendo , Arpàtico
E Tèrea e uromi e Demofonte uccise.
Quanti dardi lanciò , tanti Trojani
Gittò per terra. Ornilo , un cacciatore, 1070
Gli già davanti; e stranamente armato
Cavalcava di Puglia un gran destriero.
Per sua corazza avea d' ispido toro
Un duro tergo , per celata un teschio
Di lupo che dal capo insino al mento 1075
Sbarrava le mascelle , e digrignando
Mostrava i denti. In man portava ad uso
Di contadini un noderoso palo
Di grave ronca armato. Egli nel mezzo
, De gli altri suoi con le due leste andava 1080
Sovrano a tutti, e le ferine orecchie
Ergea di cresta e di pennacchi in vece.
Camilla il giunse , lo fermò , V uccise
Senza contrasto ; già che volta in fuga
Era la schiera sua. Sovra al suo corpo 1085
Disse rimproverando: E che pensasti, 685
Tosco insolente ? Di venire a caccia
In qualche selva, e seguir damme imbelli?
Venuto sei là 've una dama armata
Col ferro amaramente vi rintuzza 1090
La superbia e la hngua. Oh pur poco
Ti fla di vanto , riferendo a 1 ombre
De' tuoi : Per man fui di Camilla ucciso.
Indi Orsìloco assalse e Bute appresso,
Duo corpi de' maggiori e de* più forti 1095
32'3; ENEIDE
.^•JL
Del trojan oste. A Bute un colpo trasse
Che '1 giunse ove tra V elmo e la corazza
Si scopre il collo , onde lo scudo appeso
Sta da sinistra. Orsìloco, fuggendo
E girando , gabbò ; eh' al giro interno
S' attenne e strinse ; e là 'v' era seguita ,
1100
605
Seguitò luL Gli fu sopra in un tempo
A colpi di secure , e Tarmi e Tossa
Gli pestò si che per suo scampo a' prieghi
Si volse. Al fine un tal sopra la testa 1105
Ne gli piantò , che le cervella infranto
Gli schizzar da la fronte e da le tempie.
D' Alino montanar de V Appennino
Il bellicoso figlio a Y improvviso
Fu da lei colto: un Ligure scaltrito, Ilio
Che per ordire inganni (infìnchè *1 fato
Gliel concedè) non de sii estremt avuto
Era tra' suoi. Costui nel primo incontro
Sbigottito fermossL E poiché vide
Non poter con la fuga a lei sottrarsi, 1115
Che gli era sopra , a la malizia usata
Ricorrendo, Oh! gran prova (a dir comincia)
Sarà la tua , se ben femina sei ,
Di sfidar me , ffuando un cavai t' affidi
Si fugace e si forte. Or al vantaggio I120
Rinuncia de la fuga, e meco a piede 706
Prendi zuffa del pari ; e poi vedrassi
A cui questa ventosa tua bravura
Onore acquisti. A cotal dir Camilla
Di fùria, di dolor, di sdegno ardendo 1125
Ratto dismonta ; e '1 corridor deposto
In man de la compagna , a pie si pianta
Stringe la spada, imbracciasi lo scudo,
E con pari armi intrepida V attende*
n giovine che vinto si credette 1130
Aver con quello avviso, incontanente
La groppa le mostrò del suo cavallo,
E via spronando a tutta briglia il pinse.
Ligure vano, vano orgoglio in prima
Ti mosse: or vana astuzia e vana fuga 1135
Sarà la tua ; che V arte del fallace
Tuo padre , 0 di tua patria a far non basta
Che vivo da le man mi ti ritolga.
Disse la Virgo . e qual da cocca strale
Dietro gli si spiccò, ratto l'aggiunse, 1140
Passollo, attraversollo , al firen di piglio 1x9
Piedeglii lo feri, Tancise al fine*
LIBRO UNDEGIMO 323
Cosi d' un alto sasso agevolmente
Sparvier grifagno al timido colombo
S avventa, e lo ghermisce: onde in v^n tempo 1145
Sangue e piuma dal ciel nevica e piove.
In questa de* mortali e de* Celesti
L* eterno Regnator, che pur talvolta
Alcun de' ra«:gi suoi ver noi rivolge,
Non con lieve disdegno, o picciol ira 1150
Mosse Tarconte a sovvenir le schiero
De' suoi eh* erano in volta. Egli per mezzo
Va de r occisioni e de le mischie ,
Or il destrier contra i nemici urtando,
Or le sue squadre inanimando, insieme 1155
Le ristringe , le instiga , le garrisco ,
E per nome ciascun chiamando , Ah (disse)
Tirreni , e che timore e che spavento
E '1 vostro ? che viltà , che codardia
V*ha presi? e quando mai fìa che vi punga 1160
0 dolore , o vergogna ? Adunque in ftiga
Gite per una femmina ? una femmina
Vi disperge , e v* ancide ? A che di ferro
In van così le destre e i petti armate?
De le donne temete? E pur di loro 1165
Sì timidi di notte , né sì fiacchi 734
Ne gli assalti di Venere non siete;
Nò quando a suon di pifferi intimati
Vi sono i Baccanali. Or via, campioni
Da letti e da bottiglie , a nozze, a pasti, 1170
A sacrifici allor che ne le sacre 788
Foreste è da 1* aruspice intonato
Che la vittima è grassa : itene tutti
Seco a goder del saginato bue
A piena pancia; che nuli' altro amore, 1175
Nuìr altro studio c'I vostro. E ciò dicendo.
Ne va come devoto a morte anch' egli.
Con Vetiolo s* affronta ; 0 sì com' era
Turbato, l'aggavigna, e fuor lo traggo
Del suo cavallo. Alto le vessi un grido llóO
Tal che tutti a veder le ciglia alzaro
1 Latini e i Tirreni. Iva Tarconte
Per la camnagna con la preda in grembo
Del nimico "e de 1' armi ; e 'n mezzo al corso
Svelle da 1' asta sua medesma il ferro, 1185
E cerca ove è di piastra il corpo ignudo
Per dargli morte. E mentre ne la gola
Tenta feru4o , ci con le braccia in alto
Si scherma , reggo il colpo , 0 da la forza
\
1195
c2i BNBIBB
Quanto può con la forza si districa. il90
Come ne V aria insieme avviticchiati 750
Si son visti taior V aquila e '1 serpe
Pugnar voIaDdo , e V una aver con V ugne
E col becco ghermito e morso I* altro;
E r altro co* suoi giri e co' suoi nodi
Farle vincigli a* piò , volumi a V ali ;
E questo con la testa alto fischiando,
E quella schiamazzando e dibattendo,
Ambedue voltolarsi, ambedue stretti
Far di squame e di piume un sol viluppo : 1200
Cosi Tarconte per lo campo a volo
Vincitor de le schiere di Tiburte
Venolo sen portava. E questo esemplo
Del suo duce seguendo, e del successo
Assecurata la meonia torma ^205
Tutta centra i Latini impeto fece. 759
Tra questi Arunte , un cne di già dovuto
Era al suo fato , con un dardo in mano
Camilla astutamente insidiando.
Si diede a seguitarla , a circuirla , 1210
A cercar destra e comoda fortuna
Di darle morte. Ovunque ella 0 per mezzo
Fendea le schiere , 0 vincitrice m dietro
Si ritraea , V era vicino Arunte ;
E tutti i moti suoi , tutte le vie I215
Osservando, attendea che netto il colpo
Gli riuscisse ; e da fellone intanto
Aveà r asta a ferir librata e pronta.
Giva per avventura a lei davanti
Cloro, un giovine idèo che sacerdote 12*^0
Era già di Cibele. I Frigi tutti
Non avean chi di lui fosso ne V armi
Più riccamente adorno. Un suo corsiero
Per lo campo spingea di spuma asperso,
Cinto di barde e d* acciarine lame 1225
Como di scaglie, e di leggiadre piume 771
Leggiadramente inteste. Un arco d'oro
Gli pendea da le spalle , una faretra
A la Cretese. In testa v in gambe, in dosso
D* armi e d'arnesi in barbara sembianza; 1230
Di peregrina porpora e di seta,
. Di bisso, di teletta e d'ostro e d'oro
Tutto coverto , tutto ricamato ,
Tutto trinciato: e saettando andava.
Costui veduto , ogni altra impresa indietro 1235
^ Lasciando , a lui si volse 0 per vaghezza
LtnRO UNDKCIMO 325
Di consccrar le sue beli' armi al tempio ,
O pur che di si vago ostile arnese
Di gir pomposa cacciatrice amasse.
Basta che per le schiere incauta, ardente f 1240
E come donna vogliolosa e folle
De r amor de la preda e de lo spoglie
Contro a lui se ne giva; allor ch'Arante, ""
Dopo molto appostarla, alfln le trasse
In tal guisa pregando : O di Soratte 1245
Sommo custode Apollo, a cui devoti 785
Noi fummo in prima , a cui di sacri pini
Nutrimo il foco, e per cui nudi e scsuzi
Tra le fiamme saltanTlo e per le brage
Securamente e senza offesa andiamo; 1250
Dammi (che tutto puoi) Padre benigno.
Che questa infamia per mia man si tolga
Da r armi nostre. Io di costei non bramo
Armi , spoglie , o trofeo. Gli altri miei fittU
Mi sian di lode; e pur che questo mostro 1255
Gaggia spento da me, ne la mia patria
Senza più gloria andrò di questa guerra
Pago e contento. Udì Febo del voto
Parte , e parte per 1* aiu'a ne disperse.
Udì che morta aa quel colpo fosse 1250
La vergine Camilla ; e non udio 796 \
Di lui, eh' ei vivo in patria ne tornasse: ^.:-
Chè ciò per V aura ne portare i venti. gli
Tosto che da le man r asta ronzando
Gli uscio, ftir gli occhi e gli animi e le gxUft 1265
De* Volsci tutti a la regina intenti
Ed ella nò del telo , nò de Y aura
Moto 0 fischio senti ; né vide il colpo ,
Mentre giù discendea, finché non giunse.
Giunsele a punto ove divelta e nuda 12T0
Era la poppa ; e del vergineo sangue,
Non già cu latte, sitibonda scese
Si che '1 petto Y apri. Le sue compagne
Le fiir trepide intorno; e già che morta
Cadea , la sostentaro. Arante in ftiga 1275
Ratto si volge , di paura insieme loe
Turbato e di letizia ; che ne l' asta
Più non confida, e più di star non osa
Incontro a leL Qual affamato lupo
Che , ucciso de Y armento un sran giovenco, 1280
O lo stesso pastore , in se contuso
Di tanta audacia, anzi che da' villaggi
Qli si levin le grida, infra le gambe
22(^ ENEin!^
Si rimetto la coda, e ratto a' morì ti
Fuggendo , si rinpclva : in colai guisa 1285
Arunto dopo '1 tratto impaurilo,
Solo a salvarsi inteso , in mezzo a Y armi
Si mischiò tra le schiere. Ella morendo.
Di sua man ftior del petto il crudo ferro
Tentò svellersi indamo ; che la punta 1290
S' era altamente ne le coste infissa :
Onde languendo ahbandonossi , e fredda
Giacque supina : e gli occhi che pur dianzi
Scintillavano ardor, grazia e fierezza.
Si fèv torbidi e gravL II volto in prima 1205
Di rose e d' ostro , di palior di morte sio
Tutto si tinse. In tal guisa spirando.
Acca a se chiama , una tra r altre sue
La più fida di tutte e la più cara ;
E dice: Acca sorella, i giorni miei I30vi
Son qui finiti : questa acerba piaga
M' adduce a morte , e già nero mi sembra
Tutto che veggio. Or vola , e da mia parte
Dì per ultimo a Turno , che succeda
A questa pu^a , e la città soccorra : 13^5
E tu rìnunti in pace. A pena detto
Ebbe cosi , che abbandonando il freno
E r arme e se medesma , a capo chino
Traboccò da cavallo. Allora il freddo
Le occupò de la morte a poco a poco 1310
Le menubra tutte. E dechinato il collo sso
Sopra un verde cespuglio , alfln di vita
Sdegnosamente sospirando uscio.
Camilla estinta, per lo campo un grido
Levossi che n'andò fino a le stelle, 1315
E surse al cader suo zuffa maggiore :
Che i Teucri e i Toschi 0 gli Arcadi in un tempo
Finsero avanti Opi ministra intanto
Di Trivia , che nel monte era discesa
Vicino a la battaglia , indi il conflitto 1320
Stava mirando intrepida e sicura.
E visto di lontan tra molte genti
Nascer nuovo tumulto e nuove grida.
Poscia in mezzo di lor caduta e morta
La vergine Camilla, Ah (sospirando 1325
Disse) virgo infelice ! troppo , troppo
Crudel supplizio hai de r ardir sonerto »
Se d' irritar Y armi trojane osastL
E di che prò t' è stato a viver nosco
Solinga vftai armar de raCrmi nostre, 1330
•«•«■
7
ìA]) j") i:;;f>..J.:.MO 32'J
Gradire i boschi, e venerar Diana? 848
Ma te non lascerà la tua regina
Giacer disonorata in questa fine
Da la tua vita; e la tua morte oscura
Non sarà tra le ^enti; e non dirassi 1335
Che non è chi di te vendetta faccia:
Che chiunque di ferro avrà ferito *
Il corpo tuo j sarà meritamente
Di ferro anciso. Era a Dercenno aùtico
Re de' Laurenti uri gran sepolcro eretto, 1340
Cui sopra era di terra un monte imposto »
£ d* elei annosi e folti un bosco opaco.
Qui la veloce Dea dal ciel calessi
Al primo volo; e di qui visto Arante
Splender ne Tarmi, e gir di sua follia 1345
Superbo e gonfio » Ove ne vai ? (diss' ella)
Qui convien che ti fermi , e gui morendo
De la morta Camilla il premio avrai
Degno di te , se di perir sei degno
De r armi di Diana. E ciò dicendo 1350
La buona arciera del turcasso aurato 857
Trasse un acuto strale , e V arco tese ,
E tirò si eh' ambe le corna estreme '
Vennero al mezzo , ed ambe parimente
Le mani , una tirata e 1' altra spinta, i355
Quella toccò la poppa e questa il ferro.
L'arco, Taura, lo strai sonare udio,
E ferir e morir sentissi Arante
Tutto In un tempo. I suoi quasi in oblio
Cosi , come spirava , in mezzo al campo 1360
L9 lasciar fra la polve in abbandono :
Ed Opi al ciel tornando a volo alzossL
Camita lei , la schiera di Camilla
Primieramente in fuga si rivolse.
Indi turbarsi i Rutuh , e dier volta. 1365
Die volta il fiero Atina ; e i duci tutti
E tutte fur le insegne abbandonate.
Cerca ognun di salvarsi , e ver le mttrà
Ne vanno a tutta briglia ; e più nel campo
Alcun non è che di far testa ardisca . 1370
Centra la strage e centra la mina stu
Che fanno i Teucri Se ne van con gli archi
Scarichi in su le terga e spenzoloni;
E più che di galoppo inver Laurento
Battono il campo , e flEui nubi di |KdlTe« 1375
Le madri da' balconi e d^^torraxu,
Percossi i petti , alzano al ciel lo gridA
^
vmrtm
Con femineo ululato. E quei che primi
Giunti trovar le porte ancor non chinse,
Mischiati co' nemici , ove più salvi
Si cre^ean , ne V entrata e fra le mura
De la b tessa lor patria, anzi a gli alberghi
Lor propri e da' nemici e da la morte
Fiu* sopraggiuntL In cotal guisa in prima
Stette la porta a gli avversari aperta.
Poi chiusa , escluse i suoi, che fuori in preda
Restando de' nemici, a 1 lor ]^iù cari.
Che morir gli vedean , perche s'aprisse
Supplicavano indamo. £ qui tra quelli
Che n' erano a difesa , e quei eh' a forza
Anzi a fùria , a ruina incontro a loro
S' awentavan ne Y armi , orrenda strage
Si fece e nuseranda. E de gli esclusi
Altri in cospetto de gli stessi ^adri,
E de le ms^ che dogUose grida
Ne facean da le torri e da le mura ,
Da r impeto cacciati o da la calca
Precipitar ne* fossi , e giù da' ponti
Gadder sospinti ; ed al&i ne la fuga
Da sfrenati cavalli e da la cieca
Lor taria. trasportati , a dar di cozzo
Gir ne le chiuse porte. In su' ripari
Ancor le donne (chà le donne ancora
Il vero de la patria amore infiamma)
Come giunte a V estremo , allor che morta
Vider Camilla, il feminil timore
Volgono in sicurezza; e sassi e dardi
Lanciando, e con aguzzi inarsicciati
Pali il ferro imitando , osano anch' elio
Per la difesa de le patrie mura
Gir le prime a morir morte onorata.
A Turno intanto ne le selve arriva
Acca, la già spedita messaggera
Con Tamara novella, un gran tumulto
Portando , che l' esercito è sconfìtto ,
Morta Camilla, annichilati i Volsci,
E i Teucri d' ogni cosa impadroniti
Stanno in campagna col favor che porta
Seco de la vittoria il corso e '1 nome ;
Spingonsi avanti; e già pianto e paura
Assaleon la città. D' ira , di sdegno ,
E di furore il giovine infiammato ,
(Che tale era u voler empio di Giove)
Pa l' insidie li togltoi esce de' boschi
138Ò
1585
1390
880
1395
1400
1405
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89!
1415
898
1420
LIBRO UNDKCIMÓ
Ov* era ascoso , e giù scende da' colli.
Smarriti non gli avea di vista a pena,
A pena era nel piano , allor eh' Enea
Prese del monte ; e la 'v' era r agguato ,
Trovando aperto , senz' offesa anch' egli
Superò '1 giogo , e de la selva uscio.
Cosi con passi frettolosi entrambi
Con tutte le lor genti , e l' un da 1' altro
Poco lontani a la città sen vanno.
E 'nsiememente da V un canto Enea
Vide di polverio fumare i campi ,
E di Laurento sventolar V insegne ;
Turno da 1' altro Enea scoperse^ udendo
V annitrir de' cavalli e '1 calpestio
Crescer di mano in mano. Eran vicini
Si che venuto a zuffa ed a battaglia
Si fora anco qiiel di ; se non che Febo
Fatto vermigho i suoi stanchi destrieri
Stava già per tuffar ne 1' onde Ihere.
Onde avanti a le mura ambi accampati
Di trincee si munirò e di ripari.
929
1425
1430
1435
908
1440
M45
FINE DBL LIBRO UNDECIIfO
LIBRO DUODECIMO
ARGOMENTO
TQ'^o vedendo Tabbattimento dei Latini, e che ornai solo in sé 9trc«o
poteva riporre ogni speranza, a malgrado delle rimostranze di Latino e dplle
molte lacrime della regina cne lo scongiurano a torsi giù dair impreca ,
delibera di venire a singoiar tenzone con Enea, e gli manda la sfida, l-ioo.
Enea Faccetta ; e le condizioni sono solennemente giurate da una parto e
dairaltra: ma la ninfa luturna, sorella di Turno, ecatata da Giunone, turba
subito raccordo, 107-248. Ad istigazione dello stesso augure Tolumnio, di
qua e di lÀ Si viene a sanguinoso conflitto, nel quale Enea ferito è co-
suretto di abbandonare il combattimento, 244-898. Di ciò accortosi Turno,
te del Troiani intomo a sé un monte di cadaveri, 324-382. Intanto Tenere
con dittamo eretico guarisce la piaga del figlio, 883-429. Il quale dopo una
breve esortazione ad Ascanio, accorre di nuovo in aiuto de* suoi, e pro-
voca Turno a battaglia, chiamandolo a nome. Ma questi per frodi oella
sorella luturna è vOlto altrove, 480-485. Onde Enea, fatta molta ucci-
sione di Rutuli, avvicina tanto resercito alla città, da appiccare il fuoco
•gli steccati e ai primi edifi:^, 486-592. Allora la regina Amata credendo
che Turno fosse spento, s* impende a un laccio, 593-618. Turno, saputo
queste cose, vedendo che nOB^opuò salvarsi dal combattere da solo a solo
con Enea, se pur non voglia che sotto i suoi occhi quella città alleata
venga In^potere de* nemici, lo provota, secondo il patto, a duello
614-6V. Enea vincitore in questo coipbattijqe nto , mentre aller preghiera
del caduto rivale sente ffià quasi commuoversi a pietà, venendogli a un
tratto veduto il balteo di Fallante sugli omeri del nemico, preso aa subita
Ira, gì* inmnerge la spada nel petto, 697-059.
Turno, poscia che vede afflitti e dòmi
Già due volte i Latini; e non pur scemi
Di forze , ma di speme e di baldanza ,
Da lui farsi rubelu; e che a lui solo
Ognun rivolto in tanto afTare attende 5
Le prove, le promesse e i vanti suoi;
Furioso , implacabile , inqitìeto
Arde , s* inanimisce , e si rinfranca
Prima in se stesso. Qual massila fera
Gh' allor d' insanguinar gli artigli e il ceffo 10
Dispensi . allor s' adira, allor si scaglia
Ver chi la caccia , che da lui si seote
Gravemente ferita; e glÀ godendo
De la vendetta , saqgmnosa e Aera
Con le giubbe e' arruflb i e con le rampo IC
tìnnn doodbciuo
Accesa , impetuosa e furibonda^
£ così conturbato appreseniossi
Al re davanti o disse : Indugio , o scusa
Più non fa Turno ; e più non ponno ì Teucri
Da quel eh' è patteggiato e statiiito,
Se non se per viltà, ritrarsi ornai.
Eccomi in campo : ecco parato e pronto
Sono al duello. Or fa. Padre, che'l patto
Sia fermo e rato e sacro ; e i sacriUcj
E '1 giuramento appresta. Oggi , Signore ,
Sii certo o ch' io con lo mie mani a morte
Questo de l' Asia fuggitivo adduco ,
È'I difetto di tutti io solo ammendo;
(Stiansi i)ure a vedere i tuoi Latini)
0 ch'ei vincendo tìa padrone a voi
E marito a Lavinia. A cui Latino
Col cor sedalo in tal guisa risposQ ;
Giovine valoroso , al tuo valore ,
A la ferocia tua , che tanto eccede
Ne r armi , io deferisco. E tu dovrai
Appagarti di me , s' io d' ogni eoa»
Temendo , con ragione e con maturo
Consiglio in tutti i casi inveglio , e coro
Che '1 mio stato si salvi e la tua vita.
A te del vecchio Danno erede e Aglio
Seggio e regno non manca, oltre a le terre
Di cui tu fatto hai da te stesso acquisto
Per forza d'armi. Oro, favori e gradi
Da Latino avrai sempre: e maritaggi
E donne d' alto aCfar son per lo Lazio ,
E per le terre di Laurento assaL
Ma soflVi eh' io ti parli , e senti e nota
Poscia quel ch'io dirò; che dirò vero.
Ben che noja ti sia. Fatai divieto
Mi proibiva , e gli uomini e gli Del
M' avean vaticinando in molte guise
Denunciato , che mia figlia a nullo
Io maritassi di color che chiesta
Me r avean prima. E pur da l' amor vinto
Che ti porto io, dal parentado astretto
Ch' ho con la casa tua , mosso dal pianto
E da le preci de la donna mia.
Dandola a te mi sono al i^to opposto;
Ho rotto fede al genero ; ho con Ini
Presa non giusta « non sicura pierra.
33i2 ENEIDE
Da indi in qua tu stesso , tu che primo
Soffri tante fatiche e tanti affanni ,
Hai veduto in che rischi, in che travagli fio
Siam noi caduti; che due volte rotti
In duo si ^ran battaglie, in questo cerchio
No Siam rmchiusi a sostentare a pena
La speranza d'Italia. 11 Tehro è caldo
Del nostre sangue. I campi son già bianchi 70
De le nostr' ossa. Ed io folle a che torno -'^ì
Tante fiate al precipizio mio ?
Chi cosi da me stesso mi sottraggo ?
Se , Turno estinto , io nel mio regno deggio
I Trojani accettar, che non gli accetto 75
Or eh' egli è vivo e salvo ? E che non pongo
Fine a la guei-ra , a la ruina espressa
Del mio regno e de' miei ì Che ne diranno
I rutuli parenti ? che diranno
Italia tutta , quando a morte io lasci 80
( Voglia Dio che non sia) gir un che tanto
Ama la parentela e*l sangue miot
Rimira de la guerra come vana
Sia la fortuna. Abbi pietà del vecchio
Danno tuo padre che da te lontano 85
In Ardea se ne sta mesto e dolente.
Turno a questo parlar nulla si mosse
De la ferocia sua : crebbe più tosto
II suo ftirore; e lo rimedio stesso
Gli aggravò '1 male. Ei, come pria poteo 90
Formar parola , in tal guisa rispose : 47
Nulla per conto mio di me ti caglia,
Signor benigno : anzi , ti prego , m grado
Prendi eh' io per la lode e per l' onore
Patteggi con la morte. Ed anch' io , Padre , 95
Ho le mie mani; ed anco il ferro mio
Ha taglio e punta, e fa ferita e sangue.
Non sempre avrà , cred' io , la madre a canto ,
Che di nube lo copra e lo trafigga
Come vii femminella , e di van' ombra 100
Seco s' inveiva. E ciò detto si tacque.
Ma la regina de V audace impresa
Del genero dolente e spaventata ,
Piangendo, e per angoscia a morte giunta
Lo tenea , lo pregava , e gU dicea : 105
Turno , per queste lagrime , per quanto
T' è , se pur fé, de r infelice Amata
L' onor , 1 amore e la salute in pregio :
( Già che tu sola spome i e sol riposo
Liiìao d'';o:k':c:mo 333
Sei de la mia vecchiezza; a te s* appoggia, lio
In te si fonda di Latino il regno, 57
E la sua dignitade , e la sua casa
Che mina minaccia ) in don ti chìeggio ,
Astienti di venir co' Teucri a T arme.
Che qualunque ne segua avverso caso 115
Sopra me cade. Ch* io teco di vita
Uscirò pria che mai suocera, 0 serva
Io mi veggia d' Enea. Queste parole
De la madre senti Lavinia virgo
Di rugiadose lagrime e d* un foco 120
Di vergineo rossor le guance aspersa,
Qual fora se di porpora macchiato
Fosse un candido avorio, 0 che di rose
Si spargessero i gigli In lei mirando
n giovine , d' amor non men che d' ira 125
Acceso, a la regina brevemente 70
Cosi rispose : Ah ! madre mia , ti pre^^c.
In cosi perigliosa e dura impresa
Non mi far col tuo pianto e col tuo duolo
Sinistro annuncio. Cnè s* a Turno è dato 130
Che muoja , in suo poter più non è posto
Che di morire indugi. Indi a Y araldo
Rivolto, Va (gli disse ) e da mia parte
Quest'ingrata e spiacevole imbasciata
Porta al frigio tiranno, che dimane 135
Tosto che na la rubiconda Aurora
A r oriente apparsa , i Teucri suoi
Contr' a' Rutuli addur più non s' affanni.
Stiensi r armi de' Rutuli e de' Teucri
Per mio conto in riposo. Che tra noi 140
Col nostro sangue a difìnir la guerra,
E di Lavinia le bramate nozze
In su quel campo a procurarci avemò.
Detto cosi , ver la magion s' invia
Rapidamente ; addur si race avanti 145
I suoi cavalli, e le fattezze e'I fremito si
Notando, se ne gode, e ne concepe
Speme e vittoria : che di razza usciti
Eran già d' Orizìa , da cui Pilunno
Ebbe giumente e corridori in dono, 150
Che di candor la neve , e di prestezza
Superavano il vento. Avean d'intorno
I valletti e gli aurighi che palpando ,
Forbendo e vezzeggiando , m varie gutóe
Gli facean lieti , baldanzosi e fieri. 155
Fatte poscia venir l' anni , si vesto
'./*
33i — BNEIDB
La sua corazza d' oricalco e d' oro ,
E dentro vi s'adatta e vi si vibra
Con la persona. Imbracciasi lo scudo.
Provasi r elmo : e la vermiglia cresta iCO
Squassando, il brando impugna, il lido brando to
Da lo stesso Vulcano al padre Danno
Temprato in Mongibello a tutto prove.
Al fine im* asta poderosa e grave ,
Ch'appo un'alta colonna era appoggiata ig5
In mezzo de la casa , in man si pianta ,
Spoglio d' Attóre Aurunco. E poiché T ebbe
Brandita e scossa , Asta ( gridando disse )
Gh' a le mie fazioni unqua non fosti
Chiamata indarno , ora al maggior bisogno 170
Da te soccorso imploro. Il ^ande Attóre
Armasti in prima, or sei di Tiu^no in mano.
Dammi che 1 corpo atterri, e la corazza
Dischiodi , e '1 petto laceri e trapassi
Di questo frigio effeminato eunuco. 175
Dammi che T profumato , inanellato ,
.Gol ferro attorcigliato zazzcrino
Gli scompigli una volta, e ne la polve
Lo travolga e nel sangue. In cotal guisa
Dicendo, inftirlava, ardea nel volto, ISO
Scintillava ne gli occhi, orribilmente loi
Fremea, qual mugghia il toro allor che irato
Si prepara a battaglia, e Tira in cima
Si reca de le corna: indi V arrota
A qualche tronco, e'I tronco e Taura in prima 185
Ferendo , alto co' piò sparge l' arena ,
E del futuro assalto i colpi impara.
Da r altro canto Enea , non men feroce
Ne Tarmi di sua madre, al fiero Marte
S'inanima, e s'accinge, e del partito iOO
Ghe gli era per compor la guerra oflferto,
Si rallegra, l'accetta; e i suoi compagni
E '1 suo figlio assicura , or di se stesso
La fipanchezza mostrando , or le venture
De' Fati rammentando e le promesse. l'J5
Indi con la risposta al re Latino 1 1 1
Manda chi la disfida e'I patto accetti,
E del patto i capitoli e le leggi
Stabilisca e confermi. Era de' monti
In su la cima a pena il sole apparso 200
De r altro «iomo allor che i suoi destrieri
Sorgon da l'onde, e con le nari in alto
Fiamme anelando , il mondo empion '0. luco ;
LIBRO DUOl>BGlMO S86
Quando nel campo i Rutuli discesi
E i Teucri insieme , sotto a Y alte mura 205
Fabbricar lo steccato, a cui nel mezzo
I fochi, e r are di gramigna asperse
Furo a gli Dei d' ambe le parti eretti
Comunemente ; e d' ambi i sacerdoti
Di bianco lino involti, e di verbena 210
Cinti le teippie andare altri con l'acqua.
Altri con le facelle intorno accese.
Poscia ecco de gli Ausonj da 1" un canto
A piene porte V ordinate schiere
Uscir da la città di picche armate; 215
Da r altro de* Trojani e de* Tirreni i2S
Gir r esercito tutto in varie guise
D' abiti e d' armi ; e questi incontro a quelli
Non altramente eh' a Battaglia instruttL
Fra mezzo a tante mila i condottieri 220
Ciascun da la sua parte si vedea
Gir d' oro e d' ostro alteramente adomi.
E'I gran Memmo con questi e'I forte Asila,
E Messapo con quelli , de' cavalli
II domatore e di Nettuno il figlio. 225
Poscia che, dato il segno, ebbe ciascuno .-^s
Chi di qua chi di là preso il suo loco;
Piantar le lance, e dechinàr gli scudi
Le donne , i vecchi , i putti e '1 volgo inerme
Di veder desiosi , altri m su' tetti , 230
Altri in su' rivellini e 'n su le torri
Stavan mirando. E non dal campo lungo
Sedea Giuno iCTun colle, Albano or detto
Gh'allor nò d'Alba il nome avea, nè'l pregio,
Né i sacrifìci. In questo monte assisa 235
Vedea de' Laùrenli e de' Trojani
L' accolte genti , e di Latino il seggio.
Ivi la Dea di Turno a la sirocchia,
Che Dea de' laghi era e de' fiumi anch' ella ,
(Privilegio che Giove allor le diede 240
Che de la pudicizia il fior le tolse)
Disse cosi: Ninfa de' fiumi onore,
Sovr' ogni Ninfa a me gioconda e cara ,
Tu sai come te sola ho preferita
A tutte r altre che di Giove in Lazio 245
L'ingrato letto han di salire osato;
E come volentier del cielo a parte
Meco t'ho posta. Ascolta i tuoi doloilf
Perchè di me delerti unqua non possa.
Finché di Lazio la fortuna e '1 fato
250
«30- — BNBIDB
Me rhan concesso, lo prontamente e Turno 147
B la tua terra e i tuoi sempre ho diteso.
Or TB^gio questo giovine a duello
Con disegnai destino esser chiamato :
Veggio il di de la Parca, e la nemica 255
Forza che gli è vicina, lo ^esto accordo,
i Questa pugna veder cop gh occhi miei
Per me non posso. Tu, se cosa ardisci
In prò del tuo germano , ora è mestiere
Che tu r adopn ; e puoi farlo , e convientL 260
Fallo: e chi sa che 1 misero non cangi
Ancor fortuna? A pena avea ciò detto,
Che Juturna gemendo e lagrimando
Tre volte e quattro il petto si percosse.
A cui Giuno sog^unse : Eh non è tempo 265
Da stare in pianti. Affretta ; e da la morto i56
Scampa ( se scampar puossi ) il tuo fratello ,
O turbando P accordo , 0 suscitando
Nuova cagion di mischia e di tumulto.
Io son che te 1* impongo , e te n* affido. 270
Con questo la lasciò sospesa e mesta,
B d' amara puntura il cor trafitta.
Ecco ven^no al campo i regi intanto;
Latino il pnmo , alto in un carro assiso
Che da quattro suoi nitidi corsieri 275
Di gran macchina in guisa era tirato ,
B di dodici raggi il fronte adomo
Del Sole avo di lui semhiania avea.
Turno traean due candidi destrieri,
Con due suoi dardi in mano , agili e forti 280
Enea de la romana stirpe autore
Con r armi sue celesti e con lo scudo
Che dianzi da le Étélle era venuto ,
Uscio da r altro canto , e seco a pari
Ascanio il Aglio suo, de la gran Boma 285
La seconda speranza. A mano a mano 108
n sacerdote in pan veste involto
Anzi a gli accesi altari il nuovo parto
D* una setosa porca , ed una amiella
Ancor non tosa al sacrificio addusse. 290
E volti a r oriente , in atto umile
S* inchinar tutti ; e vino e farro e sale
Sparser d* amli0 le parti; amhe col ferro,
Si com' era uso^ a le devote belve
Segnar le tdhLmelr Ailor il padre Enea 20^
Stnnse la s^da , e gli occni al ciel rivolti ,
Cosi disse pregando ; Io quMto sole
LIBRO DUODECIMO 337
Per testimone invoco o questa terra ,
Per cui tanti ho fin qui sofferti affanni:
Invoco te celeste , onnipotente , SOO
Eterno Padre , e te Saturnia Giuno 178
Già ver me più benijj^na (e ben ti prego
Che mi sii tale) e te gran Marte invoco,
Gh* a r armi imperi : e voi fónti, e voi flusìi ,
E voi tutti del mar , tutti del cielo 905
Numi possenti ; e vi prometto e giuro
Che se Turno per sorte è vincitore
Di questa pujjna , il successor del vinto
Gli cederà ; eh' a la città d* Evandro
Si ritrarrà ; che mai poscia ribelle 310
Non gli sarà ; che guerra , o lite , 0 sturbo
Alcun altro più mai non gli farà.
Ma se più tosto (come io prego , e come
Spero che mi succeda) al nostro Marte
La dovuta vittoria non si froda; 315
Io non vo' già che gì' Itali soggetti
Siano a' miei Teucri , nò d' Italia io solo
Tener V impero : io vo* eh* ambi del pari
Questi popoli invitti aggian tra loro
Governo , e leggi eguali , e pace eterna. 320
A me basta eh' io dia ricetto e culto i9i
A' miei Numi , a mìei Teucri ; e sia Latino ,
Suocero mio , del suo regno e de V armi
Signor, rettore e donno. Io poscia altrove
Altre mura ergerommi , e de' miei stessi 321
Fien le fatiche , e di Lavinia il nome.
Cosi pria disse Enea: cosi Latino
Seguitò poi con gli occhi e con la destra
Al ciel rivolto^ Ed io giuro (dicendo)
Le stesse Deità , la terra , il mare , 330
Le stelle, di Latona ambi i gemelli, i«i
Di Giano ambe le fronti, il chiuso centro i
E la ^an possa degl' inferni DiL
Odami di la su 1* eterno Padre
Che fulminando stabilisce e ferma 336
Le promesso e §li accordi. I Numi tutti
Chiamo per testimoni , e tocco 1* ara ,
E tocco il foco , e questa pace approvo
Dal canto mio. Nò mai (cne che si sia
Di questa pugna) ne per forza alcuna , 3^0
Né per tempo sarà eh* ella si rompa
Di voler mio , non se la terra in acqua
Si dileguasse , non se '1 ciel cadesse
Ne r imo abisso : cosi come ancora
Dell' Eni^titk ^
^:^-
338 ENTKIDFi
Questo mio scettro (che lo scettro in mano 345
Avea per sorte) più nò fronda mai
Né virgulto farà, poiché reciso
Dal vivo tronco , o da radice svelto
Mancò di madre , e già d' arbore eh' era ,
Sfrondato, diramato e secco legno 350
Di già venuto , e d' oricalco adomo ,
E per man de V artefice ridotto
In questa t'orma , e per quest' uso in mano
De 1 re Latini è posto. In cotal guisa
Fermati i patti, e T ostie in mezzo addotte, 355
Tra i più lamosi anzi a T accese fiamme tit
Le svenar , le smembrar , le sviscerare.
E si com' eran palpitanti e vive ,
Le fibre ne spiar , le diero al foco ,
N' empier le quadre, e ne colmar gli altari 360
Di già disvantaggioso e diseguale
Questo duello a' Rutuli sembrava ;
E già vari bisbigli , e vari moti
N* eran tra loro : e com* più sanamente
Si rimirava, più di lorze impari 365
Si vcdea Turno ; ed egli stesso indizio t is
Ne die, che lento e tacito e sospeso
Entrò nel campo. E come ancor di pelo
Avea le guance lievemente asperse ,
Orando anzi a Y aitar pallido il volto 370
Mostrossi , e chino il flronte j e grave il ciglio.
Tale una languidezza rimirando ,
E tal del volgo un susurrare udendo
Giuturna sua sorella, infra le schiere
Gittossi, e di Gamerte il volto prese. 375
D' alto legnaggio , di valor paterno ,
E di propria virtute era Gamerte
Famoso infra la gente. E tal sembrando.
Già de gli animi accorta , iva Giuturna
Rumor diversi e tai voci spargendo : 380
Ah! che vergogna, che follia, che fallo,
Rutuli, è '1 nostro , che per tanti e tali
Sola un' alma s' arrischi ? Or slam noi forse
Di numero a' nemici int'ertori ,
O d* ardire , o di forze ? Ecco qui tutti 385
Accolti i Teucri e gli Arcadi e gli Etruschi tsi
Ghe sono anco per fato a Turno infensi*
A due di noi centra im di loro a miscnia
Che si venisse, di soverchio ancora
F'^rano i nostri. Ei che per noi combatte , 390
N<' sarà fra gli Dei , cui s' è devoto ,
LIBRO DUODBCIMO '339
_. *
In ciel riposto ; e qui tra noi famoso
Vi vera sempre. Ma di noi che fta,
Ch* or ce ne stiam si neghittosi a badaf
La patria perderemo? e da stranieri, 206
E da superbi in servitute addotti,
Preda e scherno d' altrui sempre saremo?
Da g[uesto dir la gioventù commossa
Yia pm s' accende , e '1 mormorio serpendo
Più cresce per le squadre. Onde i LaUni, 400
E gli stessi Laurenti che pur dianzi
Di pace eran si vaghi e di quiete ,
Pensier cangiando e voglie , or X arme tutti
Gridano, tutti pregan che T accordo
Sia per non fatto ; e tutti han do T iniqua 405
Sorte di Turno ira, pietate e sdegno. 243
In questa ecco apparir no T aria un mostro
Per opra di Giuturna , onde turbati
E dal primo proposito distolti
Fur da vantaggio de' Latini i cuori. 410
Videsi per lo lito e per lo cielo
Di rog^o asperso un di palustri augelli
Impaurito e strepitoso stuolo.
Dietro un* aquila avea , eh' a mano a mano
Giuntolo de lo stagno in su la riva, 415
Un cigno ne ghermì , eh' era di tutti
n maggiore e *1 più bello. A cotal vista
Gli occhi e gli animi alzar T itale squadre;
E 5IÌ augei che pur dianzi erano in fuga
(Mu'abile a vedere !) , in un momento 420
Stridendo si rivolsero, e ristretti
In densa nube , ond' era il ciel velato ,
La nimica assalirò. E sì d' intorno
La cinser , T aggirar , T attraversare ,
Ch' a cielo aperto , u' dianzi orano in fuga» 425
Le fér gabbia , ritegno e forza al fine
Che gravata dal peso e stretta e vinta
De la lena mancasse e de la preda.
Il cigno dibattendosi , da T ugno
Sovra l'ondo gli cadde; ed ella scarca, 430
Da la turba fuggendo , al cielo alzossi. «56
I Rutuli a tal vista con le grida
Salutar pria l'aui^urio: indi a la pugna
Si prepararo. E fu Tolunnio il primo ,
Ch'augure, incontro al patto anzi a le schierp. 435
Si spinse armato , e disse : Or questo ò , queslo
Ch' 10 desiava ; e questo è quel eh* io cerco
Ho ne' miei voti. Accetto e riconosco
A
340 BNsmB
n favor de gli Dei Me , me seguite ,
Rullili miei. Gou me T armi prendete 440
Contro al malvagio che di strana parte sei
Venuto con la guerra a spaventarci ,
Ha voi per vili augelli, e i vostri lidi
Cosi scorre e depreda. Ma ritolto
Questo cigno gli Ha ; di nuovo al mare 445
In fuga se n' andrà. Voi combattendo
In guisa de la pria fugace torma «
Ristringetevi insieme , e riponete
n vostro re , che v* è rapito , in salvow
Detto cosi, spinse il destriero , e trasse i- 0
Contro a* nemici Andò stridendo e dritto
L' aura secando il fulminato dardo;
E insieme udissi col suo rombo un grido ,
Che insino al elei , de' Rutuli , sentissi
Insieme scompigliossi il campo tutto, 455
Turbarsi i petti , ed infiammarsi i cuori*
V asta volando giunse ove a rincontro
Nove fratelli eran per sorte accolti,
Che tutti d* una sola etrusca moglie
Da r arcadie Gilippo eran creati. 460
Un dì lor ne colpi là 've per mezzo vtt
n cinto s' attraversa , e con la fìbbia
S* afferra al fianco. Ivi tra costa e costa
Penetrando, altamente lo trafìsso,
E morto in su V arena lo distese. 465
Questi il più riguardevole ne T armi
Era degli altri, e '1 più bello e *1 più forte.
E gli altri (come tutti eran feroci)
Dal dolore infiammati , incontanente
Chi la spada impugnò , chi prese il dardo ; 470
E centra il foritor tutti in un tempo ,
Come ciechi, avvenlàrsL Incontro a loro
Si mosser de* Laurenti e de' Latini
Le genti a schiere ; e d' altro lato a schiere
Spinsero i Teucri e gli Arcadi e gli Etrusci. 475
Cosi d'armi e di sangue uguale ardore «si
Surse d' ambe le parti ; e 1* are e '1 foco ,
Ch' eran di mezzo , e 1* ostie e le patene
N'andar sossopra; e tal di ferri e d'aste
Denso levossi e procelloso un nembo, 4d0
Che '1 sol se n' oscurò , sangue ne piovve.
Grida e fugge Latino , e i numi otfcsi
Se ne riporta , e detestando abborre
Il violato accordo. Armasi intanto
Il campo tutto \ e chi fi*ena i destrieri , 485
LIBRO DUODECIMO 341
Chi '1 carro appresta; o ^ià con V aste basse,
E con le spade ad investir 9* vanno.
Messapo desioso che raccordo
Si disturbasse , incontro al tosco Auleste
Che, corno re, di real fregi adorno 490
E d' ostro al sacrillzio era assistente ,
Spinse il cavallo , e spaventollo in guisa
Cne mentre si ritraggo intra gli altari
Cli' avea da tergo , urtando , si travolse.
Messapo con la lancia incontanente 495
Gli si fé' sopra , e si com' era in atto t94
Di supplicarlo , il petto gli trafìsse.
Cosi Ben va (dicendo) : or a ^ran numi
Porco più grato e miglior ostia cadi. - '•
Cadde il meschino , e fu spirante e caldo 500
Sovraggiunto da gV Itali, e spogliato.
Die Corinèo per un gran tizzo a l'ara
Di piglio ; e sì com' era ardente e grave ,
Ad Eduso che incontro gli venia ,
Nel volto il fulminò. Schizzonnc insieme 505
Il foco e '1 sangue ; e di baleno in guisa soo
Un lampo ne la barba gli refulse
Che die , d' arsiccio , odore. Indi gli corse
Sopra senza ritegno ; e (mal trovillo
Da la percossa abbarbagliato e fermo, 510
L' afferrò per la chioma , a terra il trasse ,
Col ginocchio lo strinse , e col trafìere
Gli passò '1 fianco. Podalirio ad Also
Pastor , che fra le schiere infuriava ,
S' affilò dietro ; e già col brando ignudo
Gli soprastava, allor eh' Also rivolto
La gravosa bipenne, ond' era armato ,
Gli piantò ne la fronte, e 'usino al mento
n teschio gli sparti , 1' armi gli sparso
Tutte di sangue : ond' ei cadde , e le luci 520
Chiuse al gran bujo ed al perpetuo sonno.
Enea senz' elmo in testa , infra le genti
La disarmata destra alto levando ,
E discorrendo, e richiamando l suoi,
Dove, dove ne gite? che tumulto, 525
Dicea , che furia , che discordia è questa
Cosi repente ? Oh trattenete T ire }
Oh non rompete. Il patto è stabilito :
V accordo è fatto. Solo a me concesso
E eh' io combatta. A me sol ne lasciate tSO
La cura , e '1 carco. Io, non temete , io solo
n patto vi ratifico e vi fermo
515
31S
■^iWitói*-'^""-'-'
348
■NBlM
545
3S5
Con ^esta sola destra; e Turno a morte
Di già mi si promette, e mi si deve
Da questi sacriiicj. In questa guisa 535
firidava il teucro duce ; ed ecco intanto
Venir d' alto stridendo una saetta ;
I^on si sa da qual mano , o da qual aroo
Si dipartisse. 0 caso , o Dio che fosse
Che tanta lodo a Rutuli prestasse , 540
L' onor se ne celò , né mai s* intese
Chi del ferito Enea vanto si desse.
Turno, poiché dal campo Enea fti tratto,
E turbar vide 1 suoi , di nuova speme
S' accese, e ^ridò r armi , e sopra al carro
D*un salto si lanciò, spinse i cavalli
Infra' nemici , e molti a morte dionne ,
Molti ne sgominò , molti n* infranse ,
E con r aste , fuggendo , ne percosse.
Sual e de 1* Ebro in su la fredda riva 550
sanguinoso Marte allor eh* entrando
1^8 la ^attaglia, o con lo scudo intuona,
O fulmina con T asta , e i suoi cavalli
Da la fai'ia e da lui cacciati e spinti
Ne van co' venti a gara , urtando i vivi , 555
E calpestando i morti ; e fan col suono
De' pie lino a gli estremi suoi confini
Tremar la Tracia tutta, e van con essi
Lo spavento , il timor , V insidie e l' ire ,
Del Bellicoso Iddio seguaci etemi; 500
In cosi fiera e spaventosa vista rào
Se ne già Turno la campagna aprendo ,
Uccidendo , insultando , e di nemici
Miserabil mina e strage e strazio
Or con r armi facendo , or co' destrieri , 5C5
Che sudanti , fumanti e polverosi ,
Spargean di sangue e di sanguigna arena
Con le zampe e con l' ugne un nembo intorno.
Stèndo, ne l'entrar, Tamiro e Polo
Condusse a morte; i due primi da presso, 570
L' ultimo da lontano. E da lungo anco
Glauco percosse e Lado ; i due famosi
Figli d'iinbràso ne la Licia nati.
Da lui stesso nutriti, e parimente
k cavalcale e guerreggiare instruttì. 575
Da l'altra parlo Kumcde , il chiaro germe 345
De l'antico Dolone. Il nome avea
Costui do l'avo, e l'ardimento e i fatti
Seguia del padre , che do' Greci U campo
LI» ;0 DUODEiintO ^'i^J
Spiare osando, osò d' A e. hi Ho ;ìiicora ociU
In pivniio do r ar lir cliij loro il carro.
Ma d'altro olio di cirro prcmiollo
Il tìglio di Tidòo; iio perù "loi^'uo
D'un tanto gai h»r ione nnaua si loiiae.
Turno, poscia chtj'l vide (che da lunge 585
JiO scorso) con un dardo il giunse in prima:
Indi a terra gittossi ; e qual trovollo
Di fcjià caduto e moribondo , il piede
Sopr' al collo gì' impresse , e ne la strozza
Lo suo stosso pnguai cacciògli , e disse : 590
Trojano, ecco l'Italia, ecco i suoi campi ,
Che tanto desiasti ; or gli misnra
Costi giacendo. K questo si guadagna
Chi contro a Turno ardisce ; e 'n questa guisa
Si fondan le città. Dietro a costui 595
Bute , e di mano in man Darete 8 Cloro
E Sibari e Tersiloco e Timote ,
Lanciando, uccise. Ma Timete in terra
Feri , che por sinistro , o per difetto
D' un suo restio cavallo era caduto. 600
Qual sopra ai grande Egèo sonando scorre S64
U tracio Éorca , clic le nubi e i llutti
Si sgombra avanti ; e questi a i lidi , e quelle
A r orizzonte in fuga se ne vanno:
Tal per lo campo , ovunque si rivolge, 605
Fa Turno sgominar V armi e le schiere ;
E tal seco ne va furia e spavento,
Che fin an<; ) al cimier morte minaccia.
Fegèo , tanta fierezza e tanto orgoglio
Non sofferendo , al concitato carro 610
Parossi avanti: e lievemente iin salto 37 1
Spiccando , con la destra al £ren s* appese
Del sinistro corsiero. E sì com' era
Da la fuga rapito e da la forza
Di tutti insieme , insiememente a tutti 615
(Dal sentier divertendoli, e dal corso)
Facea storpio e disturbo. Ed ecco al ffanco ,
Che da la destra parte era scoperto ,
Cotal sentissi de la lancia un colpo.
Che la corazza ancor che doppia e forte
Stracciògli, e'n fino al vivo lo trafisse;
Ma di liove puntura. Ond* ei rivolto ,
E 'nibracciato lo scudo e stretto il brando,
(lontra gli s'allllava, e per soccorso
(rridava intanto. Ma le ru -ìo e l'asse, 625
eli' erano in moto , urtandolo , a rovescio
oeo
344 ENEIDE
630
882
640
Gittàrlo: e Turno immantinente addosso
Saglicndo^li , infida V olmo e la gorgiera
H collo gli recise , e dal suo busto
Tronco u capo lasciògli in su V arena.
Mentre cosi vincendo , e d* ogni parto
Con tanta strage il campo trascorrendo
Se ne va Turno ; Enea dal fìdo Acato ,
Da Mommo e dal suo figlio accompagnato,
(Come da la saetta era ferito ) 635
Sovr* un' asta appoggiato a lento passo •
Verso gli alloggiamenti si ritraggo.
Ivi contro a lo strai, contro a se stesso
S* inaspra , e fì*ango il telo, e di sua mano
Ripesca il ferro. E poiché indarno il tenta ,
Comanda che la piaga gli s' allarghi
Con altro ferro, e d'ognintorno s^apra,
Si che tosto dal corpo gli si svelga ,
E tosto a la battaglia se ne torni.
Comparso intanto ora a la cura lapi 645
D' laso il figlio , sovr' ogn' altro amato f9t
Da Febo. E Febo stesso , allor eh' acceso
Era da l' amor suo , la cetra e l' arco
E '1 vaticinio , e qua! de V arti sue
Più gli aggradasse , a sua scelta gli offerse. 650
Ei che del vecchio infermo e già caduco
Suo padre la salute e gli anni amava ,
Saper de l' erbe la possanza , e 1' uso
Di medicare elesse , e senza lingua
E senza lode e del futuro ignaro 655
Mostrarsi in pria , che non ritorre a morte
Chi gli dio vita. A la sua lancia Enea
Stava appoggiato , e fieramente acceso
Premendo , avea di giovani un gran cerchio
Col figlio intorno , al cui tenero pianto 660
Punto non si movea. Sbracciato intanto
E con la veste a la cintura avvolta ,
Qual de' medici è l' uso , il vecchio lapi
Gli era d' intomo ; e con diverse prove
Di man , di ferri , di liquori e d' erbe 665
In van s'affaticava, invano ogni opra,
Ogni arte , ogni rimedio , e i preghi e i voti
Al suo maestro Apollo eran tentati
De la battaglia rinforzava intanto
Lo scompiglio e l'orrore; e già'l periglio 670
S' avvicinava : già di polve il cielo , 407
Di cavalieri il campo era coverto ;
Che fin dentro a' ripari e fra le tende
LIBRO DUODECIMO 345
Ne cadevano i dardi; e già da presso
S* udian de' combattenti e do* caduti ^5
I lamenti e le grida. Il caso indegno
D* Enea suo figlio , e '1 suo stesso dolore
In se Ciprigna e nel suo cor sentendo ,
Ratto V* accorse , e fin di Creta addusse
Dì dittamo un cespuglio , che recente 680
Di sua man colto, era di verde il ^ambo, 412
Di tenero le foglio , e d* ostro i fìon
Tutto cosperso e rugiadoso ancora.
Quest'erba per natura a i capri è nota,
E da lor cerca allor che '1 tergo . o '1 fianco 685
Ne van di dardo , 0 di saetta mussi.
Con questa Citcrea per entro un nembo
Ne venne ascosa , e col salubre sugo
D' ambrosia e d' odorata panacea
Mlschiolla : e poscia i tepidi liquori 690
Ch'eran già presti in tal guisa ne sparse
Che nXun se n' avvide. E n' ebbe a pena
La piaga infusa , che 1' angoscia e '1 duolo
Cessò repente : il sangue d* ogni parte
De la ferita in fondo si raccolse ; 605
E seguendo la mano , il ferro stesso
Come da se n' uscio. Spedito e forte ,
E nel pristino suo vigor ridotto
Enea dritto levossi. lapi il primo,
A che , disse , badate f e perchè T arme 700
* Tosto non gli adducete? Indi a lui vólto, AZb
Contro a' nemici in tal guisa infiammoUo:
Enea , non è , non è per possa umana ,
O per umano avviso , 0 per mia cura
Questo avvenuto. Un Dio certo , un gran Dio 705
A gran cose ti serba. In questo mezzo
Ei già di pugna desioso , entrambi
S' avea gli stmchi di dorata piastra ,
II dorso di lorica, e la sinistra
Di scudo armata. E già l'asta squassando, 710
D' indugio impaziento in su la soglia
Tanto sol do la tenda si ritenne,
Che , si com' era di tutt' armi involto ,
Il caro Julo caramente accolse ,
E con le labbia a pena entro l'elmetto /,15
Baciollo , e disse: Figlio mio , da me 43".
La sofferenza e la virtute impara;
La fortuna da gli altri. Io (juel che posso,
Or con questa mia destra ti difendo :
Onor , grandezza e signorìa t' acquisto 720
{
■^.i^^.',A
346 ENEIDK
Gol san^o mio. Tu poi, quniido maturi
Fian gli anni tuoi , fa che d' i-^nea tuo padre
E d' Ettore tuo zio si ti rammenti ,
Che ti sian lo fatiche e i gestì loro
A gloria cri a virtule esempi e sproni. 725
Detto cosi , fuor dello porto uscendo
Bran-U la lancia, e tutti in un drappello
Ristrinse i suoi. Mommo ed Anteo con esso,
E qu?inti altri del vallo erano in prima
Lasciati a guarlia , il vallo abbandonando , 730
Diclr I ijli s'inviaro. AlU)r di polve
Levossi un nembo, e d'ognintorno scossa
Al cnlpìtar de' pie tremò la terra.
Turno di snpra im arcane mirando ,
Questa gente venir si vide incontro. 736
Viderla , e ne temerò e ne tremare we
Gli Ausonj tutti. Udinne il suon da lunge
Juturna in prima , e per timore in lietro
Se ne ritrasse. Enea volando , al campo
Spinse lo stuol , che polveroso e scuro 740
Tal se n' andò qual d' alto mare a terra
Squarciato nembo , mianlo , ohimè ! che segno
£ che spavento » e cne ruina apporta
A i miseri coloni ; e quanta strage
A gli alberi , a le biade , a la vendemmia 745
Se ne prepara ; e qual se n' ode intanto
Sonar procella , e venir vento a riva !
Cotal contro a' nemici il teucro duce
Co' suoi come in un gruppo insieme uniti
Entrò ne la battaglia. Al primo incontro 750
Osiri , Archezio , Ufente ed Epulone sss
Ne ^ per terra. Acate e Mommo e Già
E Timbrèo gli affrontare ; e ciascun d' es&i
Atterrò '1 suo. Cadde Tolunnio appresso ,
L' augure che primiero il dardo trasse 755
Nel turbar de f accordo. Al suo cadere
Tutto in un tempo empiessi il elei di grida.
La campagna di polve ; e volti in fuga
Se no giro i Latini Enea sdegnando
E di seguire e d' incontrar qual fosse 7(M)
Pedone o cavalier , che o lungo o presso
Di provocarlo e di ferirlo osasse ,
Sol di Turno cercando iva per entro
Quella densa calij^me, e'I suo nome
Solamente- gridando , a la battaglia 765
Lo disfidava. Impaurita e mesta
Di ciò Juturna la virago ardita
LlliUO DUODECIMO 317
Tosto (li Turno al carro appropinqiiossi ,
E giù Metisco il suo tedelu auriga
Subito trabocconne. Ed ella invece 770
£ 'n sembianza di lui , lui stesso" al corpo ,
A r armi, a la favella, ad ogni moto
Rassomigliando , in seggio vi si pose ,
E ne prese le redine, e lo resse.
Qua! ne va negra rondine aliando 775
Per le case de' ricchi allor che piume 473
E ftiscelletli al cominciato nido
Quinci e quindi radna , 0 picei olìssca^
A* suoi loquaci {pargoletti adduco ;
Che sotto a' porticau e sopra 1* acque , 780
E per gli atrj , volando e per le sale
Or alto or basso si travolve e gira :
Gotal Jiuturna il campo attraversando
Per ogni parte si spingea col carro
E co' destrieri infra i nemici a volo, 785
Sovente a loco a loco il suo fratello 478
Yincitor dimostrando , e non soffrendo
Che punto dimorasse , 0 eh' a rincontro ,
O pur vicino al gran Teucro ne gisse.
Enea da l'altro canto incontro a lui 790
Volgendo , rivolsendo , 0 fra le schiere
Cosi com'eran dissipate e sparse
Indarno ricercandolo ,* il chiamava
Ad alta voce. E mai gli occhi non torse
Ov* ei si fusse , e dietro non gli mossQ, 705
Ch' ella co' suoi corsieri in più diversa
E più lontana parto non fuggisse.
Or che fera , cn' ogni pensiero • ogni opra ,
Ogni disegno gli riesce invano?
E i pensier son diversi ? Ecco Messapo , 800
Che per lo campo discorrendo intanto
D' improvviso l' incontra, E si com' era
D' una coppia di dardi a la leggiera
Ne la sinistra armato , un ne gli trasse
Dritto si che feria , se non eh' Enea 805
Gli fece schermo , e rannicchiato e stretto 4»o
Ghinossi alquanto. E pur ne l' elmo il colse ,
E '1 cimier ne divelse. Irato surse ,
E poiché da' nemici attorneggiato
Si vide , e che i cavalli eran di Turno «lu
Di già spariti , a Giove , a i sacri altari
Del violalo accordo e de l'insMio
Molto si protestò : poscia tra loro
Gittossi impetuoso , e strazio e stragq
501
348 ENBIDB
Prosperamente , ovunque si rivolse , 815
Ne fece a tutto corso j e senza freno
Si diede a Y ira ed a la furia in preda.
Or qual nume sarà eh' a dir m* aiti
Le tante uccisioni e sì diverse
Che di duci e di schiere e di falangi 820
Fecer quel giorno , Enea da V una parte ,
Turno da V altra? Ah Giove! si crudele ,
Si sanguinosa guerra infra due genti
Che saran poscia eternamente in pace?
Enea Sucronc , un de' più forti Ausonj , 825
Uccise in prima , e primamente i Teucri
Fermò , eh* eran da lui rivolti in fuga.
L' incontrò , lo ferì , senza dimora
Morto a terra il gittò; che in un de' fianchi
Con la spada lo colse , e ne le coste 830
E ne la vita stessa ne gì' immerse.
Turno a piò dismontato , Amico in terra,
Che da cavallo era caduto , infisse ;
E seco il frate suo Dioro estinse.
L' un di lancia feri , l' altro di brando ; 835
E d' ambi i capi da i lor tronchi avulsi.
Sì come eran di polvere e di sangue
Stillanti e lordi , per le chiome appese
Anzi al carro si pose. E via seguendo
Quegli Talone e Tanai e Cctego 840
Tre feroci Latini ad uno assalto 5is
Si stese avanti , e '1 mesto Onite appresso ,
Figlio di Peritìa , gloria di Tebe.
E tre dal canto suo questi n' ancise
Gh'eran fratelli de la Licia usciti 845
E de' campi d' Apollo ; a cui per quarto
Monete aggiunse. Ah come il fato indamo
Si fugge ! Infin d' Arcadia fu costui
Qui condotto a morire. E* n su la riva
Era nato di Lerna , ove pescando 850
Da r armi , da le corti e da' palagi
Si tenea lunge; e solo il suo tugurio
Avea per reggia, e per signore il padre
Povero affricoltor de campi altrui.
Come due fochi in due diverse parti 855
D'un secco bosco accesi ardon sonando
Le querce e i lauri; o due rapidi e gonfi
Torrenti che nel mar da gli alti monti
Precipitando , se ne va ciascuno
n suo cammino aprendo, e ciò che trova 8r>ù
Si caccia avanti , e rumoreggia e spuma: 525
LTBBO DUODSdMO 849
, 866
Or si che di furor si bollo e scoppia:
E con tutte le forze a ferir vassi;
Che r esseiT vìnto» e non la morte ò morte.
B qui Murrano (un che superbo e gonfio
Del nome e de r ori^e vantando 870
Se ne già de gli antichi avi e bisavi
Latini reKi) fu d' un balzo a terra.
Da la furia d' Enea spinto d travolto ;
Si che di lui 9 del carro e^de le ruote
Fatto un viluppo , i suoi stesd cavalli 875
n signóre obhanao incrudelirsi,
E sotto al giogo e sotto a i calci accolto
L'infranser, lo piag^, lo strascinaro
E r ancisero al une. Ilo, che fiero
E minaccioso avanti eli si fece, 880
Segui Turno a ferir £ dardo « in guisa 635
Che de r elmetto la dorata piastra
E le tempie e '1 cerèbro gli trafisse.
Né tu, GretòOy di man df Turno uscisti,
Perche de' più robusti e de' più forti 885
Fosti de' Greci Me di man d* Enea
Scampa Gupento i suoi numi invocati :
Che nel petto ferìllos e non gli videe
Lo scudo che di bronzo era coverto.
E tu che contro a tante ar^j^ve jchieré» 890
E contro al domator di Troia Achille, . 54t
Eolo , non cadesti ; in quesu. campi '^
Fosti . qual gran colosso , a terra steso.
Ma che ? Qucst' era il fin de'^omi tuoi: '
Qui cader t' era dato. Appo Limesso 806
Altamente nascesti: appo Laurento
Umii sej[)olcro avesti. Eran già tutti .
Quinci 1 Latini e quindi i Teucri ar fronte, '
E tra lor mescolati Asila e Memmò »
E Scrosto e Messane , e le fSalangi 000
De gli Arcadi e der Toschi» ognun per de*
E tutti insieme con .estrema possa »
Con estremo valor , seuMÈ, ^ripcÀo '
Facean mortale e sanguinosa miscld&.
Qui nel pensiero al travagliato fl£;Ii(r 005
Pose Gìprignaf di voltar le schiere
Subitamente a 1^ nemiche munL,.
E con quel nuovo Inopinato.àwiiRl ' ' ' '^
r
362 ,_. KNEIDB
Già scemo di vigore , e trasportato
Da' suoi cavalli che ritrosi e stanchi
Ognor più se n'andavano e lontani, 1005
In se confuso e duhbio so ne stava,
Quando ecco di Laurento ode le grida
Con un terror, che non compreso ancora
Gli avea da quella parte il vento addotto.
Porse roreccnie, e 1 mormorio sentendo 1010
De la città, che tuttavia più chiaro
Di tumulto sembrava e di travaglio,
Oh, disse, che sent'io? che novitate
E che rumore e che trambusto è questo
Che di dentro mi fere ? E quasi uscito 1015
Di se , mirando ed ascoltando stette. «ti
Cui la sorella ( come già conversa
Era In Metisco, e come i suoi cavalli
Stava reggendo ) si rivolse , e disse :
Di qua Turno , di (pia. Quinci la strada 1020
Ne s' apre a la vittoria. Altri a difesa
Saran de la città. Se d' altra parte
Enea de' tuoi fa strage, e tu da questa
Distruggi i suoi: che non men gloria aremo ,
E più sangue faremo. E Turno a lei, 1025
0 mia sorella ! ( che mia suora certo
Sei tu ) ben ti conobbi infln da l' ora
Che turbasti l'accordo, e che poi meco
Ne la battaglia entrasti Or benché Dea
Indarno mi t' ascondi. E chi dal ciclo 1030
Cosi qua giù ti manda a soffrir meco «a*
Tante fatiche? A veder forse a morte
Gir tuo fratello ? E che , misero ! deggio
Far altro omai ? qual mi si mostra altronde
O salute, 0 speranza? Io stesso ho visto 1035
Con gli occhi miei , lo mio nome chiamando ,
Cadere il gran Murrano. E chi mi resta
Di lui più fido e più caro compagno ?
E '1 magnanimo u fonte anco è perito,
Credo, per non veder le mie vergogne. 1040
E 1 corpo e 1* armi sue ( lasso ! ) in potere
Son de' nemici. E soflfrirò ( che questo
Sol ci mancava ) di vedermi avanti
Aprir le mura , e minare i tetti
De la nostra città ? Nò Ha che Drance 1045
Menta de la mia fuga ? E ila che Turno
Volga le spalle , e qnella terra il vegga?
Si gran male è morire ? Inforni Du !
Accogjietenàl voi , poiché i superni
LIBRO DUODKCIMO §53
Mi sono infesti. A voi di questa colpa 1050
Scenderò spirto intemerato e santo , 618
E non sarò de' miei grand' avi indegno.
Ciò disse a pena, ed ecco a tntt;\ briglia
Venir per mezzo a le nemiche schi^-ro ^
Un cavalier che Sage era nomato. 1035
Di spuma e di sudore il suo cavallo,
Ei di sangue era sparso. In volto infìssa
Portava una saetta, e con gran furia
Turno chiamando e ricercando andava.
Poscia che '1 vide, In te, disse, è riposta lOOO
Ogni speranza ; abbi pietà de* tuoi.
Enea va come folgore atterrando
Tutto ciò che davanti gli si para;
E le mura e le torri e '1 regno tutto
Di minar minaccia; e già le faci 1005
Volano a i tetti. A te gli occhi rivolti obo
Son de' Latini. E già Latino stesso
Vacilla, e fra due stassi a qual di voi
S' attenga , e di cui suocero s' appelli
La regina, che solo era sostegno 1070
De la tua parte, di sua propria mano
Per timore o per odio de la vita
S' è strangolata. Solamente Atma ,
E Messapo a difesa de le porte
Fan testa : ma gli vanno 1 Teucri a schiere 1075
Con tant' aste a rincontro e tante spade
Serrati insieme , quanto a pena in campo
Non son le biade. E tu per questa vota
E deserta campagna il carro indarno
Spingendo e volteggiando te ne stai? 1080
Turno da tante orribili novelle
Sopraggiunto in un tempo e spaventato
Si smagò , s' immuti , col viso a terra
Chinossi. Amor , vergogna , insania e lutto
E dolore e furore e conscienza 1085
Del suo stesso valore accolti in uno ees
Gli arsero il core , e gli avvamparo il volto.
Ma poscia che ^\ì fu la nebbia e l'ombra
De la mente spanta, e che la luce
Gli si scopri de la ragione in parte; 1090
Cosi com' era ancor turbato e fero ,
Di sopra al carro a la città rivolse
L' arciente vista. Ed ecco in su le mura
Vede eh' una gran fiamma al cielo ondeggia,
Gli assiti, i ponti e le bertesche ardendo 1095
D' una torro eh' a guardia era da lui
Veir Eneide . 23
iHatogm infuriando il mio furore.
Cosi dicendo , fuor del carro a terra
Oìttossì incontanento , e la sirocchia
Lasciando afflìtta, via per mezzo a l'am
E per mezzo a' nemici a correr diessL
Qual di cima d'un monte in precipizio
Rotolando ai volge un sasso alpestre ,
Che dal vento o da gli anni o da la piogi
Divelto , per le piagge a scosse , a balzi
Vada senza rilegno , e de le selve
B de gli armenti e de' pastori insieme
Meni guasto , mina e stragi avanti :
Tal por r opposte e sbaragliate schiere
Se no ^a Turno. E ^unto ove in conspet
De la città lii molto s.iiiguu il campo
Era già sparso, e pion di danli il ciclo;
Alzò la mano , e con gran voce disse :
Stette, Butuli, a dietro; e voi. Latini,
Toglietevi da 1" armi. Ogni fortuna ,
Qual eh' alla sia di questa pugna , è mia.
A me la colpa, a me ai dee la pena
De! violato accordo ; a me per tutti
Pugnar debitamente si conviene.
A questo dir di mezzo ognun si tolse,
Ognun si ritirò. Di Turno il nome
Enea sentendo, il cominciato assalto
Dismesse, e da le mura o da te torri
E da tutte l' imprese si ritrasse.
Per letizia esultò , terribilmente
Fremè, si rassetto, si vibrò tintv*
LIBRO DUODECIMO 855
Fosser de la muraglia» ognuno a gara
L'armi deposte, a rimirar si diero. 1145
Latino esso re stesso spettatore
Ne fu con meraviglia , eh' anzi a lui
Altri due re si grandi, e di due parti
Del mondo si diverse e si remote
Fosser de l' armi al paragon venuti. 1150
Eglino, poiché largo e sgombro il campo
Ebber davanti, non si ftir da lungo
Veduti a pena, che corrend • entrambi
Mosser l' un centra l' altro. I dardi in prima
S* avventar di lontano , indi s* urtare; 1155
E '1 tonar de gli scudi e '1 suon de gli elmi 7ii
Fé' la terra tremare , e l' aura a i colpi
Fischiò de' brandi. La fortuna insieme
Si mischiò col valore. In cotai guisa
Sopra al gran Sila o del Taburno in cima 1160
D' amore accesi , con le fronti avverse
Van due tori animosi a rincontrarsi;
Che pavidi in disparte se ne stanno
I lor maestri, s'ammutisce e guarda
La torma tutta , e le giovenche intanto 1165
Stan dubbie a cui di lor marito e donno
Sia de l' armento a divenir concesso.
Ed essi lU'tando con le coma intanto
Si dan ferite, che le spalle e i fianchi
Ne grondan sangue , e ne rimuL'glùa il bosco. 1170
Tal del trojano e dell* ausonio duce 7ss
Era la pugna, e tal de le percosse
E de gli scudi il suono. A questo assalto
II gran Giove nel ciel librate e pari
Tenne le sue bilancic, e d* ambi il fato 1175
Gontrappesando , attese a qual di loro
Desse la sua fatica e '1 suo valore
De la vittoria o de la morte il crollo.
Qui Turno a tempo^ che sicuro e destro
Gli parve, alto levossi, e con la spada 1180
Di tutta forza a 1' avversario trasse ,
E ne l'elmo il ferL Gridare i Teucri,
Trepidare i Latini, e sgomentarsi
Tutte d' ambi gli eserciti le schiere.
Ma la perfida spada in mezzo al colpo 1185
Si ruppe , e 'n sul fervore abbandonoUo ,
Si che la fliga in sua vece gli valse ;
Ch' a ftiggir diessi , tosto che la destra
Disarmata si vide, e che da l'else
L' arme conobbe , che la sua non era. 1190
356 BNEIDB
È fama, che da V impeto accecato 731
Allor che prima a la battaglia uscendo
Giunse Turno i cavalli e '1 carro ascese,
Per la confusione e per la fretta
Lasciato il patrio brando, a quel di piglio 1195
Die per disavventura, che davanti
Gli s* abbattè del suo Metisco in prima.
E questo, fm che dissipati e rotti
N'andaro i Teucri, assai fedele e saldo
Lungamente gli resse. Ma venuto 1200
Con Tarmi di Vulcano a paragone
(Come quel che di mano era costrutto
Di mortai fabro) mal temprato e frale,
Qual di ghiaccio, si franse e ne la sabbia
Ne rifulsero i pezzi. E cosi Turno 1205
Fuggendo , or quinci or quindi per lo campo
Qua! forsennato inlarno s' aggirava ,
D' ogni parte rinchiuso ; che da T una
Lo serravano i Frigi e la palude,
E '1 fosso 0 la muraglia era da Y altro. 1210
E non men eh' ei fnggisse , il teucro duce
(Come che da la piaga ancor tardato
Fosse de la saetta , e le ginocchia
Si sentisse ancor fiacche) il seguitava.
L'ardente voglia, e la speranza eguale 1215
A la tema di lui sì lo spingea ,
Glie già già gli era sopra, e già*l feria,
Gt>si cervo fugace 0 da le ripe
Ghiuso d'un alto fiume, 0 circondato
Da le vermiglie abbominate penne, 1220
Se da veltro è cacciato 0 da molosso
Cìv) correndo e latrando lo persegua.
Di qua di lui, di là del precipizio
Tornendo e de gli strali e de gli agguati
Fu^cge, rifugge, si travolge, e toma 1225
jper mille vie; né dal feroce alano
È però meno atteso e men seguito,
Ghe mai non 1' abbandona; e già gli è presso
A bocca aperta, e già par che l'aggiunga,
E '1 prenda 0 '1 tenga , e come se '1 tenesse , i330
Schiattisce e '1 vento morde e i denti inciocca.
Allor le grida alzarsi , a cui le rupi
De' monti e i laghi intorno rispondendo ,
L' aria e '1 ciel tutto di tumulto empierò.
Mentre cosi fUggia Turno, gridando ^ 1235
E rampognando 1 suoi, del proprio nome
Ciascun chiamava , e 1 suo brando chiedea.
LIBRO DDODBCIHO
Knoa (la l'altra parto, minacciando
A tutti unitamente eiì a qualunque
Di sovvenirlo e d'appressarlo osasse,
Che farla de le genti Decisione
Senza pietà , eh" a sacco a ferro a foco
Metterla la cittailo e'I re^^no tutto.
Si com'era ferito il seguitava.
Cinque volte girando il campo tutto ,
E cinque rigirando, e molte e molte t.ì
Di qua di là correndo, imperversaro.
Che non per gioco , non per lieve acquisto
D'onor, ma per l' impero, per lo sangue.
Per la vita di Turno era il contrasto.
Per aorte in questo loco anticamente
Era a Fauno sacrato un oleastro
D'amare foglie, vanerabil legno
A' naviganti che dal mare usciti
A salvamento, al tronco, a ì rami suoi
Lasciavano i lor voti e le lor vesti
A questo Dio de'Laùrenti appese.
Nnn ebbero i Trojani a questo sacro
Più eh' a gli altri profani arbori 0 sterpi
Alcun riguardo : onde con gli altri tutti
Lo ilistirj)ir, perchè netto e spedito
Restasse il campo al marziale incontro.
De r oleastro m loco era caduta
L' asta d' Enea : qui l' impeto la trasse :
Qui si tenca tra le sue barbe infìssa
E ^i per ricovrarla il teucro duce ti
Chinossi , e per far prova se con essa
Lanciando lo formasse almen da lunga,
Poich' appressar correndo noi potea,
Allor per tema in se Turno confuso.
Abbi, Fauno, di me cura e piotale
(Disse pregando), e tu benigna terra
Sii del suo ferro a mio scampo tenace.
Se i vostri sagriQcj e i vostri onori
Io mai sempre curai, che pur da' Frigi
Son così vilipesi e profanati. r.
Ciò disse, e non (u '1 detto e '1 volo in vano.
Ch' Enea molta fatica e molto indugio
Mise intorno al suo telo , né con forza
Né con industria alcuna ebbe pnssania
Mai dì sferrarlo. Or mentre vi s' affanna
E vi studia e vi suda, ecco Jiutuma
Un' altra Tolta ne lo stesso auriga
Mutata gli ai mostra, e la soa spada
358 ENEIDB
Al fratello appresenta. E d' altra parte 1285
Venere, disdegnando che la Ninfa
Cotanto osasse , incontanente anch' ella
Accorse al figlio , e V asta gli divelse.
Cosi d' arme , di speme e d^ ardimento
Ambidue rinforzati , e T un del brando , 1200
L* altro de 1* asta altero, un' altra volta
A vittoria anelando s' azzufibro.
Stava Oiuno a mirar questa battaglia
Sovr'un nembo dorato, allor che Giove
Cosi le disse : E che faremo al fine . 1295
Donna ? E che far ci resta ? Io so che sai » 793
E tu r affermi , che da' Fati Enea
Si deve al cielo . e che tra noi s' aspetta.
Che agogni più ? Che macchini , e che speri ?
A che tra queste nubi or* ti ravvolgi t 1300
Gonvenevol ti sembra e degna cosa
Che mortai ferro a violar presuma
Un che fla Divo ? E ti par degno e giusto
Gh' a Tiu*no in man la spadii si riponga
Quando egli stesso la si tolse, e ruppe? 1305
E r avria senza te Jiutuma osato »
Non che potuto , e crescer forza a* vinti ?
Togliti giù da questa impresa omai,
Togliti: e me, che te ne prego, ascolta:
Né soffrir che 'I dolor , eh' entro ti rode, 1310
Cangiando il dolce tuo sereno aspetto, 80i
Si ti conturbi, e si spesso cacone
Mi sia d'amaritudine e di noja.
Quest' è r ultima fine. Assai per mare ,
Assai per terra hai tu fin qm potuto 1315
A vessare i Trojani , a muover guerra
Cosi nefanda , a scompigliar la casa
Del re Latino , e 'ntorbidar le nozze ,
Si come hai fatto. Or più tentar non lece ;
Ed io te '1 vieto. E qui Giove si tacque. 1320
Abbassò 'I volto , ed umilmente a lui
Cosi Giuno rispose : Io , perchè noto
M' è , Signor mio , questo tuo gran volere »
Ancor centra mia voglia abbandonata
Ho r alta di Turno , e qui da terra 1325
Mi son levata. Che se ciò non fosse ,
Me cosi solitaria non vedresti ,
Com' or mi vedi, in questo niu>i ascosa,
E disposta a soffrir tutto eh' io soffro
Degno e non degno; ma di iBlamme cizìta 1330
Mi rimescolerei per la battaglia 8^1
L3R0 DUODBCDiO 3Sd
A danno de' Trojani. Io solo in questo
(Te '1 confesso) a Jiulurna ho persuaso
Ch* al suo misero frate in si grand* uopo
Non manchi di soccorso , e eh' ogni cosa Ì33S
Tenti per la salute e per lo scam{>o
De la sua vita. E non però le dissi
Giammai che l'arco e le saette oprasse
Incontr'Enea. Te '1 giuro per la ionte
Di Stige, quel eh' a noi celesti numi 1340
Solo è nume implacabile e tremenda
Ora per obbedirti» e perchè stabca
Di questa guerra e fastidita io sono.
Cedo e più non contendo. E sol di questo
Desio cne mi compiaccia ( e questo al ùio 1345
Non è soggetto) che per mio contento.
Per onor de' Latini , per grandezza
E maestà de' tuoi , quando la pace ,
L' accordo e '1 maritag^o fia conchiuso
(Che sia felicemente), il nome antico 1350
Di Lazio e de le sue native genti, sti
L' abito , e la favella non si mute :
Né mai Teucri si chiamino , o Trojan!
Sempre Lazio sia Lazio , e sempre Albani
Sian d'Alba i regi e la romana stirpe 1355
D* italica virtù possente e chiara.
Poiché Troja peri , lascia che pera
Anco il suo nomo. A ciò Giove sorrìse,
E così le rispose : Ah sei pur nata
Ancor tu di Saturno , e mìa sorella. 1360
E consenti che l' ira e 1' acerbezza
Cosi ti vinca ? Or come follemente
Le concepisti , il cor te ne disgombra
Omai del tutto. E tutto io ti concedo
Che tu domandi , e vinto mi ti rendo. 136P
La favella , il costume e '1 nome loro
Ritcngansi gli Ausonj ; e solo i corpi
Abbian con essi i Teucri uniti e mistL
D'ambedue guestì popoli i costumi,
I riti , i sacnlicj in uno accolti , 1370
Una ^ente farò eh' ad una voce sm
Latini si diranno. E quei che d' ambi
Nasccran poi , sovr' a T umana gente
Si vcilran di possanza e di pietade
(Urne a' Celesti uguali ; e non mai tanto 1375
Sarai tu colta e riverita altrove.
Di ciò Giuno appagossi , e lieta e mite
Già verso i Teucri, al elei fece ritorno.
360 ENEIDE
Giove poscia Jiuturna da V aita
Distor ponsò di suo fratello, e'I fece 1380
In questa guisa. Due le pesti sono , 8i4
Che son Dire chiamate , al mondo uscite
Con Megera ad un parto, a lei sorelle,
Figlie a la Notte, e di Gocito alunno,
Che d'aspi han parimente irte le chiome, 1385
E di ventose buccie i dorsi alali.
Queste di Giove al tribunale intorno,
E de la sua gran reggia anzi a la soglia
Si presentano allor cne pena e pesti
E morti a noi mortali , e guerre a' luoghi 1390
Che ne son meritevoli apparecchia.
Una di loro a terra immantinente
Spinse il Padre celeste , onde Jiuturna
De la fraterna morte augurio avesse.
Mosse la Dira , e di tempesta in guisa 1395
Ch' impetuosamente trascorresse ,
Volò come saetta che da Parto ,
O da Cidone avvelenata uscisse ,
E non vista ronzando , e Y ombre aprendo
Ferita immedicabile portasse. 1400
Giunta la Ve di Turno e de' Troiani 858
Vide le schiere , in forma si ristrinse
Subitamente di minore augello.
Ed in quel si cangiò che da' sepolcri
E da gli antichi e solitari alberghi 1405
Funesto canta , e sol di notte vola.
Tal divenuta , a Turno s* appresenta ,
Gli ulula , gli svolazza , gli s' aggira
Molte volte d* intorno ; e fin con 1' ali
Lo scudo gli percuote, e gli fa vento. 1410
Stupì , 81 raggricciò , muto divenne
Turno per la paura. E la sorella ,
Tosto cne lo stridor sentinne e V ali ,
Le chiome si stracciò, grafflossi il volto,
E con le pugna il petto si percosse. 1415
Or che {dicendo) omai. Turno, più puote
Per te la tua germana ? E che più resta
A far per lo tuo scampo , o per Y indurrlo
De la tua morte ? E come a cotal mostro
Oppor mi posso io più? Già già mi tolgo i420
Di qui lontano. A che più spaventarmi? s~i
Assai di tema, sventurato augello.
Nel tuo venir mi desti. E ben conosco
A i segni del tuo canto e del tuo volo
Quei cne m'apporti E non punto m'inganna *425
LTBHO DUODECIMO 361
Il severo precetto e '1 voler empio
Del superto Tonante. E questo è '1 pregio
De la verginità che m' ha rapita ?
E perchè vita mi concesse eterna ?
Perchè*! morir mi tolse? Acciò morendo 1430
Non Unissi il mio duolo? acciò compagna
Gir non potessi al misero fratello ?
Immortai io? Che vaimi? E che mi puote
Ne l'immortalità parer soave
Senza il mio Turno ? Or qaaì mi s' apre terra 1435
Che seco mi riceva e mi rinchiug^a
Tra r ombre inferne; e non più Nmfa e Dea,
Ma sia mortale e morta? E cosi detto.
Grama e dolente di ceruleo ammanto
n capo si coverse. Indi correndo 1440
Nel suo fiume gittossi , ove s' immerse 8S5
Infine al fondo, e ne mandò gemendo
In vece di sospir gorgogli a raura.
Intanto il suo gran telo Enea vibrando
Gol nimico s* azzuffa , e fieramente 1445
Lo rampogna , e gli dice : Or qual più , Turno ,
Farai tu mora, o sotterfugio, o schermo?
Con r armi , con le man , Turno , e da presso ,
Non co* pie sì combatte e di lontano.
Ma fuggi pur, dileguati, trasmutati, 1450
Unisci le tue forze e '1 tuo valore ,
Vola per Tarla, appiattati sotterra.
Quanto puoi t' argomenta e quanto sai ,
Che pur giunto vi sei. Turno, squassando
Il capo , Ah (gli rispose) che per fiero 1455
Che mi ti mostri, io de la tua fierezza , sm
Orgoglioso campion , punto non temo ,
Né di te : de [jli Dei temo , e di Giove ,
Che nimici mi sono e meco irati.
Nulla più disse; ma rivolto, appresso 1460
Si vide un sasso, un sasso antico e grande
Ch* ivi a sorte per limite era posto
A spartir campi e tor lite ai vicini
Era si smisurato e di tal peso.
Che dodici di quei, ch'oggi produce 1465
Il sccol nostro , e de' più forti ancora
Non Tavrcbbon di terra alzato a pena.
Turno diègli di piglio, e con esso alto
Correndo se ne già verso il nimiro,
Senza veder né come indi il togliesse, 1470
Né come lo leva«sse, né se gisse.
Né se corresse Disnervate e flaccbe
-. _-^*s.
362 BNEIDlS
Gli vacillar le gambo, e freddo e stretto
Gli si fé '1 sangue. Il sasso andò per V aura ,
Si jche '1 colpo non giunse , e non percosse. 1475
Come di notte , allor che 'I sonno chiude 907
I languid' occhi a V affannata gente ,
Ne sembra alcuna volta essere al corso
Ardenti in prima , e poi freddi in su '1 mezzo
Manchiam di lena si che i pie, la lingua, 1480
La voce , ogni potenza ne si toglie
Quasi in un tempo ; cosi Turno invano
Tutte del suo valor le forze oprava
Da la Dira impedito. Allora in dubbio
Fu di sé stesso, e molti per la mente - 1485
Gli andaro e vari e torbidi pensierL
Torse gli occhi a' suoi Rutuli , e le mura
Mirò de la città : poscia sospeso
Fermossi , e pauroso : e sopra il telo
Vistosi del gran Teucro, orror ne prese, 1490
Non più sapendo o dove per suo scampo 9i6
Si ricovrasse , o quel che per suo schermo ,
O peiT offesa del nimico oprasse.
Mentre cosi confuso e forsennato
Si sta , la fatai asta Enea ribrando, 1495
Apposta ove colpisca , e con la forza
Del corpo tutto gli 1* avventa e fere.
Macchina con tant' impeto non pinse
Mai sasso, e mai non fu squarciata nube
(^he si tonasse. Andò di turbo in guisa 1500
Stridendo , e con la morte in su la punta
Furiosa passò di sette doppi
Lo rinforzato scudo; e la corazza
Aprendo , ne la coscia gli s' infìsse.
Die del ginocchio a questo colpo in terra 1505
Tiurno ferito. I Rutuli gridaro ;
E tal surse fra lor tumulto e pianto,
Chv3 '1 monte tutto e le foreste intomo
Ne rintonaro. Allor gli occhi e la destra
Alzando in atto umilmente rimesso , 1510
E supplicante, Io (disse) ho meritato 93o
Questa fortuna j e tu se^i la tua :
Che né vita, ne venia ti dimando.
Ma so pietà de' padri il cor ti tanse,
(Che ancor tu padre avesti, e padre sei) 1515
Del mio vecchio parente or ti sovvenga.
E se morto mi vuoi , morto eh' io sia
Rendi il mio corpo a' miei. Tu vincitore ,
Ed io son vinto. E già gli ausonj tutti
LIBRO BUOBBCnfO 363
Mi ti yeggiono a pie, che suppplìcando 1520
Mercè ti chieggio. E già Lavinia è tua.
A che più contra un morto odio e tenzone?
Enea ferocemente altero e torvo
Stette ne r arme » e volti gli occhi a tomo.
Frenò la destra ; e con V indugio ognora 1525
Più mite , al suo pregar si raddolciva. 989
Quando di cima a V omero il fermaglio
Del cinto infortunato di Fallante
Ne gli occhi gli rifulse. E hen conobbe
A le note sue bolle esser quel desso, 1530
Di che Turno quel di V avea spogliato ,
Che gli die morte; e che per vanto poscia
Come nimica e gloriosa Spoglia
Lo portò sempre al petto attraversato.
Tosto che '1 vide , amara rimembranza 1536
Gli fu di quel , eh' ei n' ebbe , affknno e doglia.
E d' ira e di furore il petto acceso ,
E terribile il volto , Ah , disse , adunque
Tu de le spoglie d' un mio tanto amico
Adorno oggi di man presumi uscirmi 1540
Sì che non muoja? Muori. E questo colpo
Ti dà Fallante , e da Fallante il prendi
A lui, per mia vendetta e per sua vittima,
Te , la tua pena . e 1 tuo sangue consacro.
E ciò dicendo , il petto gli trafisse.
Allor da mortai gelo il corpo appreso
Abbandonossi ; e 1* anima di vita
Sdegnosamente sospirando uscio. 1^^
«5S
/
FINE.
i
r
L'È NE IDE
U subietto ^^WErteide^ dice P. J. ProDdhon, è la fondazione
della città latina per opera d'Enea, in altre parole, le origini
e le antichità di Koma e doiritalia.
Il sno obietto ò la rinnovazione del mondo conosciuto, sotto
rimpero e la legge di Kooia.
Virgilio ha posto mano alla maggiore impresa che si sia vista
nel mondo delr intelligenza. Celebrando la grandezza di lioma,
nelle sue origini, egli ha Toluto indurre la rigenerazione stessa
di Boma, e per mezzo di Boma, dell'umanità, nella rtUgione,
nei costumi, nelle leggi, nella poLtica, nelle istituzioni, nelle
idee, nella nlosofia, nelrarte.
Il mbiettù-obietto, bisogna metter insieme questi due termini
Suando si parla di Virgifio , tanto profondamente li seppe fon-
ere insieme, ò quintuplo nella sua maestosa e possente unità.
1.^ Caduta d'Hio, vale a dire decadenza irrevocabile deirAsia,
alla quale ò tolto r impero del mondo.
2.^ Migrazione d^Enea: la dignità messianica non si ferma
alla Grecia anarchica e frivola; passa airitiilia, ^rave e giurista.
3.® Stabilimento dei coloni troiani nel Lazio ; iniziazione delle
popolazioni ausoniche, semi-barbare e loro passaggio dallo stato
saturnio (secolo d*oro, costumi primitivi) ad un incivilimento
superiore.
4.^ Biconciliazione degli Dei sulla culla di Boma: posizione
del principio dell* unità dei culti , espressa più chiaramente da
Augusto nel Panteon.
5.^ Sviluppo storico , provvidenziale della potenza latina , e
prima rivelazione del progresso e della cattolicità del genere
umano; idea svolta cent^anni dopo da Floro e imitata nel se-
colo XYII d:i Bossuet, che ne fdM un argomento della rivala-
ziono cristiana.
Lo scioglimonto àeWBneide ò altamente insegnativo. Vinta
nella per/ona di Turno , in realtà Giunone trionfa. I Troiani
hanno refugio in Italia» ma perdono il loro nome e il loro essere
866 L^ ENEIDE
di nazione. Lltalia resta inviolata co* suoi costami, colla sua reli-
f'one^col sno nome, con le sne leggi, con la sna lingaa; TAgia
assorta: e n'ò pegno lae^lorìa di Soma, la più devota fra tntte
le città del mondo sd colto di Giunone. Pare che Virgilio dica
ai Bomani^ diventati anch'essi conquistatori e fonaatori di
colonie: L'incivilimento che si trasmette da nna razza all'altra
non le spoglia del loro carattere.
L'epopea latina, dice E. Benoist, aveva durato fatica a nar
score. I domani non possedevano un ciclo di leggende popolari
da far la trama air invenzione epica. Spiriti formalisti, minati,
positivi non avevano abilità e destrezza a tessere un racconto
misto di favola e di tradizione storica. Non avevano saputo trovar
da so le forme d'un genere letterario che tuttavia sembra essere
il privilegio della razza indo-europea K La loro imaginazione stette
lungo tempo contenta ad alcune formule grossolane, ed agli aridi
Annali dei Pontefici. La loro lingua rude e grossiera, priva di gra-
zia e di armonia, non avrebbe potuto piegarsi al libero andamento
della narrazione epica. Quando avevano finalmente , tra V altre
spoglie dei Greci , trasj)ortato a Boma i monumenti della loro
letteratura e gli uomini stessi capaci di farli gustare , ^li
Andronichi e gli Ennj , non s' era di tratto potuto costitoire
un' arte completa. I pnmi poeti epici o furono traduttori o al-
meno imitatori senza originalità degli scrittori Greci , o anna-
listi soverchiamente ingenui, e le loro opere mancavano dell' atp
trattivo e del garbo che viene all'epopea dal maraviglioso uni-
versalmente accettato. ~ Questi stavano troppo alla storia e non
sapevano aprire ^li eventi che celebravano un campo abbastanza
libero e ampio. Gli altri andavano , duci gli Alessandrini , sol-
l'orma delle favole elleniche. I poeti storiografi mancavano
d'arte; la quale i)er contro signoreggiava troppo i concepimenti
dei poeti imitatori dei Greci. Le loro opere non facevano effetto
in quelli che non erano raffinati in punto di stile, e, continua-
mente composti sopra un medesimo sabietto, annoiavano chiunque
non fosse membro delle consorterie o unioni letterarie. Tuttavia,
anche in questi poemi ancora imperfètti si arrivava a poco a
poco al momento della maturità , m cui , essendosi condotto a
perfezione lo stile epico nell'uno e nell'alido genere, un indegno
sovrano poteva fare l' accoppiamento dell' epopea mitologica e
dell'epopea storica. Questa gloria toccò a Virgilio. Solo tra i
poeti del suo tempo, secondo dice il Patin, solo tra i poeti ro-
mani seppe condurre un'opera non mag^ore di ouella d'Omero,
ma tuttavia assai grande, e per meriti differenti. Nell'unità com-
plessa àeW Eneide, egli accoppiò un' imagine dell' Odissea e
nn'imagine àeWIliade, ì mondi della favola greca e della favola
aosonica. Egli trovò al medesimo tempo bellezze di composizione,
1 A questa idea, die il Benoisi dic« aver attinto neUa conyersazionc
del nostro i llustre Gorresio , si oppone Oaston Boissier nella Retiie des
éeun Mo nOes, 15 febbraio UC?.
l'enbidb 367
d^ espressione, di sentimento atte ad innamorare chinnqno ha tan-
tino di ^Qsto e di lettere ; egli rinnovò la memoria degli antichi
poeti epici, in modo da renderne Tattraenza, ed oltre a questi
pregi cu arte e di erudizione , seppe ordire la tela del racconto
per modo che il suo lavoro fu un*opera nazionale e spiegò a^li
occhi dei Bomani tutta quanta la loro patria co' suoi principi
oscuri , le sue pretensioni di un' origine divina , la sua glena
senza pari e il suo maraviglioso destino.
Virgilio non s'era dato di tratto e senza prepararsi al lavoro
immenso dell'epopea. Egli era grado grado salito all'altezza di
pensiero e di stile che si richiede all'epica. Insomma egli s'era
già esercitato, a dir così, nelle due specie di epopea già note al
suo tempo. L'episodio che chiude il primo libro aelle OdoraichCf
l'elogio dell'Italia nel secondo, il principio del terzo, semorano
frammenti di un poema storico , quale poteva essere ideato
dai Varroni d'Atace e dai Vari. La fine del quarto libro ò un
poema mitologico simile a quelli di cui Catullo diede esempio
neìT Epitalamio di Teti e di Pelea, È notevole che dopo Virgilio
r anione eh* egli aveva fatto delle due forme si solve di nuovo.
Se ne levi le Metamorfosi e i Fasti d'Ovidio, in cui sono rac-
colte e abbreviate le ispirazioni diverse della mitologia e della
storia, ma con minor arte che in Virgilio, la poesia latina torna,
daJl'un lato, alle Tébaidi, alle Achilleidi, alle Argonautiche, e
dall' altro alle Farsaglie , alle Guerre Puniche. Ma la verace
epopea è un' opera cosi alta e così sublime , che anche ad in-
gegni sovrani non fu dato il riuscirvi e nazioni, anche ricchis-
sime in lettere, ne desiderano il vanto. Pertanto non è da
maravigliare se tra i Bomani il solo Virgilio abbia potuto ottener
questa gloria.
Il subietto àeìVBneide non è al tutto un'invenzione del poeta.
I primi epici romani avevano già trattato la medesima favola,
ma non così in grande, nò con tale conclusione. Desiderando
connettere le origini antiche della loro patria ai vecchi miti
della Grecia, Nevio ed Ennio avevano già accettato la tradizione
che Enea fosse V uno degli eroi fondatori della città, tradizione
messa in corso dai Greci accasatisi in Boma. Certe antichità
latine male interpretate, somiglianze di n'>mi, raccolte con com-
piacenza, e soprattutto un vivo desiderio di trovare un'attinenza
tra i principi della razza latina e q^uelli del popolo letterato che
tutti 1 Bomani di qu^^l tempo ammiravano avevano finalmente
ronfuso il guerriero Trojano, cantato da Omero, col Dio princi-
pale della confederazione latina. Pater Indiges, il culto del
quale s' intrinsicava con quello dei Penati. Molte città poste
sulle rive deir Italia , della Sicilia, della Grecia , tra V Asia e
il Lazio , notevoli o pel culto di Venere , che , sulle coste del
Mediterraneo, aveva il soprannome di Atvftocc, o per apparenti
somiglianze di nome, erano come i segni delPitinerario di Enea,
Nevio, nei suo poema della guerra pomca, aveva fatto aj^
368 L* ENEIDE
prodare ^uf^sto eroe a Cartaf^'ine. ^oconlo Ennio. Enea era l'an-
tt-nato di Komulo, altro Dio scpduto dal suo antico grado e sceso
a quello duomo indiato, l ^^riulj avevano trovato il modo di far
risalire la loro «^en^^alo'^ia fi. io a lui. Pronipoti forse dei servi-
tori speciaU della Dùtà che era stata confusa con Enea, ave-
vano imaginato pel fioflio dellV-roe un nuovo nome assai simile al
loro. Quando la legi^.^nda venne in favore, altre famiglio s'oi-ano
spacciato per discoso dai compagni del capo troiano. E il loro
amor proprio vi si ora anche più invescato, quanlo i Gialj orano
divenuti col dittatore, poi ol suo fiijli) adottivo, i padroni della
Kopubblica. Virgilio alunque aveva a mano una leggenda tanto
popolare da e>ser co apre-;a da tutti e sebbene antichissima, già
consacrata da' suoi predecessori. Q lesta leggenda toccando a un
medesimo tratto le origini di Ro uà e gli annali domestici della
famiglia di Augusto, dav.i il modo di unire in un medesimo omagsrio
le glorie storicho della cittì, e colui che aveva saputo procacciarle
un riposo, la cui dolcezxii era gustata sovra ogni altro da Virgilio.
11 campo vastissimo che olla a))bracciava poteva per altro restrin-
gersi senza danno. Lo profezie, urli episoaj, lo descrizioni acces-
sorie, arte nuova, già usata dai poeti, i quali celebravano le
tradizioni «Iella mitologia greca, aintavano ad evitare lo scoglio
ove avea percosso Eniiio . quello di compilare Aruiaii monotoni.
Senza u-cire dalla narrazione dogli an tieni eventi, si poteva pas-
sare in rassegna il pia cjrto delle origini Italiche, richiamar sem-
Sre r animo a Roma, prosente sempre allo spirito del lettore,
are insomma ad Augusto una delle parti principali in quest'opera
nazionale. Il subbietto era poi tale che il poeta, con vantag^o
inestimabile , poteva collegarlo direttamente ai poemi omerici,
fonte di tutto le ispirazioni e modello di ogni epopea. Ij Eneide^
esprimendo nelle sue due parti il disegno delle duo più grandi
opere prodotte dal genio epico dei Greci, diveniva allo stesso tem-
po come la conclusione dei ciclo dei canti che da quel ^enio eran
mossi. Essa li continuava e li compieva. Vero è che m qnesta
unione delle tradizioni, greche e delle antichità latine, queste
figurava n meno e si facuvan meno importanti e la loro fisonomia
s'alterava. Ala non poteva andar la cosa diversamente. La storia
e la religione di Roma si trasformavano ogni giorno più tra le
mani dei Greci o dei Romani loro discepoli. Virgilio accettava
forse in buona fede, c«*rto per giovarsene al suo concepimento
poetico , tutte le invenzioni correnti : se finiva di mescolare
le tradizioni, lo faceva almeno a prò aella poesia, e da questa
confusione pregiudizievole alla scienza pura traeva una mi-
rabile opera d arte. E poi se egli ha- snaturato le vecchie
leggende latine forse le na conservate in quanto potevano con-
servarsi; e accoppiandole ai prodotti dell imaginazione greca,
ha saputo dar loro un risalto che ci aiuta al presente a ri-
conoscerle ed a restituirle alla loro integrità.
Vi fu un momento in cui Roma cercò il suo autore fra diversi
eroi, antenati supposti delle colonie greche stabilite sulle rire
d'Italia. Da Plutarco rìcaTÌamo che, secondo certe tradizioni,
Bomolo, vale a dire il fondatore leggendario della città, era di-
scondonto di Dlisae, di Telemaco, di TeTofo, d'Ercole. Ma la fa-
vola d'Enea prevalae aesai presto. Introdotta in Sicilia e nel-
lltalia meridionale da Stesicoro, s' era , in virtù di congìontore
in cai la religiono aveva gran parte, come connaturata in alcnnì
punti. Il suo centro principale era divenato Egeste, snlla costa
Eottentrionale delta Sicilia , città che faceva nn rilevante com-
mercio con Cartagine o con la costa del Lazio, Pare che intomo
al tempo deUa guerra dei Latini il cnlto di Venere Ericina e
quello di cnrto deità analoghe della riva latina venissero per al-
cuni punti ad assimilarsi. La leggenda si diffuse. Qnando i Bo-
iniiiii si videro vicini a combattere ì Greci del Sud, vennero na-
turalmente a trascegliore le favole , tra le quali ondeggiavano
ancora ; e difatti, al tempo della guerra di Pirro, Timeo dà una
forma stallie alta tradizione, che diventa allora una credenza
indi.struttibilo do' Romani. La accolgono non solo Nevio ed En-
nio, ma lo stesso Senato romano riconosce per fratelli gli abi-
tanti dllio, l'anno 282 a. C. ~ Catone nelle sue Origini, Fabio Pit-
tore, Cicerone nelle Verrine gridano Enea l'antenato dot Bomani.
VErteide era la favola delle origini romane , univenialiuente
accetta. Ma giresso le viveano altre leggende, meno grate, dacché
la favola troiana teneva il campo; soprawiveano oscure, ma non
erano al tatto spento. À VirgiBo eran note, ed ei le ricordai
egli non si lascia tratto a inserire nel suo poema tutto quello che'
può ravvivare alcuna notevole memoria delle antichità nazionaU.
Vediamo, por atto d'esempio, il vecchio re, o piuttosto l'antico
dio Janns sol Oianicolo, Saturno sul Capitolino, Evandro il baono,
vaio a dire Fauno, snl Palatino, col SUO figlio Pallante, vale a
dire Palafi o Fales , il dio dei pastori, con sua madre o sua mo-
glie, la profetessa Carmenta.
Ha qnando abbandonarono gli antichi fondatori, prima di sce-
gliere per antenato l'eroe troiano Enea, ì Bomani vollero rappic-
carsi ai Greci. V'ha pertanto anche nn altro ciclo di tradizioni,
In antico si credoa veder dappertutto ì vestigi d'Ercole. Di fatti
qui egli BCambia in nn mito antico una deità nazionale, ed a
lai sì reca l'institnzione del culto, veramente romano, dellMra
mawima; altrovo si fa padre d'Avontinns, l'eroe eponimo del
monto Aventino. Ulisse , gran tempo popolare snlla costa occi-
dentale d'Italia, in vecchie fole, era dato pel padre di Bomanns,
il quale non è altro che Bomolo , alterato lievemente il nome.
Di ci6 Viigilio non potea tener contoj ma io penderei a ere-
dorè che non solo il desiderio d'imitare Omero lo movesse
a diffondersi con tanto compiacimento nell'episodio del Ciclope;
egli non poteva dimenticare la traccia che l'eroe dltaca aveva
lasciata nello antichità italiane.
Boma è congiunta al Lazio per genealogìe mitolo^che, em-
Dell'Eneutt. H
370 L'ENEIDE
blemi dei vecchi culti e delle antiche meiiiorie che s'intrecciano e
confondono. Virgilio le pone tutte nel suo poema. E^li ci presenta
Latino, marito d'Amata, figlio di Fauno, ch'era figlio ai Pico,
.figlio di Saturno; Pilunno , fratello di Pico, fratello di Dauno,
avolo di Turno ; la ninfa Marica, che è tutt'uno con Circe, dive-
nuta maglio dì Fauno ; la ninfa Yenilia, che in origine eiu forse
tutt'uno con Venere, ma che nel poema ò madre ai Turno.
Egli assembra gli antenati comuni dell'Italia, Italo^ Sabino,
Giano , Pico. Altrove ha cura di raccogliere le vecchie tradi-
zioni; (](uolla degli Enotrj, quella degli Aborigeni, degli Ausonj
e dei Sicani, quella altresì dei Pelasgi. Non lascia di notare
r antenato comune di Boma e dell' Etruria , Dardano venuto da
Cortona, come altresì la scrofa, simbolo della confederazione delle
città latine. Vediamo apparire i due gemelli di Tibur, Ceculo,
l'eroe di Preneste, nato dal dio del fuoco, vale a dire dal foco-
lare domestico, il Sabino Clauso, abavo de' Claudj. ì fondatori
sconosciuti di Nomento, di Gabia e dell'altre borgate del Lazio,
Tarconte, eroe di Tarquinia, Polite, eroe di Politorio. Appresso
sono, le tradizioni j mezzo italiane, mezzo greche del campano
Alesò, preteso figlio di Agamennone, d'Ebalo, venuto da Capri ,
di Virbiot figlio d'Ippolito, venuto da Aricia, ed allevato nella,
selva della ninfa Eeeria, dei guerrieri Ligun, discesi da Cicno,
da Ocno, l'eroe di Mantova. Altrove ricorda le leggende di Dio-
mede, tanto caro agli abitatori delle rive dell'Adriatico, d'An-
tenore e dei Padovani , di Filottete e di Petilia , d' Idomeneo e
Salente. Dal nome dei Danni, da quello di Dauno, si era, per
analogia , tratta l' opinione che Danae fosse arrivata in Italia ,
nò Virgilio se ne scorda. U Eneide ò il libro delle orìgini delle
città italiane.
Ia Eneide ò altresì, fino a un certo punto, il libro d'oro della
nobiltà romana che pretendeva esser discesa dai compagiii di
Enea; Mnesteo è l'antenato dei Mommi, Sorgeste dei Sergj, Già
dei Gegani , Cleante dei Cluenzi , Nauie dei Nauzj , Ati deffU
Aay, Anteo degli Anzj , Capi dei capi di Capua. E evidente cne
s'intende non ometter nulla e ridurre e confonder tutto nell'unità
primitiva. Cosi l' Italia si rannoda a Boma per vincoli stretti e mol-
teplici. D'altra parte Enea compare sopra tutte le sue coste, rinno-
veilando e concentrando sul suo nome tutte le vecchie leggende.
Se a Virgilio piacque mostrarcelo in Tracia, a Enos, a Delo, nel
mare Egeo, per spiegare ed estricare una confusione della mi-
tologia, in Creta, alle Strofadi, gli piace anco pia di mostrarcelo
nei luoghi scialati da memorie romane, al promontorio d'Azio,
in Epiro, sulle coste dellltalia meridionale e della Sicilia. Taccio
del suo soggiorno a Cartagine; si vede benissimo da qual me-
moria Virgilio sia stato tratto ad accattare questa nzione da
Nevio. Non mi fermo sul lungo episodio della sua dimora presso
Aceste : in quelle bande il fiore della favola aveva allegato. Ma
Enea approda su tutti i punti bagnati dal mar Tirreno, per ad-
L'ENEtDB 871
dietro tntti celebri nella leggenda d'Ulisse ed ora colle^Siti a
Snella delPeroe troiano: Paunoro diventa il suo pilota, Miseno
suo trombetta ; egli va a interrogare la Sibilla di Guma, ora-
colo famoso, donde preser le mosse tutte le leggende greche cU^
penetrarono in Italia; e^li dà sepoltura alla sua nutrice a Gaeta;
scorge gli scogli delle Sirene, sente ^li urli de^P infelici imbe*
stiati da Circe. Cosi nella persona di lui si fa il mescolo delle
tradizioni della Grecia e di Boma, emblema dell'unione dello
spirito greco e dello spirito romano. Cosi con singoiar precisione
61 caratterizza Tassimuazione, opera del temj^o, e della fortuna|
che senza spogliare i Romani della loro originalità, gli ha fatti
abili a diventare anch'essi il primo popolo del mondo*
So il poema di Virgilio abbraccia tutto il ciclo delle tra-
dizioni storiche e leggendarie dell' Italia, si può dire che non d
meno importante per quel che concerne la reìi^one. In lui Te-
diamo la religione romana nello sue diverse fasi, con le cause di-
verse elio la vennero trasformando , e la forma ultima a cui si
atteggiò quando T impero ora giunto al colmo del suo splendore,
e non ancora manifestamente compreso dai mali che lo dila-
niare U'^.
S' intendo facilmente che la religione dei Bomani e degli altri
Sopoli deiritalia non fu sempre simile a so stessa. Si trasformò
i mano in mano tanto che venne ad alterarsi e modificarsi
profondamente. Studiando le notizie diverse che abbiamo della
religione romana, si vede che le antiche credenze ii&liche erano
da principio una religione di pastori ed a§[ricoli , in cui il ca-
rattere degli Dei era piuttosto incerto ed indeterminato . e Te-
nivano rappresentati piuttosto con simboli , con attributi , che
con imagini. Causa di un primo mutamento assai notevole fu
Tunione dei Latini e dei Sabini, espressa nell'organizzazione re-*
ligiosa attribuita a Numa Pompilio. H culto ò osservabile cosi
per la semplicità degli Dei , ai quali si volge , come pel gran
numero di usi, di cerimonie^ che abbraccia. JPin d'allora si tro-
van segni dell' adorazione di Giano , di Giove , di Giunone , di
Marte, di Quirino, di Vesta, iddii supremi, uficiati dai Flamini
e dai Pontefici, dei collegi dei Lupe rei, sacerdoti di Fauno, dei
SalJ, dei Fratelli Arvali, e si vede in piò il collegio degli au-
guri, a cui era commesso d'interpretare i sogni della volontà
divina. Più innanzi con la dinastia etrnsca giunsero nuovi culti,
già i.'origine ellenica. Difatti in quel temp oTincivilimento etru-
sco era fortemente imbevuto di civiltà greca . A quel tempo si
dove riferire rintroduzione dei libri sibillini portati da Cuni a, la
religione di Giove Capitolino, quella d'Apollo venuta dall'Italia
mendionale. Dietro a questi s'introdussero via via molti culti greci,
quelli di Cerere, di Libero e Libera, vale a dire di Demoter,di Dio-
uyoos e Porseionc, d'Esculapio, di Plora e di Venero Ericina, deità
aìialogtie all'Afrodite greca, della Gran Dea La letteratura e la
poesia bvolgeudosi sul modello dei Greci facevano queste usur-
372 L'BNBIDB
pazioni continue a danno delle credenze antiche. Fra gli Dei
indigeni e qvL&ìlì che yenivan di fuori correvano analogie le
j[uali conferivano ad assimilarli. Ma i primi si modificarono
in mezzo a questi movimenti e una nuova gerarchia si formò
in cui presero parte in diversi gradi le deità nuove e le antiche.
L'oUmpo greco, Tolimpo d'Omero, ebhe necessariamente la
preponderanza nei poeti epici nutriti dei canti della Grecia . e
che poi rannodavano la loro opera alle tradizioni greche. Ma
anche in essi, generalmente, prevalsero i nomi romani.
Ennio ha raccolto in due versi i nomi de* dodici Dei, che Boma
riconosceva ad esempio della Grecia :
Juno, Vesta, Minerva, Ceres, Diana, Venus, Mara,
Mercurius, Jovis, Neptunus, Vulcanus, Apollo.
È da notare che il solo Apollo, il dio di Cuma. il dio g^reco per
eccellenza, ha conservato il suo nome. I nomi romani preval-
sero ; Plutone, che non è comproso in questa lista, è scambiato
da Dis e Orcus. Ma lo deità greche non perderono solo il loro
nome : il lor carattere si modificò. Divennero più gravi. In Vir-
ilio continuano a rissarsi insieme e a sostenere almeno partiti
diversi. Ma non combattono più l'uno contro l'altro a mano ar-
mata, né hanno più avventure pazze. I grandi iddii stanno in con-
tegno , come magistrati che il loro uncio astringe alla decenza.
Alcune deità romane, che per effetto dell'assimilazione passavano
al primo grado, Minerva, Ccres, VemiSy Afercuritis, Neptunus,
Vulcanu.9, perderono quasi al tutto il loro antico carattere, e
presero invoce quello aelle deità greche eh' esse scambiavano.
Air incontro gl'iddii di prim' ordine , che scendevano di grado
nella nuova gerarchia, furono considerati come semidei, eroi, re
antichi.
Tuttavia, presso a loro, restava un vasto panteon, i cui per-
sonaggi non s'eran tutti trasformati. Cosi si mantenne il cidto
dei Penati, spiriti della casa, ch'eran onorati nell'atrio. Erano
alquanto diversi dai Lari , co' quali spesso furon confusi. Non
v^ha culto che sia più profondamente romano. V'erano i Penati
delle case, i Penati delle città, i Penati di Boma, d'Alba, di
Lavinio, oggetti di una costante adorazione. Di fatto Boma non
ora stata sempre a capo della lega latina. Da prima i Penati
della capitale erano stati quelli della confederazione. Questo
onore era una volta proprio di quelli d'Alba; ma ad un certo
punto Alba era scaduta. Lavinio era venuta in gran conto
porche era attigua alla frontiera dell' eterno nemico de' Latini ,
il Rutulo. Per ciò si spiega l'importanza dei Penati di Lavinio,
' associati al Giove Indigete , dio di Numico. Anche quando
Roma diventò la prima città latina, la memoria d'Alba e di
Lavinio durò. Ove si consideri che per questa riva penetrò la
leggenda d'Enea, s'intendo come Enea, Giovo -Indicete, il Numicio,
si confusero, e come il culto dei Penati si iissociò strettamente
k
V BNEIBB 873
a quello d^Enea. Essendosi creduto che i Penati di Boma e di
Lavinio fossero i Penati troiani , si tentò più innanzi di con-
netterli ad una religione orientale analoga, e furono identificati
con griddii Cabiri di Samotracia. Cosi divennero i grandi dei,
i protettori della navigazione, che sostengono e dirigono Teroe
ne^'suoi viaggi. Onde Enea s'imbarca.
Cum sociis gnatoquej^enatibus et magnis dts*
Ecco quel ch^ò al tutto e assolutamente romano nel poema, e
fli dà un colorito essenzialmente nazionale. Questa venerazione
ei Penati è tratta dal cuore della religione romana. Nessun
poema epico greco somiglia B^TEneide per q^uesto lato.
Le deità locali dellltalia stanno allato ai grandi iddii notati
da Virgilio. Giove Anxur , Feronia, Egeria, Albunea, Angitìa,
Giutuma, Portuno, figurano nel poema.
Virgilio ricorda con compiacimento i culti romani. In prima
linea è quello dell'Ara maxima , che , attribuito ad Ercole . è
in realtà un sagrifìcio antico al ^enio dell'abbondanza, al dio
protettore del suolo , a chi lo fa fruttificare , al dio della verità
e della buona fede, Cerus, Sancus, Dius Fidius. Egli ci mostra i
Luperci^ sacerdoti di Fauno, i Salj sacerdoti di Marte. I Mani, i
Lari e i Penati, le deità protettrici che hanno con essi alcuna
analogia, spesseggiano nel suo poema le loro apparizioni e i loro
avvertimenti notturni. Finalmente egli avrà cura d' indicarvi il
culto della madre degl'iddìi, d'origine recente, ma ond'egli fa
più remota Tinstituzione per crescere autorità alla favola cn'egli
svolge. Egli è insomma un poeta teologo.
L'Eneide era altresì pei Romani la dipintura della loro vita pub-
blica e privata. Accanto ai costumi omerici compaiono di tempo
in tempo le usanze e i costumi romani. Dal palagio di Priamo e
dalle imitazioni àelV Biade e deW Odissea passiamo alla descri-
zione della vita selvaggia delle rudi popolazioni del Lazio. Poi
entriamo in caso, in vestiboli pieni d'imagini, come quelli de'
vecchi patrizj. Gli eroi combattono sopra carri, come Ettore ed
Achille ; hanno, com' essi , ricche armature ; ma i compagni che
hanno intorno sono muniti degli ordigni di guerra pronri dei
montanari dell'Apennino o dei soldati delle legioni. Si aà e si
respin^^o V assalto secondo tutte le regole della tattica romana.
I sagrifizj son descritti nel modo che i contemporanei di Vir-
gilio jiotcnn vederli. S' inviano le ambasciate, si dà perfezione
ai tn;tliiti con le medesime cerimonie. I noti ludi dei Eomani
si fanno risalire a Quella remota antichità. Io non vo con quegli
eruditi, i quali creaono che Virgilio abbia voluto rappresentare
nel suo p(^ema la vita dei Romani in tutti i suoi minuti parti-
colari ; ma è lecito dire che, pei uno sforzo del suo ingegno so-
vrano, seppe, con arte maravigliosa , creare un mondo novello ,
che, al medesimo tratto, tiene delle età eroiche, delFantica Italia^
874
L*VNBn>B
e del secolo in eoi tìtoil Elementi cosi srariati non tanno cne un
tutto, di cui Boma è il centro ed Enea Teroe.
Noi crediamo, diceva F. J. Prondhon, che la formazione del-
Timpero romano, la preponderanza latina, la trasformazione giuri-
dica 6 morale che ne Teniya per conseguenza, costituivano un sub-
bietto sommamente epico; noi lo crediamo tanto più, in aaauto
il mondo, illuminandosi e filosofando, non aveva cessato a' aver
fede nel sovrannaturale, nelllntervento diretto e manifesto delle
potènze del cielo negli affari umani, e i popoli, non curanti del-
l'esattezza storica, continuavano per loro uso a travestire gli
o\'enti in leggende. Donde noi ricaviamo che V Eneide y sebbene
sfa stata concepita e per cosi dire improvvisata da un uomo solo,
sebbene per questo lato non possa aversi per un' opera della
Bpontaneità collettiva tanto quanto Vlliadi, non fu tuttavia un
Pi»ema artificiale, come i)arve a certi eruditi nostri contemporanei.
ÌA^Eneide ò un fatto universale non meno che un parto dellUn-
^gno individuale, un monumento inseparabile dalla formazione
ragione
e dalla
Europa contro TAsia.
Per sventura tutto il reale che V Eneide conteneva secondo
il disegno del suo autore lo ha perduto por la degradazione
romana, la caduta deirimpero, lo stabilimento del Cristianesimo,
Padottamento dei libri degli ebrei, a modo di epopea dell'amanita:
tantochò questo poema, che dovea crescere coi destini di Boma,
e che il suo autore non ebbe tempo di compiere, ò morto, a dir
cosi , in sul nascere , o rimasto quasi un sogno. Pertanto la
lettura di Omero attrae più che quella di Virgilio. Omero non
ci attrae solo per la poesia; in questo punto egli fu superato
da Virgilio; ma perchè desta più profondamente ne' nostri animi
il sontimonto delia realtà.
■JinHl
IL MAGO VIRGILIO
PER
BARTOLOMEO CARACCIOLO
Come VirgiUo per la piacenoletta ddl'aero
di Napoli ce compose^ la Oeorgica,
De la qual cita de Napoli Virgilio molto più chiaro de tutti li
Soeti non pò tacere, imperocliò vi fu Officiale, et ivi scripse il libro
e la Oeor^ica, in nel tempo quando Octaviano ordenao Marcello Duca
de li Napoletani ; in nel lempo dil qual Marcello, essendo consillario,
et quasi rectore suo, o vero maistro , lui homo sa/^ace et discipulo
de le Muse, chiamato Virgilio Mantuano, si forono facte le chiaviche
sotto terra, havendo cnrso al mare. E U puzi publici con li condutti
d'acque per diverse vie et con sottile artificio congregate in uno
alto monticello chiamato Sancto Pietro a cancellarla, correno a le
fontane publice, facte et edificate in ne la dieta cita. Per la sagacità
dil qual Marcello, e per {)regere del dìcto Virgilio. Octaviano chiamò
Napoli, Donna de nove cita, oppido o vero castello murato.
Come VirffUU) per arte magica levò lo male aere
da NapiM.
In ne la qual cita, per Taiero de le padule in quello tempo si era
gran habundatie de mosche, in tanto che quasi ingeneravano morta-
tà. Il sopradicto Virgilio, per la grande affectione,la quale haveva
a la dieta cita et a li soi citadini , se fò , per arte de nigromantia ,
una moscha d'oro, et fella furgiare grande quanto una rana sotto
certi poncti de stelle, che per la efficacia et virtù de la auale mosca
tutte le mosche create in ne la cita fugeevano , seconno che Ale-
xandre dice , in ne la sua opera , che egli vide la predicta in una
fenestra del Castello do Capuana, et Gervase in ne la sua Cronica ,
la quale se intitola li Risponsi Imperiali, proba questa cosa fosso
* Tratto dalla sua Cronaca di Partenopea secondo la lezione data da
Domenico Coniparoiti tra l Documenti del suo Virgilio nel medio evo, vo
lume II, pag. 230-239.
376 TL MAGO vmaiLio
Btata cosi. De poi la dieta moscha, levata da quillo loco, e portata
al Castello di Cicala, si perdio la virtute.
Come per incanto levò le sangtiestighe
del CKqua de Napoli,
Fò dtiamdio fare una certa sangnesucra di oro formata sub certa
consteUatione, la quale fò gictata in del profondo de pozzo bianco,
Ser la efficacia et virtù de la quale le sauguesughe furono cacciata
e la cita de Napoli, le quale ce habundavano in gran quantitate et
come mo manifestamente noi vidiamo , operante ht divina gratia ,
senza la quale non se pò fare ninna cosa perfecta, la predicta grazia
et virtù aura perfino lu di d'hoggi, et durerà in eterno.
Come fé un cavallo sub certa cosldUmonCf
che sanava la infirmila de U cavaUL
Anche fé forgiare un cavallo di metallo sub certa consteUatione
di stelle che per la visione sola dil quale cavallo^ le inflrmitate
8*haviano remedio di sanità, il quale cavallo li mmiscarchi de la
cita di Napoli, havendo di ciò grande dolore, che non haviano gua-
dagno a le cure de li cavalli mflrmi, si andaro una nocte, et per-
fkirarolo in ventre, dapò dil quale percussione et roctura il dicto
cavallo perdi la virtù et fò convertuto a la construtione de 4e cam-
pane de la majoro Ecclesia de Napoli, in nello anno MCCCXXII ; il
quale cavallo si stava ^ardato a la Corte de la predicta Ecclesia di
Napoli, del quale cavallo si crede, che la piaza de Capuana porte
Tarme, o vero ìnscì^ne, cioò uno cavallo in colore d'oro, senza freno,
per la qual cosa quando il Serenissimo Prìncipe Re Carlo primo,
intrò in la cita di Napoli, maraviglandose de le arme di questa terra,
o vero piaza, et de la piaza di Nido, la quale havia per arme uno
cavallo nigro, puro senza freno, si comandò, che fossero scripti doi
versi :
Hactenus efifTenis, nunc freni portat habenas
Rex domat hunc aequus, Partnenopensis Equum.
De li quali versi la senteutia in vulgare,8i è guesta^ che el Rejusto
di Napoli doma questo cavallo isfrenato, a li homlni senza freno,
li apparecchia le retene del freno.
Come levò le cicale per incantamento,
Etiamdio quello chiarissimo Poeta si fò fare una cicala o vero
oantatrice de rame, per arte de nigromancia incantata, et si la li-
ghò a uno arbore con una catenella, per la efflcacità et virtù de la
quale cicala, si fuggerono da la dieta cita tutte le cicale, le quale
erano tanto infestante, et contrarie a li citadini per brutto canto,
che guasi no potevano de nocte dormire nò riposare et la dieta
gratia dura per fina al di de hogi.
Come ancora provedette aUe carne,
che non puzzassero.
Niente dimeno volou<Io lo dicto Virgilio provedere a la utilitate
do quelli li quali soutiva danno , molto volte in ne la cui*ne fresca
IL MAGO VIRGILIO 877
6 salata, cho spisso volte fiitiva, per lo vento austro, il quale ò a la
dieta dtà molto contrario et imperò se corrompevano le aicte carne,
il (lieto Vir'jilio fé append«jr<i diversi pezzi di diversi carne per la
dieta arte maij^ica in uno archo della Ducciaria de la piaza dello
Marcato Vecchio, dove in quel tempo se vendeva la carne, et anche
mo se vende, per la virtù de li quali pezzi di carne, tutta la carne
la quale restava, che non se poteva vendere, si se conservava per
più di et somane senza corruptione, et la carne salata se conser-
Tava ben tre anni et più.
Come Vergilio provedio a lo vento de AprUe ,
che gtuistava H frucH di Napoli,
Per lo vento lo quale se chiamava Favonio o vero fbrano, che
guastava li arbori et comunemente sole ventare a la entrata di Aprile .
ne la dieta cita , et destrugitivo de le frunde , de li fiori, et de li
frutti teneri de li arbori, lo dicto summo Poeta fò forgiare una ima-
^ine de rame, sotto certi segni et congiuntione de pianeti, la quale
imagine teneva una tromba in bocca , la qual^^ percossa, o ponta dal
dicto vento Favonio, por hi virtù de li diete pianate, faceva ventare
un altro vento contrario al dicto vento Favonio, lo quale era de
necessità de tornarese in dietro, per la qual cosa li arbori, e li fructi
crescevano senza noeimento, et perveniano ad maturatione perfecta.
Come per la sanità de li citadini fé venire a Napoli
ynolte herbe de virtit.
Volendo anco lo dicto eximio, et summo de li Poeti, previdero an-
cora alle inflrmitate de li homini, con quelle salutifere et medicinale
herbe, li quale bisognavano per li suoni e sciroppi, le quale herbe
in molte parte de le mundo non si trovano, maximamenie la state,
a pedi 0 sotto la schiapa Monte Vergine, sopra Avelie, et apresso
Mereholiano, lo quale monte mo se chiama lo Monte Verj^ine per le
meravigliose sue arte et ingegni, fò ordinare uno giardino o vero
orto meraviglioso, et fece d'ogni generatione de herbe, lo quale
giardino, tutti quelli che andavano per cogliere herbe per le cure,o
remedio de li infirmi , la herba ei la via si se demostrava lieve-
mente. Et quelli che andavano per destruggere et siparo et levarene
le dicto herbe, per pastenare ad altrove , non so lassava vedere, et
non ce trovavano mai via donde ce potcaero andare; in nel quale
Giardino, etiandio per fin al tempo nostro senzeconglieno molte
herbe medicinale et virtuosissime, de le quale alcune herbe non se
trovano in altro loco, se non in quel giardino.
Come non ce eì'u pesre et in- (mio una preta^
et f ecela copiosa,
Anchora vedendo lo dicto Poeta la predicta cita, la quale con
gran volontate desiderava de 'se magnificare per fama et riccheza,
che non era fertile de pesce, per lo poco fondo del mare , che sta
di jjrusso de Napoli, volendo providere a la utilità del mare, et de
li citadini, fò laborare una preta, et fé intagliare uno pescitello, et
fello fabriearw iu quello loco dove se chiama mo la Preta de lo
pesce, iu de lo quale loco per fino che stette la dieta preta , giamai
non mauchao, che uou ce rosse pesce grosso et minuto.
378 IL MAGO VIRGILIO
Conie a la porta Noi.ina fé fare due teste,
che segnifìcavaTW augurij.
In ne la entrata de la dieta cita sopra la porta Nolana succe-
dendo ad ipso le mirabile influentie do li dicti pianeti , fò mirabU-
mente edincare et iscolpire doi teste humaae per sino a lo pecto
di marmore, Tuna de homo allegro, che rideva, e Taltra di aonna
trista, che piangeva, havendo diversi augurij et effetti; se alchuno
homo intrava a la dieta cita per obtinere alcuna grazia, et per spaz-
zare alcuna sua facenda, et casualmente declinava la sua mirata da
lo lato de la porta dove stava lo homo, o la imagine che rideva,
consequitava douo augurio, e tutto suo desiderio naviva bono ef-
fecto, et tutte sue facendo, se declinava la sua intrata al lato de la
porta dove era la testa, che piangea , ogni male , et ninno apaccia-
mento ilio havea in nelle sue facende.
Come fo ordinato io joco ad Carbonara.
Et in quello tempo ancora lo ingeaioso Poeta ordinao, che ogni
anno se facesse lo Joco de Carbonara , non con morte de homini ,
come de pò ò facto, ma exercitare li homioi a li facti dell'arme, et
donandosi certi doni ad quelli , che erano vincitori. Et hebbe prin-
cipio lo dicto Joco dal menare de li citrangoli, a lo quale da pò
successe lo menare de le prete, et pò ad macze; ma stavano col
capo coperto con bacinetti et ermi di coirò. Et de pò più nanci
V june al tempo di anni MCCCLXXX che quelli chenze jocavano non
obstante, che se armavano de tutte arme , infinite ce ne morevano
et ò chiamato Caronara , in nel qual joco se solevano gettare le
bestie morte, et le mondecze. Ordinò anche in la dieta citk per sua
arte magica quattro capi humaui, che ciano stati morti nanci longo
tempo, li quali capi davano risposta v»ra de tutti li &cti, che se
facevano in le quattro parte do lo mundo, ad ciò che tutti U facti
de lo mundo fosseno manifestati al Duca de Napoli.
Come Virgilio levò le serpe de Napoli.
Anchora in ne la dieta cita de Napoli, a la Porta Nolana, la quale
mo se chiama de Forcella, ò una via de prete artificiosamente con-
structa et ordinata, et a la dieta via ò au sigillo, al quale sigillo lo
dicto Virgilio %ion senza gran ministerio concluse et annullao o^ni
generatione de serpenti et de altri vermi nocivi, la qual cosa Dio ,
per sua misericordia, per fino mo la observa in tanto, che per chia-
viche, et per tossati facti sotto terra, per fare le edificij et puczi,
mai non ro trovato serpe, nò altro verme nocivo, nò vivo, nò morto,
excetto si con legame di fieno ce fosse stato portato casualmente.
Et a doetxina et ammaistramento de li Napoletani, nati in patri8
fertile et habondevole stando in Nappli, compose el libro de la
Georgica, in nel qual libro se insegnano li modi, come et in qual
tempo se debbiano arare et cultivare li campi et seminareli, et in
qual tempo si debbiano piantare li arbori et tagliare et insertare,
secondo che ipso attesta a lo fino do la dieta oprerà. Dove dice : in
quello tempo si me ne nutricava la dolce Parthenope multo nobil-
in ocio, et florido in nello stililo. Lo quale Vir:^ilio per natione Lome
bardo hebbe principio da una villa de M.uituani, chiamata Andes,
IL MAGO VIRGILIO 379
et florio in fuma nel tompo do Julio Cesare sotto Octaviano; et in
neiranno dello suo impeno XXV finio la sua vita in ne la cita do
Brindesi, et i)ò t*ò rapto per li Calabresi, come a cosa molto djlec-
tevole, et fò portato in Napoli et fò sepellito in quello loco, dove se
chiama S. Miiria dell' Uria, al presente S. Maria de Pedigrotta , in
una sepoltura ad uno piccolo tempio quatrato, con quattro cantoni
fabricati do tigole, sotto ad uno marmore, scripto et ornato da lo
suo epitaj'hio d« lotter^; antique, lo quale marmore fò sano al tempo
de li anni MCCCXXVI. In ne lo qualti epitaphio erano scripti doi
versi, li quali <licuvauo in sententia, Mantoa me generò, li Cai ubrusi
me raperò, mo me tiene Napoli, lo quale scripsi in versi la Bucco-
lica ec la Qeorgica et la Eneida.
Come orcHnó Virgilio le acque de Baja et distinse
le virtù de le acque et fé U bagni
con scripture,
Chonsiderò ancora il predicto Poeta eximio, che in ne le parte de
Bajii, appresso de Cuma erano le acque calde, havendo diversi corsi
sotto terra, per le Vvjiia et materie ae diversi operationi de sulfo,
cioè de aluine e di ferro, de pece et de argento vivo, le qual<* ha-
bundavano de diverse virtute ; considerò aduncha edificare per la
comune salute de li citadini de Napoli , et per la utilitato de tutta
la ropublica, nioUi et diversi bagni, et maximameute quello avan-
tagiaco baìj^nio, lo guale ò chiamato Tritola, in ne lo quale erano
scripte tutte li nomi et virtutj^ de tutte le acque, specificatamente
per sottile magisterio de fabriche disi^nate, ad ciò che li poveri
malati stmi^ aiuto et consiglio de Medici, li quali senza alchuna ca-
rità domandano esserne pacati , potessero de la desiderata cha-
rità trovare remodio di loro infirmitate. In ne li quali bagni li cat-
tivi Modici di Salerno demostrauo la poca charitate et grande ini-
quità che haviano, che una nocte navigaro per fino a li dicti ba'j^iii,
et si guastare tutte lo scriptui^e et picture. scripte et pente in ne
li dicti bagni, con ferri et altri instrumenii da dirompere li dicti
edifici^. La justa et condigna virtù de Dio li ponto, che comò li dicti
medici ritornavano ad Salerno per mare . furono assaltati de una
grandissima tempestate et annegati, excepro uno lo quale manifestò
questa cosa, et proprio annegaro intra Capre et la Minerva, pro-
muntorio di Salerno.
Come fé la grotta per la commodità de li cittadini de Napoli , dove
se chiama fare grotte ^ "bent^hè alcuni dicono che la fece fare LO'
cuUo.
Havendo ancora lo dicto Poeta advertenza alle fatighe e tedij do
li citadini di Napoli^ che voleano gire spisso ad Puczoli et a li bagni
Boprascripti de Baja^ per li arbostri de uno monte dorissimo, lo
quale era principio di affanno di quelli che volevano passare lo so-
pradicto monte, tanto da capo , quanto da piedi, fò aperire innanci
che ce comenzasse la grotta. Et considerando per geometria, con
una mesura per potere cavare sotto di questo monte, ordinò che fò
forato et cavato il monte predicto, fò farci una cava, o vero grotta
di longhezza et di larghezza, la quale grotta fu con tanta subtilità
ordinata, che la motate de la dieta grotta per lo nascimento del
•ole luce da parte de levante , da la matina por fi ad mezo di , et
880 IL MAGO VIRGILIO
da mezo di per fi a posta del sole luce Taltra metate da la parta
de ponente ; et imperochè quelli che passavano lo loco era teneoroso
et obscuro, che per questo pariva male segno , in tal dispositione de
pianeti et corsi de stelle fò dieta grotta cavata et di gratta dorata,
che ninno timore ne suspictione ò ad quelli che ce passano, et non
Bence pò ordinare imbuscamento; nò sence pò fare acto dishonesto
a donne, et questo ò provato et inducto per fino a li nostri tempi ,
di la quale grotta ne parie Seneca.
Come consacrò lo ovo aUo Castolo deWOvo
donde iii^iò lo nome.
Bra in nel tempo de lo dicto Virgilio uno castello edificato dentro
mare sopra uno scoglio, come per fine mo è, el quale se chiamava
lo Castello Marino o vero di Mare ; in dell'opera ai lo quale castello
Virgilio dilectandose, con sue arte consacrò uno ovo, el primo che
fé una gallina; lo quale ovo posse dentro una carrafa, per lo più
astritto forame de la dieta carrafa, la quale carrafa et ovo fò ponere
dentro una ga^ia di ferro sottilissimamente lavorata, et la dieta gabia,
la quale contineva la carrafa et lo ovo, fé ligare, o appendere, con
alchune lamine de ferro, de sotto uno travo di cerqua, che stava
appoggiato per traverso alle mura de una camarella, facta studio-
samente per questa casone, et con gi*an diligeutia et solemnità, la
fò guardare in ne la dieta camarella, in loco secreto et sicuro de
bone porte, et chiavature di ferro. Imperocché da quello ovo, da lo
quale lo castello pigliò il nome, pendevano tutti li fati del Castello. Li
antiqui nostri tennero, che dalrovo pendevano li fati et la fortuna ,
del Castello Marino, o vero lo castello dovia durare tanto, quanto
lo ovo se conservava cosi guardato.
Come acquistò la scientia Virgilio.
Non ò da maravigliare se lo dicto Virgilio hebbe tante scientie et
tante virtute ; imperochè in nello tempo de la sua gioventù, secondo
che se lege ad una chronica antiqua, intrò ad una grotta, che sta
dentro Monte Barbaro cavata di sotto , una con un suo discipulo
chiamato Philomelo, volendo bavere chiara notitia de li mìraculi et
de quelle cose che le haviva operate uno, nomine Chironte, philo-
Bopho. Et là trovare la sepultura de lo dicto Chironte, et li levò di
Botto la testa uno libro, in ne lo quale libro se fò doctissimo et am-
Diaistrato in ne la nigromantia, et in ne le altre scientie.
Quello che sit-'cessf' dopo la morte de Virgilio.
Dicesi, che morto lo dicto Virgilio in Briudesi, et essendo lo
e<)n>Q de quello portato in Napoli, con gran diligeutia, la sepoltura
di» tal corpo se guardava et observava, la quale come ò decto, stava
vicino S. Maria de Ped«?grotta (jjer la quale sepoltura in verità lo
Vìilgo la chiama grotta do Virgilio); o vero por la via vecchia de
Puozoli, lontano da Napoli circri duo miglia. Lo che intendendo uno
physioo Inglese, porsuadondoso , che alcuna virtù fusse in lo ossa,
et poluertt dy quello, come soi,'liono ossero vane lo opinioni de li
h(»miui, impetrò dal Ilo Rogiori , possoro aprire dieta sepoltura, et
distillai'» io ossa, ot bevoro Ta-^jua de quello, per possero bavere lo
iogoguo et supjro de Vii'gillo, et haveudo presentato tale littere a la
IL IfAGO VIRaUJO
881
inclita cita de Napoli, dubitando quella, come sole essere la opinione
del vulffo, che se tale opera se facesse, non havesse successo qual-
che in£ue, per lo primo lo negò; tamen volendo obedire alle sacre
littere del Re, se contentò , che lo dioto phvsico Inglese ftusesse
quello li piaceva, non però dovesse guastare le ossa, o vero remo-
vere da la dieta sepoltura; lo che fò facto , et dicono che lo dicto
phjrsico havesse trovato uno libretto de certi secreti mirabili in la
dieta sepoltura, lo quale libretto pervenne poi, secondo veleno al-
cuni, in le mano de Joanne Cardinale de Napoli, et che da quillo
libretto foreno havuti molti secreti. Dicono ancora, che li Napolitani
pigliarono quelle ossa, et le fecero sepellire in lo Castiello novo, a
ialchò non fossero levate. Io potria del dieto Virgilio dicere multe
altre cose, le quali ho sentito dicerese de tide homo, ma perchò in
major parte mi pareno favolose, et ftiLie, non ho voluto al tutto im-
plire la mente de li homini de sogni , et perchè multe cose sono
stata diete de sopra de Virgilio, a le quale io soriptore de quelle
meno che li altri eredo, prego ciascuno lectore me habbia per ezcu-
sato, perchè non ho voluto fraudare la fama de lo ingeniosissimo
Poeta, o vera o falsa, et la benivolenza la quale ipso portava a questa
inclita cita di Napoli. Ma la verità de tutte le cose la cognobbe,
et conosce solo Dio; questo bdn dirò, che io non scrivo cosa falsa
nò fabolosa, che de quella lo lectore non aia &cto accorto.
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igo Virgilio, per Biirtoloiiieo Caraeclolo
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TITO IDCmO MJO
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LIBRI SEI
TRADOTTI DA ALESSANDRO MARCHETTI
GLI ARGOMEtrn DEL BLANCHET
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INTORNO ALL'AUTORE ED AL TRADUTTORE
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iir-ir Jan l'ur U'iinur<- lomr.Ur, vii- tir ••otmrrrr h: iiioii-
ri:fiirnl lotiujiif , In iviiiir k< n-iv il'tin iiui-la ii/iilus'i/i/ii' •ini
rumiiiin- ìoiiiiuirx i„.inr •ifiii'l il i.r(„t. <"<nt ii/tf inlulvUtt-
urn- il-uirni- l.i i,n,„i,' ,1.- lA,a-rir,„ iuiii>,,shrillnriu'i<.uinÌK
hi-mr»."l.\j-"--lllnl': '■'■/wxlr i'-i 0 v< xpi'l' r fir.rnl Un-t l'I
siiiU-.lin /ii/,n:V«; /,■ ftKli- >Kt un iiiir.-iihli- >\iirrn-tf, iiu'il /'ItU
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'-T-i»Ul i).'l I l.ijiin nvc r ii;;^Mist'i «a
,-i'Vj'ii'i (-iiiiiirii- 111 {iiittia i> iu Sicilia,
M' ssinu riilt'-'i i'i Si:!i'-iisji. r>''l liiis-
:,;;:^-.^:^J ik.j Lilnn V. VA «lt?-nsi. liri-
1 pi.v.'it. «'il iiiwinìciciiwt ilflia lin-
i<u 11 litillu-<- iiiiili'!ìi> nUtsoli'-Jin, il Miin-liiUti elio
Il tli-lla liti;:itii (..^'iMiiH Tiitii nii'iio t1i'ssil>il«4 >lfllii
lii'i'H ili limili i'|m' (ili -ia '■s|H'iiii('r(Mif,'iii [liii usIiiish
j Vi 1 ;=i lKI-:>i;! Sri Iddìi del ftilicL? istniiiiiinto cli« uvuvu
Tni.liissi' .'un
t'ii ■<^.:]ii SII) lil>
trari"
•l'iilii;
i Imre clitì ii(> .'tiilu di cjiiif) In ir
rum e ili tnuno il bicchii'-
i.-iiiiiipi i"'';'i'"'«_''* ''^i;';'-
• li linpiiii .■ smivitii .l'iiniionii), i>' cpi !*'iii[ii'(' vivnrj ilrllii
TlSi-hhìi .■ rii" ^i I jv.. 1-iii.iii.. Rtio in un HTriitiiiiii"0 , lu-l
iL'iliiii; e il Mii»ii!iilti, .tii"lla uiuii iin'iili'. m'Ilf suo fiin-
Z..I1I-Ì1H- .' II..] Shlr>,, min <• chVì viifrliit^simii i' di-IÌ7Ì..si.r
A .jii'sln vi-isii.iii'si»,i,li.'<'li]..'n. ni' eli" le I"di chediii-
s '[i|ii' Maiiii 0"ii;iiii (ili 'l'ivti i"'l l.uf.mio. (i In soiniiiii, il
Mn;i-lii'lti, l'L'ti wiiv'vii. iiujTiefipii il puMiiiii d-'lla Satwa
iMln i-i.tu; i;i.iiic su rusjHii uiiui-é,'''iiii"iit.iu[ii<H'i>su,n.'('lnia'i-
d.ilij [li;!- ut;iii d.'vi^ di tutt.i W. delizio dullu siile, di lutti i
■\«''
14 INTRODUZIONE
vezzi drtla poesia, final monte di tu Ite le lascivie del parlar
toscano.» Il che in parte è vero e l'incanto si ravvalora per
le reminiscenze dei nosl'i poeti elussici , che a q lando a
quando, come quel purpuieo nastro d(»ll' Ariosto, partono
la tela d'arp^nlo delTindustre testore.
G. B. Clenif^nte Nelli , l'erede delh» ire di Vincenzo Vi-
viani conU^o il Marclietli dice: o Non molta pompa crederei
doversi fare di questa benclié per altro hella tiaduzione,
ed in ottimo g.*nere di verso sciolto conilolta... poiché oltre
r esse: e stata criticata dal Lazza! ini come mal tradotta,
« stata censurata dalla Sacia Congregazione e reputata
opera perniziosa al Cristianesimo per it» male conseguenza
ed eflelti da essa prodotti....
L'Emin. Canl^lnio, arcivescovo <li Napoli, per essersi sco-
perto nella predetta città che (ìio. Andrea de Magistris e
Carlo Hosito speziale di medicina insegnavano Tatf^ismo,
pi'ima della pubblica o solenne abima degli erroii da co-
storo piofessati, fece nella sua Chiesa cattedrale il di 15
Febbraio KV.W un sermone, in cui t'a le altre cose disse :
.... o:a si rendono palesi auellcmani sacrileghe, le quali
con irritare V indignazione Jivina hanno posto ftioco alle
mine de' terremoti scoppiati pochi giorni sono con tanto spa-
vento ed hanno più reccnlnmenlepMivocato il llagello della
peste estinto miiacolosamente per ess<»r prevaluto il me-
rito de' buoni alla mali/ia de' cattivi... Seguitò inculcando
la necessitH indispensabile di fuggire come mnstii veleiu^i i
libri infetti d'eresia, e dell' infaìiie ateismr> e specialmente
l'empio Lucrezio traslatato per arte rìel Dcrnonio in metro
iialiauo pur tvoppo applffiuìito ....
Il di \i\ nove nhre 171^*, segue il Nelli, fu fatto dalla Con-
g egaziom^ dell'Indice in Hoiiia il decreto di pioibizione del
Lucrezio tradotto dal Marchetti o manoscritto o stampato,
che egli si fos*^.», a motivo che alcuni IVatelli del casato dei
Legni, essendo stati processati dal tribunale dell'Inquisi-
zione confessarono di essere divenuti atei per aver soltanto
Ietto il Lucrezio dal signor Alessandio Marchetti tradotto.
Gli proibirono anche la versione di Anacreonte.
Critiche e raffronti.
Mentre alcuni volevano bandire dal regno delle lettere
la versione di Lucreado come empia e pervertitrice, Dome-
nico Lazzarini di Morrò, secondo accennali Nelli, lettone un
3uattrocento versi e non più, con dodici osservazioni tentò
i annullarne il pregio e pi*oscriverla come inesatta, e di-
mostrante poca conoscenza del sistema di Epicuro, scusan-
ilo p<ù ipDcritampntf l'auturt^ die l'avfifisi' ftitla mentre era
Uf^saì Rilavano, Ile rnnluiv voluto poi rivederla per non pen-
der pcrfclltì uiMJpiru si ppniÌ7;iosa. LVriiditomarcliPgiuao,
iliinostralu soitiliuciitei difetti He' hm^lii muai ail rsaiiiinai'e
li riffco cfrli in vi'fsì o ijiii fili cadile Itiff^j; perclié poco
mìgli'ir saffifioili sèa\rp|ilie dato rAlfiaiolli, se, dopo lesu«
critiche del Caro, avesse prvso a rifarlo. E si eh era uno
dei pift ftiiri(iPÌ versiseioltHÌ del suo lonipo. Ora ai senta
l'onip il Laz^urini rifece il Sacrificio di Auliilv:
Ci.iii! ^n;i UH tempo in AiilMn (;li Altari
Ihillu v«r;;LiiM Dt-a loiitar cui raiigu«
D'itl.iiinssa liruttainnuto i Rapi
IhUriCsL-ivtto Dunao e gli erui primi.
. 1,A Qunl, inunli-e din a lei Vinfiiia intorno
Adi ornanicuti vi-r^'iimU avvolta
Ci>u tu binila ugualmentn ricoperse
K r iiMH gota e l'altra e vMa fi pad™
siaraeiiu e <lritlo r. mesto iiiiian/.i l'Ara;
V. a lui vicino fax minttri o potn|>a
D'un i-nltuilo i miiiiKlrì ; « viilv infliis
i cittadini suoi guatarla « pianger-):
ella ili itiligion pinna e di tema
Nuppuri! Oliando di parlar, cliiuava
l>irotami?iite le Klnoccliia in turra.
Nd uir iufulicu in qui^l malvagio tempo
Pot«o punto r;iovar cliViisa la pi'ima
Al l*<^ Ili pailru il noin<^ avt;x»<9 dato.
K'n-hd da nuefdi ei-oi tolta 'li tirrra
Fu vuuilotta all'aitar trumaa'lo tutta :
Xon pi.-rcliA t'innìoata la MolenDu
E ponipa e riti, elln potusHt poi
KiiHiir KtiiluitUi rial SUO chiaro siiofo:
Ma purché al tempo ntes^o itcllu nozze
HromeKHi;, col dolor d'esser dal mio
I*adr« scannala, ella a cailur veniNce
D'iiu saeriflG'o impuro ostia innoccnta.
Non purctiè liirininnto il sacriR'rio
Fopsit l'-2ata col soave nodo
D"un illustri! Iineiu-o ;
il Laxzariiii la V urf^uto e dice: «Le prometto io che dopo
che fosse slata vamllcala, sarebbe stata la bella sposa. Ma
Lucrezio di queste non ne dice. Egli dice nnnptrcnè termi-
nato, non il sacrijìrio, nia more sacrorum il rito, e quelle
pei'imonte che si fanno avanti ì samticj, dopo le quali
ir,
iNTn«>r»r/ioNn
ln)hn'H ì»r*n (»ssiM*t» farilnipnlc sposa. Ma •ì«ij»''> che ft.»ss:»*
stcìta scanTfalrt, imn Pimlf) <»|io scn/a Jiniou'tà g='aikl«*
avrol)b(» ])otiil<» rsj^'.'i'c : » »Mvilln lirlN.) o hiiono, porcile
il tiailnlloro, a>lia"inl'.»si tialla «nia'ilà o ilal line «Ir^^ii aj»-
jmì(.H-clii, non lia l'aninn) ciir nlia ^Movan*.», la quah* f,'ià si
tigni HVH ili rssi'P ontlotta airnltai**' p<*r altro e lìnita la
n'r ini' tuia iniziaN» cssr"' s|»(»f:a ad Acliill»'. •
Paolo I{<»ili l'In» l'i! iljviiiH) imIìIoi*«mI('1 poema «li Luci e/in
liailollo dal Ma'(?lii'lti tL<»n(lra, 1717), lo molt * t'MZo Ij-a
VKtiiiiìc ilr*l (^aro e \o Mcifimurfosi iTi irìiiin cii'ir \n^ni!lar-a.
Krf^rdi* (lairnn lato ronK* il Han^tli ilaii'allro, ({nandù iis-
s(»V''i*a , eli' « irli era non so]nnn'nl«' nnlPall'alto porta, ma
v(MS' !2r^'"iator<' molto niedioc; e, prr<'li(* n^'ii c'è pairina nella
sua tradn/i Mif* «di'' non ronh'n^M al-pianfi vei*i<f nudlc» llns..M
«• Zoppi. Il TiJ*al•^.^^rdli la •li'dnar"<d«'irHnlJis^inja e della rri-
tira del Laz-zarini diee, eia», da "fnalnìKMn*. rairioia*. ella iiu>-
Vf s<i', non Ila avjilo olTrttoe nulla lia Si/eniato la stima di
eni «imlla ha ^?"ln])r^' goduto. Invano, ri]>cte nltove, lui
p; \\i s > di condialliv' o il eonuni S"idini' nlo deMotti. 11 s/»niino
l.eiiiniz dovendo lilerirc» india hua Tcnfh'r.ra un pa«so df»l
S'Tondo lihro ove si fh Sfi'ive il movineMito spontainM) attri-
huiloagLi atonn da Kpi"n"o, si vale della vei*sione del Mai^
t'Ietti anzi eia* didì' «vicinale.
I*r«*ntlerò «lai Maìtlia un tratto snll'anìore, elio ni» streiii
niitrlio elir il rit^eimento d(d Lazzarini con quale lilaMlà
il Slarelietli trattasr^e Lucrezio.
(!os toui'iiieiits tW riiiiHun* iisfiit !•< corps «'t l'ànn* ;
'Vii vii- est ^usji.,Miili|..' !iu ;:i-st!! d'un»' Cuinììii',
Toh l»i« Il •lO'ilc, riisia'M «iivaliit t;i lu.esnii ,
t).ai.s rdiilili d'.'s il'-vnirs s\jv;in(iuit tnn noni.
Uni, ptuii' qirnii liio.|,(juin \-u\\ do Sm-voiic,
Rie II d''s jiird"* mi;ri»«iis, cjM'ii di* l>"ai!X ■loi^'^ts l'.'iyouUiì
l"U irrand i'ut»is daiis Por. ijuc le» plus lìiis tissus'
S*.jl»rrllVe'nt cIl.inU" .ioUl" d- s MUMIIS de V'MUIS.
Toh liiiM», raiiti(|inj iViiit d'.*s vortus juttirMcllfs.
Fl<»tr»' IMI HJiti-H, IMI rultaiis sur la ti'lo d<s Ut',lli.'.s,
Traili • siM' Irs jj/ivós eii roli-s, imi iiiaut'-aux
'i'i.'iiits «l's nifdl'S cnul-iii's d*AliiiiIÌH ft «!<• ('hins.
l*uis \i\ vili coiiiu ji diit'* : aux r'*st.iii.*« fpn^ tu donriiis.
Il laut eii'-oi' pai't*iniis. tapis luDilIfUX. «'nuroine's.
Vaili filnrt «In plaisir I dii fond «l." •••■« doiici'iirs
Mr»iii'« un dj'ijòut anM[' (|iii T'e* au si-in ri -s ll..;urs.
Suit (pi'un I" -nmrds S'MT««t av« rti>s«? i^n\ àini*
Uin* tn pfivls t. s l> 'aìix aiis dans un rcpop infrinit.*,
S:'it »|ii>' jiar ta ni.'iUì* >^:' ini ni"i dit aii liasard
Alt j'I.Mit»' ilaas tn»i r(o\ii' '.:!i soupreii. vimvw*'. nu danl,
Qui s'v lix -, y d 'Sf-'inl. rf-us'.* uii'.- jila-i* ar'l«*ut'.',
Soit ipic toM {.v.\\ j.'dcux. l'piaiit sur fanLiiitt.'
<J'ii l'pi ' r L.'ard hirtil". surpi'i-niif avi-f i-UVoi
l.l li".i<'.- d'Uii ^'.lUns qui Uo l'ul pas fujlir toi.
INTRODUZIONE
Lucrezio e Memmlo.
Alfredo Tpnnyson, lo sfiiiiftUo noflla . ideò p scriean un
monologo di Lutii'mii intiiiii/i ai miìcidio. Kglì acct'lU) la
tradizione che desse in accessi di duini>n7a per un fillro
pòrtigli da una donna die si ciedi^va meno amtita, non
imdaiido egli alle cni-ezzf. di k'i.
Fnr-IiÌ8 iLiin'l
Ha I r liu rifili ili Bomu WiuKhtior argini ant,
Ol furila v-Ijot'ii'J pi'i-iiai)!i lirjdH tlia risa
Awl lim'tt niTl or tlifi Uox:..ii.tlur-lid pant
'j'o tui'ii ;liii1 ti.iadur tlio.iu tliruti liiiii<)i'u<l koi-oUs
l.uft by Illa Ì^nr.h.,r wlLoni ho liiil.l «IÌvìub.
Quppfn tr8dij;ione non si Tonda che sopra )' autniitii di
San GPiolaTno, jl i]uole scrisse pii'i di tifi sechili dopo Ln-
cieKio. Ornali e. a di'lla g-ttn famigiiu Lucrezia e cavalier
romano. Nu'.'qnr' rmiDo iió avanti Ciisto. I-j ptnlial>ilc chi!
viaitussi' ta iJincin e udisse Zenone, i-iie in (\\\p\ torno epa
capo della wlla epìrniea. Tigli e Cesare sono i due soli
prandi se. tttoi i elio Roma aliliiti prodotli. La sua vita co< se
tra i pnni-iiij di Siila e la imute di Clndio. Hectmdo la tradi-
zione, etili si xHielilio uceiso di 44 anni, moicnclo lo stesso
giorno in cui Viipìlio pi esc la toga vii ile,
C, Mennnio fieniello, al fjiiale n iiititoltito il poema, era
d'illuftiR ftinii^flia, tiglio e nipote ili ciliari oratori. EhUo
presto onoii ed uficj. .Nondnalo al governo della Bitinìa.
condufisft seco ("iiizio Nicia e il poeta Catullo, l'ornato elio
fii , tocw un'ac<nsa da Cesare, dalla (piale si dilV-ae ci>n
vjolenm. Nel diPendetsi trasejjise a lafiaeciaigii i (•noi dif-
famali ei'Stunii- Dicitore facondo ; se non che, a detta di Cice-
jono, fuggiva la fiitica non Stjlo di parlare, ma ancoi-a di
pensale. Aecuso parecchi; tra gli aiti i, L, Lucullo, vincitele
di Mitridate, volendo impcdiigli il tiionfo. Di che, avendo
I • ■ "*«V»*W'
(i iNTRODUZIONfi
egli tìiato alle sue voglie la moglie del fi atollo di lui, M.
Lucullo. Cicerone disse argutamente che si era levato con-
tro Agamennone non ehe contro Menelao. Tento sedurre, ma
invano, anche la figlia di Cesare moglie di Pompeo. Dopo la
questura e pretura aspirò al consolato, garcggiaiulo veemen-
temente cona^tri tre pretendenti. Fu insieme ad essi accusato
di broglio e condannato all'esilio. Tornò in Atene, dove da
giovane avea studiato, e v'ebbe lite con la setta di Epicum
per esseisi fatto cedere dall'Areopago una parte dei Giar-
dini, ove quella aveva sua stanza. La famiglia Memniia
aveva un culto particolare per Veneie, e il Martha crede
che anche questo riflesso abbia indotto Lucrezio alla sua
splendida Invocazione.
Dai trecento volumi lasciati dal marstro, ch'egli reputava
divino , secondo dice il Tennyson , Lucrezio trasse la dot-
trina esposta nel suo poema! Il Mnrtlia la ha considerata
assai bene rispetto alla religion»», alla morale ed alla scien-
za. Egli ha dimostrato che l^picmio e il suo i»()eta combat-
tevano piuttosto il puganrsùno che lo sr)iritualismo, inten-
«lendo a liberare V uomo dai terrori delle ftilse religioni, e
a svolgerlo dai riti feroci onde i)retendevano dejìi'ecar l'ira
od impetrare il favore delle loro deità. Furono in questo i
precursori dei c(witi*oversisti ci istiani ; se non che , non
avendo altro lume, esautorando gli Dei, abolirono la Prov-
vi<lenza. Ma per tutto il poema spira il seiitimento del di-
vino , che , ni'lla pienezza dei tempi , dovea poi avverarsi
nella più pure credenze ; rest^ndt) quasi armi imbelli gli
«'gtmienti delKateismo, che di secolo in secolo alcune selle
di iìlosofanti riprendono e riforbiscono, ma inutilmente,
contro la coscienza del genere umano. Rispetto alla mo-
rale , il Martha fa vedere che la dotti ina «Iella voluttà si
riduce ad un auittismo , favorito ni tempi di Epicui'o dallo
scadimento e aal s-Tvaggio indeclinabile drlla Grecia, e ai
tempi ili Lucrezio fatto «lesidei abib» dagli (»riori delle giierre
civili. Della sci'nza parla il Martha egregiamente in un
capitolo che diamo tradotte» in fondo a questo volimie, fa-
cendo vedere come a puerili fallacie si mes(*olino intuiti di
veli sublimi ac.c(»ttati ai di nastri '.
Del merito i)oetico di Lucrezio, toccato in una frase dubbia
di Cicerone, passato in silenzio da Virgilif) ed Ciazio, che
tacili lo imitavano , celebrato altameiite da Ovidio e da
Stazio, parla il suo libro, e son piene le storie letterarie
e i traltiifti di estetica. Egli ha bellezze si sfulgoranti e si uni-
versalmente ammirate che non occ<»rre additarle. Il suo atei-
smo non faceva paura nemmeno al buon Cesari, il quale
I Ls Poòmc de Lucrece par Constant Marflia. Paris, 1873.
per 'jiifl siiij squisito sGntimrnlo del bello e JcUa imturuin
sutitiiiiilfi, aiimva i versi dì lui forse nun lucoo clic quelli
dell'AIigliÌRi-i.
Alessandro Marchetti.
AWstàndPo Marclielli narque nella sua \illa dì l'outtmiio
il di 17 iimr/.o 16^2 di Angi^lu e di Luisa BonavenluEi. fi-
glia a I''ilìnj>o colcljre profL'SBi>re di ragion civile iifll'U-
.'ivereità ili Pise e assai beufiiieritn, per le sue futiclie,
('.dia lin^'iia tuscana. Aveva appena di «^elte giorni oltrepas-
sato i iiovr! mesi di vita, dio perde il padre e rimase c^on
iIiiHtlro ri-Htelli suUo la tutela della madre, In ([uale, rinipa-
Iriando, pntvvide in t'ii-en/.e alla lom educ!a7i[)ne.
Destinato alla mcrcatuin , gib vi si ntì introdotto; se-
noncliii , u» giorno di niium-o applicazione, cantando egli
solluvooe il lanir>nlo tli Aiinidh e dicendogli rainpognauilo
il diri lloi'O ilei uei^o/Jo: " Voij/i'jn esser calcnli, non pm'hì, »
eijli lisposc die nella tregua delle faccende non sapeva
spender meglio il lem|>o che n niminare gli aurei versi
del Tasso divino e lasciiinilo il nego/.ii>. .tu posto a stu-
diare riiislilula Silfio un vidmile ilolloi'é. Ne della leggn
si apjwpo pian fallo, come 'luetla elio non gli dava cai nix»
di pi'nsup lì PUÒ modo e di siiecolape lilierainente. Ne al-
lenili lo studio e si dolte alla lettura dei poeti latini e to-
scani'. S(^ issi' allora akim liei sonetto, o cominciò a tra-
durre riini'ide in oIIhvu rima — parendogli, come smsse
poi al Maglialiedjì; die ijuel sovrano poeta da ninno fossa
istillo tradotto nel volgar noslro con ijuella dignità di' e' me-
rittiva, ma non n'id'i pii^ in Iti del ([uni'lo liliro.
Ottenulo un luopodi scolaro nello studiodi Pisa dal Prin-
cipe Cardinal Lcnjioldo, udi i lìlosoli pei i patetici che v'in-
segnavano; nm lei-at'isi a noia quella servile (ìli sofia, si
slìigi'i coatto in un '.apiln'o liorn<'Si:o. Si st'ìnt^e allora d'a-
inisltt con un giovane dei Galilei ', eli "era altresì in Sti|iieii»t
e dando insieme opein allo uliiJio dei Clattsiei, talv>>lla per
più rict-cai-o Io spirito npci sei o al puliMico scena inasijntla-
tameiite e tolvolla sulla eeira eli" ciascuno di loro sapeva
inai."Mt!ev'ilm;'iil!' tm^enrc, all'improvviso canlarono veisi
tali che ne slupinjno gli aseollanti. Oia abbaltulosi a sen-
tirli il gran inatemalieo Gian Alfonso Boielli, nniniiiando
l'ìiicegno del noslni Alessandro, s'invaghì d'inli-oduHo allo
studio delle inatiMiialielie e della lll<isufia espa imentale ;
1 TO« e Poftle di àletsa.iai-o 3l/iivh.'tll, per 0(ii.'ra fi iMira di Fraii.effo
Nui-ilielU KUO IìkIIo. Vhii>.'/Im, tiU.
n C'Hìiiiiodi Vino«ti/i> nylio naturale di GhIìLco ualllvl. 11 Nelli nega
<|Ufsli uilriiL'ulì ilei fixti Iriseeitii.
lina an-
. . flk«olta
e npl l(ìiA>, anno del suo dotUiralo in fìlot^'^fla r iiiodicina.
«bhe una Icttuia di Loffùn in iiiioll'Univcisilt». Il Boielli
fatlosfilo fronimcnsHlf, 16 dit! piT lipi'liloto ni piopri s(n)lai-i,
tia' quali Ola Unvmo Bnlliiii '. Kl.l.c In cattcdia di flk^-
sofla siraordinai in clic rilcnim por anni oli", i-il allora npllp
lifzi'ini, ni-jlo [lis]<ulc. mi circoli, e n<'i (.-(illoriuì pii)mns<>e
/ lo studio dcllu fìiiisi.itin ppin inicntalc, e il Mali>if;lii fr!i scri-
veva <li noliipiiii il 4 pcunuui Ulfil; n Dal siRiior Bollili ffiu
ìntfE>i cliiì con suo onoi-i* v sommo niiplaum frninmoth'Vti
cose nuovp nel l* pKcM', « !>peri) clic a [loniì n poco si po-
tranno n ddo ni cs tifare qucfitn Itcstip pclvajrpic. w Partito da
Pisa il lìorcllì, fu il nati nncccasurc nella cattedra di male-
tnaticlie e la rìlMnie u lulla sua vita.
Di 3Ì> anni ^piìsi'i Anna Luc.i-exia dei CnncelHe^ i di Pistoia.
bella e «apRla, eli« visse Ano a 'Jl hiiiiu. Di lei i-lihe undici .
flRli, selli! macelli e i|UHltio reniLiiinc. Il ninR/rioiP Angelo
riuscì assai mne nelle nialenin!iche f si fece eortopc^'i-e con
le Crmcliigioni slam[iatc in Fiìcm^o nel i(jS8 in dife.»! del
padif, beistìpliodei {reomi Iri italiani, con rupera/JtV/rt^ro-
jiorai'iru- it proiinrzinnnlità. con VEwlìiìe rìf'irmntn, con la
sua Jnirndiisi'nit a/In. fJvsniK'jrafìa e. Kimtlra^ ecc.
Dei letterali della sua eia amò assai il Mafrlinlicchi e jr!i
fu caro, e spnisasi la voce della »\w luoite sciiSBtì veisì
afTeltuosi in compianto. Pianse alti osi in versi In nioite dui
Hedi e del Ma^iiUUti. due del pii^ prrarKii ìnlclletli che la
TiiSL-nua av.'ss.; proiU>t(ii nella sua veccliijila, veccliiaia di
Sara, poci. fi'crirnia, ma di Pati iui'ciii delle lelteie e dellH
«sieii/e. V.vn andi'epli, come tulli i p'^nlili siili ìli rii Toscana,
amico airiLivialo dciriTiphilleria. Ne", i Newlon, e dello A'oisi
al suo puiliri'. Nolevole e eome ^'i■lll£.'ll■si ci Ij-amulaasern il
loKi IlawkwiHid <Iie aiiuiva tio]ipo le nosric tene e le no-
stre ricclie/Ko nel Mill.nn, che aduni la iiosl.ia lingua o poe-
sìa, oin tallii coltissimi ÌNVìati, die fnvo'i uno i iiusliisludj.
La tradi/ioiie vive tino al ili d'off^ji : e la lena di Toscano
die Bl' Inglesi ni cdilessero siopia tulle laccolse lo spiiito fl
i alcuni ramosi loi-o scritloi'i.
[■;ra piunlo all'anno T»< senya die jmr pivivasse in parlo
Ri' incomodi dclPavan^atn vecdiiez/a, se si ei-(.^eUiii cho
poco li nijH) inrian/i aveva eominciato a paliro di stillicidio
u slranfnnÌH, efì'i tto di pietra.
« linlrato nell'anno otianladne, enmineió n provar dad-
dovcro gl'incomodi della vecdiiez^n, in particolare per li»
1 II Krlli nnn cniieoib- che 11 Hi'lllni fns-:i- •.-•>1iirii il.'l MHn'lK-Ut, e on-
BttPii" che \vT ironia lu cliiamHSitì r*r durtUrlmui afilel**tmu»g»t ci ulli'i
ptvtecpiitr meut.
Kra
li>riiiPiiti>6o dolore cnRiiiiialopli flalla piolra. clip non Io la-
sciava ìli- ilonuir'', ni! pr. ndi'ie liiwisn, sf non ]ji>evjfi»irn<i ;
■ lai 'IUhI doliirn, dopd lispersi iiiit<i <'nl tnì;arw)k«0 lii:{iiunt
<li Stm Nicoli! (li Buri, vcaii-v» di Mila, o ciip il santu (rii
i;iU'iPPil' ssi' Ih pi'H/iu, wtMio a hiii)ria inpìotin eiedcp fi
[nn'i , SI' s|ii'rinl[ii('iilr si consiili-ni la devozione dn fpwì
(ivHla l'fy ddtii santo, al vivo csprcswi iti vaiie'Cuniiiu-
?ì7.ii>tii da Alcssaridrn ooiiipi'Stc, in Imle dM niodcsimo , o
che la pietra lu-eiuli'^se pusìlura luic da non più impedii f^U
it paf^s^aj-'sii ' 'iflle iiriiLe, IVirelto fu die dopo raddilata lui-
/i'iiie, limi più noi cìikiiu! niepì die di pni visse la pietra
nessun duliy e pli <-nf.'iiiini. i> Col tu d'api iplessia mori (.-oii [ut li
i Sacramefili i'i 0 scltembic ITli d'unni 82, mesi ciiiiua e
Fu Alessandro, ermlinna il llfriio Franoeseo, dì piup|a
slatii'n, liiaiieo i- rnsso di (.■ani «pione . di capei liióndo ,
d'oeelii as^-^ui eil's-iJÌ, ma vivati e si perfetti rìifi mai non
riroisc npli nceliiali. FÀAitì ])i'0|iorzioiiatissinie tutte le palli
lii'l (inrpii, ili volldallipro e (rii.viale, dolue e diiara la voce
e di «impìfssintif* Kff'.ile an^i elia mi.
Parrh lurse elTctlo di delK-ilcz/a seniln o dell' infenniti» il
ricrirso di 1 Mareli* Iti al limicue di San Xìecolù di Rari: ma
ó un Tallo die aceaii'/zandu del contìnuo la sua veiaione
ili I-UL'ii.;/io, dava |ioi In aciissi di devoriune e flirta non
tìnta. — Valpa di piiiva il seguente sonetti! all'KccellenKa
de! Sip. Dertmixl' > Trevisani per la sua opera dell '/minor to//w
de/rimami.
Taccia P:p:'^'.i-o: iiidii «li umani petti
Viv„ KMlitfi c-'k-ste. aura vit:dd
II.-' foia mi Olila e t',-iiii:l-ai-i (lotti,
ULiiriii tiEiilii priivurlu inlVirina n (raìc.
I 'Luili nìi'ui si'ii'.-cij ili niortu iiiri-tli,
Itall'af'n ili iuh linmin eiiipU « Iji-utale,
M..'ivu ilot tuo vuinf (•iuccinu mr^kttl.
Uio fenili Ik'i'iiHiil», i: RiHinuai.-oliiutii liaii l'ald —
Tu, nmi-uiio il-^ll'Aili-iu ouoi-u lì luiiiu.
IX'M'i'Vi'oNu Lutt inviitu vrgrr iiotuiti
l»t [l'i'i'u ili uiul III non limi Klanclm iiiumc.
Chiurli ivi le iiiistr'ulitm (■««ur viiduBti
Kl'/ni»' e iliv'' <i in iiobilw votuni»
Quanti! a tu fu jiuk'Si', a noi ^ponesti '.
1 QuPBlo fnri.'tto ì) nnclip pii'i psijlinto cli'lla Proletla cL'el premise b11;i
PROTESTA
Tiio I.iicTPiin Cfiro l'pr sii« UÌ.juvm'iiiiu-b nacqui' (iphUIc p fii di «nUa
siiicurwi: imt Ih yual ros» lii noti dovnil punto niaravifrtiaiti, o pio u
discreto l4>(lorf>, "reW In ulruiii> KOfe ta coclrarlo alla religioni!, lo non-
lìitiieno, *corai-niln in (■«"■n fra le Korbre di poctii prroi'l vivamenle rl-
eplpDdrre luoltl lumi della più luldti e sensuta fllosofla e delia più robusta
>^MMa«^**aa
-T ««1 • '~<f
12 INTI^nbUZIUNK
Sua versione di Lucrezio.
Liicre7i»> (Ma un antorn in (hIìo alla Chirsa ; tanto niù ó
Ha tener ronlo di un Ic-tterato ohe in Roma, nell a<x*a(lernia
degli Inrìwti, ne parlò spassi»»natarnente. Girolamo Fra-
ch( tla (la Rovipro nioilo in Napoli nel MV2S), essenelo provi-
gionatodal redi Spagna, scrisse, e stampò n(»i l.'»si, non eom-
pito il 21 anno, un liialogo diM Furore jujrtf'f^o, ov\ gli enti a a
ragi )r»are eon tre giovani, tutti allo, a slu<ionti noli' Uni-
vi»! sita di Padova. Nel loS'J pubblio) in Venezia prrsso
i (iii»lili la si>osizione della tanto vessata Cnnznnc d* amore
si (iuido Cavalcanti. Nel 15S',) pubblico pui e in V(Hi*^7.ia
dppj'c sso PietiO Paganini la sua Brere Sfjftsisìnne dì tutta
a' «pei a di Lueiezio distesa in S'4 lezioni nella nuale si di-
ramina la dottrina di Kpicuro, e si mostra in cIh* sia c«»n-
foime col veio e eon gli ins^'giiannrili di Ai istotile a
in elle dilTerente , eon alenili discoisi distasi in sette le-
zioni S'.»jMa r Invt)eazionr di detta oprici. E intitolata eon
lettiera in data di Rovigo 1 Genaio !>«}<, al cardinale Sei-
l)ione Gonznga, al (piau» <liee ti a l'alti e cose: « Lucrezio
cosi grave seiitlore, non dovi'va a paitito ninno limaneie
senza sposizione ; iinpeioccliA, oltre Tessere osculo e cron-
ten< re molte cose buone, che sono stale fiantese, ne con-
tiene anco molte di ree, le quali fa di mr sliei o, acciocché
altri non vi s'inganni, in iseambio toglìcMidole , rifiutare;
et è ìin iavvivatoi(» della dott» ina, di già per p<'»co dimen-
ticata, del giande Epicuro, a cui soncì app(»ste a torto niollrt
luigi*^. »
Il Marchetti si mise a tradurlo. Voleva dedicarlo a Cosi-
mo III ', ma non fu accettata la dedica nò gradita la pubbli-
cazione; ondo la versione girò buona pezza inedita, ma
1 Tra 1p «uè Poryic dette ei^oiche v'è il sopuoiito panetto a Cosimo tarzo
credei.du (dice il liiulo) di dodicurgli la tradu/.ioiie di Lucrezio.
It*»n<*. o versi mlpi ; dt^l re toso: !»>
Inchinbtt* il divino alto iiildletlo :
li**, e ^'jpipj'alt» a lui d«^l >rrMii roniHiio
1 carmi «'coi'lsi ii» uinil stile e sclii«»Un.
Dire quai iV elo<ineiizu il siif;uto p»'tu»
Fpai^ra torremi olire o^rni ii)gi';jriio umano.
Mentre assofriia, per cause, <»ad' ojrni effetto
renda in rinest' ampio spazio, il pieno e 'l vano;
Onde il mare e la terra e '1 del tonante.
L'auree stelle vatjranti e j»li \ì,<\y\ immf)ti,
iìli augelli, i pesci, gli animai, le piante.
Ite. scevri dal volf;o, a lui sol noti ;
A lui pien di virtù si varie e tante
Voi stessi offrite e 1 miei pensier divoti.
Qui veramente il Marchetti traducendo:
0 perchè troppo ha cupidi e Taennti
Oli occhi e troppo gli volge al elio l-ìvale
E eoa lui troppo parla e troppo ride,
ha guastato le finezza di miol in rultuque cidet r-estìgUi rimt,
mnts , dice benissimo il Martha , yiti peignent acne une si
Aeureuse kardiesse la jalounie doni la perspicacité déme/e
nur un risoije im/ias«iOle non pas Keulement un sourire, mais
les traces d^un sourire infidèle.
Ora senliamo comò il Molière, lo scolare del Gasaenili,
che s'era provato alla versione di Lucrezio, ne trasportasstì
un tratto nel suo Misantropo ' ;
L'amour pour l'ordinaire ett peu fait & cea loia.
Et l'oa voit les amatits vantor toujours lunr choix,
Jsmaia leur passioit n'y voit riun aa bUmable
Et, daua l'ohjut siine, tout luui' deriuni aimable;
IIs compCtint ìf.a dérautn ponr dan pcrfectionB
Et Bavant y donnur do favorablea uoms.
La pUe aàt au Jaaiuiii ea blaDcheur comparable;
La noire à fuiru p«ur una brune adorable;
La maigra a do la biillu et do la libiTté;
La gi'aasu, Hxt. dans noti port, pteine de inflette
La malpropri) xui' soi. de pcu <i'attraits chai-góo,
Eft mise sous li) nom du baauté Dé^'llgàti ;
La géautu paratt uQu ilée^so uux vuut:
La uiLJni; un abrù^ji! dus murvoillos <tus ciauz.
L'orgUdiUtiuse a 1» uoour dignu d'una couroane;
La foiirhH a de l'asprit; la sotta est tonte bonne;
Lii trap graudu pai'Lcuao est d'agnjiibld humeur;
Et la muettrj saMa una hoaaèle pud.iur.
C'nst aiii^L qu'un urna»! dont Tarilfur est eiti-fima
Alme jusqu'aux d^rauts di;» puraouD^s qu'il aima.
Suoi lavori geometrici
e guerra con Vincenzo Viviani.
Nella vi(« scritlanft dal suo fifflin Franresco e nel Safigifi
ilf.ì N'olii ' si poffsori vedere i lavori eeoraptrici del Mai'clièltì
e le controvefsif che no nacr|uero. 11 suo libro De resintentia
notidorum pareva al Nelli da principio un buon iihio, ma
diceva esser erba del Boielji. Poi, ricreduto per ^ìi errori
trovativi dal V. Guido Grandi, lo ridono al Marchetti. Il libro
1 7,rt Mtsa.iihmpe. arte n. ^-c. 0. Confrouin il anrclipm. 17. in.l3-l«8(.
litttre da (iluvH milanista Clemente Nelit. — lu Lucca. 17».
J8 INTRODUZIONE
in cui il Marchetti volle risolvei'e alcuni proLIcrni proposti
da un niatLinatico oltramontano parve altresì erroneo.
Mich(,lanpr.'lo Hicci, secolare del Torricelli, scjivea a Vin-
cenzo Viviaiii da Frascati, 11 i^niigno 1075: « aver consigliato
al Martin tti, che gli avea mandato quel suo libricciut>lo, di
sopprimerlo a non dar mateiia di rideisi di noi italiani
a molti virtuosi oltramontani emuli i ostri. »
Il Viviani scriveva al Marchetti: « Io non ho voluto pubbli-
cai e l'esamina del suo iihi etto, intorno al (juale avevo che diie
pure assai dal princìpio sino alTullimo, si per non metteie
alla bia*lina la rejjutazione di V. S., Ja (juale io amo forse
più di quello che ella ìum si crc-de, come ancr>ra per non
avvilire (|uella di nui altri Toscani perchè jx)' poi final-
mente il Castello tli Pontormo u j)uro in Ttìscana, quanto
vi si^i la nobilissima Firenze sua metropoli e patria mia...
Ella non contenta di i>rof(-ssare la filosofìa, facoltà, che
non ha mai chi gli j iv da d conto per la minuta, pnsu-
mend(^si molto più del dovere in Gf-ometria , si è lasciata
portare dal desidoi io e dalla soveichia ambizione di giu-
gnere a cpialdie iialio prima degli alti i ; cona^ ha creduto e ha
goduto in sé strsso, instigatone anche da chi non è né amico
su«) n» d'uomo ch(» viva (intemb^ del Borclli) di avere usalo
ogni sforzo di far comj-arire d'impiovviso alle viste altrui
la battaglia, la viltoiia <» il tiionfo di un' impresa sti-
mata da hi piì ardua e più gloriosa di quella di M. Mai-
cello, quando espugnò Siiarusa. Ma, signor dottor mio da
bene, la geometria speculativa non ò già quella
Trattabile' e Ikìiììith.i di sciolina
Clio va ]n:v tutto i vorsi o so;:ih^ franca
Dov*aiiclie V i^iiorau/.a la declina,
e la quale voi chiamale filosofìa. » Finisce col dirgli che s'era
fótlo scorgere e da diritto e da rovescio e con altre pungei-
lis*iiiie hi ffe.
Il Marchetti all' incontro scriveva al Magliabechi del //-
rido (jeonìtira e toccando de' suoi fn'tii/ianu nti {o dill'aver
fatto sigillare le sue Solvzìani dei Problemi detti dal Cai-
dinab^ Leopoldo de 'M(»diei) e d(»lle sue cabale... aggiungi va:
«Che il Padre Fubbii lo chiami Aptjlloiiiu . edivivo e del
veiameìite dottissimo Hom^IIì mio marslm parli, come ella
dice, come se av( ìrs»* a })a?lar d'un gualtero, non me uh
maraviglio, pei chf> cot'hitui non fa altro che sfacciatissi ma-
ini nti- ailuia e i Gesuiti e jui: ticolavmente il medesimo Padu*
Fabbri; (d il Boi-elli che airincontio non è adulatore, ma
filosofo, gii rivede di modo il pelo, che aj^p: esso tutti gì' in-
tendenti lo fa conoscere pei- quel che ^g i e. Ma se il padre
Fabbr i pu: la del sig. Borelli, come d'un gualtero, non cosi
INTRODUZIONE ' 19
ne parlano inflniti altri lelterati, chf studiano senza livore
o piiì<&iniii> atcuTiti le sue (lollissimi^ ed imiiio. tali op.-ifl,
N'' L-osi ne palla noma, clii! poi- ipiiinto a iin' uslatuscj-itlo
da piisnua dcfrua di fidi'., cun sim fjrando jatupore lo va a
seniìiv ofitii volt» din rffli dissoci •' iif'U'Atcadeinia della
Hef^iiia (Ci-islina di Svi'zia). Mi nmiavifriio bone ÌJillnitaniente
c-iitic-odi'stoffPOHictiasiasipioclivn in li)dat'i> i Gesuiti, f pai -
ticol ai menti; il Padru b'alitir i, mentre esKi'udo, come egli dive,
il Beniamino del (iatili'u, cio.Wultinioe dilettissimo suo sco-
lare, dovi e iil>« oitiarli più della p^ ste, come quelli, che anno
tslati e. Tarlando d ■neralnieiite. sono tuttavia aspi issimi ed ii'-
■■i>concilialiìli nemici del suo maeslio. Ma in che scienza é egli
mai statoli Galileo niaesti'odic<>t«>sliiìf b'oi-se in logica? no;
pei-ché per la medesima sua confessione ebl)e in questa per
maestio un fi'at", Fo;se in fitiometria ìf Nemmeno; pemié,
per quanto igli si vanta, giie ne insegnò non so che poca
un altio fate, e net risto igli l'ha studiata tutta da su, ed
usoita di pili anco gli ultii u fai e 11 medesimo, iK'nchè pet*
Dio, so i giovimi pigliarselo il suo consiglio, mi creda puie
che ae pochi geouùtii sono al iinindo, oe ne saieblefo
molto manco. Foi se in fisica, in metafisica, in ottica, in mec-
canica, in astronomia, o in a!U-a nobile pi ofissione T Ma
tjuando Iia e gii in alcuna di queste dato mai saggio al mondo
di saper nuilaT Iti sta dunque chei non fosse in nessun
modo scolai e de! Galileo, ma al piiì al piiì lo servisse per
gaida, quand'era cieco, u pei' scriverli qualche lettela o per
andate a (bili qualche imbasciata, x
Il Nelli avift iHgionc sul punto dell'imperizia del Mar-
clietli in pLiHiirliia, avendo si buoni mallevadori come il
Ricci ed il Vìviani ; niu hu loitu nel premer tanto salta
condanna del vo1f;ariz7amento del Luci ozio, e nel lodara
la somma saviezza del Vivìani, a tnv la cotte ai Gesuiti,
nemici del Galiho, e d'ogni ptognssi) delle scienz.e, quando
ne portan peiicoh) le loro dottine. Il Maichctti mosti a es-
sere stato uno spii ito libero, e miglior seguace dell'indii izzo
fundamcrtiile della filosofia del Galileo che il Viviaiii, il
quale coltivava soltimto la purte scientifica pura, e si pe-
li ta va di toccar qui-lla che diremo scienliflco-morale, cli'é
po' poi finalmente la più ulta e importante, come ((quella
che ti^nde a liberare da ogni ceppo teologico lo spirito,
aprendiigli tutta la disti sa de' cieli, e dand(;g!i ali da scoi-
rerti sig.iorevoi mente. Oia il vulga izzamento del Lucrezio
era l'uitìma corisi guenza della libeitii di filosofare piopu-
giiatu o confi'SSiilu col suo martirio da) Gulileo; e se il
MaicbetU non fu un geometra, fu per ventura buon poeta;
'*^>1.
20
INTRODUZIONE
Di questa Edizione
Abbiamo seguito in questa nostra Tedizione procurala in
Firenze da Giosuè Carducci (Barbèra, 1864) ancora multo
giovane, ma già maestro. Egli oltre la prima edizione di
Londra, riscontrò l'altra del 1779, che pregia sopra tutte.
Né abbiamo tralasciate le Varianti notate da lui , diflbn-
dendo cosi gli studj di un critico valentissimo , non solo
intendente», ma creatore di ottime poesie. Abbiamo aggiunto
i begli argomenti che il Blanchet premise alla traduzione
ft*ancesp del Lagrange (Paris, 1861), e il capitolo della Scienza
di Lucrezio di Constant Martha. Cosi abbiam provveduto
alla chiarezza del poema, e direm con le parole ai Lucrezio
al lettore:
Nò cieca notte ornai potrà impedirti
L' incominciata vìa, cne ti conduce
Di natura a mirar gì* intimi arcani:
SI le coso alle cose accenderanno
Lume che mostri alla tua mente il vero.
£«§eDlo GaaeriRL
LUCREZIO
LIBRO PRIMO
Argomento.
n poets comincia dn una splendida Invocaitone a Venera,' Kguoao:
I. la dedica dpi poemn a liemmlo, 2. l'etipOHÌzlone del subbletto. S. l'elogio
d'£fifcuro. i. in conrulazinn'' delle obbl^iioul geoeniil eli» altri potrebbe
tare contro la dotirliui del filosofo greco e contro l'ardlmeiito del pocu»
IcUdo cbe si aCt-insp a renderla nella sua llnfnin. Lucreilo entra poi in
malrria e pone a primo principio che l'eiuieiw non piiò iwcfr dal nuUa,
He tornare al nulla. V'ha dunque eorputeoH prl'iitltvi, oudfi constano
tutti i corpi . e ne' quali questi si risolvono ; sebbene Invii^ibiU. è forza
arameLlere che esistano. Ha non potrebbero a^re, muoversi e neppure enl<
stere senza il vuoto. L'universo pertanto resulta da queste due rose : la
maferia e a bkoM. Tulio quello die non é ni- l'uno n* rHllr<. n'è jiro-
prteUi o accldunte e non gii una lena classe d'esseri che facciati part« da
sé. 1 corpi primi, essendo la base delle opere della natura, debbon essere
perfettamente solidi, indivisibili ed eterni. Onde ne viene che a torto Bra-
cino ah al corpi per principio il fuoco, alili fllo»on l'acqua, l'aria o la terra,
•d Empedocle l quattro elementi. Né per Vomeomeria di inassapora si
spiega meglio la formazione degli esseri. It gran tutto, indistrutllbile nei
3U*iÌ principi, é Infinito nella sua massa; non v'tiu dunque centro a cui
tendano i corpi gravi; la dourina degli AMtpotU b dunque una follia.
Alma figlia di Giove, indila madre
Del gran germe d'Enea, Venere bella,
Degli uomini piacere e degli dèi;
Tu che sotto i girevoli e lucenti
Segni del cielo il mar profondo e tutla &
D'animai d'ogni specie orni la terra,
Che per sé S'irà un vasto orror solingo:
Te dea fuggono i venti: al primo arrivo
Tuo Bvaniscon le nubi: a te germoglia
Erbe e fiori odorosi il suolo induatre: It)
Tu rassereni i giorni fbschi, e rendi
Con dolce sguardo il mar chiaro e tranquillo,
B Splender fai di maggior lume il cielo.
Qualor depoeto il freddo ispido manto
L'anne rinKiovaniscs , e la iwave 1''
Aura feconda di Favonio spira.
Tosto tra fronde e f^ondr^ i vaghi augelli,
Feriti il cor da'luoi pungenti iWdi,
Ointan festosi il tuo ritorno, o diva;
Liei*' scopron alitando i grassi paschi
Le fiere e gonfi di nuov'acjue i fiumi
Varcano a nuoto e i rapidi torrenti :
Tal (ia'teneri luci vezzi lascivi
DoleenienLe allettalo ogni animale
Desioso ti segue ovuni|ue il guidi.
Insomma tu per mari e monti a fiumi,
Pe'liosclii omhrosi e per gli uperti campi,
Di piacevole amore i petti accendi,
E così fai rhiì si consi'rvì'I mondo.
Or; se tu sol della natura il fileno
Reggi a tua voglia, O senza te non vede
Del di la luce desiata e hella
Né lieta o amaliil TasRi alcuna conti;
Te, dea, te bramo per compagna all'opra,
la cui di scrivi-r tcnlo in nuovi carmi
Di natura ì si'grcti e le cagioni
M gran Memmo Gemello a te si caro
In ogni tompo e d'ogni laude ornalo.
Tu duiit|ue, o diva, ogni mio detto aspergi
D'eterna grafia; e fa' cessare intanto
E per mare e per terra il fiero Marte,
Tu die sola puoi fiirlo. Kgli sovente
D'amorosa ferila il eor tradito
Umil ai posji nel divin tuo grembo.
Or; mentr'ei pasce il desioso sguardo
iJi tua beltà ch'ogni bellade avanza,
E che l'anima sua da te sol pende;
Deh porgi a lui, vezzosa dea, deli poigi
A lui soavi preghi, e fa' eh' ei ronda
Al popol suo la desiala paci'.
Che, so la patria nostra è da nemiche
Armi agitata, io pìi'i seguir non posso
Con animo quieto il preso stile,
Né può di Memmo il generoso figlio
Negar sé stesso alla coinun salute. \
Tu, gran prole di Memmo, ora mi porgi
Grate ed attente orecchie, e ti prepara.
UBRO PRIMO.
Lungi de te cacciando ogni altra cura,
Alle vere ragioni, e non volere
I mìei doni sprezzar pria che gì' intenda-
lo narrerotti in che maniera il cielo
Con moto alterno ognor si volga e giri;
Degli dèi la natura, e delle cose
Gli alti principii; e come nasca il tutto,
Come poi si nutrichi, e come cresca,
I!d in cho tiimlinonte eì ai risolva.
E ciò da noi nell" avvenir dìrassi
Primo corpo o materia o primo seme
O corpo gpnitalfl, essendo quello
Omln prima si forma ogni allro corpo.
Che d'uopo 6 pur die 'n somma eterna pace
Vivan gli dèi per lor natura e lungi
Stian dal governo delle cose umane,
Scevri d'ogni dolor d'ogni perifriio,
Ricchi sol di ior stessi, <• di leu- fuori
Di nulla bisognosi, e die né merlo
Nostro gli alleili o c'ilpa iici^i'nda ad tin.
Giacca l' umana vilii oppressu e stani*'!
Sotto religion grave e severa,
Che mostrando dal cìei l'altcni capo
Spaventevole in vista '' niinncdanle
Ne sopraslava. Un uom <I'Atene il primo
Fu, che d'erg''rle inconira ebbe ardimento
Gli occhi ancor die mortali e le s'oppose
Questi non paventò nò ciel tonante
Ne tremoto die 'l mondo empia d'ornire
Nò fama degli dèi nò fulmin Iorio:
Ma, qual acciai' su dura alpiua cole
Quanto s'agita più tanto piil splende,
Tal dell'animo suo mai sempre invitto
Nelle diincoltft crehlie il desio
Di spezzar pria d'ogni altro i saldi chiostri
E l'ampie porte di natura aprirne.
Cosi vins'egli, e con l'eccelsa mente
Viirrando oltre a'conftn del nostro mondo
Fu l>aslanle a capir spazio infinito.
Quindi sicuramente egli n'insegna
Ciò che nasea i) non nas ii. ed in qual modo
Ciò die i-aechiude l'univm-so ia seno
Ha poter limitato e" terrain cfirLo.
E, la religton co' pie caicala,
L'alta vittoria sua c'erge alle stella.
Nòcredei- già che. scelerate ed l'inpie
Sian le cose ch'io parlo: anzi sovente
L'altrui religìon ne' tempi antichi
Cose produsse scelerate ed empie.
Questa il flur dogli i-roi scelti pei' duci
Dell'oste argiva in Aulide indusse
Di Diana a niucnhìur l'ara innocente
Col san^e il'Ifigèniu; ullor che, tinto
Di bianca liisciu il bel virginou •riue,
Vid'ella H sé davanti in irnslu volto
Il padre, e a lui vicini i saci'rdoti
Celar l'uapi-a bipenni.', e "1 popò! lultu
Stillar piT gli ocelli in larga vnna il piunti
Sol per pietà di lei, ehe mula e mesta
Teneva a terra le ginocchia incliine.
Né giovo punto uU'iunoci'nte e cusla
Povera v{-rginella in tempo tale
Ch'a nome della patria il prence avesse
All'esercito greco un re donato:
Che tolta dalle man del suo consorte
Fu condotta all'aitar tutta tremante;
Non perché, terminato il sacritìzio,
Legala fbsse col soave nodo
D'un illustre imeneo; ma per cadere
Nel tempo stesso delle propriti nozze
A' pie del genitore ostia doh'nte
Pei" dar felice e fortunato evento
All'armata navale, iìrror si grave
Persuader la religion poteti.
Tu stesso, dall'orrihili minacce
De' poeti atterrito, ai detti n<islri
Di negar tenterai la Tè dovuta.
Ed oh ({uanti potrei fingerti anch'io
Sogni e cliimere, a sovvertir liaslanti
Del viver tuo la jiace e col li in ore
Il sereno turbar della tua mente.
Ed a ragion: che, se prescritto il fine
Vedesse l'uomo 6dle miseri'' sue.
Ben resister potrebbe allo u
LIBRO PRIMO.
Delle retigloni e de' poeti:
Ma come mai resister può, a'ei teme
Dopo la morte aspri tormenti etemi.
Perché dell'alma é a lui l'essenza ignota!
S'ella sia nata od a chi nasce infusa,
E se morendo il corpo anch'ella muoìaT
Se le tenebre dense e se le vaste
Paludi vegga de! tremendo inferno,
O s'entri acl informare altri animali
Per divino voler! Siccome il nostro
Ennio canU'i, che pria d'ogn'altro colse
In riva d'Elicona eterni allori.
Onde introeciosai una ghirlanda al crine
Fra ritalichfì genti illustre e chiara.
Bonch' ei ne' dotti versi affermi ancora
Che sulle sponde d'Acheronte s'erge
Un tempio sacro a gl'infernali dèi,
Ove non l'alme o i corjii nostri stonno
Ma certi simulacri in ammirande
Guise pallidi in volto; e quivi narra
D'av<T visto l'imagine d'Omero -—
Piangere amurumento e di natura
Raccontargli i segreti e le cagioni.
Dunque non pur do' più sublimi effetti
Cercar le cause e dichiarar conviensi
Della luna e del sole i movimenti.
Ma come possan generarsi in terra
Tutte lo cose, e con ragion sagace
Principalmente investigar dell'alma
E dell'animo uman l'occulta essenza,
E ciò che sia ([uel che, vegliando infermi
E sepolti ni^l sonno, in guisa n'empie
D'alto lerror, che di veder presente
Farne e d'udir chi già per morte in nude
Ossa ò converso e poca terra asconde.
li so ben io qual malugevol opra
Sia l'illustrar do' Greci in tòschi carmi
L'oscure inven7ionÌ, e quanto spesso
Nuove parole converrammi usare,
Non per la [Mivcrtft della mia lingua
Ch'aHa greco non cede e più d'ogn' altra
Piena i di proprie • di leggiadre voci.
Ma per la novità dì quei concetti
Ch'esprimer tento e che nuU'altro espreoee.
Pur nondimn.n la tua virtude é tale
E In BpfTHlit mio dolce conrorto
nella noatr" amistà , ch'ognor mi sproDa
A soffrir vol''nlicri ogni fatica
!■; m'induce a vegliar le notti intere.
Sol per veder con (juaL parole io possa
l'urtare innaii/,i alla tua mente un lume
Uiul'eila vpsfi" "gnì cagiono occulta.
Or si vano liirror, si cieche tenebre
Schiarir IjisuRna e via cacciar dall'animo
Non co'be'rai del sol, non già co' lucidi
Dardi del giurno a saetlar poc'atàlì
Fuorchci' l'omlirn notturne o i sogni pallidi,
Ma ro 'I mirar della natura e intendere
L'"i'cultp i-Husn e la velata imagine.
Tu , s'' di consi.'yuir rio bramì , ascollamL
Sapidi che nulla per riivin volere
l'iiii lUl nulla crearsi: onde il timore
Clio i{uiuili il <.'or d'ogni mortale ingombra
Vbiiii I! del lutto; e, se tu vedi ognora
Viii'inarsi molte nisiì ira terra e 'n cielo
Ni' il'i'sse intendi le cagioni, e pensi
P'T ''il* ''he'nio le faccia, erri e. deliri.
Sia iluni;u(' mio principio il dimostrarti
Clic nulla mai si pii<') errar dal nulla:
QiiìtuIi ■i«''"i m"?lio intenderemo il resto,
!■■. . i-.. ■ - ■ _■ ■fii'forai il tutto
S' Il - -"i. Or, se dal nulla
Nun Hviiaii ciuupo; e si vedrian produrre
Uomini ed animai nel sen dell'acque,
Nel grembo della terra uccelli e pesci.
K no! vano dell'aria armenti a greggi:
IV lunghi culli e per gl'inculU il parto
D'ugni fera selvaggia incerto fftra;
Né sempre ne ilarian gl'istessi fruiti
Gli alberi, me diversi, anzi ciascuno
D'ogni specie a proriurgli atto sarebbe.
Poii-hó come pnlrian da certa^adre
Nasiier le cose, ove asiegnatì i propri
^
Semi non tossfr da natura a tutte?
Ma or, ptTché rìascuna é da principii
Corti creala, imli lia il natala ed race
Liota a goilcrp i dolci rai del giunio
Uv'è la sua materia e i corpi primi.
E quindi nascer d'Oi^iiì »)sa il lulto
Non può, perché fra loro alcune certe
0>se han l'interna fi«-oltà distinta.
In olire: oiid'é che primavera udiirna
Sempre è d'erbe e di (lori che di mature
Biado Hll'esliVarsui-a ondeggia il campo If
E elio sol, ijuando Febo occupa i segni
<) di libra o di scorpio, allor la vile
Suda il dolco liquor elio inel>riu i scnsiT
Se non porelié a' lor tetniù alcuni certi
Semi in un concorrendo alti a produrre
Son ciò che nusco, allor che le slaffioni
OpjHirlune il ricliieggono, e la terra
ri vigor geiiilal piena e di succo
Puole Bll'Hure innalzar sicuramente
Le molli erbette e raltn- cose tonerei
Cbe, se pur generale esser dal nulla
Potessero, apparir dovrian repente
In conlmiùe st^igioni e spazio incerto:
Non vi essendo alcun seme che impedito
Dall'union reciin<la esser potosse-
O por ghincrto o per sol ne' tempi avversi.
Nii, per cres-er, le cose avrian ineslii're
Iti spH7Ìo alcuno in cui si unisca il seme,
S'elle (lisS'T del nulla atte a nutrirsi:
Ma nati appiana ì |)argoletti infanti
Piverrebboni ftilnlti. o in un momento
Si veilrebher le jiitmle inverso il cielo
Erger da terra le nibuste braccia:
Il che mai non succede; anzi ogni cosa
Cresce, come conviensi, a poco a poi'o,
E crescendo cfmsorva e rende eterna
La propria si>i'i-ie. Or tu conTessa adunque
Che della sua materia e ilei suo seme
Nasce, si nutre e divìen grande il tult».
S'arroge a ciò, che non darla la terra
11 dovuto alimento ai lieti parti,
*iia^\-'V'.i-
1
28 LUCREZIO
Se non cadesse a fecondarle il seno
Dal ciel Tumida pioggia, e senza cibo
Propagar non potrebber gli animali 270
La propria specie e conservar la vita.
Ond'è ben verisimile che molte
Cose molti fra lor corpi comuni
Abbian, come le voci han gli elementi,
Anzi che sia senza principio alcuna. 275
In somma: ond'ò che non formò natura
Uomini tanto grandi e si robusti.
Che potesscr compiè del mar profondo
Varcar Tacque sonanti e con la mano
Sveller dalTimo lor Talte montagne 280
E viver molTotadi e molti secoli t
Se non perchè prescritta è la materia
Onde ogni cosa si produce et onde
Composto é ciò che nasce? Or ecco dunque
Che nulla mai si può crear dal nulla, 285
Mentre di seme ha di mestiere il tutto
Per uscire a goder Taura vitale.
Al fin: perchè veggiamo i culti luoghi
DegTinculti più fertili, e per Topra
Di rozze mani industrioso i loro 21X)
Frutti produr molto più vaghi alTocchio,
Più soavi al palato e di più sano
Nodrimento allo stomaco; e'n'ò pure
Chiaro che d'ogni cosa in grembo i semi
Stanno alla terra e che da noi promossi 295
Sono a nuovo natal, mentre, rompendo
Col curvo aratro e con la vanga il suolo,
Volghiam sossopra le feconde zolle.
Domandole or col rastro or con la marra:
Che, se questo non fosse, ogni fatica 300
Sar(»bbe indarno sparsa, e per sé stesso
Produrrebbe il terren cose migliori.
Sappi oltre a ciò che si risolve il tutto
Ne' suoi principii e che non può natura
Alcuna cosa annichilar giammai. 305
Che, se affatto mortali e di caduchi
Semi fosser conteste, all'improvviso
Tutte a gli occhi involarne^si e perire
Dovrian le cose, ove mestier di forza
LIBRO PRIMO.
Non (hra in partorii- discordia e lite
Fra le lor parti e l'union dìsciorne.
Ma, perchó seme eterno il tutto forma,
Quindi ó ciie nulla mai perii- si vede
Pria elio forza il percuota e nogl'interni
voti spazi penetri f, lo dissolva.
In oltre: cih clic lunga età corrompe
Se s'annichila in lutto, ond'é che Venere
Rimcna dellu vitu al dolce lume
Generalmenti^ ugni animale? et onde
Cibo gli porgft ia "ngegnosa terra
Onde si nutra, si conservi e croscaT
Onde le fonti, onde i torrenti e i fiumi
Portan l'ampio tributo al vasto mareT
Onde alle fisse, onde all'erranti stelle
Somministra alimento il ciel profondo?
Poiché già l'infinita eth trascorsa
Ogni corpo mortale a pien dovreljbe
Col vorace suo dente aver distrutto.
Ma, se pur fu nella trascorsa etade
Seme che basti a riprodurre al mondo
Tutto ciò clie perisce, etemo ò certo.
'SuUa può dunque mai ridursi al nulla.
In somma: a dissipar sarìa bastante
Tutte le coso una medesma forza.
Se materia immorlal non te tenesse
Più e men collegote: un tocco solo
Bastevole cagion della lor morte
Esser potriu, ch'ove d'eterno corpo
Nulla non fosse, ogni più leve impulso
Sciór ne dovrebbe la testura in tutto.
Ma, perchó vari de'principiì sono
I nodi ed é la ior materia eterna.
Salve restan le cose infìno a tanto
Che forza le percuota atta a disciorre
Di ciascuna di loro il proprio laccio.
Nulla può dunque mai ridursi a nulle;
Ma ne' primi suoi corpi il tutto piede.
Tosto che finalmente il padre Giove
Verse nel grembo alla gran madre Idea
L'nmida pioggia, essa perisce al certo:
Ma ne soi'gon le biade, e se n'adorna
meVH^ ''^'
30 LUCREZIO
Ogni albero di fior, di fpondi e fiulli.
Quindi si pasce poi l'umano germe,
Quindi ogni altro animale. E lieta quindi
Di vezzosi ftmciulli ogni cittade 355
Fiorir si mira, e le ft*onzute selve
Piene di nuovi innamorati augelli
Cantan soavi armoniose note.
Quindi pe* lieti paschi i grassi armenti
Posan le membra affaticate e statiche, 360
E dalle pieno mamme in bianche stille
Gronda sovente il nutritivo umorv».
Onde i nuovi lor parti e bri o lascivi
Con non brn fermo pie scherzan per Terbe.
Dunque all'atto non muor ciò che ne sembra 305
Morir quaggiù, se la natura induslre
Sempre delTun l'altro ristora; e mai
Nascer non puole alcuna cosa al mondo,
Se non se prima ne perisce un'altra.
Or; poi clie chiaramente io t' ho dimostro 370
Che nulla niai si può crear da nulla
Nò mai cosa croata annichilarsi;
Acciò tu non pertanto i detti mioi
Non creda error, perchè non puoi cogli occhi
Delle cose veder gli alti principii; 375
Pensa oltre a ciò ({uant'altri cx)rpi sono
Invisibili al mondo, e pur deggiamo
Confessar eh' e' vi sono a viva l'orza.
Pria: se vento gagliardo il mare sferza
Con incredihil violenza ignota, 3ft0
Le smisurate navi urta e fracassa;
Or ne porta sulTali atre tempi ste.
Or via le scaccia e ne fe chiaro il giorno;
Talor pe' campi infuriato scorre
Con turbo orrendo, e le gran piante atterra; 3^
Talor col soffio impetuoso svelle
Le selve annose in su gli eccelsi monti:
Cosi gorgoglia TOcean cruccioso.
Geme, freme, s'infuria e '1 ciel minaccia.
Son dunque i venti un invisibil corpo, 300
Che la terra che '1 mar che *1 ciel profontlo
Trae seco a forza e ne fa strage e scempio;
Nò in altra guisa il suo fiiror distende.
Limo PRIMO.
Che suol repente in ampio letlo ti<:<i,\Ui
La mutiR acqua cador gonfia e spumante.
Che non pur ilnlle Sfive i tronchi busti
Ma ne porUi sul doi-so i l>nscl)i interi;
Né piln soffrii- i ben fondati [lonti
La repentina forza; il fiume al)hatle
Ogni ecci'lso (•difizio e sotto l'acque
Gran sassi avvolf^t.', onde ruina a terra
Ciò ch'ai rapido coi-so ardisce oppoi'si.
Cosi dunque del vento il soffio irato.
Se qual torrente infuriato sc'orre
Verso qualunque parte, innanzi cao.ia
Ciò ch'egli incontra e lo diveglie i; schianta;
Or con